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Autore: Rocker 666    30/07/2010    1 recensioni
Non è mai stato bravo a capire la gente lui, non si è mai nemmeno applicato per farlo. Per questo non è mai stato bravo nemmeno a capire se stesso. Per questo ha capito ciò che aveva solo una volta che l’ha perso. (Rating giallo per argomenti che possono risultare pesanti)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non è mai stato bravo a capire la gente lui, non si è mai nemmeno applicato per farlo, è qualcosa di così inutile per lui che l’unico parere di cui tiene conto è il suo, che non accetta altre visioni di vita ritenendole a priori stupide o sbagliate e se davvero va bene semplicemente non consone alla sua persona.

Per questo non è mai stato bravo nemmeno a capire se stesso, etichettando l’amicizia come irritazione e arrivando a scambiare l’amore con l’odio, la complicità con la rivalità e la gioia come un sentimento che non gli era più concesso provare.

Per questo ha capito ciò che aveva solo una volta che l’ha perso.

Per questo non è stato in grado di salvare l’unica persona che era stata in grado di vedere oltre a quel muro di ghiaccio che si era costruito, attaccando davanti un bel cartello a lettere cubitali “DIVIETO D’ACCESSO”, oltrepassando quella barriera contro cui gli altri non avevano potuto che arrendersi.

 

E ora corre. Corre come non ha mai fatto in vita sua, non sente la stanchezza per il lungo tragitto percorso, le gambe sono riposate, il fiato gli manca ma quello è per ben altri motivi. La paura più nera lo attanaglia, si rende conto che fino a quel giorno non ha mai capito cosa quella parola significasse veramente, al confronto l’idea di morire pare una piacevole passeggiata… lui che della morte ha sempre avuto timore.

Poi arriva.

Sente tutta la stanchezza cadergli improvvisamente addosso come una valanga, quella del viaggio, della corsa appena fatta, della verità che gli appare davanti agli occhi e perfino respirare gli sembra un’impresa titanica. Il primo pensiero che la sua mente formula è banale, quasi scontato: “non può essere”. Ma sa anche che è così.

Sfiora il corpo ormai senza vita del compagno e rabbrividisce, non tanto perché è inginocchiato su una lastra di ghiaccio quanto per il freddo di quel contatto e ritrae la mano. Il secondo pensiero se possibile è ancora più stupido del primo: “perché?”. È una domanda legittima a cui la sua mente non vuole trovare risposta quasi sperasse che in quel modo la morte potesse essere scacciata e la vita tornasse in quel corpo, ma non è così, lui lo sa ma semplicemente non lo ammette, sa anche perché, lo ha sempre saputo ma non è mai stato in grado di capirlo.

Si siede, o meglio si lascia cadere perché le gambe non lo reggono, sopprime i brividi, non vuole farsi vedere in quello stato, eppure nasconde il viso, dando le spalle ai suoi compagni che su sua richiesta si allontanano, lasciandolo lì, solo con quelle sue travolgenti emozioni.

Sente la paura ormai tramutata in disperazione e capisce che essere cacciati da un branco è un’idea decisamente più accettabile al confronto di quello.

Lo ammette, per la prima volta, quella specie di ragazzino gli piaceva e poi tutto è più facile, si rende conto di tante cose che prima aveva inconsciamente ignorato.

«Lo so… ti piacevano gli umani più di qualunque altra cosa…» Sussurra, è una menzogna, o almeno in parte.

Lo sapeva, lo aveva capito fin da subito, fin da quando aveva rischiato la vita pur di stare al loro fianco, lui l’aveva capito, ma non aveva voluto ammetterlo e quell’informazione era stata archiviata in una parte remota del suo cuore e della sua memoria, dove risiedevano tutte quelle cose che aveva appreso per via di un’empatia che non pensava di possedere.

E ora erano liberi.

La testa gli gira, sente una fitta là dove un tempo doveva esserci il suo cuore.

Ci sono tante cose che vuole dire ma è tardi, lui non può più sentire… ormai è troppo tardi. Perché lui si rende sempre conto delle cose quando ormai le ha perse? Quando ormai il danno è irreparabile?

«Volevo portarti con me al Rakuen…» Lui che non ci ha mai creduto.

Lui che ora sente la voce che dice di dirigersi in quel luogo, ma ormai non ci vuole andare, non più almeno. E poi sa, sa che non è il posto per lui.

Vede l’espressione felice sul viso dell’altro e per un attimo di puro egoismo lo odia, quello è felice e a lui tocca essere triste per un suo capriccio, per quella sua insana passione per gli umani. È solo un attimo, poi passa e si trova a pensare che non potrà più sentire la sua voce, non ci sarà nessuno a svegliarlo con degli agguati o a fargli paura dietro ogni angolo, a mettere su il broncio quando gli viene detto che è un cucciolo e a risollevare il morale con quel suo fare spensierato e senza problemi.

Gli occhi bruciano.

“Perché?”

Lui non ha lacrime, non ne ha mai avute, anche quelle sono rinchiuse nella parte più fredda e buia del suo cuore, poi si ricorda che quella parte è stata distrutta.

 Sente del bagnato colare lungo le guance, la scia lascia un sapore leggermente salato.

Una lacrima.

 Una soltanto.

 

  
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