Capitolo V – Pelle
Perché anche la morte è una scelta, Weasley.
Troppe volte durante la notte
quelle parole erano rimbombate fra le pareti della stanza, avevano sovrastato i
suoi respiri, avevano oltrepassato rumori e silenzio. Ora, ad occhi spalancati,
Ginny fissava un nastro di luce filtrare attraverso la finestra e le tende,
stagliarsi immobile sulla parete e su un angolo di moquette, amico ed estraneo
nella quiete, e rifletteva.
Rimasta sola nella
semi-oscurità del vicolo, si era portata le mani alla tempia, e resa conto che
lì pulsavano ancora, disordinate, le taglienti parole del mangiamorte (o forse
semplicemente di Malfoy?), librandosi
come farfalle impazzite, manifestandosi come fitte lancinanti al capo.
Sembrava che sapesse. Che
quel dolore sepolto sotto coltri e
coltri di buio lo tormentasse allo stesso modo.
Ma non era riuscita a
guardarlo negli occhi. Era sicura che vi fosse qualcosa di molto maligno lì in
fondo, in mezzo a tanti bagliori grigio ferro.
Ma si può sapere cosa
volesse?!
Le sue lacrime, come se non
avesse già pianto abbastanza, qualche altro frammento del suo cuore, della sua
anima, gli ultimi brandelli di un’idea, l’unica sua idea, che l’aveva tenuta in
vita, che aveva allontanato i suoi occhi dalla morte...?
Harry. Oh, Harry...
Ma il buio divenne più
pesante sulle sue palpebre, e poté distintamente udire dentro di lei il
frastuono di una definitiva rottura.
Basta così. Troppo rumore e
troppa luce, fuori. Avrebbe aspettato lì, ferma immobile, sotto le coperte, che
fosse calato il sole sul giorno e sulla notte, sulle notti e sui giorni,
avrebbe atteso. Ma stavolta non avrebbe raccolto la mano di alcun destino.
Quant’era bello e consolante
immaginare che si potesse ancora tornare indietro.
Gente, quanta gente!, in abiti scuri sgargianti
svolazzanti, mai vista tanta in un solo luogo, mai tanti sorrisi, mai quella
curiosa atmosfera di sospesa e chiassosa allegrezza.
-
Ginny... Ginny... vieni! Di qua.
Il tocco deciso di sua madre sulle spalle attraverso
la folla, in avanti, sempre più vicini alla locomotiva scarlatta, sembrava
ridesse anche lei, sembrava non si potesse fare altro che essere felici.
-
Ragazzi! Non andate, non ancora, tutti qui... Fred,
George! Ronnie, hai qualcosa sul naso...
Il vociare allegro dei suoi fratelli, ulteriori risate,
cristalline, rintoccanti.
-
Siete sempre voi due... Comportatevi bene
quest’anno... insomma! – voce perentoria, squillante, ma con una certa
intrattenibile nota eccitata. – Ronnie, mi raccomando, non iniziare a seguire
il loro esempio... – tocco esasperato ed esasperante. Sua madre, com’era sempre
stata.
Ma lei non ascoltava. A pochi passi, poteva quasi
toccarlo, un tuffo al cuore, un ragazzino magro, la schiena un po’ curva per
l’abitudine, i capelli scarmigliati e neri, e dietro gli occhiali, profondi
vortici color... argento.
-
Ginevra.... – un sibilo, basso, acuto, crudele,
supplicante.
-
Ginevra. – alle
sue orecchie, udì il suo nome pulsare fin dentro al timpano, mormorato con una
voce familiare e ferma, sua madre?; ma è ancora presto, è ancora presto...
No. Forse è troppo tardi.
-
Ginevra. – stessa
voce, più bassa, di petto, quasi armoniosa, quasi piacevole.
-
Ginevra! – una
nota stonata.
Aprì gli occhi, di scatto.
Urgenza e decisione su di lei, negli occhi azzurri ed appuntiti e nel fischio
fra le labbra.
Si sedette sul materasso con
una certa diffidenza, spingendosi il cuscino dietro alle spalle, riavviandosi i
capelli annodati e scarmigliati, radunandoli sul petto. Strinse la bocca.
Mrs Greystone la fissava
dalla posa in cui l’aveva vista quando aveva aperto gli occhi, seduta sul lato
opposto del letto, il bastone in una mano, illuminata dal fascio di luce
violenta, o così sembrò alle sue pupille rattrappite dall’oscurità, che
scorreva ed entrava dalla finestra ora aperta, con l’impetuosità di una dolorosa
cascata.
-
Ginevra. –
ripeté, per incanalare completamente verso di sé l’attenzione dell’altra, che
la fissava con gli intensi occhi ambra in attesa che continuasse, stretta nelle
spalle, il lenzuolo tirato fino alla vita, il calore tiepido della stanza che
le accarezzava la pelle nuda.
-
Non sei scesa
oggi, non sei uscita. – la donna schioccò le labbra in un gesto involontario,
mostrando più del dovuto i pochi denti anneriti dal caffè, facendo un pausa per
permettere all’altra di giustificarsi.
-
Non mi sento
troppo bene. – mormorò, stringendo ancora di più le braccia al petto e alzando
di poco le spalle, le labbra ancora strette, gli angoli del viso contratti.
L’altra annuì, arricciando il
naso, scrutandole sotto la pelle con un lampo azzurro.
-
Neanche ieri ti
ho vista troppo in forma. Ad ogni modo, - fece
un gesto vago con la mano, indicando alla sua destra – i soldi sono sul
comò, li ho lasciati lì. Solo... – si fermò per un attimo, appoggiandosi
saldamente al bastone.
Si alzò, facendo qualche
passo lento in giro per la camera. Si voltò di nuovo verso di lei. Ginny non
disse né fece niente.
-
Mr Nott. – disse,
puntandole contro un dito – E’ passato, ha avvertito che verrà stasera. Che...
deve parlarti. – qui esitò, lasciando che il suo sguardo vagasse altrove, nel
vuoto dei mobili scuri e del muro spoglio.
Ginevra continuava a
guardarla, imponendosi l’impassibilità, conficcandosi le unghie a fondo nella
pelle morbida e chiara dei seni, mordendosi le labbra vermiglie dall’interno.
La donna sorrise. Un sorriso
vasto come un buco nero, dai pochi denti appuntiti, né dolce, né forzato, né
inconsapevole. Ma duro e freddo come un pezzo di ghiaccio.
-
Quanto hai
provato, Ginevra, non ti darà gratitudine verso te stessa o gli altri, forse,
probabilmente neanche calore. Ma lo vedi anche tu, tesoro. Aldilà delle
responsabilità delle scelte, - la
ragazza non riuscì a non rabbrividire, lasciò per un attimo che gli occhi le si
chiudessero – questa è pura, solamente pura necessità. Che non ti chiede
certezze né abnegazione ma il coraggio che la viltà stessa esige. Non è una
delle tante direzioni da prendere, non è una battaglia fra amore e odio, bianco
e nero. E’ l’eterno, l’eterno male che solo il grigio porta con sé, che non
lascia via di scampo, possibilità di pensiero. – le labbra erano adesso una
linea curva e sottile – Non possono esistere sensi di colpa.
Quando la porta si chiuse
alle spalle della donna, Ginevra sentì il dolore e la ribellione della sua
pelle a quella doccia gelida di parole affilate e neve bigia. Si tirò le
coperte fino al mento, improvvisamente infreddolita. Si sdraiò di nuovo,
portandosi le due mani alla testa, tentando di soffocare pressando il duro
rimbombare di quei suoni sconnessi.
Ma tutto ciò che poté fare fu
abbandonarvisi, stanca e stravolta, addormentandosi, piangendo sommessamente la
sua sofferenza in rare lacrime ferree attraverso le sue guance.
Le due pozze nere davanti a
lei assomigliavano a due oblò con vista sulla notte. Sopracciglia sottili,
labbra carnose, pelle abbronzata. La scrutavano e sfioravano e accarezzavano
con un umido cantilenare sconnesso, il suo nome, o il nome di qualcun’altra, o
forse solo pioggia, e scrosciare di onde.
Sentiva il calore del sesso
di lui premere contro il suo fianco, le sue braccia tese sullo stomaco,
nervose, le dita che si tendevano e rilassavano su di lei, inerme, toccando i
suoi seni, palpando la sua pelle sudata.
Pelle, e nient’altro, pensò,
in quell’attimo di quiete dopo la tempesta, dopo la violenza della
rassegnazione. Pelle, e involucri di
sogni racchiusi fra queste quattro mura. E nient’altro, in realtà.
Nient’altro.
Forse da qualche parte erano
rimaste le ombre delle sue speranze, gettate chissà dove, lontano, assieme ad
occhi verdi e sorrisi infantili. Ed a laceranti ed interminabili attese.
Lui le prese il mento fra le
dita, ed ella spostò di nuovo gli occhi sui suoi. Turbinavano come nuvole
cariche di pioggia.
-
Devo parlarti. –
quella voce roca, affaticata, tentava di essere suadente. Ginny sentì palpitare
attorno a lui una densa aura d’angoscia.
Non rispose, si limitò a
continuare a fissarlo, con una certa educata, nervosa curiosità.
-
Voglio che tu
venga con me.
Ancora silenzio.
-
Voglio che tu mi
aspetti nel mio letto, la sera. – le prese la testa fra le mani, percepiva
agitazione nella sua voce – Non voglio dividere la tua pelle con qualcun altro.
Non avrai più bisogno di nulla.
Pelle. Ancora.
Se è tutta qui la questione.
Tutta questa la smania, questo il dolore, il peso dell’inquietudine, la paura
del vuoto. Fece per dire qualcosa. Ma si fermò.
Gli occhi di lui
lampeggiavano. Non sapeva dire di cosa. Sentiva le sue dita tornate sempre più
mobili e nervose sul torace.
Abbassò le palpebre, inspirò
profondamente. Tutto questo non era niente dopo ciò che era stato, del resto.
È l’eterno, l’eterno male che solo il grigio porta con
sé.
“Il male ama prendere sembianze bionde, Weasley.”
Capitolo breve, anche se piuttosto denso. I commenti
non sono stati tantissimi l’ultima volta, ma è anche colpa mia, pardon, ma
quando mi dico di rispettare una tabella di marcia... E non posso non
approfittare di un giorno semivuoto come questo. OK, tenterò di essere meno prolissa,
in quanto sospetto di essere tanto poco apprezzata anche per questo. ;P Vabbuò,
sono io a cercarmi responsabilità del genere...
Ma lasciamo perdere...
Spazio alle vostre stupende recensioni! Grazie a
tutte!
Abigale: Però, sempre
la prima, tempismo perfetto! Grazie per i complimenti su Ginny, ma, ad essere
sincera, in questo capitolo mi piace ancora di più. Anche perché qui è da sola,
e quando Draco è in scena è lui che
riesce a catalizzare tutta l’attenzione... In effetti è sempre piuttosto oscuro
come personaggio, nonché piuttosto controverso. Ma hai tutto il tempo che vuoi,
don’t worry. -3 capitoli, oramai! E il prossimo mi piace particolarmente...
aletheangel: Salve!
Piacere che ti piaccia, ed ecco il “seguito”. Continua a seguire!
Helen Lance: Grazie ancora
dei complimenti, davvero, mi fa sempre piacere trovare i tuoi, non manchi mai
un appuntamento! Grazie grazie grazie, che altro dire?
Izumi: Wow! Le tue
recensioni sono sempre più emozionanti... e devo dire che sono una delle cose
più belle di pubblicare questa fanfiction. Cogli tutto con una tale assidua
precisione da lasciarmi ogni volta più stupita. ed imbarazzata. Il mio intento
nello scorso capitolo era proprio quello di mettere a confronto le loro due
diverse realtà, ed in genere, l’intrinseco bisogno d’amore che appartiene ad
entrambi. Come tu sottolinei benissimo, di Ginny perché l’ha conosciuto, e non
può fare a meno di sentirne al mancanza, di Draco proprio perché è quello che
più gli è stato negato. Entrambi cercano inconsapevolmente un appoggio ed in
questo senso, qualcosa con cui riempire delle vite che altrimenti sarebbero
solo dolore, perché non vi è alcun mezzo d’accettazione e di digestione del
torturante e continuo meccanismo delle responsabilità. Come tu stessa hai
citato poco tempo fa, “la prostituta e l’assassino chini sul libro eterno”, in
una sorta di destino comune (perché così loro vogliono).
Sono rimasta senza nient’altro da dire, mi sa, anche perché
ho la sensazione di essermi lasciata sfuggire troppo (niente di più ovvio, per
carità...). Grazie, grazie ancora per i complimenti e per il seguirmi! A
presto!
Thilwen: Beh, storico
confronto è esagerato! E comunque anch’io ho Il meglio de “Le Stagioni del
Dubbio” che mi tiene compagnia sul diario, come ben sai. E ripeto anche qui che
è soprattutto colpa mia se non hai potuto commentare, quindi bando alle
colpevolizzazioni... Grazie tantissime, melensaggini comprese, a me fanno
sempre piacere, altrimenti credo che non sarei tanto ripetitiva e troverei
altro modo per sfogare le mie banalità. Mi spiace di non riuscire a dire mai
altro, ma mi conosci. Troveremo sempre il modo di non dire di esserci dette
tutto.