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Autore: BigMistake    30/07/2010    5 recensioni
"Partecipante al contest Characters & Quotes indetto da Only_Me." Un viaggio alla riscoperta dell’idea del bello nei sentimenti di un’artista, che si trova di fronte all’incompiutezza di una sua opera, attraverso l’aiuto dei candidi occhi dell’infanzia.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Esme Cullen, Renesmee Cullen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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characters&quote

 

 Nick Autore: Mally_1985
Titolo: Sublimation Esthétique
(Sublimazione Estetica)
Personaggio scelto: Esme Cullen
Citazione scelta:
Nessun artista prova simpatie di ordine etico. Una simpatia etica in un artista è un'imperdonabile affettazione stilistica. (Oscar Wilde)
Personaggi secondari (se presenti): Renesmee Cullen
Pairing (se presenti): Nessuno
Genere: Introspettivo
Rating: Verde
Avvertimenti: One-Shot
Intro/NdA: Un viaggio alla riscoperta dell’idea del bello nei sentimenti di un’artista, che si trova di fronte all’incompiutezza di una sua opera, attraverso l’aiuto dei candidi occhi dell’infanzia.

Note dell'autrice: Questa storia si è classificata sesta al contest indetto da Only_me "Characters & Quotes". Il contest prevedeva la scelta di un personaggio a cui veniva affidata una citazione e la storia doveva vertere su questo. Vi riporto il giudizio:  

Originalità: 10/10
Grammatica: 8/10
Forma: 7/10  
Caratterizzazione personaggi: 10/10
Attinenza al tema: 10/10 
Gradimento personale: 7/10                                    TOT: 52/60

Senza entrare nello specifico il problema più grande è stata la punteggiatura (che ho cercato di revisionare) e il gradimento personale non centrato. Sapevo che utilizzando l'introspettivo puro (il più sono riflessioni di un'artista anima antica come immagino Esme) avrei rischiato di annoiare, sinceramente a me piace ed alcune volte mi scopro a volerla rileggere (cosa che con mie altre ff non mi è sinceramente capitato). Ora mi rimetto al grande pubblico ^^! Spero solo che non la troverete noiosa e che almeno a qualcuno possa piacere.

Spero anche vi piaccia il banner mia personale opera!!!^^ 

Un bacione dalla vostra pseudo scrittrice pazza alle prese con il suo primo contest!!! Malice

 

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SUBLIMATION ESTÈTIQUE (Sublimazione Estetica)

 

Anche la polvere mi teme.

Giunsi a questa conclusione quando ripresi il mio cavalletto, pulito come l’avevo lasciato alcuni anni addietro. Da troppo non dipingevo. Da troppo non ero stata intaccata dalla lingua dell’ispirazione. Ma come pensare anche solo di resistere alle sue grida di gioia, alla sua vitalità, a quell’insieme di colori ed armonia che distruggeva quell’aspetto asettico ed ordinato della nostra casa. Avevo sempre cercato di mantenere con il mio ordine maniacale e con il bianco imperante un aspetto neutro in ogni ambiente dove ci trovavamo ad abitare. Spesso mi chiesi il perché di questa scelta, ma non trovai mai la vera risposta, almeno fino allora. In fondo era questa la mia famiglia. Staticità pura. Esseri fermi nel tempo e nello spazio, immobili, sempre in attesa del tremolar della marina. Statue di pietra differenti dal freddo marmo solo per le abitudini che ci contraddistinguevano. Ognuno di noi aveva il suo piccolo svago, una mania quale poteva essere leggere, riparare, suonare, dipingere. Tutti piccoli vezzi, bagaglio di una vita umana di cui ci rimanevano solo gli strascichi. Retaggi del passato, eredità che nessuno di noi sapeva di preciso come avessero occupato il nostro tempo quando ancora aveva bisogno di essere definito attraverso lo scorrere delle lancette. Ed ora ci accompagnavano nell’occupare le nostre lunghe giornate senza fine, picchiettando sulle nostre spalle. Perché avevo smesso? Perché mi sembrò di sentire un battito muto sul seno sinistro quando il leggero rumore della stoffa tirata sul telaio inebriava il mio udito? O quando la adagiavo sul legno chiaro ed il lieve cigolio della farfalla di metallo strideva nel venire avvitata per fermare la vergine bianca che avevo di fronte?

Di quel tavolino antico non potevo ammirare le piccole cesellature in foglia d’oro, gli intagli minuziosi di volute barocche che impreziosivano il mogano con sette tonalità di legno sempre più chiare. Ne valeva la pena di ricoprirlo con uno straccio per posare i miei attrezzi di mestiere. L’avevo restaurato con cura, alla ricerca della perfezione stilistica e l’effettivo riscontro con la sua età anagrafica. Eppure era sempre rimasto in quell’angolo del mio studio, senza un vero perché, senza un motivo di vita. Finalmente potevo dire di aver trovato una sua utilità. Ma quale utilità c’è nel rendere una cosa assolutamente bella e perfetta? Anche due assi, sollevate da pietre, potevano assolvere lo stesso compito cui era stato chiamato. Eppure avevo scelto proprio il frutto di un lavoro meticoloso durato tre giorni, per dare un valore a quello che avevo sempre fatto. La ricerca della bellezza. Persino nella sistemazione del mio materiale vigeva la regola ordine e perfezione. Tutto era collocato in maniera accurata, organizzato secondo una sistemazione precisa, in modo da aver una visione globale di quello che mi serviva con un ordine prestabilito di utilità. Pennelli più esterni accanto ad un contenitore con dell’acqua ed un panno per pulirli, i colori avanzavano verso di me pronti ad essere utilizzati puri o mescolati, la tavolozza, con le sue conche appena pronunciate, prossima ad essere afferrata. Mancavano solo il primo tratto e la prima pennellata. La destra si mosse verso quell’artefatto di carbonio che rimaneva più esterno. Il tremolio che la colse rese il momento imperfetto, mi riscoprì umana per un istante di eterna dannazione. Potevo essere emozionata per quell’attività che mi aveva tenuto compagnia nelle lunghe notti insonni da immortale?  Evidentemente sì.

Il mio sguardo vagò oltre la tela. La piccola fiamma di boccoli si muoveva ancora lungo la linea del fiume frenetica, scoprendo con risa e schiamazzi le verità celate dall’acqua ed io l’osservavo incantata, componendo di tasselli nuovi una vita immobile. La mano scorreva veloce abbastanza da ritrarre ogni inezia nell’arco di qualche secondo. La piccola bambina adulta. Un paradosso, una contraddizione, ma che racchiudeva ogni mia idea di equilibrio. Il disegno era pronto, il carboncino si era riappropriato del suo posto e ora dovevo passare solo a dare luce e ombre, modellandolo attraverso il colore. Fui persa. L’accuratezza dei dettagli era esagerata, avevo persino ritratto un pesce che passava attraverso le acque di sfondo e una farfalla posata su di una roccia a venti metri di là della sponda del fiume, ma mancava di qualcosa. Non sapevo come agire, pietrificata con il pennello e la tavolozza fra le mani. Gli attimi si susseguirono ai secondi, i secondi ai minuti, i minuti alle ore e non riuscivo a decidere cosa c’era di sbagliato. Eppure l’errore persisteva, lo sentivo ma senza vederlo.

“Bello!” le mie palpebre presero a fluttuare per tre volte, imponendo una rotazione ai miei bulbi oculari cristallizzati dal dubbio. Abbassai lo sguardo da dove proveniva quella voce cristallina. I suoi grandi occhi sorridenti ed indagatori, analizzavano il disegno imperfetto che si stanziava di fronte ad essi. Saettavano da una parte all’altra della tela, sondando ogni millimetro, ogni forma. “Posso aiutarti?” l’immobilità che poco prima mi aveva colto tornò impetuosa come un’onda, persa nella contemplazione della figura minuta che si trovava ai miei piedi. Osservai il delicato rossore colorarle le gote scavate dalle fossette nate con un sorriso abbagliante e speranzoso,  le piccole mani intrecciate dietro la schiena ed i boccoli ramati che le incorniciavano il viso dall’incarnato di porcellana, dove due scure perle di cioccolato avevano adocchiato i pennelli dietro di me. E poi mi smarrii ad ascoltare il dolce e mielato respiro, che trovava sfogo in quelle labbra con la forma di cuore che avevo riprodotto con esigenza di realtà sulla tela, il tenero ed appassionato battito di ali che ripercuoteva il petto. Questo io non potevo ritrarlo. Il suono della libagione alla vita era impossibile da ricalcare in bidimensione. L’armonia batteva prepotente i suoi rintocchi, mi prese d’assalto e mi ancorò a terra.

“Certo, piccola mia! Sarò felice di farmi aiutare da un’artista in erba come te!” entrai velocemente in casa a recuperare uno sgabello, per far raggiungere l’altezza della tela alla mia bella nipote. Il tutto nel silenzio infinitesimale di un battito di ciglia. I muscoli del mio viso si rilassarono e piegarono gli angoli della bocca verso l’alto. Porsi la tavolozza e il pennello alla bambina che ora raccoglieva il mio assenso. La sentivo eccitata come mai prima d’ora, il suo cuore aveva subito un’impennata e ogni palpitazione era sempre più ravvicinata a quella successiva, quasi diventasse un unico armonico suono. “In effetti penso che manchi di qualcosa, magari con la tua sensibilità riuscirai a renderlo perfetto!” gli occhi di Renesmee diventarono liquidi, presero di vivacità quando l’accostai ancora di più al disegno. Non pensava assolutamente che l’avrei concesso tale libertà e, tantomeno, incaricata di una simile responsabilità.

“Puoi passarmi il blu nonna, per piacere?” chiese con voce tremula, mista tra la gioia della nuova prova e la trepidazione di quel momento. Con calma serafica presi il colore e con un pennello ne adagiai una parte su di una conca della tavolozza, molto più grande della manina forte della mia bambina. Intinse anche lei il pennello, macchiando di blu i peli fissati alla sua estremità. Una moderata esitazione la colse, portando lo sguardo dapprima al quadro, con una fugace adocchiata con quel sorriso splendente, poi a me con più insistenza. Annuii con un cenno del capo, trasmettendo tutta la sicurezza di cui ero capace attraverso un semplice gesto di assenso. Carezzò la tela come se fosse il manto di un gattino, lasciando traccia della fervida immaginazione data dalla sua breve esistenza. Mi ero fatta sua complice porgendole come assistente il necessario. A breve la collocazione del materiale divenne caotica e confusionaria: i pennelli erano quasi tutti sporchi, l’acqua divenne torbida e scura, il panno era da buttare. Ma il quadro era vivo.

"Finito! Ops!" esultò la piccolina che, per completare l'opera, fece un balzo di gioia rischiando di cadere all’indietro se non fosse stato per le braccia svelte e robuste della mia natura di vampiro. Capitava spesso che le peculiarità della madre da umana riaffiorassero, come un ricordo di quello che era prima di rimanere intrappolata nei suoi illimitati diciotto anni. Sussultai al pericolo scampato, aiutandola poi a recuperare l’equilibrio perduto. Tenevo una mano salda, fissata sulla schiena e insieme ci trovammo a fissare quell’arcobaleno irreale.

“È splendido, Renesmee!” dischiusi le labbra in un soffio leggero, con quelle parole a diventare testimoni del mio pensiero. Un sussurro alle porte del respiro.

“Lo pensi davvero nonna?” il suo stupore m’inondò d’importanza, il mio parere sopra ogni cosa. Gli occhi intatti di una bimba pronti ad accogliere ogni mia perplessità, giudizio o critica. Pronta, ma allo stesso tempo timorosa di affrontare tutte le eventuali possibilità. Non sarei uscita incolume da una bugia, troppo osservatrice e perspicace, e non potevo macchiare quella tela intonsa con una chiazza di menzogna.

“Sì tesoro, lo penso davvero!” presi le sue spalle continuando ad ammirare quella splendida dimostrazione della sua mente. “Posso chiederti perché hai scelto dei colori così diversi dalla realtà?” ero intimorita dalla mia stessa domanda.

“Perché così è più bello!” l’innocenza, l’ovvietà con cui mi rispose non lasciò dubbi. Erano un invito alla riflessione di quello che rappresentava l’essenzialità dell’arte. Non c’era veridicità, non c’era realtà. I colori erano tutto spunto di una fantasia di bambina. Tinte piatte si avvicendavano alla luce emanata dal cielo, il pesce era stato coperto da uno strato rosa del fiume, gli alberi sullo sfondo non erano rappresentati né dai colori caldi della terra, né da quelli freddi della vegetazione. Erano variopinti, grandi e magnifici nella loro irreale composizione. Pigmenti solidi venivano trasformati in liquidi da una pennellata fluidificata. Ogni piega, mossa non era stata assolutamente calcolata. Era tutto frutto di una folata passeggera di passione vera, dell'attenzione fresca di una mente illibata da tormenti e preoccupazioni. Bellezza, irrorata da una privazione di scopi. Non era interpretazione, non era ricerca, non era lettura. Semplicemente arte affine a sé stessa.

“Sei una grande artista, allora!”

“No. I grandi artisti sono come te!” affermò decisa, come se avessi detto la più grande castroneria mai esistita. Prese fiato in quel mio sguardo che ricercava un’ulteriore spiegazione attraverso una domanda muta. “Tu trasformi tutto quello che tocchi: la famiglia, le case, il cibo ed anche questa stoffa!” il palmo, sporco di tempera, rivolto verso l’alto, indicò il suo capolavoro “Prima di questo non c’era molto se non un piano bianco, l’hai trasformato con un disegno bellissimo ed io l’ho solo finito! Non esiste però vaso senza creta!” quante lacrime avrei versato se solo avessi avuto degli occhi capaci di sgorgarne. Era così saggia, contemplativa, era imbarazzante trovarsi di fronte a lei. “Tu avevi dato un senso ed ho gliel’ho tolto! A ripensarci non è poi così bello: ho rovinato il tuo disegno ed adesso non serve più a niente, ho cancellato quasi tutti i particolari. La farfalla, il pesce, non è più come in una foto!” il labbro inferiore tremò a quell’ultima parola. Come poteva dire che quel quadro era inutile? Perché doveva esserci uno scopo? L’arte non serve a creare semplicemente il concetto di bellezza ed armonia? Perché porsi dei limiti, delle questioni morali a quello che doveva essere un mostrare qualcosa di piacevole ai propri occhi. Nessun artista prova simpatie di ordine etico. Una simpatia etica in un artista è un'imperdonabile affettazione stilistica.* Se si fosse posta delle limitazioni, delle regole, delle barriere etiche probabilmente il risultato sarebbe stato più insulso, banale, già visto e sentito. Io stessa ero incappata in un tale tranello, nel gioco sadico delle demarcazioni personali. Invece era unico, speciale, bello. Come lei. La rappresentava.

“Renesmee guardalo!” le sussurrai posando il mio mento sulla spalla esile. Lei alzò gli occhi lentamente, coperti da un velo bagnato e appannato dal liquido salino che penetrava nel mio olfatto. “Rispondimi sinceramente, cosa provi?”

“In un certo senso mi rallegra, ma non è reale!” la sua voce era triste, tradendo il dispiacere che provava di fronte a quella che era la sua recinzione di fil di ferro.

“Non ti ho chiesto cos’è o come appare, ma cosa suscita in te piccola mia!” sorrisi cercando di mantenere i miei toni poco di sotto la soglia udibile da orecchie sensibili. Abbracciai la sua vita stringendola contro il mio petto in un atto consolatorio per lei, ma appagante per me. “Ti piace?” Alzò e abbassò il viso lentamente, fintanto che una lacrima scese vittoriosa rigando la guancia candida. Con la mano contraria asciugai quella piccola gocciolina mesta e sola. La mia dolce e sensibile Nessie. “Allora è perfetto e assolutamente bello!”

 

Da quel giorno il nostro quadro ha trovato posto nel mio studio. L’ho preteso e ne sono uscita vittoriosa in una disputa avvenuta tra i miei figli e mio marito, grazie anche all’aiuto della piccola artista. Risiede al centro della parete di fronte alla mia scrivania e ogni qual volta mi trovo immersa in uno dei miei progetti, quando il dubbio e la paura di sbagliare trovano spazio tra le mie idee, allieto la mia vista con quell’immagine trasfigurata della realtà. Una realtà esternata dal titolo riportato dietro la tela accanto ad una firma unica ma che racchiude due artiste, nell’incontro tra reale e fantastico: RENesmeE. In esso riconosco una nuova idea di bellezza, delegata alla fantasia di una bambina adulta che con il suo gioco di colori, luci e ombre era riuscita a far resuscitare il mio senso estetico perduto tra i meandri dell’immortalità.

La pura Sublimation Esthétique (Sublimazione Estetica).

 

*Citazione dalla prefazione de “Il Ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde

   
 
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