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Autore: arylupin    30/07/2010    8 recensioni
La frase più famosa di tutta la saga di Harry Potter nella vita del mio Malandrino preferito: Remus Lupin.
Come quella volta che una densa nube di fumo viola fu vista uscire dalle finestre della stanza del dormitorio dei ragazzi del primo anno di Grifondoro, cioè dalla stanza di James, Sirius, Peter e Remus. Quando fu di nuovo possibile vederci, i quattro ragazzi notarono un piccolo gufo della scuola appollaiato sul letto di Remus. Il biglietto che portava legato alla zampetta diceva: 'Signor Lupin, è pregato di presentarsi immediatamente nel mio ufficio per essere condotto dal preside. È una questione urgente. Minerva McGranitt vicedirettrice.'
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini, Remus Lupin
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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GIURO SOLENNEMENTE DI NON AVERE BUONE INTENZIONI

Cap 1: Il sassolino e la pietra




Remus John Lupin era un bambino calmo e pacifico, molto educato, e molto strano.
Da quando era piccolo frequentava la scuola elementare del piccolo paese vicino a Blackpool in cui abitava in una graziosa casa con i suoi genitori. Sua mamma era casalinga, e per quel che si sapeva il lavoro del padre non era chiaro a nessuno, anche se era certo che un lavoro lo avesse, perché era fuori casa tutto il giorno e perché alla sua famiglia non mancava mai niente, anche se non viveva certo nel lusso.
A chi gli chiedeva spiegazioni il piccolo Remus diceva che papà lavorava in una specie di farmacia a Birmingham, senza fornire ulteriori dettagli, ma visto che era a più di 200 km di distanza nessuno gli credeva.
Negli ultimi due anni, poi, era diventato schivo e introverso, finite le lezioni correva subito a casa, non partecipava alle feste di compleanno organizzate dai compagni, non prendeva lezioni di nuoto, spesso era a casa ammalato. La sua maestra, vedendolo tornare a scuola dopo una assenza per malattia particolarmente graffiato e livido, fu quasi tentata di denunciare i genitori per percosse, ma quando chiese spiegazioni al piccolo e a sua madre entrambi giurarono e spergiurarono che non era un episodio di violenza domestica ma una brutta caduta.
Gli altri bambini iniziarono a prenderlo in giro e a canzonarlo se lo incontravano ai giardini intento a giocare tutto solo soletto con un rametto di legno, pronunciando a fior di labbra parole incomprensibili.

“Ciao strambo” lo schernì Jaydon, un ragazzone di un anno più vecchio di lui, ripetente e bullo.
Remus non rispose, ma continuò indifferente a giocare.
“Parlo con te, stupido.”
Il piccolo Remus guardò il compagno negli occhi, sempre in silenzio.
“Che c’è, il gatto ti ha mangiato la lingua?”.
“No, ce l’ho ancora, ma se non serve non la uso”.
“Cosa vorresti dire, che non vuoi parlare con me?” urlò Jaydon, sentendosi preso in giro.
“Sei tu che vuoi parlare con uno stupido, quindi non ti stavi rivolgendo a me”. Remus era calmo, per niente intimorito da quel bestione.
“E invece ce l’ho proprio con te, stupido! Secondo me è per questo che sei sempre a casa da scuola, perché sei stupido e i tuoi genitori si vergognano di mandarti a scuola.”
“Lascia stare i miei genitori, se tu non hai niente di meglio da fare che rompermi le pluf... le scatole non è colpa loro, ma solo del tuo testone!”
“Poverino... Credi davvero che ti lascio stare solo perché lo hai detto tu?”
“No, ma lo speravo. Non voglio farti del male.”

Remus era consapevole che da due anni la sua forza era molto maggiore di quella dei coetanei, e anche dei ragazzi un po’ più grandi, anche se ancora non aveva la forza di un uomo. I suoi genitori avevano impiegato tempo e pazienza, soprattutto all’inizio, per insegnarli a non rispondere fisicamente alle provocazioni, a dominare i suoi istinti vendicativi, imparando l’autocontrollo e il contrattacco verbale.
E il bambino, aiutato anche dalla sua indole docile, e dalla sua vivace intelligenza aveva imparato. Ma ancora, qualche volta, perdeva la pazienza, e i malcapitati di turno incassavano una sonora sconfitta. Jaydon era tra i molti fortunati che non avevano mai conosciuto l’ira del giovane Lupin.

“E cosa credi di fare, di correre a nasconderti?” continuò a schernirlo il bullo.
Per tutta risposta Remus si chinò, scelse un sassolino insignificante e la pietra più grossa che trovò ai suoi piedi, si alzò e scagliò il sassolino contro un ramoscello dell’albero più vicino a Jaydon. Il sassolino centrò in pieno il piccolo ramo e lo ruppe. “No, non intendo correre a nascondermi” rispose poi guardando il compagno negli occhi e iniziando a giocherellare con la grossa pietra che aveva in mano.
La piccola dimostrazione di forza aveva avuto successo. Remus vide il ragazzone farsi serio e iniziare a guardare preoccupato la pietra, anche se sapeva che non era pronto ad arrendersi. Jaydon inghiottì aria, e senza staccare gli occhi dalle mani di quello strano bambino, si fece ancora più arrogante per difendere la sua reputazione di bullo.
“E con quella cosa vorresti farci?” chiese con una nota di preoccupazione nella voce che non era riuscito a camuffare.
“Secondo te? Giardinaggio?”
“Non prendermi in giro strambo, o sarò costretto a dartele!” disse agitando il pugno davanti a se.
“Non sono così stupido da tirartela ancora.”
“Allora non vuoi tirarmela…”
“Sì”
“Si nel senso che pensi di lanciarla?”
“Allora no”
“Insomma si può sapere che intenzioni hai? Sono buone, vero? Non sono cattive…” la pietra in mano a Remus lo preoccupava veramente molto, soprattutto se ripensava al povero ramoscello.
“No” rispose il bambino, con un mezzo sorriso.
“Giuralo!”
“Lo giuro solennemente!”

Il povero Jaydon fu salvato da una rassicurante voce femminile che avvicinandosi richiamò a se il suo bambino: “Remus, vieni, è ora di tornare a casa.”
Remus, obbediente, corse verso la madre, senza neanche salutare il compagno di giochi, il quale non protestò minimamente, ma anzi tirò un sospiro di sollievo quando lo vide abbandonare la pietra che teneva in mano e correre deciso verso la donna.

“Remus, cosa facevi con quella pietra in mano? Quante volte ti abbiamo detto di non attaccar briga con gli altri ragazzi? Lo sai che devi stare attento, che il tuo dono ti rende più forte degli altri?” disse la donna mentre si incamminavano verso casa Lupin. Nella sua voce non c’era rimprovero, ma solo preoccupazione.
“Cercavo di evitare di fare a botte” rispose il bimbo guardando imperterrito il sentiero davanti ai suoi piedi.
“Con una pietra? Volevi anestetizzarlo?” sapeva che suo figlio era sincero con lei, e se il suo intento era di evitare i guai, tanto valeva giocare un po’ con lui per rassicuralo.
“No!” Remus aveva capito che sua mamma gli aveva creduto e si lasciò andare in una risata divertita. “Però potrei usarla come tattica per un’altra volta! Prima l’ho spaventato con un sassolino contro un albero, poi ho fatto finta di minacciarlo con la pietra.”
“Sono orgogliosa del tuo piano ben congeniato. Non credo che il signor albero sia molto contento della tua scelta, ma sopravvivrà. Speriamo solo che tu non abbia colpito qualche Asticello innocente.”
“Non credo ci siano Asticelli su quell’albero, era un po’ malandato, non era certo il tipo da bacchette.”
“Allora va bene. Un’altra cosa Tesoro, credo che faresti bene a suggerire al tuo amico lezioni di grammatica e sintassi.”
“Lo credo anch’io…”
“Ti rendi conto del giuramento che hai fatto?”
“Si! E c’è cascato con tutte le scarpe. Ho giurato solennemente di non avere buone intenzioni!”
“Credo che dovrò tenerti d’occhio nei prossimi anni, caro il mio Remus J Lupin!”


FINE 1 capitolo!!!




So già che non aggiornerò molto frequentemente, ma farò del mio meglio per non far passare molto tempo.
Voi intanto fatemi sapere cosa ne pensate di questo primo capitolo.
Un grazie a tutti coloro che hanno recensito, preferito, ricordato e letto le mie storie precedenti. Mi fa molto piacere sapere che mi seguite.
Allora a presto!
Baci baci Ary ^^

  
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