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Autore: Leyla Mayfair    26/09/2005    4 recensioni
Il grande maniero di Angel Manhor sorgeva sull’isolotto nel centro della Baia di San Francisco, circondato da un immenso giardino a terrazze che degradava verso l’Oceano. La statua dell’angelo stava sul suo piedistallo imponente e silenziosa, a guardia di quella casa e dei suoi segreti. Tutto era avvolto nell’oscurità e nel silenzio, solo le luci provenienti dall’altra parte della Baia testimoniavano che c’era vita nel mondo. Un mondo ignaro, perennemente in bilico tra luce e oscurità.
Genere: Dark, Fantasy, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Prologo

Prologo

 

La bambina giocava da sola, ripetendo una filastrocca che la nonna le aveva insegnato.

Sedeva vicino a dove il ruscello incontrava il fiume, creando un piccola cascata. La bambina immerse i piedi ridacchiando per la frescura. Le piaceva giocare da sola, stare lontano dagli altri bambini...Erano cattivi con lei, tutto perché lei aveva quegli strani poteri...tese una mano verso l’acqua per sfiorarne la superficie e incresparne l’immobile superficie.

Fu allora che sentì il rumore.

Uno squadrone di uomini a cavallo con i mantelli bordati di pelli di lupo.

La bambina balzò indietro nascondendosi alle spalle del tronco d’albero caduto.

- Damphyr...- urlavano terrorizzati alcuni uomini, cercando uno scampo che era impossibile trovare.

La bambina sussultò...aveva sentito sua madre molto spesso parlare, a bassa voce, di quelle creature e poi farsi il segno della croce, non sapeva cosa fossero, ma evidentemente erano pericolose...Alzò piano il capo, guardando attraverso il tronco dell’albero che le offriva riparo, ma vide solo una nuvola di polvere sollevarsi sul villaggio, sentiva i rumori degli zoccoli dei cavalli, le urla delle persone, i singhiozzi di spavento: tutto si svolgeva molto velocemente...In un turbine, stanavano gli abitanti e li uccidevano...Gli animali scappavano, gli uomini si nascondevano, le donne piangevano...vide i cavalieri ritornare indietro dopo aver raccolto quanta più gente possibile, molti bambini erano in mezzo a quel gruppo, lei li sentiva piangere. Vide il Pope del villaggio venire spinto in avanti, la vecchia tonaca infilata alla meno peggio, mentre si faceva il triplice segno della croce ortodosso.

Urlò qualcosa come una maledizione, sollevando la croce che portava al petto, quasi come fosse uno scudo in direzione di un uomo alto, seduto sul cavallo che lo guardava con disprezzo...

Udì la risata di quell’essere giungere fino a lei e rabbrividì, per la paura, mentre quel suono le gelava il sangue nelle vene. L’uomo sul cavallo allungò una lancia che teneva al fianco e, con una mossa repentina, tolse la pesante catenina dal collo del Pope lanciandola lontano...poi con una velocità sconcertante, piantò la lama al centro del petto dell’uomo davanti a lui.

Si accasciò senza un lamento, prostrandosi a terra, cercando di estrarre la lancia, ma la vita scivolò fuori dalle sue labbra in un rantolo gorgogliante.

La bambina si mosse terrorizzata, voltandosi su se stessa e correndo lontano...

Lontano dagli occhi vacui del Pope che si era accasciato sul selciato, lontano dal sangue che si riversava sul lastricato, mescolandosi alla polvere e alla terra...

Il suo movimento attrasse l’attenzione dell’uomo sul cavallo che, con un sorriso sinistro, lanciò il suo destriero all’inseguimento...

Sentiva il rumore degli zoccoli farsi più vicino e coprire il martellante battito del suo cuore, poi una mano fredda e ossuta la sollevò da terra, caricandola di traverso sulla sella...l’odore del sudore del cavallo le riempì le narici...il cuore ora era solo un macigno che le pesava nel petto, vide il villaggio allontanarsi, mentre si addentravano nella steppa gialla di siccità, dove i Rom danzavano accompagnandosi con tamburelli, videro contadini che da lontano si segnavano il segno della croce, mentre  un’ eco li accompagnava al loro passaggio, un mormorio di terrore, ricordo di un tiranno sanguinario che accompagnava le notti dei vivi, che morivano dal terrore che potesse tornare a succhiare loro il sangue:

- Damphyr

 

§ § §

 

Il grande maniero di Angel Manhor sorgeva sull’isolotto nel centro della Baia di San Francisco, circondato da un immenso giardino a terrazze che degradava verso l’Oceano. La statua dell’angelo stava sul suo piedistallo imponente e silenziosa, a guardia di quella casa e dei suoi segreti. Tutto era avvolto nell’oscurità e nel silenzio, solo le luci provenienti dall’altra parte della Baia testimoniavano che c’era vita nel mondo. Un mondo ignaro, perennemente in bilico tra luce e oscurità.

La casa era un’enorme L costruita sull’asse nord – sud. L’ala adibita agli alloggi di coloro che abitavano stabilmente ad Angel’ s Manhor occupava buona parte del primo piano. Il lato più corto della costruzione in mattoni rossi era occupato invece dagli uffici e dalla grande biblioteca della fondazione, con migliaia di volumi di demonologia, stregoneria, vampirologia. Uno di questi uffici aveva la finestra fiocamente illuminata, una giovane donna dai lunghi capelli scuri, raccolti in una coda di cavallo, era in piedi davanti a quella finestra.

Anne osservava la neve cadere, lenta, fuori dalla finestra…mentre un sorriso le increspava le labbra. Le luci della città in lontananza oltre la Baia, e il bianco candore che stava ricoprendo tutte le cose del giardino, amplificavano ulteriormente l’oscurità della notte.

La consapevolezza che domani non ci sarebbe stato il sole già la rattristava. Forse era a causa del suo passato, o forse era solo la sua freddezza proverbiale, che la rendeva dipendente dal sole: aveva bisogno di vederlo tutti i giorni! Di sentire i suoi raggi caldi sopra la  pelle, di sperare che -in qualche modo- potessero scaldare il suo animo intorpidito dal freddo…Posò una mano sul vetro freddo della finestra…non rabbrividì a quel tocco, perché anche le sue dita erano fredde.

Leyla aveva ragione a dire che lei e Kaede in fondo erano simili, il loro passato li rendeva freddi e scostanti ai sentimenti; la differenza era che lui lo era anche con le persone; lei forse si tratteneva…entrambi, a modo loro, indossavano una maschera per difesa, per proteggersi dal dolore, troppe volte erano stati colpiti…Si fermò a riflettere che, in fondo, di Kaede non sapeva nulla, lui aveva dimenticato tutto il suo passato...

Stancamente si mise a sedere sulla poltrona del suo ufficio, gli altri erano andati tutti a dormire da ore. Hanamichi e Kaede erano fuori, in missione da qualche parte nelle foreste dell’America del Sud. Leyla stava dormendo nella grande camera, nell’ala opposta della casa; sperò, per lei, che almeno quella notte gli incubi la lasciassero stare, i rimorsi le stavano divorando il cuore, pezzo per pezzo. In quanto a lei, ormai erano mesi che dormiva poco o quasi nulla, non era una insonnia comune o normale la sua, non c’era nulla che potesse fare per impedirlo o costringersi a dormire. Sin dalla sua infanzia era stato così…Lei amava la notte; era cresciuta con persone che le avevano insegnato a farlo…Si passò una mano tra i capelli, mentre guardava, osservava e pensava,continuando a fissare il gioco di quei piccoli batuffoli di cotone che cadevano incostanti dal cielo…tra poco avrebbero formato, tutti insieme, un manto unico…e la loro piccolezza e fragilità sarebbe stata dimenticata e sarebbe rimasto solo un grosso manto bianco…e niente rumore. Persino gli uccellini avrebbero esitato a far sentire le loro voci. Quella neve la riportava alla sua infanzia, quando era felice, tra le persone che l’avevano allevata, non ricordava nulla della sua vita, prima di allora, non ricordava il viso o la voce di sua madre, né il calore del suo abbraccio o la dolcezza delle sue carezze...

Strinse con forza gli occhi, la neve la faceva ricordare e lei non voleva per niente ricordare! Faceva troppo male, sperava solo che il freddo, che c’era là fuori, potesse in qualche modo ritornare dentro di lei e congelare di nuovo quel dolore che sentiva. Che si riformasse in quella spessa coltre di ghiaccio, che un tempo le circondava il cuore…

Un rumore alle sue spalle fece fermare i suoi pensieri. Voltandosi con la sedia, incontrò lo sguardo caldo di un ragazzo alto con gli occhi azzurri e i capelli castani chiari, fermo nel centro della stanza, con le braccia incrociate al petto:

- Che ci fai, qui?- si ritrovò a chiedere, la voce risuonò per la grossa stanza deserta, mentre si alzava e si avvicinava a lui, con voce incerta proseguì - Dovresti andare, è pericoloso, per te, stare qui! Tra un po’, me ne andrò anche io!

Lui sorrise soltanto, senza dire nulla, mentre la mano di lei, lievemente tremante, si alzava ad incontrare il suo viso, solo per ritrovarsi a fendere l’aria…lui se n’era andato, aveva seguito il suo consiglio.

Lei strinse gli occhi e i pugni nelle mani…

Quella stava diventando un’ossessione, e lo sapeva.

Doveva smettere, e lo sapeva.

Doveva dimenticare e lo sperava.

Con uno scatto improvviso, si voltò su se stessa e si diresse ad afferrare il suo cappotto, l’orologio luminoso della sua scrivania indicava chiaramente le 3:25 a.m., prese la sua borsa, col portatile dentro, e spense le luci. Dopo qualche istante, il rumore del grande portone che si rinchiudeva risuonò nell’atrio silenzioso.

Finalmente, anche l’ultima luce ad Angel Manhor era stata spenta. Ora l’edificio, coi suoi grandi misteri e segreti, riposava come il resto della città.

 

   
 
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