Titolo: A night to remember
Fandom: Nessuno; è una Originale
Peccato/i della memoria scelto/i: Persistenza
Extra scelto/i: Primo Livello: Persistenza; Secondo Livello: Sedia Elettrica, Rimorso, Cetriolo, Trono, Proiettile; Sesto Livello: Cimitero; Settimo Livello: Ira; Decimo Livello.
Rating: Giallo
Genere: Generale, Drammatico
Personaggi/Pairing: Tutti personaggi originali: Lindsay, Jesse, Thomas
Avvertimenti: /
Note eventuali dell'autore: Il linguaggio è un paio di volte volgare; non so se catalogarla anche come “Quarto livello”, in quanto i dialoghi sono solo dei ricordi.
Beta-reading: /
Introduzione: Una notte che annuncia tempesta, un vecchio omicidio, ricordi che riaffiorano. La storia di una ragazza, Lindsay, segnata per sempre dal suo comportamento.
Era
notte, in Carolina, e grandi nubi nel cielo annunciavano tempesta.
Nessuno si
trovava in strada, tranne una persona: Lindsay.
La
ragazza era in macchina, e ormai stava viaggiando da un paio
d’ore. Apparentemente,
sembrava non avere una meta, con quegli occhi folli e fuori dalle
orbite; in
realtà, ne aveva una precisa. Quella meta le si
parò davanti all’improvviso:
FirstLife. Il cimitero della sua città.
Lindsay
frenò, fermando la macchina di botto; poi, spense il motore,
e lasciando il suo
mezzo sulla strada prese a camminare. Le ci volle poco, per trovare
quello che
stava cercando. Un ghigno le attraversò il volto, rendendola
ancor più
terrificante di quanto già non fosse.
“Finalmente ti ho trovato. Ho dovuto cercarti
da ogni parte, ma adesso sei qui, davanti a me; dovresti essere
soddisfatta,
Jesse” Pensò in quell’istante.
Lindsay si trovava davanti alla tomba di
Jessica O’Connor, quella che un tempo fu la sua migliore
amica. C’erano stati
dei dissapori tra le due ragazze, che non riuscivano più ad
essere unite ed
affiatate come lo erano un tempo. Lindsay dava la colpa alla sua amica,
che
sembrava nasconderle qualcosa; Jesse, dall’altra parte,
rispondeva dicendo che
le parlava di tutto quanto, senza remore. Ma in una notte come quella,
Lindsay
era salita nella camera di Thomas, il suo ormai ex-ragazzo, e lo aveva
trovato
con lei, nel letto che condividevano qualche volta. La rabbia le era
montata
improvvisa nel corpo, ed aveva agito senza neanche pensarci: aveva
tramortito
Thomas con la mazza da baseball portafortuna, poi si era avventata su
Jesse,
prendendole il collo con entrambe le mani e premendo con forza,
urlandole nel
frattempo un “sei solo una puttana!”. Quando si
accorse di averla uccisa, fuggì
via, a casa sua, credendo di essere al sicuro. Ma in poco tempo
l’avevano
arrestata e portata davanti ad un giudice, che senza troppe remore
l’aveva
condannata a cinque anni. A dir la verità, la sentenza
poteva essere più
cruenta: si era parlato di sedia elettrica, infatti.
L’avvocato di Lindsay,
però, aveva fatto un egregio lavoro, diminuendo la pena al
minimo con un
discorso efficace.
<<
La ragazza non era in grado di intendere e di volere: il suo ragazzo la
stava
tradendo, in quel momento. Chi sarebbe riuscito a controllarsi? Di
sicuro,
chiunque avrebbe reagito, chi più, chi meno >>
Aveva detto, colpendo la
giuria positivamente. Lindsay era stata abbastanza soddisfatta, ed
aveva deciso
di prosciugare il suo conto per pagare quell’avvocato il
doppio di quanto avevano
pattuito.
*Lin,
posso spiegarti!*.
*Non
ti voglio ascoltare; sei solo uno
stronzo!*.
Comunque
sia, la felicità di Lindsay era durata un paio di giorni,
visto che il carcere
era un’esperienza orribile per chi non avesse
criminalità nel sangue. Contando
anche la sua abitudine a ricordare la sera che ce l’aveva
fatta arrivare, lì
dentro.
*Lindsay,
non devi prenderla così! Per noi
non è niente, è solo divertimento! Lui ti ama, e
anche tanto!*
Le
scuse dei due non le erano interessate; aveva solo avuto voglia di non
vederli
più. Jesse, di sicuro, non l’avrebbe
più vista; era bella che sotterrata a
FirstLife.
“Jesse, sei stata tu a voler arrivare a
questo punto. Io te l’avevo chiesto centinaia di volte, se
c’era qualcosa che
mi stessi nascondendo. Tu eri solo in grado di negare, di dire che eri
nervosa
in quel periodo per via del lavoro. Perché non dire la
verità e farla finita
una volta per tutte?” Pensò Lindsay,
là nel cimitero. “Sarebbe
stata la cosa migliore per entrambe: io avrei saputo i fatti, e
tu ti saresti presa il mio ragazzo, senza troppi rancori”
Quella volta cominciò
a ringhiare, presa dalla rabbia.
*
Un colpo alla nuca, il corpo di Thomas
riverso sul pavimento, svenuto *.
*
”Thomas, no!” *.
Lindsay
si sedette sul prato che circondava il FirstLife, e si sciolse quei
lunghi
capelli biondi che era solita tenere legati con una coda di cavallo.
Qualche
ciuffo le ricadde in avanti, coprendole gran parte del viso; il resto
toccò
terra. La ragazza divenne ancor più inquietante.
*
“Non ho nessuna voglia di smettere!
Devi
morire!” *.
Cercò
di scacciare quei ricordi dalla sua testa, ma invano. Non era la prima
volta
che ci provava: anche in carcere era solita concentrarsi a pensare
qualcos
altro. Non ci riusciva, però; otteneva solo
l’effetto di sembrar una pazzoide e
di tenere alla larga le sue compagne di cella. Anche durante i pasti,
che si
svolgevano tutti in un salone apposito, teneva lontano chiunque,
trovandosi a
mangiare insalata e cetrioli da sola.
“Se non avessi provato ad ucciderti, ora non
sarei un reietto. Se non avessi provato ad ucciderti, non avrei
rischiato di
essere una regina seduta su un trono elettrico. Se non avessi provato
ad
ucciderti, a quest’ora probabilmente non ci rivolgeremo
più la parola. Se non
avessi scoperto quello che voi due stavate facendo, probabilmente
saremmo
ancora le amiche migliori, quelle a cui tutti invidiavano
l’amicizia.”
Calde
lacrime cominciarono a scendere dagli occhi di Lindsay, che in quel
momento fu
presa dallo sconforto e dal rimorso. Non era la prima volta, ma le
altre era
riuscita a deviare argomento, a non pensarci; invece, ora non ci
riusciva: vedere
quella lapide con inciso il nome di Jesse e la sua data di nascita e di
morte
l’avevano resa irrequieta e suscettibile. Fino ad arrivare
alle lacrime.
“Jesse, che cosa accidenti ho fatto? Non
volevo ucciderti, non lo volevo; eppure, non sono riuscita a
controllarmi. È
stato Thomas ad ammaliare entrambe; noi siamo state soltanto le sue
pedine.
Come potrò fare, ora, senza di te?”.
Lindsay
non riuscì a trovare una risposta.
*
“Ti… prego…
fermati…” *.
<<
NOOOOO! Non voglio più pensarci! >>.
Lindsay
ruppe il silenzio della notte con il suo urlo. Cercò di
dimenticare,
prendendosi la testa e scuotendola più volte. Non ci
riuscì: i suoi ricordi
furono troppo grandi e forti per farcela.
<<
Io… io non posso continuare ad andare avanti così
>> Calmatasi, con il
respiro affannato, Lindsay rimase immobile, lo sguardo folle, assente.
<<
Devo… devo alleviare il mio dolore. Sì. Lo devo
fare. >> Cominciò a
frugare nella sua borsa; ne tirò fuori una pistola.
<<
Come ho fatto male a te, ora ne farò anche a me. Non credo
ci rincontreremo, ma
vorrei tanto che accadesse. Vorrei chiederti scusa, vorrei ritornare
tua amica.
Vorrei rivederti >>.
Quelle
furono le sue ultime parole. Con un ultimo movimento, la ragazza
puntò la
pistola sulla tempia; poi, fece partire il colpo. Un suono simile ad un
“bang!”
risuonò nell’aria; il proiettile
partito dalla pistola, nel frattempo, le trapassò la testa.
Il suo corpo cadde
a terra, ormai senza vita.
E
in Carolina cominciò a piovere.