Vivo per lei - Iniziò così
Prologo
Ilaria
“Castoldi
smettila di fare la leader che tanto non ti viene bene. Lasciaci fare
e stattene da parte, che rompi solo i coglioni” mi dice
Vanessa, la
bellona della classe.
Walter
sghignazza come un idiota per le parole della bionda, o meglio, della
rossa. Non si capisce bene il colore dei suoi capelli visto che ha
più tinta lei sulla testa che la mia parrucchiera di fiducia
in
negozio.
“Non
ho voglia di prendere un brutto voto per colpa vostra, visto che
siete dei caproni. Vorrei fare a modo mio. Fino a prova contraria,
sono la migliore della classe. A voi non interessa, perciò
non
rompere tu” rispondo, grattandomi la testa, la coda che ho
fatto
stamattina inizia a tirarmi i capelli.
“Hai
i pidocchi, Castoldi?” mi chiede Walter, facendo ridere tutto
il
gruppo. Devo provare a trattenermi.
“Probabilmente
si, mi sei stato troppo vicino” gli dico, rifilandogli la mia
occhiata peggiore.
“Non
penso tu li abbia per questo. Forse tutte le racchie li hanno. Avete
presente Barbara della quarta B? Alice mi ha detto che aveva i
pidocchi e che li aveva attaccati a tutta la sua famiglia. Pure lei
è
racchia” dice Vanessa; Alice è un’altra
belloccia come lei.
Tra
stupide ci si intende.
La
Barbara di cui parlano, invece, non è stupida per niente, ma
è
timida e un po’ in carne. Sono sicura che non ha mai avuto i
pidocchi o meglio, non credo che questa storia sia vera.
Mi
insultano senza badare a me, parlano male come se non fossi qui.
È
così dalla prima, non è cambiato niente da
allora, ma è una guerra
persa in partenza, sono sola contro tutti, a nessuno importa
seriamente di me. Vado bene per passare le risposte durante i compiti
in classe. In seconda c’era una ragazza che aveva minacciato
di
picchiarmi nel caso non avessi suggerito durante il compito di
diritto. Alla fine la bocciarono e andò a lavorare, ma ogni
tanto ci
penso ancora e mi vengono i brividi.
“Meglio
essere racchia che scema come te” rispondo, incrociando le
braccia
contro il petto.
“Come
scusa?” mi chiede Vanessa, quasi fosse la prima volta che
glielo
dico.
“Sei
una deficiente” le dico, guardandola negli occhi. Si alza in
piedi,
ora cercherà di minacciarmi e di alzarmi le mani.
“Come
ti permetti, eh? Brutta secchiona del cazzo!” mi dice, io
rimango
immobile sulla mia sedia, mentre lei avanza con un pugno per aria.
“Galli?
Che modo è questo di parlare? Dal preside, forza”
dice la
professoressa, indicando la porta della classe.
“Professoressa
ha iniziato lei! Non ho nessuna colpa io!” dice, facendo una
faccia
disperata, da santa.
“Ma
perfavore…” commento, tra me e me.
“Ne
dubito, Vanessa. Sbrigati” dice la professoressa, chiudendo
lì la
questione. Ho vinto, ancora.
“Sei
una paraculata. Ti difendono sempre, anche quando la colpa è
tua”
mi dice, Walter, ricevendo cenni d’assenso dal resto del
gruppo.
“Non
è colpa mia, non sono stata io ad iniziare”
rispondo, quasi
indignata.
“Potevi
farti andare bene il nostro progetto e stare zitta, invece devi
sempre dire la tua, perché tu sei la migliore e noi non
valiamo
nulla” mi dice, credendo di avere ragione.
“Non
era abbastanza valido, era giusto una sufficienza e a me di rovinarmi
la media perché non avete fantasia, non va. Walter, non puoi
tentare
di avere ragione, perché non ce l’hai. Stai zitto
che fai più
bella figura” gli dico, girando gli occhi.
“Ma
stai zitta tu” commenta a bassa voce una delle amichette di
Vanessa, senza neanche guardarmi in faccia.
“Professoressa
posso uscire?” chiedo, alzando la mano.
“Vai
pure Castoldi” mi dice, tornando ad interrogare.
“Professoressa,
non è giusto che lei può uscire e io no. Prima
non mi ha fatto
andare in bagno” aggiunge Beatrice, petulante.
“Per
favore evitiamo i commenti” aggiunge solamente la
professoressa.
“Sei
una paraculata, Castoldi! Spero ti capiti una disgrazia!” mi
grida
la sua amica Valentina, nel suo momento di gloria. La parte restante
della classe scoppia in una grassa risata e io vorrei sotterrarmi,
giusto perché riceverò altri commenti quando
l’altro gruppo di
lavoro tornerà dal laboratorio di computer.
Apro
la porta e sento le lacrime fare capolino, non è possibile
che ci
sia tanto risentimento nei miei confronti, non ho mai fatto niente di
concreto per averceli tutti contro.
Corro
per i corridoi, diretta alla scala antincendio, voglio stare un
po’
sola e i bagni non sono un posto sicuro.
Spingo
la maniglia antipanico e trovo la scala deserta, per fortuna. Mi
siedo nel primo gradino e lascio che le lacrime scorrano veloci, non
ne posso più, non è giusto che io subisca tanto.
È troppo per una
persona sola.
Sospiro
e guardo la pioggia cadere a ritmo, una specie di musica naturale, mi
piace pensarla così. Oggi io e il cielo siamo in sintonia.
Ma
questa pioggia è normale, siamo in autunno, tra settembre e
ottobre
piove sempre, perciò sono di nuovo io quella fuori posto.
È
impossibile piangere così tanto!
Mi
asciugo le guance e ripenso a tutto quello che mi succede, tra mia
madre, i miei compagni di classe, Mattia e la tesina, la mia testa
sta per scoppiare e abbandonarmi anche lei.
Persa
tra i miei pensieri non mi accorgo che qualcuno apre la porta e
quando sento pronunciare il mio cognome faccio un leggero salto.
“No,
De Angelis, pure tu no” commento, stringendomi le braccia al
petto
e provando a fermare le lacrime.
“Perché
piangi?” mi chiede, sedendosi vicino a me. Che diavolo fa?
“Mancavi
solo tu all’appello, prima. Ti saresti divertito insieme a
loro”
commento, guardando le macchine con i tergicristalli attivati
avanzare lentamente per colpa del traffico.
“Non
è giornata oggi, Castoldi. Non ti avrei dato
fastidio” mi dice e
mi volto a guardarlo, sorpresa.
“Ti
ha lasciato la tua ragazza?” azzardo, pensando a quali
problemi
possa affrontare uno come lui.
“Si,
magari” dice, aspirando la sua sigaretta, affumicandomi
subito
dopo.
“Tutto
a posto?” mi chiede, vedendomi tossire come
un’idiota.
“Si,
si” rispondo, cercando di riprendermi. Lui ride e continua a
fumare, io ho paura che qualcuno possa uscire e vederci.
“Che
ti hanno fatto?” mi chiede ancora, voltando la testa verso di
me.
“Niente
di diverso dal solito. Mi hanno detto che sono una paraculata, anche
se immagino sia un loro neologismo, il concetto è chiaro.
Poi mi
hanno tranquillamente detto che siccome sono brutta ho i pidocchi.
Bah, il mio gabinetto è più pulito del loro
letto, visto che c’è
una donna delle pulizie. E non mi sembra di aver mai avuto i capelli
unti a scuola, al contrario di qualcuno” commento, pensando a
Beatrice.
“Hai
ragione. Non te la devi prendere più di tanto per quello che
diciamo. Lo sai che sei migliore di noi da ogni lato, perciò
lascia
perdere, non ne vale la pena” commenta, tirando per
l’ultima
volta la sigaretta.
“Questo
è un giorno epico. Alessandro De Angelis mi dice che sono
migliore
di lui. Oddio, adesso svengo” commento, mimando gesti
teatrali.
“Smettila
o mi rimangio tutto” mi dice, tirando il mozzicone di
sigaretta
giù, sotto la pioggia scrosciante.
“Scusa”
commento, asciugandomi gli occhi ancora umidi.
Rimaniamo
in silenzio, so che dovrei rientrare per non correre rischi, ma
proprio non ho voglia di alzarmi. Spero davvero che la professoressa
non mandi qualcuno per cercarmi.
“Che
strano vederti qua fuori, non hai paura che la Bertone se la prenda
con te?” mi chiede, sorridendomi e dandomi una leggera spinta
con
il ginocchio.
“Veramente
si, ma per una volta non mi sospenderanno, almeno spero”
commento,
facendolo ridere.
“No,
non credo” dice, senza alzarsi.
Lo
guardo negli occhi, li ha così verdi che di giorno la
pupilla non si
nota, ora però piove e la sua pupilla è dilatata,
lo noto ed evito
di sorridere tra me e me. Anche se non è il più
bello della scuola,
perché c’è sicuramente di meglio,
è il più attraente della
classe e ammetto che se non fosse per il suo brutto carattere, starei
già perdendo le bave per lui.
“Oggi
sei diversa, Ila” dice piano, a voce bassa.
Non
mi ha mai chiamata per nome e la cosa mi sorprende, quando se ne
accorge anche lui abbassa la testa e guarda altrove.
“Diversa
come?” gli chiedo, cercando di non tradire
l’emozione con la
voce.
“Forse
è perché ti ho vista piangere, non lo so, ma
prima di oggi non mi
sei mai sembrata così umana” mi dice, spostando di
nuovo lo
sguardo su di me.
“Oh,
beh, lo prendo come un complimento, anche se non lo è del
tutto”
commento, facendolo ridere e unendomi a lui.
Non
so come, tantomeno perché, ma ci avviciniamo e mi ritrovo
con la
gamba appoggiata alla sua. Sto in silenzio, ma sento il mio cuore
battere a mille, non capisco che diavolo sta succedendo,
perché non
deve succedere.
“Ale…”
commento, notando il suo viso troppo vicino al mio.
“Shh…
Zitta che si rovina il momento” commenta, prima di appoggiare
le
sue labbra sulle mie.
Probabilmente
non immaginava avessi già baciato, perché la sua
reazione alla mia
irruenza è prima sorpresa e poi affascinata.
“Complimenti
Castoldi” dice, sorridendomi.
Gli
sorrido di rimando e non riesco a trattenere uno sghignazzo.
Mi
guarda, ma dopo un po’ diventa freddo, quasi una statua, si
alza in
piedi ed entra senza più dirmi una parola.
Rimango
disorientata dal suo comportamento e una fitta di delusione mi
colpisce, ma cerco di ignorarla. Che cosa mi aspettavo da tutto
ciò?
Alessandro
Oh,
merda.
Ho
baciato Ilaria Castoldi!
Cammino
velocemente verso il laboratorio, sperando che i miei compagni di
gruppo siano ancora lì, ma entrando non li trovo e immagino
siano
rientrati in classe.
Torno
indietro ma incontro Ilaria che mi rifila uno sguardo furioso, so di
non essermi comportato bene.
È
tutta colpa di quel bastardo! Perché l’ha
chiamata? Non può
starsene dove cazzo è? In Spagna, in Francia, non mi importa
in
quale parte del mondo sia ora, mi andrebbe bene che lasciasse in pace
mia madre, invece di cercarla e chiedere di me.
Ho
diciannove anni e non l’ho mai conosciuto, è un
po’ tardi ora
per provarci.
Non
ho neanche la più pallida idea di che faccia abbia mio
padre, ma
sinceramente non mi interessa più, i temi sui
papà sono finiti da
tempo, ora non mi serve a niente.
“Ilaria…”
le dico, fermandomi prima del nostro corridoio, quello della nostra
classe, intendo.
“Lascia
stare, De Angelis” mi dice, senza più degnarmi di
uno sguardo.
Vaffanculo
Castoldi, neanche mi piaci.
L’arrivo
della sesta ora implica che ognuno di noi se ne torni a casa, ma odio
la pioggia quando è forte, neanche i tergicristalli le
stanno
dietro.
Faccio
una corsa verso l’auto e mi lavo completamente, manco lo
zaino è
messo bene. Non mi interessa che i libri si siano bagnati, sono fatti
di carta, si asciugheranno, in compenso mi interessa attivare il
riscaldamento perché sto congelando, questa pioggia mi entra
nelle
ossa.
I
finestrini si appannano e li pulisco con la mano, togliendo un
po’
di condensa che diventa subito acqua nelle mie mani.
Ilaria
è alla fermata del pullman con il suo ombrello rosa, non ci
siamo
più detti nulla, oggi.
Neanche
mi sembra vero di averla baciata. E l’ho baciata io!
Accendo
l’autoradio sperando mi possa aiutare un po’ a
dimenticare questa
giornata orribile. Speriamo finisca in fretta.
Torno
a casa e ovviamente mia madre non c’è. Mi butto
sul divano con un
panino al prosciutto tra le mani e cerco qualcosa di decente da
guardare. Finisco su un gioco a premi, ma non riesco a seguirlo, la
mia mente è persa in strani pensieri.
Credo
di essermi messo nei guai.
Chi
mi dice che non si innamorerà di me dopo quel bacio? Non
credo sia
una di quelle che cambia un ragazzo a settimana, magari crede ancora
alle favole e pensa che potrei essere il suo principe azzurro.
Spengo
la tv e mi affaccio alla finestra, non smetterà di piovere
tanto
presto.
Guardando
le gocce di pioggia che scappano l’una dall’altra
per poi unirsi
in una cosa sola, penso a mio padre che è sempre scappato da
me, ma
con cui non mi unirò mai.
***
“Mamma
ci vediamo lunedì. Non correre in macchina che
piove” le dico,
prendendo le chiavi.
“Ma
chi è il genitore qui?” mi chiede, mentre cerca
qualcosa in borsa.
“Ti
voglio bene, salutami la zia” le dico, uscendo di casa,
mentre
rido.
Corro
verso l’auto, piove a dirotto, e cerco di scaldarmi le mani
sfregandole una contro l’altra. Stasera fa proprio freddo.
Accendo
l’auto e il riscaldamento, tra poco mi vedrò con
alcuni amici al
pub, dicono che c’è aria di compleanno al
femminile.
Raggiungo
il pub in dieci minuti e noto subito che i miei amici ci hanno
azzeccato.
“We
Ale! Vieni, siamo qua!” mi grida Walter, il mio compagno di
classe.
Perché
c’è anche lui?
“Walter?
Anche tu qui?” gli chiedo, sprezzante.
Già
lo vedo tutti i giorni a scuola, pure il sabato sera no.
“Mi
ha invitato Ste. Certo che tu a me non ci pensi mai!”
esclama,
facendosi il figo.
La
serata non è pesante, di più. La birra diventa la
mia compagna e
non riesco a divertirmi neanche quando tutte le invitate alla festa
di compleanno si siedono con noi. Una ci prova pure, ma non sono
dell’umore. Non vedo l’ora di tornare e andarmene a
dormire.
Non
direi che la colpa è tutta di Walter, che se potesse se le
farebbe
tutte, piuttosto le trovo tutte delle oche e mi sono stufato delle
ragazzine: voglio le donne.
Ce
n’è una che mi ricorda una donna, nonostante la
sua età, ma più
che qualche battutina non riesco a concludere niente. Poi questo non
è neanche il periodo.
Il
bastardo ha chiamato di nuovo, ma questa era l’ultima volta,
lo ha
detto a mia madre.
Sono
quasi due settimane che sono angosciato per colpa sua, fino a dieci
anni fa avrei dato qualunque cosa per conoscerlo.
“Ale
stasera sei una palla al piede!” mi dice Stefano, facendo
ridere
ragazzi e ragazze.
“Già,
difatti me ne vado adesso” gli dico, alzandomi e poggiando la
bottiglia di birra sul tavolo.
“Ma
dai, stai ancora un po’! È solo
mezzanotte” aggiunge Albi,
abbracciato ad una delle invitate al compleanno.
“No,
davvero, passo per stasera. Non è serata” dico,
prendendo la
giacca.
“Oh,
fa’ come vuoi” mi dice Ste, scazzato.
Li
saluto e risalgo in macchina, contento di stare da solo, senza
ragazzini. Ero il più grande, lì dentro.
Torno
indietro, ma Corso Vittorio ha dei lavori in corso, così
faccio
un’altra strada. Passo davanti ad un locale e vedo una
ragazza
completamente bagnata che fa una scenata perché una macchina
l’ha
appena lavata con una pozzanghera e una sgommata assurda. Ammetto di
aver riso, però mi dispiace per lei.
Accosto
e scendo, per vedere se va tutto bene, visto che riesco soltanto a
sentire il suo pianto.
Mi
copro la testa con il braccio e corro verso di lei, senza riuscire a
metterla bene a fuoco.
“Ehy,
va tutto bene?” chiedo.
“No!
Va tutto una merda!” mi dice, ancora piangendo.
“Ma
dai, non penso lo abbia…” provo a dirle, ma lei mi
ferma con
un’imprecazione.
“De
Angelis! No, ma non è possibile! Cos’altro deve
succedere? Cadrà
un meteorite? Morirò?” grida esasperata.
Quella
figa è la Castoldi?
“Ilaria?”
chiedo, con la mascella a terra.
Mi
guarda, con gli occhi gonfi. Non ci vuole un esperto per capire che
mi odia. Dopo quel bacio non ci siamo neanche mai più
parlati.
“Cos’hai
da guardare?” mi chiede acida. Non posso credere che sia
davvero
lei!
Prima
di tutto ha i tacchi, una cosa che mai avrei potuto credere
possibile, in più ha un vestitino che lascia poco
all’immaginazione
e devo dire che non è messa per niente male, anzi.
“Niente”
commento, imbarazzato.
Intanto
sono completamente zuppo e inizio a tremare, ma lei che cosa sta
aspettando?
“Perché
stai qui? Aspetti qualcuno?” le chiedo e lei mi guarda
malissimo.
Le viene piuttosto bene.
“No,
idiota. Una festa è andata male, mi sembra ovvio.
Così chi mi
doveva accompagnare non c’è e i miei sono a
Londra, pensa un po’.
Io sto qui come una cogliona a prendere freddo mentre loro bevono
Champagne in un hotel a cinque stelle” dice, arrabbiata.
“Sali
in macchina, ti porto a casa” le dico, incamminandomi verso
l’auto.
Lei
non mi segue e mi fermo per chiederle se ha l’intenzione di
venire
oppure no. Dopo uno sbuffo piuttosto sonoro sale in auto e parto,
senza sapere dove abita.
“Casa
mia è dall’altra parte della città,
tonto” mi dice, tirandosi
indietro i capelli bagnati. Mi giro verso di lei e la guardo male.
“Allora
andiamo prima a casa mia così mi cambio e poi se ho voglia
ti
riporto indietro, visto che sono idiota e pure tonto”
commento,
metà tra il serio e il buffone.
E
lo faccio davvero, la porto a casa mia, anche se lei non vuole
salire.
“Mi
sembra male” mi dice, davanti al portone.
“Certo,
perché lo sapranno tutti, no? Per me puoi anche stare qui,
fai come
vuoi” le dico, iniziando a salire le scale.
Alla
fine sale, menomale, perché aveva iniziato a tremare e stare
fuori
al freddo non era la migliore delle idee.
“Permesso”
dice, entrando in casa mia.
Ilaria
Castoldi è in casa mia.
Il
mondo sta per finire, altro che duemiladodici.
“Vuoi
qualcosa da bere?” le chiedo, entrando in cucina.
“Acqua,
grazie” risponde seriamente. È fin troppo educata.
Le
porgo il bicchiere e, da bravo bastardo, penso che vorrei vederla
cuocere un po' nel suo brodo. Voglio studiarla, non capiterà
mai più
una possibilità come questa.
“Scusami”
le dico, sparendo in camera mia.
Mi
levo la maglia e anche le scarpe. Non ho un indumento asciutto.
Torno
in cucina con nonchalance e, quando mi vede, arrossisce.
Lo
hai mai visto un uomo nudo, Ilaria?
Se
fossi davvero bastardo, come Walter ad esempio, glielo chiederei
davvero, ma mi sembra già in difficoltà
così.
“Perché
non ti copri?” mi chiede, sfacciata. Mi odia proprio!
“Perché
qui dentro fa caldo e mi piace camminare scalzo. È un
problema?”
le chiedo, incrociando le braccia al petto.
“Di
certo non intendevo i tuoi piedi, Alessandro” dice,
incrociando
anche lei le braccia e girando gli occhi.
“Lo
hai detto tu che sono un idiota” le rispondo, sorridendo.
“Infatti,
lo dimostri ad ogni respiro, senza trattenerti” mi risponde,
facendo un passo indietro, per ritrovare l'equilibrio sui tacchi.
“La
tua gentilezza uccide” le dico, facendo qualche passo verso
di lei.
“Quasi
quanto la tua” commenta, sprezzante.
“Se
vuoi cambiarti ti do una mia maglia” le dico, tornando ad
essere
serio.
“Preferirei
che mi portassi a casa” mi risponde, innervosendosi.
Il
che prevederebbe che io mi rivestissi, scendessi di nuovo sotto la
pioggia, guidassi per almeno mezz'ora e tornassi a casa.
“Non
ne ho molta voglia” le rispondo, sincero.
Impreca
e mi dà dello stronzo, tanto per cambiare, e fa cadere la
sua borsa
per terra. Okay, forse è meglio riaccompagnarla, non ho
voglia di
sentire le sue lagne.
Io
rimango immobile e lei non ha intenzione di raccogliere la sua borsa,
che rimane rovesciata, infatti, cadendo, è uscita fuori la
cipria
con il relativo pennello.
“Va
bene, nel frattempo dammi una tua maglia” mi dice, dopo due
minuti
di silenzio totali.
Torno
in camera mia e apro l'armadio, cerco qualcosa che non metto spesso e
che sia abbastanza lungo da coprirla. Trovo una vecchia T-shirt nera
di mio cugino Francesco. Lui è enorme, non ci saranno
problemi di
lunghezza.
“Metti
questa, ti sarà fin troppo larga” le dico,
porgendogliela.
Mi
ringrazia e si sfila il vestito di fronte a me, prendendomi alla
sprovvista.
“Che
stai facendo?” le chiedo, quasi avessi visto un fantasma.
Si
infila la maglietta e scoppia a ridere.
“Volevi
mettermi alla prova, no? L'ho fatto anche io e, per la cronaca, non
sei andato granché bene” mi dice, ridendo ancora.
Mi
ha fregato alla grande.
Il
problema non è vedere una ragazza in reggiseno e mutande,
che fa
pure piacere, il problema è vedere Ilaria Castoldi in
mutande e
reggiseno, in camera mia, e capire che è fottutamente
attraente e
che ho passato due anni a dare della racchia ad una ragazza che
neanche avevo visto tanto bene.
Ad
ogni modo, non smette di essere una secchiona rompicoglioni, questo
no.
“Me
ne sono accorto” commento, grattandomi la testa.
Lei
ride e lascia il suo vestito a terra, accanto ai tacchi. Non ci posso
mica credere.
Raccolgo
il vestito e lo appoggio sulla sedia. È davvero piccolo.
La
trovo seduta sul mio
divano mentre fa zapping con il mio
telecomando, tutta rannicchiata su se stessa.
“No,
ma fai pure come fosse casa tua” commento, stravaccandomi
vicino a
lei.
“Certo,
visto che non mi riaccompagni alla mia” commenta lei, di
rimando.
Le
frego il telecomando e metto Italia Uno, scoprendo che in
realtà non
danno niente di interessante a quest'ora.
Lei
mi guarda seria, quasi adirata, poi si lancia contro di me, sperando
di riacciuffare il telecomando e guardare quello che vuole.
“Ridammelo”
mi dice, mentre allunga il braccio.
Lo
allontano da lei e mi dà uno schiaffo sul petto nudo,
facendo i
capricci.
“Sei
viziata, Castoldi” commento, sorridendole.
“Dammelo”
mi dice, riducendo gli occhi a due fessure.
“Quando
vuoi, va bene anche qui, non dobbiamo andare per forza in
camera”
le dico, facendola arrossire.
“Se
un idiota” commenta, senza alzarsi.
E
ammettilo che ti piace!
“Si,
questa l'ho già sentita” le rispondo, sorridendole.
“Mi
riporti a casa?” mi chiede, cambiando discorso, ma senza
spostarsi.
“No,
non ancora almeno” le rispondo, facendola arrabbiare.
Si
alza e si rimette seduta, o meglio, rannicchiata nell'angolo. Si
arrabbia troppo facilmente, diventa noiosa anche per questo. Un
commento e lei si offende.
“Se
mi dai un bacio ti do il telecomando” le dico, avvicinando il
viso
al suo.
“Non
mi interessa più. E poi non mi sembra il caso, non quando tu
hai
solo pantaloni addosso e io una stupida t-shirt” dice, sempre
molto
diplomatica.
“Non
ti piace osare, eh Ilaria?” le chiedo, malizioso.
“Dipende”
commenta, senza scomporsi.
Okay,
ora sto fremendo e non so bene perché. Voglio
disperatamente
che lei mi baci. E se dovesse capitare altro, sinceramente non me ne
fregherebbe più di tanto. La voglio adesso, questa
è l'unica cosa
di cui sono sicuro.
“Dai,
a mio rischio e pericolo” la sfido, con scarsi risultati.
“A
mio, rischio e pericolo” commenta, fissandomi la bocca.
Ci
mette poco, davvero poco, a convincersi e ancora meno a lasciarsi
andare alle mie volontà. E quando le sfilo la maglietta
penso che in
fondo non le stava poi così bene. Sta meglio ora, come madre
natura
l'ha fatta.
“È
scomodo qui” commenta, rovinando il momento.
Ma
proprio tutti li deve mandare all'aria?
“Lo
hai già fatto?” le chiedo spudoratamente.
“Si,
parecchie volte, stai tranquillo. Non sporcherò
nulla” mi
risponde, girando gli occhi al cielo.
Mi
ha letto nella mente?
“Ma
no, non era per quello...” provo a dire, imbarazzato.
“Dai,
evita. Andiamo in camera tua” mi dice, fissandomi.
E
lo faccio, la porto davvero in camera mia e davvero faccio sesso con
lei.
È
qualcosa di epico, non capita tutti i giorni di vedere un brutto
anatroccolo trasformarsi in cigno. Anche se probabilmente la sua
trasformazione è avvenuta un po' di tempo fa, nessuno se
n'era
accorto prima.
“Ale...
Anche se sono sicura che non lo farai di tua spontanea
volontà, non
dire niente a nessuno, per favore” mi chiede, nel mentre.
“Shh!
Pensi troppo tu. Comunque stai tranquilla, da me non uscirà
niente”
le dico, baciandole il collo.
Inarca
la schiena e geme, ma poi scoppia a ridere.
“Se
da te non uscirà niente, sarà una serata
sprecata” mi dice,
ridendo.
“Ilaria!”
le dico, ammonendola.
“Sto
scherzando, era per ammortizzare la situazione” dice,
cercando un
contegno.
Se
continua così non arriveremo a nulla.
“Adesso
basta, concentrati” le dico, provando a baciarla.
Niente
da fare, lei scoppia a ridere di nuovo e mi spazientisco.
“Ti
riaccompagno a casa, hai vinto” dico, mettendomi a sedere di
fianco
a lei.
“Scusa,
non volevo offenderti Ale. Non voglio tornare a casa, non a questo
punto”
mi dice, sporgendosi verso di me e baciandomi.
Ci
riprovo, ma questa volta è più semplice, stavolta
ci siamo
entrambi.
“È
un problema se rimango qui?” mi chiede dolcemente, dopo.
Vorrei
risponderle di si, vorrei dirle che ho paura perché qualcosa
cambierà inevitabilmente, ma non ci riesco.
“Ma
no, figurati” le dico, baciandole la spalla destra.
Mi
addormento abbracciato a lei e, senza averne la più pallida
idea,
firmo la mia dolce condanna a morte.
Con
questa sola notte ho deciso praticamente il mio intero futuro senza
neanche saperlo. Ma al momento non mi importa, perché siamo
entrambi
qui, insieme.
Ehy, ciao! Allora, adesso vi spiego come funziona. Siccome nella storia mi capita di parlare spesso del primo bacio o della prima volta, volevo raccontarveli entrambi. E volevo fosse un prologo, ma purtroppo non posso modificare la storia senza perdere le recensione e, sinceramente, non mi va. Lasciate un commentino per farmi sapere che ne pensate? Ve li immaginavate così?
A presto, Erika