Giochi di Ruolo > Ragnarok Online
Segui la storia  |       
Autore: Sotorei    23/07/2010    1 recensioni
Arrivati a un certo livello di potere, gli individui di Rune-Midgard iniziano a far luce, perdendo a lungo andare lo scopo della vita. Ma adesso c'è una novità. Gli dei permettono di superare il limite con la rinascita. Rinascere e diventare più forti. E perdere l'aura di luce, che per il sonno è una gran cosa.
Genere: Parodia, Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Nove Antonio giacevano sul pavimento, inermi. A tutti era stato calato sugli occhi l’orlo del cappello rosso e il pom-pon infilato in bocca. L’ultimo Antonio, ancora in piedi, guardava il Ragazzino Dai Capelli Bianchi che, imbroccato il fucile di uno dei soldatini di piombo, glielo puntava.

«P-perché non ne parliamo?»

Il Ragazzino Dai Capelli Bianchi continuò a puntare.

«Lo sai che quell’affare spara caramelle? Perché non provi?» L’Antonio sorrise, mostrando i denti neri. «Ecco, metti in bocca la canna e poi spari.»

«Impossibile» rispose il ragazzino. «La canna è troppo lunga perché riesca a sparare, dopo averla messa in bocca.»

«Ah, sì… ?»

«Però tu puoi aprire la bocca e io posso centrarla, ti va?»

«N-no! No! Io… ho tante carie, vedi? Non posso mangiare caramelle.»

Il ragazzino alzò le spalle. «Ma sì, che puoi.» Sparò.

La palla di piombo mancò l’Antonio e colpì uno di quei pacchi regalo semoventi di passaggio, causandone l’esplosione.

«Queste caramelle sono troppo dure» stabilì il ragazzino, e gettò il fucile.

L’Antonio intanto indietreggiava. Perché Rudolph si era assentato? Tutti i mocciosi erano scappati e adesso quello vestito di blu stava facendo piazza pulita dei suoi colleghi.

«Ehi» disse il ragazzino dai capelli bianchi. L’Antonio trasalì. «C’è un bagno, da queste parti? È da un’ora che la tengo.»

«Oh, ma certo che c’è.» Ora l’Antonio sorrise. Corse a raccogliere il Sacco Magico da terra e lo tenne aperto con le braccia. «Qui dentro c’è un bagno con tutti i comfort.»

«Scemo» replicò il ragazzino. «So cosa fa quel coso. Mi ci avete chiuso prima. Non è un bagno.»

L’Antonio rigettò il sacco. «Okay, hai vinto. Seguimi. Ti ci porto.» Se lo conduco da Rudolph, pensò, ti verrà data una bella lezione, moccioso.


*


La figura incappucciata e Rudolph si trovavano in una stanzetta dalle pareti colorate in cui aleggiava un forte odore di torta di mele. Rudolph sedeva dietro un forziere chiuso che veniva adoperato come scrivania, mentre la figura incappucciata stava in piedi davanti a una sediolina rosa su cui avrebbe dovuto sedere. La cosa non gli andava. Per questo stava concentrandosi sul forziere. Dubitava che Rudolph non fosse in grado di reperire una scrivania e questo gli faceva pensare che utilizzasse quel forziere per qualche motivo di fondo. Forse custodiva qualcosa di importante. Ma tralasciando questo, il forziere aveva un particolare bizzarro: gli occhi. Due palle nere grandi due teste umane poste sugli angoli anteriori. All’interno delle palle, un piccolo cerchio bianco. Occhi, pensava appunto la figura incappucciata. Giurava di aver visto le pupille bianche muoversi in loro direzione quando erano entrati.

«Mostrami ciò che hai portato» disse Rudolph.

«Cosa ti fa pensare ti abbia portato qualcosa?»

Rudolph sorrise. «Qualcosa è la parola giusta. Devi aver portato qualcosa, che sia anche una piccola informazione. Non mi aspetto nessuna visita di piacere da parte dei Progo.»

Il piede dell’incappucciato si mosse veloce e colpì un gambo della sediolina rosa, facendola cadere sullo schienale. Scandendo bene le parole disse: «Non chiamarmi Progo.»

«Come ti pare. Ma solleva la sedia, o Babbo Natale s’incazza.»

La figura si chinò, riposizionò la sedia e vi sedette sopra. Incrociò le gambe e fece un lungo sospiro. Non avrebbe vomitato. Finora era stato bravo a ricacciare ogni conato laddove era venuto.

«Ti parrà strano, ma tutto il mobilio è suo» continuò Rudolph. «Dico di Natale Babbo.»

«Spero di non incontrarlo mai» disse l’incappucciato.

Rudolph schioccò la lingua. «Perché?»

«Se ha un gusto così orribile in fatto di mobilia, non credo di poterlo trovare interessante.»

«Be’», Rudolph sorrise e nel mentre accarezzò la superficie del forziere-scrivania. «Credo che ti sorprenderebbe sapere quanto gli sei vicino.» La renna allargò il sorriso e l’incappucciato giurò di vedere il nasone rosso illuminarsi per un istante. «Non metaforicamente parlando, bada.

«Comunque» continuò, «escludendo le ciance e… quelle cose lì, perché sei venuto?»

«C’è un motivo, hai ragione» disse la figura. «Devo appunto mostrarti qualcosa.»

Ancora, Rudolph sorrise. La figura quasi si aspettava che il naso s’illuminasse ancora, cosa che non accadde. Quasi dispiaciuta, la figura allungò una mano guantata sulla scrivania e ne aprì il palmo rivolto al basso. La mano si illuminò, quindi una sfera nera vi apparve al di sotto. La figura alzò il braccio e la sfera rimase lì, ma mutò. Si affusolò, poi allargò e allungò, fino ad assumere l’aspetto di un sacco di tela grigio.

L’incappucciato si addossò allo schienale della sedia e incrociò le braccia. «Aprilo» disse.

«Non so mica se posso fidarmi» disse Rudolph.

La figura annuì. «A tuo rischio e pericolo.» Sorrise. «Soddisfare o non soddisfare la curiosità? Grande dilemma.»

«Già» fece Rudolph. Accompagnò le parole col sollevamento e l’abbassamento del naso. Stava allungando lo zoccolo in direzione del sacco quando bussarono alla porta.

Ritraendo l’arto, irritato in volto, Rudolph disse: «Chi è?»

«Signore!» Una voce roca e smussata. «Signore! Sono Antonio numero… non ricordo che numero mi ha dato, Signore!»

«Entra.»

La porta cigolò nell’aprirsi e un tipo bassotto vestito di stracci somiglianti a un costume da Babbo Natale fece il suo ingresso, seguito da un ragazzino dai capelli bianchi.

Rudolph si alzò. «Che diavolo ci fa un bambino, qui?»

Il tizio basso si affrettò a chiudere la porta, lanciando occhiate oblique al ragazzino, che muoveva le gambe veloce come in preda a un attacco di vescica. Il tizio guardò la renna. «S-signore, posso parlarle un attimo in privato?»

Rudolph grugnì un assenso e fece cenno all’Antonio di avvicinarsi. Quello eseguì, sgattaiolando alle spalle del forziere-scrivania. Rudolph si chinò un poco così che l’Antonio potesse sussurrargli nell’orecchio. Quando ebbero finito, la renna guardò il ragazzino.

«Un bagno» gli disse. «Hai bisogno di un bagno, bimbo?»

«Non sono un bimbo!» urlò il ragazzino, stringendo i pugni nel saltellare.

Rudolph sorrise. «Certo che no, non lo sei.»

Il ragazzino sorrise, forse fiero che qualcuno riconoscesse in lui un adulto. La renna gli si avvicinò e gli posò uno zoccolo sulla spalla. Il bambino smise un attimo di sgambettare, poi ricominciò. «Facciamo così» gli disse Rudolph, tono di voce lento e rassicurante, «io ti dico dov’è il bagno se prima mi fai un favore. Come ti chiami?»

Il ragazzino lo guardò in tralice. Forse avrebbe voluto fare una smorfia in reazione all’attesa prolungata, ma la vescica non glielo permetteva. «Mi chiamo Ulteh.»

«Ulteh? Strano nome. Ma incisivo. Me lo ricorderò.» Diede un paio di pacche sulla spalla del bambino, fino a convincerlo di avvicinarsi alla scrivania, cosa che fece a gambe strette. Rudolph allungò lo zoccolo puntando il sacco che l’incappucciato aveva fatto apparire sul forziere. «Lo vedi questo?»

Ulteh annuì.

«Ecco. Dentro c’è una cosa molto bella, vuoi tirarla fuori?»

«Poi…» Ulteh s’interruppe per stringere i denti. «Poi posso andare in bagno? Non ce la faccio più. Se me la faccio ancora addosso mia sorella mi ammazza.»

«Non solo» s’intromise la figura incappucciata, e Rudolph le rivolse un’occhiata interrogativa. «Non solo potrai andare in bagno, ma anche tenerti la cosa che c’è là dentro. Nel sacco.»

«Può?» domandò Rudolph, poco convinto.

L’incappucciato annuì. «Assolutamente. Se la sarà guadagnata.»

Sgambettata. «Perché mi regalate qualcosa?»

Rudolph esitò, e fu l’incappucciato a parlare. «Perché…» Si alzò e andò alle spalle del ragazzino, per cingergliele con le mani. «Perché questa è la città del Natale, no? E se nemmeno alla città del Natale ci sono regali per i bambini, allora dove? Ora…» Sollevò il braccio del ragazzino e lo posò sul sacco. «Apri.»

Ulteh esitò un poco. Guardava il sacco e sgambettava. Sgambettava e guardava il sacco. La figura incappucciata sperava che stesse facendo troppe cose in contemporanea perché il cervello si potesse ancora permettere di pensare. D’altronde era solo uno stupido ragazzino.

Si decise. Aprì il sacco e ne estrasse il contenuto.

La figura si allontanò. Rudolph fece lo stesso, ma si fermò a metà del primo passo e storse le labbra artiodattili. Guardò la figura e inarcò le folte ciglia. «Un cappello» disse, quasi schifato. «Un cappello!»

«A forma di Poring» commentò Ulteh, che il cappello lo aveva in mano. «Un Poring un po’ malmesso. Grigio. Guardate che occhi!»

La figura, che aveva incrociato le braccia, disse: «Si chiama Ghostring. È un particolare tipo di Poring.»

«Almeno non è rosa» si rallegrò Ulteh. «Lo voglio tenere!»

«Puoi farlo» acconsentì la figura.

«Aspetta un secondo.» Rudolph afferrò il polso della figura e la spinse a sé. «Che storia è questa?»

La figura guardò la renna e portò il dito indice della mano libera all’interno del cappuccio, come a coprirsi il naso. «Shhh…» Guardò Ulteh. «Perché non lo provi?»

«Eh?»

«Mettitelo in testa.»


*

 
La scatola sollevò il coperchio e rivelò un guantone da boxe. Lo spadaccino osservò la scena con fare stranito, finché il guantone non sfrecciò in sua direzione. Schivò scattando di lato, calò la spada in diagonale e mozzò la molla collegata al guantone. Finì per trafiggere il resto della scatola facendola esplodere in un mare di coriandoli.

«Com’è possibile che esploda? Io l’ho tagliata» disse lo spadaccino. Qualcosa di metallico saettò a pochi centimetri dalla sua testa. L’evitò all’ultimo momento. L’arciera scoccò una freccia e bucò la testa di un soldatino di piombo armato di fucile nascosto dietro un marchingegno colorato. «Odio questo posto» finì lo spadaccino.

«Io invece lo trovo adorabile» commentò Dasher. «Insomma, lavorare qui è meraviglioso. Ho sempre pensato che le pareti di questa fabbrica fossero come le piante, ma che al posto dell’ossigeno donassero positività.»

«La positività è molto meno utile dell’ossigeno, a volte» disse lo spadaccino, restio a riporre la spada.

«E comunque stanno facendo cilecca» sbottò l’arciera. «Non mi sento positiva manco per il cazzo. Dov’è mio fratello?»

«Ehi, lo sentite questo rumore?» domandò la renna, curvando il muso come a rivolgere l’orecchio all’alto.

Lo spadaccino le si avvicinò. «Quale rumo—»

Si udiva qualcosa come passi. Passi numerosi e veloci.

Una decina di bambini schiamazzanti. In corsa.

Apparvero da dietro sofisticati marchingegni da catena di montaggio. Si spintonavano l’un l’altro e urlavano come pazzi. Ignorarono il gruppo di avventurieri e proseguirono costeggiando il nastro trasportatore.

Dopo che l’ebbero pestato il piede, l’arciera rosa fu svelta ad afferrare un bambino per il colletto, bloccando la sua corsa. Questo si dimenò e urlò aiuto ai compari, ma le sue parole si persero nel marasma e in breve la folla si era dileguata.

«Lasciami andare!» urlò il bambino.

«Prima dimmi che sta succedendo qui dentro» replicò l’arciera.

«Succede che scappiamo!» sbraitò il bambino, e si dimenò ancora, ma la presa era salda. Sembrò notare solo allora la presenza della renna Dasher, e la puntò contro il dito urlando: «Ah!! È tornata! È tornata la renna! Lasciami andare!»

La ragazza e lo spadaccino guardarono Dasher. La renna alzò gli zoccoli e disse: «Non l’ho mai visto.» Poi il viso sembrò illuminarglisi. «Forse sta parlando di Rudolph!»

L’arciera puntò il bambino. «Parli di Rudolph?»

Il bambino aggrottò la fronte. «Chi?»

«Una renna» disse la renna, «come me! Con la differenza che questa renna ha un naso rosso!» Attimo d’interruzione. «Rosso e luminoso.»

Il bambino smise di agitarsi e curvò il capo verso destra, come pensieroso. «È vero. Tu non hai il naso come lei.»

La renna si avvicinò al bambino, che la ragazza rosa lasciò andare. «Sai dov’è andata, quella renna?»

Il bambino esitò, poi si volse e puntò qualcosa a nord. «Si è allontanato con un tizio incappucciato. Sono andati di là.»

«Allontanato?» domandò la ragazza. «Quando? Perché? Cosa stava facendo?»

«Ma quante domande fai?»

Lo spadaccino disse: «Basta così, chiariremo con Rudolph stesso ciò che è accaduto, che ne dite? Sappiamo dov’è. Più o meno.»

«A nord» disse Dasher, «c’è l’ufficio di Babbo Natale. O per lo meno quello che una volta era l’ufficio di Babbo Natale. Dev’essere là.»

La ragazza rosa mise le mani ai lati della testa del bambino e lo obbligò a guardarla. «Mi serve sapere un’ultima cosa.»

«Lasciami!»

La ragazza eseguì, poi: «Che ne sai di un ragazzino coi capelli bianchi? Era con voi?»

Il bambino sorrise e fece un saltello. «Sì! È stato lui a liberarci!»

«Liberarvi?»

«Dopo un po’ che la renna e quel tipo se ne sono andati non ce la faceva più a stare legato, così ha spezzato la corda e si è messo a picchiare i finti babbi natale!»

«Gli Antonio!» esclamò Dasher.

«Gli Antoni, sì» annuì il bambino, con decisione. «Li ha picchiati per bene, poi ci ha liberati e ha detto: fuggite, sciocchi! Poi sapete che è successo?»

«Gli sciocchi sono fuggiti?» domandò lo spadaccino.

«Siamo fuggiti!» finì.

«Puoi andare» disse la ragazza, e il bambino fuggì senza farselo ripetere. «Quindi mio fratello non è con Rudolph.»

Lo spadaccino annuì. «Si direbbe di no, se lui si era allontanato.»

«Quindi andare da Rudolph sarebbe una perdita di tempo.» La ragazza guardò Dasher.

«Non del tutto vero» disse lo spadaccino. «Conosci il moccioso. È forte. Si è anche liberato da solo degli scagnozzi di quel tizio, quindi possiamo anche lasciarlo perdere per un attimo e dedicarci alla missione.»

La ragazza rimase in silenzio un poco. «Ci servono davvero, quei soldi?»

«Oh, sì. Sai anche per cosa.» Lo spadaccino guardò la renna. «Quanti hai detto che ce ne dai?»

«Parecchi!»

Lo spadaccino sorrise. Guardò la ragazza. «Parecchi, senti? D’altronde lavora per Babbo Natale.»

«E Babbo Natale lavora un solo giorno l’anno. Per di più senza paga.»

«Non ci avevo pensato.»

La renna agitò le zampe. «Ehi, ehi, ehi! Chi pensate che fornisca giocattoli e dolciumi a tutto il continente?» Puntò il soffitto. «Questa fabbrica! E la fabbrica, di chi è?»

«Babbo Natale.» Lo spadaccino sorrise.

E l’arciera sbuffò. «E va bene. Andiamo a sistemare quel lume con gli zoccoli. Ma dopo cerchiamo mio fratello.»

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Giochi di Ruolo > Ragnarok Online / Vai alla pagina dell'autore: Sotorei