L’acqua scorre, si riversa sul lavandino unto. Viene inghiottita dallo scarico, va via. Se ne va per essere sostituita da altra semplice acqua; così, in un ciclo continuo, interminabile finché qualcuno non avrà l’accortezza di chiudere il rubinetto.
La ragazza giace di fronte allo specchio, e osserva. Puntellandosi con le mani sui bordi del lavabo, fissa l’acqua che l’abbandona e che scorre in continuazione, indisturbata. I suoi pensieri sono lontani con le gocce dei minuti prima, forse hanno già raggiunto l’accogliente oceano dove non si è più soli o piccoli, ma parte del tutto.
Non si scorge il viso, coperto dai capelli biondi che le ricadono ai lati, poggiano sulle guance, si uniscono in ciocche deformi e spettinate.
L’abito è bianco, e bianco è il dolore.
Si dirige fuori dal bagno. Chiude la porta sull’uscio, e il clangore di una serratura vecchia riempie per un attimo il silenzio.
Le pareti del corridoio sono dipinte di un rosso spento, scolorito, a cui mancano pezzi d’intonaco. La giovane percorre a passi lenti il varco, al suo passaggio le lanterne giallastre si spengono con un ronzio. Dietro di sé è morte, buio che dilaga al suo procedere. Le ballerine rosse lasciano scie di sangue vermiglio, orme che s’imprimono e si ampliano come macchie sul tappeto consunto.
Al centro del corridoio, sul lato sinistro, è addossato un tavolino in legno. Sulla sua superficie si notano i cumuli di polvere, piccole sfere che vibrano leggermente al respiro della ragazza. Si ferma. Un altro specchio, contornato d’oro, la attende. Lei non lo guarda, non ancora, e apre il cassetto del mobile. Dentro c’è un giradischi, ma nessun vinile aspetta di essere suonato. Lo prende fra le mani e lo alza con cura, soffia con forza per scostare lo sporco degli anni, e una nuvola opaca si riversa verso il vetro riflesso.
Abbraccia il grammofono concedendosi un sorriso. Ricomincia la marcia, su per le scale dai gradini scricchiolanti e con il corrimano dalle colonnine spezzate. Continua fra il vagare nelle stanze dalle pesanti tende di broccato che si chiudono all’improvviso al passare della ragazza. Si conclude nella soffitta colma di oggetti inutili, rotti, dimenticati. L’unico luogo in cui, dalla minuta finestra ogivale, riesce a entrare un raggio di sole. Il pulviscolo vola, è mare di piume di colibrì bianchi.
In un cassettone, attendono schieramenti di dischi pronti a rompersi nel loro girare imperterrito, nel loro ultimo sordo rumore. Il nero luccica, invita a venire toccato, agguantato. Fremono i vinili, si agitano, è terremoto di suoni ancora da esprimere.
S’inginocchia. Mentre cerca di scegliere, i suoi palmi diventano rossi di sangue, imbrattando l’impiantito e tutti gli oggetti. Tutti tranne uno. Un solitario 33 giri quasi protetto dall’ombra. Pare una spenta e monotona canzone d’amore, una sciocchezza, direbbero alcuni. La giovane lo afferra, lo imprigiona quasi nella morsa del giradischi.
Ora, che la musica trovi la sua strada.