Ciao a tutti!
L'idea per questa fanfic mi è venuta mesi fa e, dopo mille indecisioni, finalmente, mi sono decisa a scriverla.
Vedete, io adoro Shaka. Ma proprio alla follia, eh. Mi piacciono tutti i Gold Saints, per carità - decisamente meglio di quelle mezze seghe dei Bronze! - però per quel biondino ho proprio un grande debole. Non è da stupirsi, quindi, se la storia sarà principalmente incentrata su di lui, ma... non solo.
Non so se aggiornerò regolarmente, perché, per la verità, non so esattamente come si evolveranno le cose.
- Go with the flow, Gea! -
La fanfic parte dal presupposto che, dopo Hades, tutti i Gold Saints tornino alla vita - a dilettare noi donzelle!
Non mi resta che augurarvi una buona lettura e raccomandarmi di lasciare una recensionina-ina-ina.
Baci baciottoli,
Gea Kristh
- Namasté
Shakamuni. -
Alzò
lo sguardo sulla figura di fronte a lui. Rajani gli sorrideva, le mani
congiunte davanti al petto e la testa appena china.
- Namasté
Raja. -
Ricambiò
il gesto, rendendosi marginalmente conto di stare sorridendo a sua
volta.
Shaka
tornò ad ammirare la vista della valle: dall'alto del
pendio, baciata dal sole
nascente, l'acqua del Gange sembrava una colata d'oro in terra; e
lì, sulle
montagne che incorniciavano quel dono divino, il tempio giaceva
immobile.
- E'
una vista meravigliosa, non trovi?-
Lo
era. E Shaka, cavaliere di Virgo, sapeva che gli sarebbe mancata una
volta
lontano da quella che era la sua terra. Molte cose, in
realtà, gli sarebbero
mancate; molte persone, anche.
- E
così parti. Te ne vai.-
Rajani...
Piccola, bella, Rajani. La sua voce quasi tremava, nel sussurrare
quelle
parole; come se, pronunciandole, le rendesse più vere.
- E'
il mio dovere. Sono un cavaliere di Atena. -
Lei
chinò il capo, gli occhi di brace puntati a terra. E Shaka,
osservandola, non
poté non pensare quanto quella creatura fosse bella:
preziosa, come un gioiello
raro. L'affetto che provava per lei gli strinse il cuore nel vederla
così
triste, così affranta. Per lui. Perché quello
poteva essere un addio.
-
Tornerò Raja, te lo prometto.-
Allora
lo guardò; e il mare dorato che erano i suoi occhi brillava
di lacrime
trattenute. Shaka sorrise; non pensò, quando con la mano
carezzò piano una
guancia arrossata.
-
Attenderò il momento in cui potrò rivederti
ancora, Shaka. Non dimenticarti di
me, io non lo farò.-
Sorrise,
e con gesti aggraziati sfilò dal proprio collo una catenina
d'oro; la ruota del
dharma brillò alla luce del sole. Shaka guardò
curioso il piccolo ciondolo.
Quando lei gli si avvicinò di un passo il cuore gli
sobbalzò in petto. Che
strana sensazione quella! Rimase immobile mentre lei si alzava sulle
punte dei
piedi e gli circondava il collo con le braccia. Che profumo
meraviglioso,
pensò; lavanda, e qualcosa che era puramente donna,
puramente lei. Sentì
qualcosa di morbido, vellutato, sfiorargli appena una guancia; che
l'avesse
solo immaginato?
Troppo
in fretta quel momento ebbe fine. Raja fece un passo indietro, le gote
imporporate, e Shaka sentì il freddo della catenina sulla
pelle del collo.
- E'
il mio regalo per te. Così, forse, potrai ricordarmi anche
quando sarai
dall'altra parte del mondo.-
- Mi
mancherai Rajani, prenditi cura di te. - Fu tentato di abbracciarla, ma
non lo
fece. Però le sorrise dolcemente, e per lei quel sorriso
valse più di qualsiasi
gioiello.
- Namasté,
Shaka. Mi mancherai.-
- Namasté.-
Si
svegliò, il viso della ragazza ancora impresso nella mente.
Perché quel sogno?
Perché adesso, dopo oltre cinque anni?
Namasté.
La
sua voce gli risuonò nelle orecchie mentre si sollevava dal
giaciglio che era
il suo letto. Shaka sospirò, poi se ne sorprese. Quei gesti,
così... umani, non
gli appartenevano da tempo.
Portò
la mente al dolce peso della catenina al suo collo; nonostante tutto,
ancora la
portava.
Ricordò
la prima volta che, ancora bambino, aveva visto Rajani. Gli era
sembrata una
visione angelica mentre, col tramonto negli occhi, cantava in riva alle
acque
del Gange; il vento la carezzava e i lunghi capelli sciolti si
arricciavano
come lingue di fuoco vivo alle sue spalle. L'aveva colpito la sua pelle
diafana, così simile alla sua e così diversa da
quella di tutti gli altri.
Lei
si era girata e gli aveva sorriso; e quel sorriso, quegli occhi, gli
erano
entrati nel cuore: Shaka sapeva che mai ne sarebbero usciti.
Quel
giorno il Santuario celebrava l'anniversario della fine della Guerra Sacra. Festeggiavano la
pace, e la gloria di Atena.
Tutti i dodici cavalieri d'oro erano richiesti alla Tredicesima casa
per il
ballo che si sarebbe tenuto quella sera.
Un
anno era trascorso in fretta; il Santuario, riportato allo splendore,
pullulava
di vita.
Shaka
non s'ingannò: non sarebbe durata, quella pace. Non durava
mai.
Ciononostante
si preparò a quello sfoggio di ipocrisia come tutti gli
altri. Indossò
l'armatura della Vergine e si pettinò i lunghi capelli d'oro
con un pettine
d'osso – uno dei pochi beni materiali che possedeva. Era un
dono di Sheetal, e
pertanto lo teneva caro.
Uscì
dalla sua casa, preparandosi a risalire fino alla Tredicesima.
-
Non mangi nulla? - Si voltò verso la timida voce del
cavaliere di Andromeda.
Gli
occhi chiusi non gli permettevano di vedere il suo viso gentile, ma
Shaka non
aveva bisogno della vista per sapere esattamente cosa lo circondasse.
Quando
il silenzio si protrasse Shun abbassò il viso imbarazzato;
fu Milo di Scorpio
ad intervenire, mollando una pacca sulla spalla del giovane che lo fece
sbilanciare e quasi cadere a faccia avanti.
- Non
sia mai che il nostro santone preferito mangi carne! - Rise
sonoramente,
attirando gli sguardi di parecchi in sala. Come se il bel greco non
ottenesse
già abbastanza attenzione solo respirando.
- Tu
sei matto amico! - Ed ecco arrivare il ragazzino più
irritante dell'anno. Ma
come faceva Shaina a sopportarlo? Santa, santa ragazza...
-
Seiya, - lo riprese pacatamente Shiryu. Quello scrollò solo
le spalle, tornando
ad abbuffarsi di tartine.
-
Scusatelo. Qualcuno dovrebbe insegnare a quel ragazzo come
comportarsi... -
-
Sarebbe come cercare di insegnare a un salice la recitazione in versi,
- furono
le prime parole di Shaka quella sera. Milo sghignazzò.
- Se
volete scusarmi. - Shaka non attese risposta e si diresse verso la
balconata;
l'aria quella notte era tersa e fresca, un vero piacere sulla pelle.
Avvertì la
presenza di Mu avvicinarsi ancora prima di sentirne i passi.
- La
tua inquietudine è quasi palpabile nell'aria, -
affermò il cavaliere
dell'ariete. E attese. In silenzio.
Era
vero, pensò Shaka. La sensazione di preoccupazione che
l'aveva colto quella
mattina ancora non accennava a sparire. C'era qualcosa nell'aria... Un
senso di
pericolo, quasi. Nella notte non avvertiva cosmi ostili, eppure...
Eppure.
- Tu
non l'avverti, Mu? Qualcosa sta per accadere, è nell'aria. -
Il
suo interlocutore gli si fece affianco, osservandolo. Shaka se ne stava
immobile, gli occhi chiusi sul mondo e la brezza leggera trai capelli
dorati. E
quell'alone di inquietudine non lo abbandonava. Mu scosse la testa; non
avvertiva
nulla, nell'aria attorno a loro.
-
Qualcosa sta per accadere, - ripeté Shaka, come a rafforzare
la propria
convinzione.
Tempio
della Devi, India
-
Sheetal! Sheetal! Ti prego amica mia, rispondimi! -
Non
doveva andare così. Non doveva succedere.
Tra
le lacrime, tutto ciò che Rajani riusciva a vedere era il
rosso del sangue che
le impregnava le mani. L’amica di una vita, esanime tra le
sue braccia, moriva,
colpita da una lancia al ventre. Sentiva le loro
voci urlare, raggiungerla.
Rajani sapeva che
l’ombra della foresta nella
notte non l’avrebbe protetta ancora a lungo. Ogni istante gli
inseguitori si
facevano più vicini; portavano la morte, e non avrebbero
esitato un solo
momento ad uccidere quella che era stata una loro compagna, una loro
amica. Non
l’avevano fatto, con Sheetal.
Si
sentiva esausta. Coperta da sudore e sangue, nell’afosa notte
indiana, il suo
solo desiderio era quello di lasciarsi andare, di permettere alle sue
ultime
forze di abbandonarla e di accasciarsi a terra, nell’oblio.
Ma Rajani sapeva di
non poterlo fare, perché avrebbe significato la morte per
quella che
considerava una sorella.
Respirò a fondo,
deglutì – e il gesto le causò
dolore, poiché la sua bocca era arida. Sapeva cosa doveva
fare. Era riuscita a
trasportare l’amica sin fuori i confini del tempio, doveva
solo racimolare
quelle misere energie che ancora aveva in corpo. Anche se faceva male,
anche se
ci avrebbe rimesso la vita; poiché non fare nulla avrebbe
portato la certezza di morire.
Un
ultimo sforzo, Raja. Un ultimo, piccolo
sforzo.
Chiuse gli occhi di tigre,
rivolse una
preghiera alla Devi e si teletrasportò.
Grande
Tempio, Atene
Una
perturbazione. Un’energia sconosciuta in avvicinamento.
Mu
dell’Ariete alzò lo sguardo al cielo, percependo
chiaramente quel cosmo farsi
sempre più chiaro e, al contempo, sempre più
debole. No, si corresse. Due
cosmi, entrambi così flebili, morenti.
- Bèh
amico mio, credo proprio che, dopo tutto, avremo visite. –
Quando
si voltò verso il viso, solitamente
imperturbabile, del cavaliere della vergine, si stupì di
trovarvi dipinta un’espressione
turbata. La sua mano stringeva forte il ciondolo d’oro dal
quale Mu non l’aveva
mai visto separarsi. Cosa stava accadendo?
Senza una parola Shaka si
voltò e, evitando a
passo svelto coloro che erano accorsi in balcone dopo aver percepito
l’energia
avvicinarsi, uscì.
-
Cosa gli prende? – Aldebaran espresse ad alta voce la domanda
che tutti si chiedevano.
Mu
scosse la testa, confuso.
Fuori dalla Tredicesima
Shaka era immobile.
Sentiva gli altri avvicinarglisi alle spalle, ma la sua attenzione era
rivolta
ad altro. Quei due cosmi… Lui li conosceva. Non aveva dubbi,
non poteva
sbagliare. Anche dopo anni.
La
mano di Mu si poggiò salda sulla sua spalla, ma non si
voltò verso l’amico. Gli
occhi, sebbene chiusi, scrutavano il cielo notturno, carico di stelle.
I due
cosmi aleggiavano nell’aria, inconsistenti. Perché
non erano ancora arrivate? Il cuore gli palpitò
forte nel petto.
Eccole,
pensò.
Istanti dopo, due figure
comparvero sulla
pavimentazione bianca. I cavalieri di Atena impiegarono qualche secondo
a
distinguere le due ragazze nella notte: l’una riversa a
terra, immobile; l’altra
genuflessa, affannata.
L’odore
metallico del sangue si levò nell’aria.
Rajani non sapeva dove
fosse. Sapeva di non
trovarsi più sulle sponde del Gange, perché
l’aria era fresca e solleticava
piacevolmente la sua pelle accaldata. Alzò lentamente gli
occhi, ma distinguere
le persone che si trovavano davanti a lei le risultava impossibile: la
sua
vista era appannata, e la sua mente confusa. Luccichii dorati
riflettevano la
luce delle stelle. Oro?
Poi,
nel silenzio, una voce: - Rajani… -
E la
ragazza, per la prima volta da troppo tempo, seppe che tutto si sarebbe
risolto.
Era
Shaka.