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Autore: Lady Vibeke    28/07/2010    15 recensioni
Michelle è perfetta, la ragazza ideale: intelligente, simpatica, dolce, premurosa, gentile, altruista, di buona e ricca famiglia, modesta, bella… Peccato solo che sia completamente sbagliata per Gustav. Ma come diavolo si fa a dire ad uno dei propri migliori amici che sta per commettere il più clamoroso e colossale errore della propria vita, ad un passo dal compimento dell’errore stesso?
Georg, Tom e Bill darebbero qualsiasi cosa per conoscere la risposta a questa domanda e poter così sventare il più grande disastro della storia dei Tokio Hotel.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Osservo Tari che sorseggia la sua birra mentre si guarda intorno con occhi curiosi. Fa uno strano effetto vederla in questo contesto, in mezzo a gente così rumorosa ed espansiva – lei, così riservata e timida – ma, anche se ha l’aria leggermente spaesata, sembra trovarcisi bene. E poi devo ammettere che questa tonalità di verde le dona molto. Fa sembrare verdi anche i suoi occhi e si sposa bene con la sua carnagione chiara.

Scruta pensosa la superficie rovinata del tavolo, prendendo piccoli sorsi dalla cannuccia.

Sorrido fra me e me. Quanta gente al mondo, a parte Bill, è in grado di bere della birra con una cannuccia?

La risposta è fin troppo ovvia.

Alla fine tutta quell’urgenza che sembrava esserci nel suo tono al telefono era solo inutile apprensione: ha chiamato Michelle per chiederle se poteva passare a lasciare dei documenti da parte dei Leila e lei le ha detto che c’ero io in casa e che poteva tranquillamente dare tutto a me. Piccolo dettaglio: io in casa non c’ero, per via del sequestro subito da tre noti soggetti poco raccomandabili, quindi quando lei ha suonato e nessuno le ha risposto, ha subito pensato al peggio.

A dire la verità, mi veniva da ridere, al telefono, mentre mi raccontava tutto questo, perché quasi già immaginavo lei che chiama i pompieri, il pronto soccorso e chissà che altro, per poi scoprire che in casa in realtà non c’era nessuno. Sarebbe stato divertente, ma poi chi la sentiva Michelle, con la sua preziosa porta made in Paris sfondata e scardinata? Alla fine abbiamo deciso di incontrarci a metà strada per quei documenti, e tra una chiacchiera e l’altra, ci siamo infilati in questo pub.

Ad un tratto Tari solleva gli occhi ed arrossisce con un sorriso imbarazzato, accorgendosi di essere osservata. Le sorrido in risposta, portandomi il bicchiere alle labbra.

È incredibile come mi sia bastato poco per migliorare di netto il mio umore, non appena mi sono allontanato da quell’orrendo strip club. Erano anni che non mettevo piede in questo pub ed avevo dimenticato quanto fosse calda e accogliente la sua atmosfera. Michelle preferisce locali di classe, l’unica volta che l’ho portata in un pub come questo aveva quasi schifo a sedersi, e da allora non gliel’ho più nemmeno proposto.

Ma è bello essere di nuovo qui, è come un tuffo nel passato, un’immersione nei ricordi, quando tutto era semplice e non dovevo preoccuparmi di cosa indossavo, di cosa mangiavo o come mi comportavo. Quando io ero ancora io e non lo sconosciuto che sono diventato.

Ma cosa mi è successo, in questi anni?

Mi guardo intorno ed è come se fossi tornato sul sentiero principale dopo aver percorso un lungo tratto di deviazione. Passo in rassegna i volti ignoti eppure familiari di uomini, donne, ragazzi e ragazze, gente comune che, dopo una giornata di studio o lavoro, viene qui a godersi qualche ora di meritato svago. Nessuno di loro veste Gucci, nessuno ha una Porsche parcheggiata qui fuori, nessuno ha bisogno di milioni per divertirsi, per godersi la vita. Sono felici così, perché non hanno tutto, ma quanto basta.

Mi lascio sfuggire un sospiro abbacchiato.

“Va tutto bene?” mi chiede Tari, premurosa, sporgendosi un po’ in avanti, e nel farlo posa una mano sulla mia.

“Sì, tranquilla,” la rassicuro. “Stavo solo… riflettendo.”

Abbasso lo sguardo sulla sua mano, ma lei la ritrae all’istante e si ricompone in fretta, tornando a concentrarsi sul tavolo, le guance rosse.

Sorrido dei suoi modi impacciati e scuoto la testa. Non so cosa ci faccio qui con lei, a brindare a quello che avrebbe dovuto essere il mio addio al celibato (e che invece si è trasformato in un epocale disastro), ma so che sto bene.

Tari sembra farsi piccola piccola nella sua sedia, esile e delicata, goffa come suo solito, ma così adorabile e deliziosa, e io mi riscopro a pensare che… mi piace.

Tari mi piace.

Non so perché questo pensiero mi sconvolga tanto. In fondo lo sapevo già da un pezzo… Mi è piaciuta fin da subito, anche se era così strana, o forse proprio per quello. Non è mai stato un mistero che io la trovassi simpatica. E poi, perché stupirsi? È anche normale pensare una cosa simile. Dopotutto è una ragazza molto dolce, intelligente e simpatica, carina, sebbene in un bizzarro modo tutto suo, e poi… beh, non ne ho conosciute molte di persone così semplici e alla mano, negli ultimi anni.

Insomma, voglio dire… Che male c’è se mi piace?

Che male c’è se sono qui con lei a sorseggiare birra e fare quattro chiacchiere in tutta rilassatezza? È senz’altro un modo decisamente più intelligente di trascorrere una serata, piuttosto che inorridire davanti ad una schiera di volgari spogliarelliste siliconate. E più divertente.

“Oggi ho visto la versione definitiva dell’abito da sposa della signorina Keller,” esordisce Tari ad un tratto, riscuotendomi. “Lo trovo magnifico, molto lineare ma sontuoso… Sarete incredibili, all’altare!”

Lo dice con entusiasmo, ma il suo sguardo sembra appannato, probabilmente per via dell’alcol. A me non va di parlare di abiti da sposa, né di altari, e ancor meno di Michelle.

Non adesso, per favore. Ho bisogno di relax.

“Sì, penso di sì.” Rispondo vago, e bevo un altro sorso. È la seconda birra della sera e ancora non mi sento nemmeno un po’ brillo, anche se credo che vorrei esserlo.

Tari si spinge gli occhiali sul naso mentre con l’altra mano stringe il proprio bicchiere.

“Sa, sono convinta che il suo sarà uno dei matrimoni più belli che vedrò in tutta la mia carriera.”

Perché insiste? Perché dobbiamo per forza parlare di questo?

“Lei è un tipo molto dolce e paziente,” prosegue lei, imperterrita. “Sono certa che sarà un ottimo padre, un giorno.”

Tari ha questo potere innato: riesce a tirare fuori gli argomenti più spinosi ed imbarazzanti e a parlarne in completa disinvoltura, senza rendersi conto del disagio che provocano. È così ingenua, a volte, che proprio non so come possa essere l’assistente di un blocco di rigido pragmatismo come Leila.

Mi volto all’altra parte, fingendo di osservare un gruppo di uomini che gioca a freccette in un angolo della sala.

“No, non credo.” Ammetto a malincuore.

Questa volta non ne voglio parlare sul serio. Il fatto è che è un tasto piuttosto delicato e non mi va di toccarlo adesso. Io e Michelle ci siamo ritrovati a parlare di bambini, una volta, qualche mese fa, e lei è stata cristallina in merito: niente figli. Non vuole seccature inutili che ci sarebbero d’intralcio per il lavoro e che non avremmo il tempo di accudire a dovere.

Personalmente ho sempre pensato che avrei avuto dei bambini. Non mi dispiacerebbe fare il papà, ma effettivamente la tesi di Michelle ha molti punti validi, e forse, anche senza contare i vari tour e impegni ufficiali in giro per il mondo, non sono molto portato per questo ruolo.

Torno a guardare in avanti e scopro che Tari mi sta osservando.

“Non le piacerebbe avere dei bambini?” mi chiede, senza nascondere un certo stupore.

“Io e Michelle lavoriamo molto,” rispondo, forzando un sorriso. “Siamo spesso fuori casa dalla mattina alla sera… Sarebbe molto complicato.”

Lei batte le ciglia bionde e non demorde:

“La mia domanda era un’altra, però.” Mi fa notare gentilmente.

La guardo negli occhi e quasi mi sorprendo a scoprirla così seria e schietta. Non credevo, ma sa imporsi, quando vuole. Anche se avrei preferito che si impuntasse su qualche altra cosa. Tutto, ma non questo.

“Non ti ho ancora ringraziata per avermi salvato dagli inquietanti abissi della serata con quei tre.”

Tari inarca le sopracciglia. Sono bionde e naturali, leggermente più scure dei capelli, e probabilmente Bill le consiglierebbe di sistemarsele, ma personalmente trovo che stia bene così. È carina, Tari, in fondo, se la guardi con attenzione. Sono graziose le piccole e pallide efelidi che le punteggiano il naso e gli occhiali danno ai suoi occhi un po’ di risalto di cui pecca l’assenza di trucco. E, no, decisamente non è una per cui ci si girerebbe in strada, ma a suo modo sa affascinare.

Non che io mi senta in qualche modo affascinato da lei. Sono fidanzato.
“Era proprio così terribile?” mi domanda intanto Tari, apparentemente interessata.

Io mi porto una mano alla fronte con fare grave.
“Non puoi immaginare cosa sono in grado di architettare quei pazzi.”

“Personalmente i suoi amici mi piacciono molto.” Replica lei, in tono incolore. Quante possibilità ci sono che dica sul serio?

Irrisorie, credo.
“Davvero?”

Lei annuisce con una carte veemenza.
“Sono molto… genuini.” Afferma. “Lei, soprattutto, mi sembra il più ordinario di tutti. Cioè, ordinario in senso tutto positivo, voglio dire.” aggiunge in fretta, rossa come un pomodoro. “Non intendevo certo che non è speciale. Non che io la trovi speciale.” Farfuglia, sempre più rossa e adorabilmente imbarazzata. “O meglio, sì, ma... ecco…” Mi guarda disperata, annaspando tra le sue stesse parole, e io non posso che sorriderle comprensivo.

Sento qualcosa di caldo sciogliersi dentro di me. È una sensazione strana, che non conosco, ma che mi riscopro a gradire. Forse è l’alcol che inizia a fare effetto.

Strano, però, perché l’ho sempre retto bene.

“Tari, respira! Tranquilla, non ti accuserò certo di molestie sessuali per un paio di complimenti.”

“Pyydän sinulta anteeksi.” Farfuglia lei, in quella sua strampalata lingua dai suoni ancora più strampalati.

“Ok. Qualunque cosa tu abbia detto.”

“Le ho domandato scusa.” pigola. Sembra una bambina da quanto è imbarazzata.

“Ammetto che il finlandese mi affascina.” Rifletto io, come nulla fosse. “Ha tutti quei suoni arzigogolati e duri… dimmi qualcos’altro!”

“Che cosa?” mi chiede allora lei, battendo le ciglia. Io scrollo le spalle.
“Non so, quello che vuoi tu.”

Tari sembra pensarci su. Resta assorta per un po’, sondando il fondo del suo bicchiere come se là sotto possa trovare un suggerimento, poi a un tratto mi guarda, illuminata:

Oman taivaan tänne loin. Anna minun päästä pois.”

Ehm… sì.

“Per caso questo simpatico groviglio significa ‘Che ore sono?’?” tiro a indovinare.

Tari scuote la testa e sorride.

“A dire la verità è una poesia.” Mi rivela, gli occhi che le brillano. “O meglio, una canzone. Una delle più belle che siano mai state scritte, almeno per me.”
“E che cosa significa?”

L’ombra di un’emozione anima i suoi lineamenti in modo quasi impercettibile.

Quasi.
“Ho creato qui il mio paradiso personale. Lasciami andare via.” Recita, e la sua voce sembra rapita dalle sue stesse parole. Parole che mi entrano in testa e risuonano in modo strano – doloroso? – scuotendomi dentro.

“Di chi è?”
“Kuolema Tekee Taiteilijan, dei Nightwish.”

Ammetto di essere poco ferrato su questo gruppo, ma una cosa la so: qualche anno fa erano una band metal piuttosto famosa.

Metal.

Una band metal.

Tari.

Faccio fatica a metabolizzare il concetto.

“I Nightwish?” esclamo basito. Quasi mi vergogno di questo stupore che sa di sciocco pregiudizio, ma proprio non me l’aspettavo.
“Li conosce?” fa lei, speranzosa.

“Non molto, ma… i Nightwish? Tu?”

Tari mette su il broncio:
“Che c’è di strano?”
“Niente.” Rispondo subito. “È una sorpresa, tutto qui. Mi sa che Bill ha bisogno di ascoltare un po’ della tua musica. Magari impara qualcosa.”

“Signor Schäfer!” sbotta lei, tutta indignata, e io proprio non riesco a trattenere una risata.
“Beh, è vero. Non dico che sia un incapace, ma… insomma, bellissimo testo, punto.”

“Se avesse detto qualcosa di diverso, mi sarebbe toccato abbassare l’opinione che ho di lei.” mi avverte Tari, ed è quasi una minaccia.

“Ah sì?” Adesso tocca a me fare gli indovinelli. “La vuoi sentire un’altra poesia?”

Lei accoglie volentieri la sfida:
“Sentiamo.”
Come posso essere perduto? Nel ricordo, io vivo di nuovo. E come posso biasimarti, se è me stesso che non riesco a perdonare?

“The Unforgiven III, Metallica.” Risponde lei immediatamente, sicura, senza la minima esitazione.

Forse l’ho sottovalutata.
“Te l’ho fatta facile. Vediamo se sai questa: sono una porta girevole, ho già visto tutto questo, ricomincerò da capo, ma non posso iniziare finché non avrò visto la fine.”

Tari ci pensa un attimo, ma alla fine le tocca arrendersi:

“Passo.”
“End Over End, Foo Fighters.”

Lei inclina la testa di lato e arriccia un po’ le labbra.

“Bel testo, ma non sono il mio genere.”

“E quale sarebbe il tuo genere, sentiamo?”
“Qualcosa più tipo: ho dato inizio a qualcosa, ti ho costretto verso una certa direzione, ed era chiaro che tu non ci dovessi andare. Capelli pettinati e separati, tipico me…
Tipico me. Ho dato inizio a qualcosa, e ora non sono troppo sicuro.” Termino al posto suo una frase che conosco molto bene, ma che avevo dimenticato, e pensarci adesso mi dà una sensazione strana, quasi di disagio. “Non amo particolarmente gli Smiths, ma ammetto che questa mi piace abbastanza.”

“Non è certo una delle migliori, in quanto a base musicale.” Conviene lei. “Ce ne sarebbero un paio che dovrebbe ascoltare. Penso le piacerebbero.”

All’improvviso mi rendo conto di quello che sta accadendo: una conversazione sulla musica. Sto avendo una conversazione decente sulla musica con una ragazza.

Da quanto non accadeva?

Michelle e io stiamo insieme da un anno circa e ci conosciamo da poco più. L’ultima volta che abbiamo parlato di musica in modo semiserio è stato, se non sbaglio, a quella festa delle Pussycat Dolls che ha aiutato a organizzare, la conversazione era stata all’incirca così:

“Amore, sei in ritardo!”
“Avevo un concerto, Michelle, ricordi?”

“Ma che cosa ti sei messo? Vuoi farmi fare una figuraccia!”
“Non ho avuto tempo di andare a casa a cercare qualcosa di meglio.”

“Ah, lasciamo stare. Vieni, ti voglio presentare le artiste della serata.”

“Artiste?! Michelle, quelle sono pornostar che fanno finta di cantare. L’arte è un’altra cosa.”

“Oh, per l’amore del cielo! Saltiamo la solita diatriba sui nostri gusti musicali, per cortesia.”

Quella volta ho evitato di replicare perché non mi era sembrato il caso di intavolare una faida qualitativa tra Pussycat Dolls e Metallica nel bel mezzo di un party dedicato a quelle che sarebbero state le indiscutibili perdenti.

“Penso proprio che darò una seria possibilità agli Smiths.” Comunico a Tari. “Ho proprio voglia di qualche bella novità.”

Le sue guance sono deliziosamente rosate. Se ne sta lì e mi guarda senza più parlare, e mi sembra improvvisamente un po’ malinconica.

Piccola, assurda, buffissima Tari…

“Le posso fare una domanda invadente che sicuramente farei meglio a tenermi per me?” mi chiede a un tratto.

“Posso avvalermi della facoltà di non rispondere?”

Lei annuisce.

“La considererei comunque una risposta esauriente.”

“Allora spara pure.”

Tari si morde convulsamente il labbro. La sua indole discreta sta visibilmente lottando contro uno slancio di curiosità e penso proprio che stia per fare la fine delle Pussycat Dolls contro i Metallica.

“Ha mai pensato di lasciare i Tokio Hotel?”

La domanda delicata suona strana in mezzo al chiacchiericcio vivace del pub.

Sento le mie labbra distendersi in un sorriso comprensivo. In un certo senso, posso dire di essermelo aspettato. Non so come mai… ce l’aveva come scritto in faccia.

Suppongo sia una di quelle occasioni in cui una bugia potrebbe essere condonata e giustificata dalla necessità diplomatica. Potrei mentire. Dovrei, forse…

No, non penso che lo farò, dopotutto.

Mento sempre, a chiunque. Per una volta posso semplicemente dire la verità. Una volta soltanto.

“Ci ho pensato diverse volte.”

Tari, diversamente da qual che mi ero figurato, non sembra sconvolta né compassionevole. Mi sorride e basta, in un modo saccente che mi fa pensare che, come io avevo previsto proprio quella domanda, anche lei abbia previsto proprio questa risposta, e non ne sia affatto rimasta delusa.

“A questo punto mi dovresti chiedere cosa mi ha sempre spinto a rimanere.”

Lei sembra genuinamente perplessa.

“Nessuno che abbia avuto modo di conoscere lei e i suoi amici e vedervi insieme potrebbe mai fare una domanda così inutile.”

Qualcosa si blocca tra la mia gola e lo sterno. Non so bene cosa sia, ma provo un improvviso moto di affetto verso i tre squilibrati che stasera mi hanno regalato questo aborto di addio al celibato da cui sono così felicemente scappato.

È difficile avere a che fare con tre idioti simili. È difficile per me, molto spesso, attutire gli attriti che i loro caratteri rumorosi ed esuberanti creano con la mia introversione patologica.

Non oso immaginare, però, quanto debba essere difficile per loro sopportare uno scorbutico lunatico come me.

Lo fanno e basta. Lo faccio. Lo facciamo.

Siamo cresciuti insieme, che diamine.

Ci siamo cresciuti l’un l’altro.

Beh, a parte Bill… lui non crescerà mai. Ma lui raramente fa testo, in ogni caso.

Sollevo lo sguardo su Tari, commosso dalle riflessioni che mi ha inconsapevolmente suscitato. Lei ricambia con occhi languidi, e quando dico languidi, non intendo in senso seducente: sembra che non si senta del tutto bene.

“Tari.. che succede?” chiedo, un po’ preoccupato.

Lei si porta una mano alla fronte, strizzando gli occhi con una piccola smorfia.

“Mi sento la testa leggera come un palloncino.”

“Forse la birra irlandese è un po’ più forte di quella tedesca.”

“Lo temo anch’io.” Rantola lei.

Va bene, forse è ora che ce ne andiamo di qui. Ci siamo già trattenuti fin troppo.

“Vieni,” le dico ridendo, mentre mi alzo e la aiuto a fare lo stesso. “Ti serve un po’ d’aria fresca.”

Pago al barista e usciamo, a passo non proprio stabile. Tari barcolla al mio fianco come se si fosse ingollata venti vodka pure a stomaco vuoto, quando invece ha preso solo una misera birra media.

Fuori è buio, e l’aria della notte è frizzante e piacevole. Non so nemmeno che ora sia.

Äiti, perché hai spento la luce?” geme Tari, aggrappata non troppo saldamente al mio braccio.

Äiti?

Di che diamine sta parlando?

“Sediamoci qui un momento.” Le dico, sforzandomi di non ridere. La accompagno verso il muretto che separa lo spiazzo antistante l’ingresso del pub e il parcheggio e prendo posto accanto a lei. Sono costretto a sorreggerla per impedirle di accasciarsi su sé stessa. È un bel po’ brilla, poverina.

Sempre stretta al mio braccio, Tari si appoggia alla mia spalla con il viso e gli occhiali le si stortano tutti.

“Sei davvero comodo, signor Schäfer.” Sospira, come se avesse appena pronunciato la cosa più bella e struggente di questo mondo. L’alcol deve proprio averle dato alla testa se le ha addirittura fatto scordare di darmi del lei.

Perso nei miei pensieri, sussulto nell’udire un lieve rumore nasale. Abbasso lo sguardo e mi accorgo che Tari si è addormentata. E sta russando.

Minä rakastan sinua.” Mormora, incosciente, e si abbandona a un sospiro beato.

Qualunque cosa abbia detto, le credo sulla parola.

Stasera la mia forza di volontà sta subendo una pressione notevole, ma giuro che non riderò. Anche perché se ridessi, lei si sveglierebbe, e la sua espressione è così serena e pacifica che mi sentirei un verme a disturbarla. Non che possiamo restare qui così tutta la notte, ovvio. Però…

Solo per un po’.

Non c’è niente di male.

Qualche minuto soltanto…

 

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A/N: ok, non ho scusanti, quindi non sprecherò nemmeno inutili parole in sproloqui chilometrici sulla mia inettitudine. Più di un anno per aggiornare… che vergogna. Qualcuno nemmeno ci crederà. Ma avevo detto che non avrei abbandonato la storia, e quindi eccomi qui, anche se non so quando riuscirò ad aggiornare di nuovo. Spero presto. Perdonate la mia incostanza, ma sono finalmente riuscita a mettermi a lavorare in modo serio a un’idea che avevo da un po’ per un libro e quindi mi porta via tanto tempo e, per fortuna e sfortuna, a seconda dei punti di vista, anche tanta inspirazione.

Non so se qualcuno si ricorda ancora di questa storia e, se fosse, non vi potrei biasimare… mea culpa, lo so. Se però, o coraggiosi lettori, qualcuno di voi avesse ancora memoria di queste antiche vicende e volesse comunque lasciare un commento di bentornato (o un inno ai miracoli, che dir si voglia), lo apprezzerò moltissimo. (ah, prima che qualcuno lo chieda: la frase in finlandese dell'ultimaq parte ve la tradurrò a suo tempo, quando sarà il momento ;) ) J

Grazie a tutti!

   
 
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