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Autore: ReaderNotViewer    27/09/2005    13 recensioni
Se vi siete chiesti che cosa facessero i cittadini di Sunnydale mentre le Potenziali affluivano a casa Summers e il Primo perdeva tempo a cercare il suo look ideale invece che mettere assieme un piano decente, questa è la ff che fa per voi
Genere: Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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DISCLAIMER




La mia protagonista è Tarantula, ve la ricordate?, la ragazza che Spike ha portato al matrimonio di Xander nella sesta stagione. Per esigenze narrative e dal momento che non credo che Tarantula sia il suo vero nome, le ho dato anche un nome, un cognome, una famiglia, una storia, un lavoro e tante altre cose che mi tornavano utili.




I personaggi tratti da Buffy sono di Joss Whedon e ahimè non sono miei, anche se li frequento da così tanto tempo che tendo a dimenticarmene. Però ce ne ho messi anche di miei (e naturalmente Joss ha il mio permesso per usarli, visto che io ho usato i suoi…)




Gli avvenimenti narrati si svolgono – o avrebbero potuto svolgersi – durante la settima stagione di Buffy. Mi piace pensare che questa fanfic sia In Carattere e ho fatto del mio meglio per restare in canone.
Per mia fortuna, della mia protagonista si sa troppo poco per potermi accusare di essere Fuori Carattere.
In quanto agli altri personaggi, le libertà che mi prendo sono tanto maggiori quanto meno é rilevante il loro ruolo nel telefilm.
Poiché la classificazione di una fanfic non é una scienza esatta, qualcuno potrebbe non condividere le mie scelte: se così fosse, vi giuro che non ho fatto apposta per farvi arrabbiare!




  




SPOILER: quarta stagione di Angel 
(abbastanza velati e solo in uno dei capitoli, ma è mio dovere
avvertirvi)




 




RINGRAZIAMENTI




E’ un vero peccato che le persone che maggiormente meriterebbero i miei ringraziamenti, vale a dire i miei colleghi e i membri della mia famiglia, siano anche quelle stesse che è molto meglio  non sappiano come ho occupato una parte del tempo che avrei dovuto invece usare per far fronte agli impegni della vita reale..




Venendo a coloro che posso ringraziare senza correre rischio di licenziamento o di divorzio, i primi sono innanzitutto coloro che mantengono vivo il mondo di Whedon in rete in Italia perché il loro impegno mi ha garantito un facile accesso alle informazioni che mi servivano per incastrare la mia fantasia con gli avvenimenti realmente raccontati nel telefilm




Tutto questo non sarebbe stato possibile senza le mie magnifiche beta-reader, che mi hanno spronato e incoraggiato a cominciare, continuare e soprattutto portare a termine questa, che è  stata la prima fanfic della mia vita.




Perciò un grazie di cuore sia a Cinderella per il suo sostegno, i suoi consigli e  il costante apprezzamento del mio lavoro sia soprattutto a Jean Genie che oltre a non farmi mai mancare il suo appoggio ha messo generosamente a mia  disposizione la sua competenza professionale svolgendo un’insostituibile,  preziosa ed accurata funzione di editing. Farina del suo sacco sono  il diminutivo - Tula - con cui gli amici chiamano la mia protagonista e la scelta della canzone in testa al secondo capitolo: insomma, così come per i vampiri con l’anima, se questa ragazza non esistesse bisognerebbe proprio inventarla.




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CAP. 1 – UN DEMONE PER CAPELLO

 

“Gracias a la vida que me ha dado tanto
me dió el corazón que agita su marco
cuando miro el fruto del cerebro humano
cuando miro al bueno tan lejos del malo
cuando miro al fondo de tus ojos claros”

Gracias a la vida di Violeta Parro





Ho sempre odiato Sunnydale. Eravamo all’asilo, io e la mia amica di quando avevo quattro anni, Gladys con le treccine bionde e i pomelli sulle guance, e io le dicevo seria seria “Quando divento un po’ più grande prendo la mia Jenny – era la mia bambola preferita, anche se già a quell’epoca sembrava uscire dal campo di battaglia più che dalla scatola dei giochi – e scappo col treno.” La mia amica Gladys annuiva così energicamente che le trecce ondeggiavano di qua e di là, entusiasta di quest’idea di abbandonare Sunnydale non appena le nostre gambette ce lo avessero consentito.

E se lo avesse fatto davvero, forse non sarebbe giù nella terra scura sotto quella bella lapide bianca con l’angioletto che la sua famiglia ha fatto scolpire per lei – giusto una settimana dopo il suo sedicesimo compleanno. Uno spaventoso incidente stradale con la vecchia macchina che Bobby, il suo ragazzo, aveva sgraffignato al nonno, a quanto pareva il motore li aveva traditi lungo la strada di ritorno dal cinema e un maledetto pirata della strada li aveva travolti e uccisi mentre Bobby cercava ancora di capire cos’era successo con la testa dentro il cofano e Gladys gli faceva luce con la torcia elettrica.

C’era sangue dappertutto, sapete, un lago di sangue in cui il motore sembrava galleggiare come un pezzo di manzo in brodo di rape quasi fossero stati investiti da una mietitrebbia, non da un’altra macchina, ma da quando in qua i mietitrebbia se ne vanno in giro in una piovosa serata di gennaio, domando io? Maledetta Sunnydale, i suoi strani incidenti stradali e i suoi molti cimiteri.

Ed eccomi qui di nuovo nonostante tutto a Sunnydale come se ci avessero attaccato un elastico a quel suo stupido cartello di benvenuto, sì, proprio quello che tutti gli ubriaconi abbattono quando capitano in città, e l’altro capo dell’elastico me l’avessero attaccato al bottone dei jeans, o giacché ci siamo all’asola delle mutande, sempre se io portassi mutande e se queste avessero un’asola.

Ero tornata in città da poche ore – giusto il tempo di scaricare i bagagli a casa e di godermi un caloroso benvenuto di bestemmie da papà – e chi è il primo che ti incontro? Clem, naturalmente, e chi altri. Voglio dire: benvenuti a Sunnydale, l’unica cittadina della California in cui non solo vivono più demoni che esseri umani ma spesso i primi sono più simpatici dei secondi, e si sanno anche comportare meglio, come la primavera scorsa ad esempio, quando quel ricevimento di non nozze a cui tra l’altro ero pure stata invitata si è trasformato in una rissa coi fiocchi e a sentire Dolores, la mia amica del catering, cominciarono proprio gli esseri umani a dar fuori di matto.

In confronto a quello del mio caro genitore, che si era riscosso dal suo stupore alcolico solo per darmi della puttana e della fallita, il benvenuto di Clem fu un vero balsamo sulle ferite del mio animo, con genuino piacere di rivedermi, pacche sulle spalle e autentico dispiacere che le cose mi fossero andate male a Houston, e Dio, se mi erano andate male, non potete nemmeno avere idea di quanto.

Così Clem mi offre da bere al suo bar preferito – più demoni che umani anche lì, ma chi se ne frega, come se gli umani non potessero essere abbastanza demoniaci, guardate ad esempio quel maiale di mio cugino Ronnie – e io gli racconto i miei guai e gli piango sulla spalla, o per meglio dire su tutte quelle pieghe di pelle che ha attorno al collo e che di solito tiene accuratamente ripiegate e figuratevi che sto anche attenta a censurare le parti più scabrose e avvilenti del mio racconto perché ho paura che se la prenda troppo a cuore e non sia mai che perda il suo eterno ottimismo.

Così quando ho finito di piagnucolare e di bere Cuba Libre lui mi chiede che cosa ho intenzione di fare adesso, con quello sguardo tutto speranzoso di chi si aspetta che tutto torni al suo posto, ed è chiaro che se fosse per lui potremmo rientrare in affari anche subito, come se non me ne fossi andata e l’avessi lasciato lì come una stronza proprio alla fine della primavera, quando le giornate si allungano, le notti si accorciano e tutti i demoni di Sunnydale hanno un mucchio di tempo libero da passare al chiuso e al coperto. Addirittura mi chiede se ho imparato qualcosa di nuovo a Houston e io potrei dire di no, che a togliermi di dosso uno che ha in mente di violentarmi con un bel calcio nelle palle lo avevo imparato già da prima, solo che non mi era ancora capitato a Sunnydale di doverlo fare con uno di famiglia, e in quanto al lavoro avevo passato quasi tutto il tempo a scopare capelli dal pavimento, a pulire i pettini e a tenere aperta la porta alle clienti perché Monsieur Alexandre non fa certo mettere le mani in testa alle sue clienti dalla prima venuta, soprattutto quando le referenze che questa gli potrebbe portare sarebbero firmate col sangue o magari col sigillo dei demoni Kaa.

Tant’è vero che stare in una cantina a disegnare la riga con l’eye-liner semipermanente sulla palpebra di vampire annoiate o a fare la permanente a un demone della vendetta secondo la moda del 1920 dopo il mio soggiorno a Houston non sembra in fondo così male ed eccomi lì a chiedere a Clem se il “salone” è ancora aperto e se sua cugina ha già trovato qualcuno per sostituirmi. Peccato che durante l’estate sua cugina si sia trasferita a Cleveland per stare vicina alla madre ammalata di una misteriosa affezione dermatologica, confermando così ancora una volta l’indiscussa superiorità morale dei parenti di Clem rispetto ai miei e che il salone sia andato distrutto nel corso di un non meglio precisato “raduno” di una setta di adoratori del fuoco che probabilmente avevano esagerato con le loro manifestazioni di adorazione.

E io già sto pensando che con la scalogna che c’ho addosso, diciamo pure che mi sta attaccata come fossimo gemelle siamesi dalla nascita, va a finire che mi tocca andare a fare i turni serali al Doublemeat Palace, per intenderci quelli che non vuole fare nessuno perché a parte il lavoro che è uno schifo in sé e per sé ogni volta che vai a buttare la spazzatura corri il rischio che qualcuno abbia voglia di farsi uno spuntino “con” te invece che “da” te, se capite cosa intendo; e io non ho neanche uno straccio di ragazzo che venga a prendermi con la macchina, per non parlare di madri amorose o padri preoccupati per la mia incolumità, nel senso che mio padre si preoccuperebbe per la mia incolumità soltanto se andassi in giro con delle bottiglie di whisky infilate nelle tasche e in quanto a mia madre ha avuto l’accortezza di filarsela niente di meno che a Detroit, cioè praticamente nel posto più lontano da qui in cui uno possa andare senza lasciare il continente e senza espatriare, a parte l’Alaska naturalmente. Ma qui potrei sbagliarmi perché la geografia non è mai stata il mio forte a scuola; inoltre la mia insegnante di geografia è sparita misteriosamente prima della verifica finale, e per quanto possa sembrare strano questo è un modo tutt’altro che insolito di finire i corsi scolastici a Sunnydale.

Ma Clem si dimostra portatore non solo di amicizia e di beveraggi gratuiti perché già mi rassicura che un posto per me nel ramo cure estetiche settore demoniaco ci sarà sempre e che lui può trovarmi un lavoro così, e nel dire questo tenta di schioccare le dita, emettendo una sorta di “plop” al posto dello schiocco per via della sua particolare conformazione morfologica, perché lo sanno tutti che ero brava e coscienziosa, prova ne siano le mance sostanziose che mi lasciavano anche i demoni della vendetta, che tutti lo sanno quanto sono parsimoniosi. Giuro che dice proprio così - “parsimoniosi” – ma solo perché Clem non darebbe del taccagno nemmeno a Zio Paperone. I demoni della vendetta restano in circolazione un mucchio di tempo, sarà per questo che sono avare come un ebreo che prestasse denaro a strozzo ad Edimburgo. Sapete quel proverbio che dice “la farina del diavolo va tutta in crusca”? Si direbbe proprio che la stessa cosa succeda alla mancia del demone, e questo è un altro dei motivi per cui ho tentato di trasferirmi a Houston, perché ne avevo davvero abbastanza di ricevere in cambio dei miei servizi gattini, monete fuori corso e cartamoneta che alla luce del sole si riduceva a un mucchietto di polvere.

- Ma senti, credi che mi darebbero dei soldi “veri” questa volta? –

Clem mi guarda con tristezza e una traccia di offesa sul viso, come se stessi implicando che nemmeno lui sia del tutto vero, cosa che in effetti è difficile a credersi, perché è così gentile e cordiale che potrebbe benissimo essere una leggenda come Babbo Natale, e io mi affretto a chiarire:

- Devo fare la spesa al supermercato se voglio mangiare, lo sai. E non posso nemmeno abitare in un sotterraneo o in una bella cripta perché mi farebbe proprio male alla salute. –

- Ah, Tarantula, scusami, anche se la tua pelle è così tirata dimentico sempre che tu sei solo un essere umano. –

Decido di prenderlo per un complimento, ci mancherebbe altro che alla mia età la pelle non sia tirata; e per di più sarebbe anche un pessimo biglietto da visita per il lavoro. Insomma Clem alla fine mi rivela che un’altra parente – no, non proprio una parente ma la sposa vivente di un membro dormiente del suo clan, e grazie no, non voglio assolutamente andare a fondo sul significato di questo particolarissimo stato civile – ha aperto di nuovo la stessa buona vecchia attività proprio in centro, in un posto sicuro dove prima ci stava un certo Brack o Grack a spacciare magia nera al migliore offerente a quanto pare con tanto di ogni comfort, sala d’aspetto e schermatura anti-umani comprese.

A questo punto chiedo a Clem che fine ha fatto lo spacciatore e lui si agita sulla sua sedia a disagio finché questa comincia a scricchiolare in modo sinistro sotto il suo peso, e poi comincia a raccontarmi la storia più assurda delle storie assurde che mi sono state raccontate a Sunnydale, in cui per di più è immischiata un mucchio di gente che conosco solo di vista, sicché ogni quattro parole è costretto a farmi un identikit – e davvero non vorrei essere nei panni di un povero disgraziato di disegnatore della polizia che avesse Clem come testimone principale di un delitto, perché sarebbe una di quelle esperienze che ti viene voglia di tirarti un colpo in testa pur di farla finita alla svelta. Alla fine insomma mi sembra di capire che una strega della cricca della Cacciatrice sia andata fuori di matto dopo che uno spostato aveva sparato al suo amato bene e abbia fatto il solito macello di mezza primavera (che a Sunnydale è puntuale come lo sarebbe una fiera dei fiori in luoghi più bucolici e meno infernali) nel corso della quale lo spacciatore di magia nera così ben alloggiato ha perso anche l’ultima delle diverse vite di cui era dotato e ha tolto definitivamente l’incomodo. Il tutto con un contorno di spellamenti, viaggi sul piano astrale, combattimenti con mostri di terra e altre amenità che vi risparmio, tolto il particolare che mi interessa dal punto di vista professionale che nel pieno di questa furia omicida la strega di cui sopra ha operato su sé stessa una tintura full-immersion, che francamente se si potesse fare davvero mi tornerebbe veramente utile anche in occasioni meno funeste.

- E adesso la strega dov’è? – chiedo a Clem dopo che mi ha confusamente spiegato come Xander Harris in persona, il mancato sposo del mancato ricevimento di nozze a cui avevo mancato di partecipare fino alla fine, abbia convinto la sciagurata a più miti consigli attraverso una storia d’asilo – magari proprio quello stesso asilo che avevo frequentato con la mia amica Gladys. Sì, perché io ho due anni meno di Xander Harris e ho frequentato le stesse scuole fino alla fine, nel senso fino all’esplosione che ha distrutto il liceo di Sunnydale proprio durante la cerimonia di consegna dei diplomi. Quella fu l’unica occasione in cui ebbi fortuna, in effetti, perché se quell’anno George, il disgraziato che era la mia palla al piede di allora, avesse passato più tempo sui banchi di scuola e meno a rubare autoradio, fumare spinelli e tradirmi a destra e a manca, probabilmente sarebbe anche riuscito a diplomarsi, quindi sarebbe stato presente alla cerimonia e di conseguenza io ce l’avrei accompagnato. E magari ci avremmo lasciato la pelle tutti e due, come il nostro beneamato sindaco Wilkins, l’indimenticabile preside Snyder e un certo numero di studenti e di invitati.

Invece quel giorno io e George passammo la giornata al mare e nel momento preciso in cui la scuola saltò per aria io e lui giocavamo come due cuccioli fra le onde, tirandoci l’acqua addosso e facendoci scherzi scemi come se fossimo una coppia di attempati e spensierati amanti in una pubblicità di colla per dentiere. A pensarci bene, è stata anche una fortuna che quello sia l’ultimo ricordo che ho di lui, cioè un ricordo buono, perché con l’andazzo della nostra relazione le probabilità che l’ultima immagine che mi restasse di lui fosse una cosa bella che avevamo fatto insieme era una su dieci. La settimana successiva Lois Grey scoprì che George, che era suo vicino di casa, aveva messo incinta sua sorella Selma e gli spaccò il naso. George andò al Pronto Soccorso per farsi tamponare l’emorragia e da lì dobbiamo supporre che abbia raggiunto direttamente la stazione degli autobus perché da allora nessuno in città l’ha mai più visto. Mi mandò una cartolina da L.A. dopo un paio di settimane – un fondo di magazzino di cartolina con su la scritta “Hollywood” - senza dire né dove stava né come stava ma solo che gli mancavo: “Mi manchi. George.” La stessa identica cartolina con la stessa identica frase la mandò a quella povera donna della madre – lo so perché ci incontrammo io e lei con le nostre rispettive cartoline in mano, avendo pensato tutte e due che l’altra avrebbe avuto piacere di sapere che i vampiri non si erano mangiati George nel tragitto tra il Pronto Soccorso e la fermata degli autobus, però a Sunnydale non rimise più piede. Non posso nemmeno dargli torto: lo avete presente Lois Grey? Lavora al macello, è quello grosso con i capelli rossi che una volta ha usato la mannaia per tagliare la testa a un vampiro che era troppo malconcio per la caccia e si voleva rifornire all’ingrosso del meno pregiato sostituto di origine animale, almeno secondo Tony Delmonte, il suo compagno di lavoro ubriacone, ovvio se voi state a sentire quello che dice uno che alle dieci di mattina ha già gli occhi lucidi e il naso rosso.

Questo mi riporta al mio babbo e alle sue abitudini, e al fatto che in casa con lui è igienico restarci il meno possibile, e quando dico igienico mi riferisco anche al fatto che ci sono scarafaggi in giro, piatti pieni di muffa sotto i mobili della cucina e macchie di origine sospetta sui materassi e io non sono più la piccola Cenerentola che dopo la scuola correva a casa a lavare le chiazze di vomito dal pavimento e a raccogliere i bicchieri rotti da sotto il divano. E che quindi devo trovarmi un alloggio decente e per quanto gli affitti a Sunnydale siano sospettosamente convenienti per avere una casa ci vuole pur sempre un lavoro.





-Tu – dico a quella forma umana con i capelli a cespuglio che occhieggia da un angolo come un cane randagio – Io non lo voglio aiutare lui, Clem, nemmeno se è amico tuo.

Spike, niente di meno. Qui si rende necessaria una breve digressione sui miei principi. Come tutti, io ho degli standard riguardo agli uomini con cui mi accompagno, standard bassi, d’accordo, ma pur sempre standard e avere un battito cardiaco è una condizione sotto la quale non sono disposta ad andare. Io non ho niente contro il fatto che uno voglia fare sesso con me, ma il fatto che voglia fare pranzo con me mi indispone parecchio, scusate tanto ma sono fatta così.

Naturalmente per Spike io e altre avremmo fatto volentieri un’eccezione perché questo particolare vampiro è la nostra specialità locale, per così dire, uno schianto di giovanotto con occhi blu e un accento che ti viene voglia di mangiartelo, e il vantaggio supplementare di non poterti azzannare senza che gli venga un tremendo mal di testa.

- Ma lo potrei fare lo stesso, se ne valesse la pena –

come precisa lui a questo proposito con quel tono blandamente minaccioso che lo fa sembrare ancora di più un gatto affamato, ma insomma, è un buon deterrente. Senza contare che una paria come me un altro paria lo sa riconoscere, e un vampiro qui a Sunnydale che non può banchettare con i bravi cittadini ma si deve accontentare di fare il cane da guardia per la Cacciatrice per tirare avanti non è esattamente un candidato al titolo di vampiro dell’anno.

Al contrario è il candidato ideale – nonché probabilmente l’unico disponibile – ad occupare il posto di buttafuori in un salone di bellezza riservato ai demoni in cui una povera fragile e commestibile lavorante umana entra quattro sere alla settimana alle 09:00 p.m. sperando di uscirne, viva e tutta intera, alle 02:00 a.m., straordinari esclusi.

Io sono brava. Davvero, non si direbbe a vedere come mi pettino e come mi trucco “io”, ma quando si tratta di tingere capelli o squame o piume o di sfumare ombretto sulle palpebre o sui bargigli o di laccare unghie o artigli o zoccoli io non temo rivali; certo, Monsieur Alexandre è più informato di me sulle ultime tendenze di moda ma non credo proprio che se la caverebbe meglio se dovesse tingere le criniere di un intero clan di demoni Kaa in una sola notte e in modo che risultino tutte intonate o se dovesse truccare una neo-vampira in modo che assomigli a Barbie anche con le fauci di fuori e gli occhi gialli (diciamo una Barbie-vampira, va bene?)

Ora, il demone medio di Sunnydale è altrettanto stupido del cittadino medio di Sunnydale, visto che il primo si ostina ad abitare nella stessa città in cui risiede la Cacciatrice e il secondo insiste a voler coabitare con creature che lo trovano appetitoso, tuttavia non è “così” stupido da fare a pezzi gli esseri umani che contribuiscono al suo benessere, per quanto siano commestibili o importuni. Inoltre la cugina di Clem, nonostante la sua indole pacifica e il suo buon cuore, è perfettamente in grado di difendere sé stessa e le sue lavoranti da un certo numero di minacce che potrebbero comportare perdita di produttività o di parti del corpo o di entrambe. A un certo punto dell’anno scorso, però, un paio di giorni dopo quello in cui tutti si sono messi a cantare e a ballare – e no, non parleremo qui del valzer lento che ho ballato con mio padre e la sua bottiglia di vodka: l’unico vantaggio di vivere con un ubriacone è che non devi fare molta fatica per convincerlo che in realtà non è successo proprio niente, era solo un’altra crisi di delirium tremens– il compagno di una vampira che non era rimasta soddisfatta della sua permanente si mise in testa di spezzare il collo dell’altra lavorante, una demone mezzosangue molto simile per la verità a una normale donna grassa con un brutto caso di acne, che per sua disgrazia si era resa responsabile dell’affronto agli indomabili capelli crespi di quella lagnosa succhiasangue. Felicity, la cugina di Clem, li mise in fuga tutti e due con uno spruzzatore di profumo riempito di acqua santa e una serie di oscenità che non avrei mai creduto conoscesse e che mi svelarono un mondo completamente nuovo riguardo alle abitudini sessuali di alcuni clan demoniaci senza che la mia collega subisse conseguenze più gravi di un fastidioso torcicollo, ma poco prima della chiusura quei due disgraziati si rifecero vivi, o forse dovrei dire non-morti, con un paio di amici della stessa razza pronti a dar loro man forte nel fare a pezzi il locale e le sue occupanti. Quella notte però era mercoledì e il buon Clem doveva venire a prendere Felicity per andare a giocare a pinnacolo come tutti i mercoledì, e difatti si presentò sulla porta nel momento stesso in cui uno dei rinforzi dava inizio alla festa cercando di togliermi un occhio con il ferro arricciacapelli – che per mia fortuna però non è una cosa molto facile da fare con un arricciacapelli elettrico e come Clem fece un salto di lato, spaventato dallo spettacolo, ci accorgemmo tutti che non era venuto da solo ma si era tirato dietro un tizio con i capelli ossigenati e un soprabito di pelle nera, un po’ il mio look, se vogliamo, che con un marcato accento inglese e un eccessivo uso di imprecazioni pittoresche stava dicendo qualcosa su una donna che lo faceva diventare pazzo. Come vide la scena che si stava svolgendo nel locale, il nuovo venuto sorrise come un bambino che avesse trovato una bicicletta nuova sotto l’albero di Natale e disse in tono di apprezzamento “Una festa! Posso partecipare?” Gli avvenimenti successivi sono abbastanza confusi, però, soprattutto perché il bastardo che mi teneva per il collo si mise in agitazione e senza farlo apposta riuscì quasi a sgozzarmi con quel dannato arricciacapelli prima che riuscissi a divincolarmi e a strisciare nel retrobottega, dove sapevo di potermi trincerare dietro una scorta di acqua santa in bottiglioni. Mentre io strisciavo l’amico di Clem aveva già fatto qualcosa di brutto e definitivo all’altro sgherro, era saltato sul banco provocando un fragore di vetri rotti e un diluvio multicolore di essenze e di tinture e da lì teneva impegnati gli altri due vampiri maschi usando il manico della scopa come paletto. Come lo vidi balzare dal pavimento al banco in quel modo capii subito che o era un vampiro o era un acrobata molto bravo e ditemi un po’: cosa ci avrebbe fatto un acrobata così bravo a Sunnydale invece di lavorare a Hollywood come controfigura? A quel punto i suoi avversari erano ancora in tempo a usare il loro buon senso e a dileguarsi su per le scale ma evidentemente avevano dimenticato il cervello a casa e insistettero in una futile schermaglia finché vennero infilzati uno alla volta e contribuirono con la solita polvere grigiastra ad incrementare il volume della poltiglia di creme e di lozioni che ricopriva il pavimento. A quella vista la vampira – il cui stupido gusto in fatto di acconciature in fin dei conti aveva provocato tutto questo sconquasso – emise un suono stridulo, sfuggì con uno strattone alla inefficace presa dei due demoni dalla pelle floscia e si buttò con tutta la sua forza sulla porta di servizio. Il telaio della porta e il chiavistello cedettero contemporaneamente ed evitando per un pelo di impalettarsi da sola con le schegge di legno la bella riuscì a fiondarsi nelle fogne, dove nessuno dei presenti ebbe il desiderio o lo stomaco di seguirla.

Il nostro salvatore si spazzolò il soprabito, che a dire la verità era già molto conciato di suo, si guardò intorno e commentò “Bel posticino, un po’ in disordine però.” Solo allora mi resi conto che anche se era un vampiro non aveva perso per un momento il suo volto umano, e che quel volto umano era tutt’altro che sgradevole da guardarsi.

Ma questo succedeva quasi un anno prima del momento in cui io e Clem siamo nel sotterraneo del ricostruito liceo di Sunnydale e guardiamo questo mentecatto che parla da solo come quei barboni cha vagano per le strade e dormono sotto i fogli di giornale – a Houston, non a Sunnydale, perché ovviamente noi qui non abbiamo gente che passa le notti all’aperto. Non per molte notti, quantomeno. Io mi sento anche un’idiota, con il mio borsone degli attrezzi del mestiere, e sussurro a Clem:

- Perché non me lo hai detto che si trattava di lui?

- Perché se te lo avessi detto non saresti venuta – mi risponde Clem – Lo vedi anche tu come s’è ridotto. Poverino.

Mi viene da ridere a sentir dire “poverino” a Spike, come se non fossi io la poverina qui tra i presenti, senza un lavoro e con una casa piena di scarafaggi. E con dei parenti da schifo. E’ anche vero che non so per i parenti, se li sarà mangiati quando è diventato un vampiro, ma in quanto a specie animali moleste qui di certo è pieno di topi. Suppongo anzi che si nutra di topi, visto che non può né cacciare come fanno i vampiri di solito né andare dal macellaio come credo facesse l’anno scorso. Come se mi avesse letto nella mente, Clem dice:

- Io gli porto dei gatti ma il più delle volte non li tocca nemmeno. –

Scuote il testone preoccupato e si avvicina a Spike, che come lo vede arretra spaventato e comincia a dire

- No, no. Non devi incontrare Harry, lui non crede ai mostri. -

- Ha una ricrescita di quattro mesi – dico senza muovermi dal mio posto – forse di più. Dev’essere ancora la tinta che gli avevo fatto io a suo tempo. Che cosa gli è successo?

- Non lo so con esattezza: di sicuro qualcosa di tremendo. Ha perso tutto il suo buonumore, non vedi?

- Veramente a me sembra che abbia perso la testa – obietto.

Buonumore? Non mi sembra che Spike sia mai stato un campione di buonumore. Non che non abbia un suo senso dell’umorismo, anzi, ma è un umorismo che ti fa a fette come una lama d’acciaio.

- Anche - ammette Clem e poi si china su di lui, che sta dicendo a un fantomatico Harry che non avrebbe dovuto portargli i compiti, e da come parla ho paura che creda proprio di avere sei anni e di andare a scuola. Gesù, quanto tempo sarà passato da quando questo qui ha veramente avuto sei anni e ha imparato a scrivere? Clem gli parla come si parla ai bambini e ai matti.

- Guarda, ti ho portato Tarantula così ti taglia i capelli e te li mette a posto. E dove hai messo i vestiti che ti ho dato l’altra volta? Guarda qui, li hai tutti rovinati – si lamenta Clem accorgendosi che c’è qualcosa sotto il ginocchio di Spike.

- Gli avevo portato le sue cose – mi spiega cercando invano di raccogliere una camicia da terra, perché adesso il vampiro ci si è aggrappato con tutta la forza soffiando come un gatto arrabbiato, e io so già su chi scommettere se questi due vengono alle mani.

- Clem… - tento di avvertirlo ma Spike gli è già balzato addosso con un unico movimento tanto più impressionante dopo il pietoso farneticare di poco fa e ora gli sta seduto a cavalcioni sull’ampio petto e gli torce il naso, o quello che è, con una mano.

- Ahia, ahia! – grida Clem – Mi fai male!

- Siamo… tutti… demoni… qui? – chiede Spike sottolineando ogni parola con una strizzata di naso – Siamo tutti demoni cattivi?

Io no, mi dico, e devo fare qualcosa prima che Clem si ritrovi senza qualche importante pezzo della sua fisionomia – e io senza l’unica possibilità di rientrare nel giro cure estetiche per i demoni di Sunnydale. Questo mi fa decidere – sono sempre stata una vigliacca, cosa credete? non lo fossi stata avrei bussato già da anni alla porta di Ravello Street e chiesto alla Cacciatrice se le serviva una mano, lo fa Xander Harris, forse che non lo potrei fare io? – e mi avvicino lentamente, parlando ancora più lentamente, come faccio quando mio padre ha bevuto tanto da vedere cose che non ci sono

- Clem è buono, Spike. Clem è tuo amico. Lascialo andare adesso –

Mi chiedo se nel suo attuale stato di alienazione mentale il vampiro si lascerebbe scoraggiare da un po’ di mal di testa nel caso la mia vista gli mettesse appetito. Sarò più o meno appetitosa dei gatti che gli porta Clem?

Ormai sono a un passo, Clem sempre sdraiato per terra, Spike sempre seduto su di lui con le ginocchia strette in una presa d’acciaio, una mano attorno al naso del demone e l’altra sul collo per impedirgli di usare l’unica arma di difesa che ha. Ho sentito dire che la pazzia moltiplica le forze degli uomini, spero solo che non accada lo stesso ai vampiri perché Spike potrebbe strozzarmi con una mano mentre si accende una sigaretta con l’altra senza aver bisogno di nessun aiuto da parte della sua pazzia. Più per scaramanzia che per altro, ho preso dalla borsa il mio pennellone per il fard, che ha un bel manico di legno appuntito, ma dubito che sarei capace di infilarlo nel cuore di Spike, anche perché sto tremando come una foglia, del resto non è che possa nemmeno lasciargli strapazzare in quel modo una delle poche creature in questo mondo che mi abbia dimostrato dell’affetto. Per fortuna il vampiro sembra prestare orecchio alle mie parole e ripete lentamente

- Lascialo andare, adesso – come se parlasse a qualcun altro.

Odio quando fanno così, quando parlano con sé stessi come se ci fossero diversi coinquilini dentro un corpo solo, mi fanno sentire come se fossi sciroccata anch’io.

All’improvviso lascia la presa, si gira verso di me e io vedo i suoi occhi blu riempirsi di lacrime: sono affascinata, non ho mai visto un vampiro piangere, credevo che non avessero ghiandole lacrimali. Ad essere sincera, non ho mai capito che cosa i vampiri abbiano e non abbiano, questo qui ad esempio è sempre sembrato in tutto e per tutto una persona come me, solo più vecchio, più forte e magari anche più bello.

Mentre le lacrime gli scivolano lentamente sulle guance smagrite scavandosi una stradina bianca tra lo sporco il mio primo pensiero, assolutamente fuori di luogo, lo ammetto, è che anche lurido come un topo e matto come un cavallo è sempre l’uomo più attraente con cui sono uscita, e probabilmente anche il più educato, il che la dice lunga sul modo di comportarsi dei George e dei Ronnie di questo mondo. Non che il vampiro sia stato educato “con” me, figuriamoci, ma lo capivo anch’io che aveva delle potenzialità in questo senso, che doveva essere uno di quelli che ti aprono la portiera della macchina e ti regalano mazzi di fiori, e che se prendono fuoco le tende non scappano dalla porta della cucina senza neanche avvertirti come quella volta George alla festa di suo cugino. Tanto per fare un nome a caso.

Mentre Spike piange e mi fissa – e chissà cosa sta vedendo invece della mia faccia – Clem riesce a strisciare via senza che lui faccia più niente per trattenerlo, avendo perso interesse nel suo demoniaco amico come un bambino che si è improvvisamente stancato di un giocattolo; io resto ferma, mormoro “Su, su, non fare così.” e quasi quasi mi sto per commuovere anch’io quando il vampiro all’improvviso comincia a ruggire come una belva – una cosa tanto più spaventosa perché nel frattempo il suo volto resta completamente umano – come una belva che sta soffrendo, che sta morendo anzi, e allora io faccio un balzo all’indietro tenendomi le mani sulle orecchie e sugli occhi perché non voglio più vederlo, non voglio più sentirlo, non voglio avere niente a che fare con i fantasmi o i mostri o qualsiasi altra cosa spaventosa che abita nella sua testa e grido a Clem:

- Andiamo via, Cristo, non c’è niente che possiamo fare adesso. -

Così ce ne andiamo lasciando il vampiro allo strazio della sua follia e alla ricrescita dei suoi capelli, Clem con le lacrime agli occhi non so se per il male che gli fa il naso o quello che stringe il suo cuore sensibile, io con un gusto amaro di rivalsa in bocca, perché anche se a suo tempo ho augurato a Spike di andare all’inferno, non intendevo proprio alla lettera. Per quanto qui a Sunnydale sia sempre meglio fare attenzione alle parole che si usano.

Tre sere dopo, sono ancora a casa di mio padre e sto parlando al telefono – il mio cellulare perché mio padre si è dimenticato di nuovo di pagare la bolletta – con la mia amica Dolores che mi racconta di quello che è successo a scuola a suo fratello minore, Carlos, e mi sta dicendo che è una fortuna che finalmente il ragazzo si sia dato una regolata perché se il preside li fa chiamare ancora una volta, é quella buona che suo marito Luis butta fuori di casa Carlos una volta per tutte e il ragazzo se ne torna in Messico dalla nonna (l’avessi io una nonna in Messico, a quest’ora sarei là a mangiare tortillas e frijioles, ma non è quello che Dolores vuole sentirsi dire, perciò sto zitta) ed ecco che proprio mentre Dolores fa una pausa per prendere fiato suona il campanello della porta.

- Scusami, Dolly, ma adesso devo proprio andare, c’è qualcuno alla porta, probabilmente un altro dei creditori di papà. –

Stasera mio padre sembra meno sbronzo del solito, infatti invece di svenire lungo disteso sul pavimento si è messo a russare sulla poltrona con il giornale sulle ginocchia come un qualsiasi bravo papà rispettabile, e quasi quasi mi dispiacerebbe lasciarlo in pasto a qualcuno a cui deve dei soldi da così tanto tempo che è persino disposto ad avventurarsi nelle strade buie di Sunnydale per venirlo a cercare a casa.

Do un’occhiata al bell’addormentato mentre passo davanti alla porta del salotto e noto con piacere che il mio vecchio deve aver dato una ripulita alla stanza – o magari convinto la nostra caritatevole vicina a farlo al posto suo per guadagnarsi un posto in Paradiso – e che riesce perfino ad alzare una palpebra di qualche millimetro, segno che il campanello l’ha sentito.

- Lascia stare, papà, vado io –

gli dico magnanima intanto che mi viene in mente che magari, non si sa mai, la polizia ha trovato la macchina che mi hanno rubato a Pasqua, per quanto la nostra forza pubblica vada più famosa per le cose che riesce a non vedere che per quelle che è capace di trovare.

Sono così sorpresa di vedere attraverso il vetro Spike che aspetta sul gradino con quella tipica aria da martire che mette su ogni volta che è costretto a passare qualche nanosecondo in attesa che faccio istintivamente un balzo all’indietro ed emetto un imbarazzante gridolino di paura.

Sapete che cosa c’è di bello nei vampiri? Che diversamente da rapinatori, stupratori o maniaci omicidi, non importa che siano pazzi o non pazzi, col chip o senza, che siano appena strisciati fuori dalla tomba o che siano in circolazione da centinaia d’anni, i vampiri non possono entrare in casa a meno che non siano stati invitati. E nessuno è così stupido da invitare un vampiro in casa, non è vero? Io no di sicuro.

Perciò Spike può restare sul gradino di casa mia fino all’alba ed è inutile che mi guardi con quell’espressione di dignità offesa nei suoi occhioni blu, perché tanto io non mi commuovo e lì lo lascio.

- Dai, tesoro, tanto lo so che sei lì – mi dice col naso appoggiato al vetro

- E allora? – rispondo io aprendo la porta così in fretta che non fosse per l’invisibile barriera mistica lui mi cadrebbe addosso – Tanto non ti invito certo ad entrare.

- Non voglio entrare. – mi risponde col suo sorriso, quello che se potesse brevettarlo

diventerebbe il vampiro più ricco del mondo nel giro di qualche settimana – Ma ho bisogno di te. Professionalmente. – chiarisce come se potesse anche solo venirmi in mente il contrario.

- Ci puoi giurare che hai bisogno di me – rispondo io, impietosa ma obiettiva – Hai i capelli che sono conciati da fare schifo. –

- Lo so, amore – ammette lui e non sembra per niente pazzo – E’ per quello che ho bisogno delle tue mani da fata.

- L’altro giorno volevi strappare il naso a Clem perché aveva avuto la stessa identica idea –

gli ricordo, mentre la mia mente calcola in automatico l’esatta combinazione di tintura che servirebbe per farlo passare da quel castano sbiadito da intellettuale alternativo al biondo platino da divo rock.

- Lo sai come vanno le cose in questa città, Tarantula: succedono cose strane là sotto. C’era della gente morta che era entrata nella mia testa. -

- Tu fai parte della gente morta. –

- Quelli erano più morti di me –

mi dice e non faccio fatica a credergli, perché era esattamente quello che secondo Dolores sosteneva quel cacciaballe di suo fratello Carlos, cioè che nei sotterranei della scuola c’era della gente morta che lo aveva aggredito. Solo che Dolores era incline a pensare che fosse un problema di droga più che di zombie. Come se una cosa escludesse l’altra.

- Senti, dobbiamo stare qui molto? I vicini si chiederanno chi sono e che cosa voglio – mi sussurra come se io fossi Doris Day in una qualche commedia anni ’60. Quando sussurra in questo modo il suo accento inglese è sexy in modo addirittura ridicolo, ma io non ci casco.

- Visto che quello che vuoi è taglio e tinta – dico brusca - hai intenzione di pagare almeno i materiali?

- Ma certo – replica in tono offeso, come se non mi avesse scroccato più di una birra con la scusa di avermi salvato la vita. – Ti pagherei anche per il tuo disturbo, tesoro, ma potresti farlo in nome dei vecchi tempi. E poi…

- … sei al verde.

- Già, come hai fatto a capirlo?

Come ho fatto a capirlo? Facile: perché tutti gli uomini che frequento o non hanno il becco di un quattrino o sono dei ladri o sono dei veri figli di puttana. Spesso tutte e tre queste cose insieme.

- Aspettami, prendo della roba e andiamo nel garage – gli intimo.

Non mi chiede ancora di entrare e un po’ persino mi dispiace, in questa casa perfino la visita di un vampiro servirebbe ad alzare la media, quanto meno la visita di un vampiro carino come questo. Nel garage, ora che a papà hanno ritirato la patente e a me hanno rubato la macchina, ho messo un paio di sedie e ho sistemato un lavatesta attaccato al tubo dell’acqua per annaffiare; per le altre clienti scaldo l’acqua usando un fornellino da campo, ma non credo che lo farò per Spike, tanto i vampiri non sentono il freddo. Ci sono anche una radio, una lampada d’officina e tutto quello che mi serve per lavorare comoda e tranquilla: certo non è il salone di Monsieur Alexandre con i suoi marmi rosa e i suoi cristalli fumè, ma è pulito e arieggiato e soprattutto mio padre non ci mette mai piede. Non ci potrei pagare un affitto ma almeno non resterò completamente al verde intanto che non ho un posto di lavoro vero e proprio.

- Arredo minimalista – osserva Spike dopo essersi guardato attorno – Mi siedo là?

- Su quella sedia. Questo è quello che passa il convento, tesoro – replico io facendogli il verso – perciò se non ti piace…

- No, no. Va benissimo –

si affretta a replicare e mi fa persino un mezzo sorriso di scusa. Giuro, mai visto un uomo così attaccato ai suoi capelli. Mentre lavoro, chiude gli occhi e ascolta la musica alla radio, battendo il ritmo con la mano sul bracciolo della sedia; strano che non faccia storie per il tipo di musica che danno, non abbiamo esattamente gli stessi gusti in fatto di gruppi: i suoi sono così… antiquati, ma non è strano che lo siano, non è vero?

La sua testa è fredda ma non gelida come quella di un morto, la pelle del suo collo liscia e compatta come un pezzo di sapone, anche se immagino che il paragone corretto in questo caso sarebbe alabastro, e quando gli dico di stare fermo smette anche di respirare, cosa che non ho mai capito esattamente perché si ostini a fare comunque visto che non ne ha bisogno.

Non è la prima volta che gli faccio la tinta, l’ho già fatto l’anno scorso, ma è la prima volta che lo faccio senza avere nessuna aspettativa, se capite quello che intendo, e perciò mentre giro attorno al suo orecchio stando attenta a non sbavare, l'idea che qualche mese fa ho fatto delle cose con la mia lingua su questo stesso lobo mi fa sorridere.

- Dove sei stato?

- Quando?

- Quest'estate: non eri a Sunnydale.

- Nemmeno tu. Dove sei stata?

- Houston. E tu dov'eri?

- Africa. Perchè Houston?

- Lavoro. E tu perchè Africa?

- Perchè la gente viaggia? Per viaggiare.

- Uhm. Sabbia, sole, gente malnutrita: che ci facevi in Africa, Spike? E poi Africa dove, Egitto, Sudafrica o cosa, quella dei cavalieri, Malta?

- Per amor del cielo, Tarantula, l'isola di Malta è in Europa.

- Girati un po' verso destra, per favore, ecco, sì, così. Credo di aver letto un libro sui cavalieri di Malta. E' un'isola piccola.

- Capitale La Valletta - completa lui come se ci tenesse a colmare le mie lacune in geografia o forse vuole solo sviare il discorso dallo scopo del suo viaggio. Non è che possa alzarsi ed andarsene con la tinta su mezza testa sì e su mezza testa no.

- Se lo dici tu. Li faccio del solito colore, naturalmente.

- No, li fai blu come quelli della Fata Turchina. Certo che li fai del solito colore, donna, che domande mi fai?

Ridacchio fra me e me spalmando la tinta ciocca per ciocca pensando come starebbe con i capelli blu, a parte che probabilmente starebbe benissimo perché farebbero pendant con gli occhi, però questa cosa del suo viaggio in Africa continua ad incuriosirmi. Tanto più perché evidentemente non ne vuole parlare e questo è veramente strano, perché se c'è una cosa che a Spike piace - a parte il sangue tagliato con l'whisky, le corse in moto e quella sua Cacciatrice formato mignon - è proprio quella di sentire il suono della sua bella voce mentre esprime le sue opinioni sui fatti degli altri in modo tanto colorito quanto scortese. E proprio mentre sto pensando che a lui invece non frega un accidente di che cosa ho fatto ad Houston - non che mi aspettassi il contrario, s'intende - sento una domanda che a tutta prima non riesco nemmeno a capire da dove provenga:

- Perchè sei tornata a Sunnydale, Tarantula?

D'istinto mi volto a cercare chi abbia parlato, primo perché il grande vampiro centenario se ne fa un baffo di quello che succede alle povere parrucchiere di Sunnydale, secondo perché non sembra esattamente la voce di Spike, cioè sembra la voce di Spike dopo che si è sgonfiato di un bel po', se capite quello che intendo, o magari era la voce che aveva prima di diventare una creatura della notte che si nutre di sangue. Ma lui si gira un po' a guardarmi - ce l'ho uno specchio ma ovviamente non mi serve a niente con questo tipo di clienti - e così facendo il colore gli cola lungo il collo e finisce sull'asciugamano che gli ho messo sulle spalle per proteggere la sua maglia nera da incidenti e mi ripete la domanda guardandomi in modo incerto:

- Allora? Perchè sei tornata in questo cazzo di posto? Che ti è successo a Houston?

E con questo siamo demoni due e umani zero, almeno per quanto riguarda l'interessarsi ai guai del prossimo ove questo prossimo si chiami Taylor Peters, che poi sarei io così come risulta dal mio numero di tessera sociale.

- Quello stronzo di mio cugino mi è saltato addosso mentre mia zia era andata in Chiesa. Ecco quello che è successo. -

- E tua zia...

Scrollo le spalle.

- ... non ha creduto alla tua versione dei fatti. - completa lui stringendo un po' gli occhi e inclinando la testa da un lato in un gesto che gli è tipico. Sono sorpresa perché non lo facevo così intuitivo, no, non è esatto, intuito ce l'ha sempre avuto, è il fatto che sappia così bene da che parte si schierano le vecchie bigotte quando hanno per figlio un porco debosciato che mi lascia di stucco.

- Già. Come hai fatto ad indovinare? Sta fermo, ti è entrato il decolorante nell'orecchio, adesso lo tolgo con l'asciugamano.

- La classica storia della parente pov... - si ferma e mi fa segno di stare zitta. Adesso mi aspetterei che si sdraiasse per terra con l'orecchio incollato al pavimento, invece si alza dalla sedia e si sposta verso la saracinesca del garage, che ho lasciato mezza alzata per fare entrare un po' di aria fresca, non che a "lui" il caldo darebbe fastidio ma io sono già un bagno di sudore e oltretutto devo usare i guanti per maneggiare i prodotti. Si è armato della vanga che è ancora appesa al muro dai tempi remoti in cui papà si dedicava al giardinaggio e ora si è accovacciato nell'ombra e scruta verso l'oscurità del cortile rimanendo assolutamente immobile e non fosse per l'asciugamano rosa ricamato a fiorellini blu che porta avvolto attorno al collo e le ciocche di capelli intrise di decolorante che stanno in piedi come gli aculei di un istrice sembrerebbe proprio una letale minaccia. Mi lascio prendere da una passeggera preoccupazione per il mio vecchio addormentato in salotto mentre la porta di casa non è nemmeno chiusa a chiave prima di ricordare che almeno metà dei guai in cui attualmente mi trovo è colpa del vecchio ubriacone e che se proprio devo preoccuparmi per qualcuno posso sempre preoccuparmi per me stessa. Così mi sfilo i guanti e resto ferma dove sono nella convinzione che chiunque sia là fuori e qualunque cosa voglia non c'è proprio bisogno di rendergli il lavoro più facile emettendo stupidi e riconoscibili rumori umani. La prima cosa che sento è un rumore di legno che si spacca lentamente, come se una bestia troppo grossa fosse salita sul ramo dell'albero dei vicini, e subito dopo un paio di tonfi come se qualcosa fosse precipitato dal suddetto ramo sul soffice terreno. Ho appena il tempo di ricordare che i vicini hanno un cane - un grosso dobermann di tredici anni di cui avevo una paura dell'accidente quand'ero ragazzina – e di chiedermi perché diavolo non stia facendo il suo lavoro di cane da guardia prima di sentire una serie di cupi grugniti d'incerta origine intervallati da pietosi guaiti che potrebbero effettivamente provenire da un cane, anche se faccio fatica a credere che il vecchio feroce Siegfrid possa suonare così patetico. Prima che mi renda conto di che cosa stia succedendo, il mio cliente è già uscito dal mio estemporaneo salone armato di vanga e di asciugamano a fiorellini senza dire una parola, senza fare rumore e senza lasciare mance. Molto meno silenziosa ma in compenso molto più lenta, arranco in punta di piedi fino all'uscita del garage e sbircio alla fioca luce della vecchia lampada da giardino dei vicini. Si direbbe che il dobermann Siegfrid sia andato a seppellire l'ultimo osso nei giardini dell'eternità, perché ha smesso di guaire e ora giace con le zampe all'aria subito al di qua della recinzione con i vicini, mentre una pozza umida si sta allargando sull'erba rinsecchita dell'area incolta che io e papà chiamiamo il nostro prato più per abitudine che per convinzione. A prima vista il responsabile del canicidio potrebbe essere quella creatura grossa e pelosa che ha afferrato Spike per la gola con le sue zampacce e lo sta sbatacchiando di qui e di là come se fosse un cespo d'insalata da scolare; ma nel frattempo il mio vampiro non demorde e continua a tirare calci al suo avversario nelle parti molli o che potrebbero esserlo e a menargli sul testone oblungo colpi di vanga che risuonano tutt'attorno con un cupo clang clang. Anche se non credo che se Spike potesse parlare chiederebbe il mio aiuto quanto piuttosto imprecherebbe come un carrettiere perché non dev'essere piacevole venir sbattuto ripetutamente in quel modo contro i montanti di cemento della palizzata, mi pongo il problema di fare qualcosa per preservare il suo collo e il mio asciugamano: è vero infatti che se anche spezzi l'osso del collo a un vampiro quello non muore finché non riesci a separare la testa dal corpo, ma è anche vero che è assai probabile che svenga e io non ho la minima voglia di restare a tu per tu con questa cosa che se fosse un po' più piccolo potrebbe forse essere un lupo mannaro enorme.

Il nostro tubo da innaffiare è così impolverato per il poco uso che si fa fatica a capire dove comincia il tubo e dove finisce l'arrotolatore, ma io so che è ancora collegato al rubinetto perché la settimana scorsa mi ha gocciolato sulle scarpe mentre cercavo di sbloccare la saracinesca, così allungo una mano ad aprire il rubinetto fino in fondo e con l'altra afferro l'estremità del tubo e lo srotolo più in fretta che posso come se stesse andando a fuoco la casa e intanto che litigo con le annose spire di quel serpente di plastica lo sento gonfiarsi sotto le mie dita così che quando finalmente riesco a sollevarlo l'acqua sta già uscendo con un bel fiotto generoso e io sono anche abbastanza brava da centrare il mostro in faccia o quello che è al primo tentativo, sebbene mi tremino le mani per la paura di fare un pasticcio e di innaffiare invece i capelli in lavorazione di Spike perché non solo non servirebbe a niente ma rovinerebbe tutto il mio lavoro. E' vero: non sto pensando chiaramente, perché se questo tipaccio tramortisce Spike io rischio di fare la stessa fine di Siegfrid e a quel punto il mio orgoglio professionale sarebbe al riparo da ogni offesa per sempre, ma che vi devo dire, avere nel mio giardino un vampiro e un enorme mostro peloso che cercano di ammazzarsi a vicenda mentre il cane dei miei vicini muore dissanguato sul mio prato ha evidentemente appannato le mie capacità di ragionamento.

In ogni caso l'effetto della mia estemporanea azione di disturbo va oltre ogni rosea aspettativa perché emettendo un lamento che sembra quello di King Kong quando gli sparano sull'Empire State Building il mostro molla la presa e lascia cadere Spike sull'erba, anzi a dire la verità sul corpo del povero Siegfrid che assorbe la caduta come un materassino di gomma facendo un orribile suono da palloncino sgonfiato.

- Brava - trova il tempo di dirmi Spike con voce arrochita dai maltrattamenti subiti dalla sua gola intanto che si rialza e si ributta alla carica con rinnovato ardore, e io mi sento molto orgogliosa di quello che ho fatto perché ho passato tutta la vita a Sunnydale ed è la prima volta che torco un capello a qualcuno. Almeno in senso figurato perché a rigor di termini ho passato un mucchio di tempo ad attorcigliare capelli a una grande varietà di soggetti.

Ora il mostro si sta arrampicando sulla palizzata nell'ovvio tentativo di andarsene per la stessa strada per la quale è presumibilmente arrivato e che il dobermann ha inutilmente difeso a prezzo della vita ma Spike lo tira giù e gli dà addosso vangate su vangate finché non si muove più.

- E' morto? - chiedo senza avvicinarmi troppo.

- Certo - risponde Spike che si è inginocchiato di fianco a Siegfrid – Gli ha spezzato l'osso del collo buttandolo giù dalla palizzata. Era il tuo cane?

- No, era il cane dei vicini, aveva questa fissazione che niente e nessuno potesse passare sul suo terreno senza lasciargli un pezzetto di carne per ricordo.

- Non ti piacciono i cani - mi rimprovera Spike.

- Non ti facevo così amante degli animali: è solo perché sei inglese o è perché porti il nome di un cane anche tu? - ribatto - Dicevo se è morta quella... cosa là.

- Non ci scommetterei: questi demoni mannari rispuntano quando meno te lo aspetti.

- Un che? Un demone mannaro? Ma non è mica luna piena.

- Non è luna piena qui. Nel posto da cui viene lui non si sa - spiega Spike e si sposta verso il corpo del suo avversario, che giace scomposto a pancia all'aria, col pelo tutto arruffato e i quattro arti, tutti più o meno della stessa lunghezza e tutti muniti di strani zamponi che finiscono con cinque grossi artigli violacei, spalancati.

Mi accorgo di tenere ancora in mano il tubo dell'acqua e di stare allagando il giardino e mi affretto a chiudere il rubinetto prima di raggiungerlo.

- Se fosse morto non dovrebbe tornare nella sua forma umana, insomma, nella sua forma normale? - chiedo osservando il muso affollato di pelo fra cui si distinguono a malapena le palpebre, chiuse e prive di ciglia, un naso a palla dalle narici allungate e delle piccole orecchie frastagliate che sembrano attaccate nel posto sbagliato.

- Forse. Ma come cazzo è la sua forma normale? - dice Spike pensieroso e quando si accorge di come lo sto guardando aggiunge - Non lo so, va bene? Scusa tanto se non sono un trattato ambulante di demonologia.

- E allora come fai a sapere che è un demone mannaro?

- Che cosa succede, Taylor?

Mi volto e vedo mio padre, in ciabatte, pantaloni del pigiama e canottiera, inoltrarsi sul terreno fradicio

- E perché è tutto bagnato? - aggiunge guardandosi sconcertato le ciabatte infangate. Fa schifo, ma sembra sobrio.

- Niente, papà, torna in casa.

- Chi è quest'uomo? E che cosa sono quelle cose? - insiste mio padre indicando i corpi a terra. Resto un attimo spiazzata non tanto perché non so cosa rispondere quanto perché non riesco a ricordare quanto tempo è passato dall'ultima volta in cui mi ha rivolto tre, no, quattro domande di seguito. Spike ne approfitta per interloquire:

- Buona sera, signore, lei è il padre di Tar..., di Taylor, immagino. Mi stavo facendo tagliare i capelli da sua figlia quando c'è stato un po' di trambusto. Ora però è tutto a posto.

Visto? Lo sapevo che c'era del potenziale in lui: questa è stoffa da perfetto fidanzato, e non dico solo per le parole in sé e per sé, dovreste sentire come ha parlato, mi ha fatto venire in mente l'ex bibliotecario dell'ex liceo, quel signor Giles così carino e così misterioso.

Mio padre ci casca vestito e calzato, si fa per dire perché in realtà non è né l'uno né l'altro, e gli si rivolge come se fosse San Giorgio dopo che ha sconfitto il drago.

- Succedono certe cose in questa città... Un padre si preoccupa.

Ipocrita bugiardo, quando mai si è preoccupato il vecchio ubriacone?

- Ma certo - rincara la dose il nostro vampiro gentiluomo non meno ipocrita e non meno bugiardo di lui - E' Sunnydale, dopotutto. - e intanto si sposta di lato per coprire la vista del demone mannaro.

- Quello è il cane dei vicini, Manfred - dice mio padre indicando il corpo del dobermann col dito e facendo una certa confusione tra nomi tedeschi - Che cosa gli è successo?

- E' caduto sul campo - dico io - Era un bravo cane.

- Difendendoci da un grosso randagio rinselvatichito - rincara la dose Spike. Come pensi di far passare un demone peloso di due metri per un cane randagio va al di là della mia immaginazione.

- Era una bestia stupida e sanguinaria - obietta mio padre e quasi quasi potrei ricominciare a volergli bene - E tu l'hai sempre odiato a morte, Taylor. Come minimo i Bruebacker penseranno che sei stata tu.

- Non credo che i Bruebacker siano in casa, oppure sarebbero venuti a vedere che cosa sta succedendo.

- Non c'è bisogno che sappiano i particolari di questa... disgrazia, porterò la povera bestia sull'altro lato del giardino - si offre Spike con perfetta urbanità. Se li lascio fare mio padre lo inviterà in casa per offrirgli una tazza di tè o un bicchere di limonata ed è vero che io sono tanto tanto riconoscente a Spike; ma non così riconoscente da invitare un vampiro a casa mia.

- I tuoi capelli! - dico allora - Temo di aver lasciato il decolorante troppo a lungo. Accidenti, accidenti, accidenti. Dobbiamo proprio andare.

Ma naturalmente per il momento non possiamo proprio andare da nessuna parte perché se io e Spike ci spostassimo mio padre vedrebbe chiaramente questa grossa cosa pericolosa che giace sul nostro prato e dovrebbe ammettere di non esserne affatto sorpreso, cosa che non farebbe mai nemmeno da ubriaco figuriamoci in uno dei suoi rari momenti di sobrietà; così restiamo lì a guardarci l'un l'altro come tre tipici cittadini di Sunnydale alle prese con fatti che preferiscono far finta che non siano mai accaduti finché mio padre grazie forse alla percentuale insolitamente bassa di alcool nel suo sangue capisce l'antifona tutto da solo, borbotta:

- Allora ti lascio al tuo lavoro, Taylor. Buona sera - e rientra in casa trascinando le sue ciabatte infangate.

- Muoviti, vediamo che cosa si può fare per i tuoi capelli - sollecito Spike spingendolo verso il garage, mentre lui ragionevolmente obietta che non possiamo lasciare il demone lì dov'è, casomai non fosse morto, dimostrando con mia grande sorpresa di essere più interessato al rischio di morte prematura del vicinato che a quello di decolorazione eccessiva delle sue radici. Troviamo un rotolo di corda in garage e Spike vi trascina il corpo del demone mannaro, che è svenuto ma ancora vivo, procedendo poi a legarlo come un salame con un'abilità che non voglio nemmeno pensare quando e dove e perché abbia acquisito. A dir la verità io vorrei anche vedere se inchiodandolo al terreno con il rastrello il demone sopravviverebbe ancora ma il mio cliente si rifiuta di darmi man forte in questa bisogna, e siccome il cliente ha sempre ragione - in particolare quando è un vampiro di centoventi anni - non mi resta che inchinarmi alle sue preferenze.

Il resto della serata trascorre operoso e tranquillo, nel senso che io opero e gli altri due se ne stanno zitti e buoni ovvero uno buono e l'altro privo di conoscenza mentre tolgo il decolorante e stendo la tinta. E' mentre io e Spike aspettiamo che la tinta faccia effetto, subito dopo che gli ho spiegato che i suoi capelli potrebbero risultare un po' più gialli del dovuto e che per tutta risposta lui ha cercato senza risultato di scroccarmi una birra - quest'uomo è il più perseverante scroccatore di birre che io conosca e, credetemi, questo vuol dire qualcosa - che il nostro silenzioso e involontario ospite comincia a starnutire. La prima volta starnutisce così rumorosamente che per poco non mi viene un accidente e mi stringo istintivamente a Spike come un bimbo spaventato dal temporale alla sua mamma, mentre da parte sua lui si ritrae come una fanciulla a cui venissero fatte delle indesiderate avances; a questo punto siamo così imbarazzati dal nostro reciproco inopportuno comportamento che accogliamo con sollievo anche il diversivo di un demone colto da un violento accesso di starnuti. Il nostro involontario ospite starnutisce a più non posso per quasi cinque minuti mentre il naso a palla assume una colorazione violacea e uno spesso muco grigiastro gli cola dall'unica narice come fosse lava dalla bocca di un vulcano. E sì, fa schifo esattamente come sembra a sentirlo descrivere.

- Che schifo - borbotta infatti Spike mentre cerca allo stesso tempo di tenersi fuori tiro e di slegare il demone, che tra uno starnuto e l'altro ci guarda in modo discretamente implorante con occhi lacrimosi, verdi e dotati di una strana pupilla oblunga - Possibile che in questa città non ci si possa nemmeno fare i capelli in pace?

A chi lo dice.

- Perché lo sleghi?

- Così almeno si pulisce il naso. Strano che abbia preso freddo con questo look da yeti che si ritrova.

- Più facile che sia un'allergia - obietto io. Certe volte questi non-morti dimostrano proprio tutti gli anni che hanno: non credo infatti che al tempo in cui Spike era vivo ci fossero tante allergie. In compenso bastava trascurare un raffreddore e potevi persino beccarti una polmonite e finire col rimetterci le penne. Il nostro amico peloso qui però, mi spiace dirlo, ma sembra che non toglierà il disturbo così facilmente, perché non appena Spike ha finito di slegarlo alza una delle sue zampone a pulirsi vigorosamente il naso in modo efficace anche se molto poco elegante.

- Non ha più gli artigli - noto io - Prima aveva venti centimetri di artigli su tutte e quattro le zampe.

- Sarà calata la luna - dice Spike - O quello che è. Ha anche cambiato colore.

In effetti se prima aveva pelle e pelo di un uniforme bianco sporco adesso tra un pelo chiaro e l'altro si intravede un luccicante verde-blu di base: a dir la verità è anche peggio di prima, perché ora sembra un gigantesco pupazzo di plastica coperto di pelo sporco e col naso che cola.

- Credi che questo colorito bluastro sia... normale?

- Smettete.. etciù... di parlare di me... etciù... come se non avessi ancora... etciù... ripreso conoscenza! - ci dice il demone a questo punto senza smettere di starnutire. Ha una voce baritonale e ben impostata che sarebbe più adatta a un candidato in campagna elettorale che a un demone mannaro di due metri.

- Finito con la tua missione di distruzione e terrore? - gli chiede Spike con un tono più amichevole di quello che mi sarei aspettata dopo che si è preso tutti quei colpi in testa. E’ anche vero che anche se tutti i vampiri hanno la testa dura ce ne sono certi che l’hanno più dura degli altri. Nel frattempo io sono riuscita a trovare un pacchetto di fazzoletti di carta nella tasca del grembiule e li offro al mostro che li afferra e mi ringrazia educatamente prima di rispondere.

- Mi dispiace... etciù... non ricordo niente... etciù... di quello che faccio quando... etciù... mi trasformo. Non avrò mica... etciù... ammazzato qualcuno?

- Il cane dei miei vicini - lo informo io, ma come vedo la sua espressione mi affretto ad aggiungere:

- Era cattivo. Faceva paura ai bambini.

- E' terribile - commenta il demone e si asciuga gli occhi con un fazzoletto di carta

- Era anche vecchio, anzi sarebbe presto morto di vecchiaia - rincaro io.

- Dove sono?

- A Sunnydale.

Il demone starnutisce e ci guarda come se fossimo due deficienti.

- A casa mia - rettifico io - Anzi nel mio garage.

Altra raffica di starnuti e altro sguardo di compatimento.

- Lo vedo, grazie. Perché lui ha quella roba sui capelli?

- Glieli sto tingendo. Ed è fortunato che ha la testa dura, perché altrimenti a quest'ora tutto quello che potrei tingergli sarebbe il cervello.

- Mi spiace tanto, anche se credo proprio che tu sia un vampiro. Ma hai uno strano odore per essere un vampiro.

Io non sento niente, ma non c'è da meravigliarsi visto che probabilmente sono quella della comitiva che ha il naso peggiore.

- E' la tinta - dice Spike in fretta - Perché starnutisci, Eolo?

- Non lo so, mi succede sempre quando smetto di essere... sì, insomma, mannaro, come dite voi. Adesso finisce.

Quindi c'è un voi - umana di un metro e sessantacinque scarsi e vampiro sul metro e settantacinque -e un noi, demoni alti due metri con la pelle blu e la pelliccia bianco sporco ai quali capita di diventare mannari e di sviluppare artigli violacei lunghi venti centimetri. Del resto la gran parte dei demoni tende a snobbare i vampiri vedendoli come un compromesso poco riuscito tra uomo e demone e non sembra trovare rilevante la circostanza che quando metti insieme umani e vampiri i primi tendano a fare una brutta fine. Graziosi vampiri mezzi matti resi inoffensivi da un dispositivo elettronico a parte. E che ora rischiano anche di restare con i capelli mezzo arancioni, se non ci spicciamo a togliere il decolorante.

- Sentite, gente, io mi chiamo Sassassa - dice il demone - siete stati proprio gentili a non uccidermi. Del resto - aggiunge guardando Spike in modo significativo - io sono terribilmente indigesto. Non vi dispiace se resto seduto qui ancora un po' prima di andare a casa e cercare di capire che cosa è successo? Ho bisogno di una mezz'oretta per riprendermi. E' lontana la stazione da qui?

- Non tanto, ma non ci sono treni a quest'ora.

- Abito vicino alla stazione, in una bella caverna asciutta, pulita e molto ventilata - dice Sassassa guardandosi attorno come se il mio garage invece fosse umido, sporco e soffocante, cosa quest'ultima niente affatto lontana dalla verità - Dove dovrei trovarmi tuttora con un bel collare imbottito e una robusta catena fissata alla parete, casomai il sonnifero avesse finito di fare effetto.

- Molto prudente e molto rispettoso dell'incolumità del vicinato - dice Spike assentendo gravemente col capo - Però i tuoi guardiani devono essere usciti a farsi un goccio.

- No, no - nega il demone recisamente - Mio cugino sa quello che fa, e io dormivo già quando se ne è andato.

- Non puoi esserti liberato da solo? - ipotizzo io.

- Oppure qualcuno ha voluto sguinzagliare per Sunnydale una belva sanguinaria. - dice Spike e siccome Sassassa l'ha guardato un po' male aggiunge:

- Sia detto senza offesa, amico. Possiamo andare avanti con i miei capelli adesso, tesoro? L’alba mi rovina la pelle.

Mentre tolgo la tinta, faccio lo shampoo e taglio via tutta quell'adorabile abbondanza di riccioli che Spike aborre come l’acqua santa, Sassassa ci racconta con un certo imbarazzo come è diventato mannaro. E' una storia che coinvolge una demonessa molto affascinante con una certa tendenza a mordicchiare durante i momenti di intimità e con una memoria così breve da impedirle di avvertire i suoi occasionali amanti del suo piccolo problema personale. Il risultato sembrerebbe un drappello di grossi demoni mannari bianchi nel mondo natale di Sassassa, che è emigrato qui da noi per non mettere in imbarazzo la sua famiglia.

Sunnydale, ricettacolo dei demoni reietti di questo e degli altri mondi.

Sarà perché ultimamente mi sento molto reietta anch'io, ma quasi mi viene da piangere quando il nostro demone ci racconta di come ha dovuto lasciare la sua casa natale di nascosto prima che gli anziani della tribù venissero a fare giustizia sommaria. Quando Sassassa arriva al punto in cui sua madre pronuncia strazianti parole di commiato porgendogli il cestino da viaggio ricolmo di nidi di scarafaggi amorevolmente preparati con le sue stesse mani persino Spike si agita a disagio sulla sedia, mettendo a grave repentaglio i perfetti lobi delle sue orecchie, dato che proprio in quel momento io sto lavorando di forbici di buzzo buono e non ci vedo nemmeno tanto bene perché sto ricacciando indietro le lacrime; ma potrebbe anche essere perché non gli piacciono gli scarafaggi, che poi in effetti non piacciono a nessuno in questo mondo tranne a quanto mi hanno riferito al defunto Sindaco Wilkins. E anche in quel caso non si può dire che il Sindaco appartenesse proprio a questo mondo, non è vero?

Il primo ad andarsene è Sassassa, non prima di essersi ripetutamente scusato per l'incomodo arrecato ed essersi congratulato con me per aver usato così tempestivamente l'unica arma efficace verso i demoni mannari, cioè l'acqua corrente. A dir la verità io credevo che servisse solo per tenere a bada i cani idrofobi ma non lo dico perché mi piace che il nostro visitatore sia convinto che sono una tipa tosta e ben informata sul mondo demoniaco. Ormai io ho quasi finito con Spike, che dopo aver chiacchierato a sprazzi di questo e di quello per tutta la sera in ultimo è diventato taciturno in modo così poco caratteristico da farmi temere un nuovo incontrollabile exploit alla Qualcuno volò sul nido del cuculo, tanto più quando mi dà i soldi che mi deve senza nemmeno che io abbia bisogno di chiederglieli. Nonostante tutto prima di andare via si carica i resti del povero Siegfrid in spalla, perché evidentemente intende mantenere la promessa che ha fatto a mio padre e portare il cane morto davanti alla porta di casa dei suoi padroni. Da parte mia sono sicura che i Bruebacker, da esemplari cittadini di Sunnydale, non metteranno in dubbio per un momento che Siegfrid sia morto di morte naturale.

Riordino e rientro in casa in punta di piedi, perché sono stanca e non ho voglia di rispondere alle domande di mio padre, si sa mai sia ancora sveglio e ancora sobrio e ancora desideroso di sapere chi viene a farsi tagliare i capelli da sua figlia. Ma potevo anche fare a meno di preoccuparmi, perché il vecchio è seduto al tavolo da cucina, con la testa sopra il tavolo e una bottiglia di vodka vuota sotto il tavolo, come se avesse voluto recuperare alla grande quei pochi momenti di sobrietà. E io sono così cretina che mi dispiace, e quando sono nel mio letto, nella mia cameretta da bambina, davanti alla fotografia di me e di Gladys a otto anni al luna park con i palloncini in mano che è sempre stata sul mio comodino, ecco che comincio a piangere senza nemmeno sapere io di preciso perché.

Quella notte, per la prima volta dopo molto tempo, sogno mia madre. Porta lo stesso vestito bianco a fiori che portava alla festa della mia scuola - l’ultima festa alla quale intervenne, portando anche una torta fatta da lei, che era buonissima anche se un po’ storta da una parte – e ha al collo la collana di granati che le aveva regalato papà per il primo anniversario di nozze, prima che io nascessi, e che si è portata a Detroit mentre la catenina e la fede sono rimaste nel primo cassetto del comò in camera di papà. Mi guarda dolcemente come se fossi ancora una bambina di dieci anni e mi dice che presto verrà a trovarmi. Nel sogno io alzo le spalle e le rispondo che può anche risparmiarsi il viaggio, che poi è esattamente quello che le direi anche nella vita reale se mi proponesse la stessa cosa al telefono. Se solo non fosse che sono tre mesi che non mi telefona.



  
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