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Autore: Anthy    01/08/2010    7 recensioni
Un servizio fotografico.
Una passione per la fotografia.
Un'attrazione nata quasi per caso.
L'incontro tra Isabella ed Edward, giovane modello, è tanto improvviso quanto forte. Una storia che crescerà velocemente, come lei non credeva fosse possibile.
E scoprirà che, laddove l'obbiettivo di una macchina fotografica non riesce ad arrivare, ci penserà il cuore a carpire momenti da conservare, in una maniera tanto intensa da lasciare senza fiato...
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Chapter 1
Photography







Chapter 1 - Model


"Un bacio legittimo

non vale mai un bacio rubato."
Guy de Maupassant




Quando le avevano detto di prepararsi, che presto sarebbe arrivato il modello per il servizio fotografico del giorno, aveva annuito silenziosamente, internamente curiosa di poter vedere questa fantomatica star di cui sentiva parlare da settimane in maniera adorante.
Quando poi le era stata mostrata una foto del modello in questione, aveva percepito ogni traccia di eccitazione scemare lentamente, sostituita dall’imbarazzo e dal timore.
Isabella Swan si era sempre considerata una ragazza di modesta esistenza.
Anche se a modesto, preferiva utilizzare la parola“banale”: banali tratti somatici, banali caratteristiche fisiche, banale vita sociale. Anzi, forse per quest’ultima l’aggettivo “piatta” si sposava meglio.
 Anche il lavoretto che si era trovata poteva considerarsi banale: truccatrice presso uno studio fotografico abbastanza noto a New York. Tuttavia l’ambiente non era male e, soprattutto, la paga era abbastanza buona, permettendole così di pagare le tasse universitarie e continuare a coltivare il suo sogno.
Sì, forse c’era qualcosa che, nonostante la sua banalità, amava incondizionatamente di sé stessa: il talento nella fotografia.
Amava fotografare.
Lei, una persona così schiva e riservata, amava catturare quegli attimi piccoli, ma emozionanti, che ogni giorno la vita le riservava. Persone, oggetti, luoghi... con la fotografia aveva imparato che non c’era nulla di banale, al mondo; che tutto, con la giusta luce o sfumatura o posizione, diventava interessante da dietro l’obbiettivo.
Il desiderio di diventare una fotografa professionista era ben radicato in lei e quel lavoretto allo studio le permetteva, oltre di arrotondare a fine mese, di stare in un ambiente in cui esercitavano bravi professionisti. Non che amasse particolarmente quel genere di fotografia, anzi; alle volte trovava fin troppo artificiosa l’aria che prendevano certi modelli in posa – sì, quell’aspetto un po’ serio, profondo, con le palpebre socchiuse così come le labbra: c’erano volte in cui la situazione era talmente ridicola che doveva mordersi le labbra per non ridere nel set. Preferiva di gran lunga la spontaneità degli oggetti – o dei soggetti – alla posa plastica – o troppo languida.
Ma doveva ammettere che invidiava la disinvoltura con cui certi fotografi riuscivano a scattare foto in sequenza di pochi secondi, impartendo ordini pur mantenendo lo sguardo nell’obbiettivo e riuscendo nel frattempo a catturare, come se nulla fosse, immagini che potevano sembrare, una volta sviluppate, vive.
Come quella foto che si era ritrovata di fronte, ad esempio.
Certo, lei stessa ammetteva che, sicuramente, buona parte della bellezza di quella polaroid era merito del modello ritratto. Di quei profondi occhi verdi, limpidi.
Si era sentita la gola secca, dopo averla vista – soprattutto, al pensiero che avrebbe dovuto truccare il possessore di quelle due iridi intense.
Non c’era nulla di artificioso, in quella fotografia. Il volto del giovane era girato verso l’obbiettivo, al contrario del busto. Gli occhi erano aperti, né troppo spalancati, né troppo socchiusi.
Osservava.
Fissava.
Spogliava.
La linea delle sopracciglia era naturale, nessuna ruga piegava la fronte, segno del totale rilassamento del soggetto. Solo le labbra erano leggermente corrucciate, un po’ strette – ed Isabella non sapeva dire se lo fosse per la foto in sé, scattata all’improvviso, o se di suo quella bocca mantenesse quel leggero broncio tremendamente sensuale, accentuato dalla forma assolutamente perfetta delle labbra.
I capelli erano sapientemente spettinati – cosa non sapeva fare una buona hair stylist – e gli donavano, nell’insieme, quell’aria di distratta bellezza che sicuramente avrebbe fatto impazzire tante ragazze, giovani o meno che fossero.
Si sentiva in imbarazzo, a quei pensieri.
Ma quello sguardo l’aveva catturata.
Aveva sempre trovato esagerati quei discorsi sugli occhi e sulla forza che sapevano trasmettere; inoltre, pur essendo un’anima romantica, considerava un po’ “romanzati” quei momenti, nei libri, in cui sembrava nascere l’amore, o l’attrazione, al primo sguardo.
Tuttavia, si era dovuta ricredere quando aveva cominciato a stampare le foto che raffiguravano primi piani di persone, alle volte passanti o turisti, fotografati in momenti inconsapevoli. Certo, dalle iridi non si poteva capire la vita di una persona, ma aveva capito cosa intendevano quando si parlava di “forza dello sguardo”: occhi che ridevano, occhi che ammiravano con dolcezza la propria compagna, occhi segnati da piccole rughe nascoste da trucco pesante... sì, c’era tanto in uno sguardo.
E quelle iridi verdi avevano un che di determinato e profondo che l’affascinavano.
In quella foto, erano loro a risaltare.
Lo aveva capito subito, da come erano riuscite a catturare la sua attenzione; era partita dagli occhi, estendendo poi la visuale su tutto il volto. La linea del naso, gli zigomi, il piccolo avvallamento sopra le labbra e la bocca stessa.
Aveva balbettato qualcosa di incoerente all’assistente del fotografo che le aveva mostrato la foto, ma l’aveva ignorata per dire allo staff che si aspettava un lavoro ben fatto per il servizio.
Come se di mio non fossi già ansiosa, si ritrovò a pensare.
Osservò attorno a sé gli specchi, i trucchi posti sopra il tavolino, le luci...
La sedia dove lui si sarebbe seduto...
Era agitata.
Lo era sempre, prima di dover truccar qualcuno – il timore di sbagliare o di combinare qualche disastro era forte, alimentato dalla sua naturale insicurezza. Non era una truccatrice professionista, ma alla scuola d’arte aveva imparato anche quello. Oltretutto, una delle sue più care amiche era una maga del make up e le aveva fornito consigli e spiegazioni utilissimi.
Ora Isabella attendeva solo che il modello facesse il suo ingresso.
Si chiese com’era, caratterialmente.
In quel mondo dove la bellezza sembrava regnare sopra ogni altra cosa, non era difficile trovare persone concentrate solo su sé stesse o sull’apparire. Troppo spesso “fascino” non era sinonimo di “umiltà” o “simpatia” – anche se le eccezioni c’erano, come in ogni altro aspetto della vita.
Sembrava giovane, quasi coetaneo – sì, sicuramente aveva vent’anni o di poco superati.
Si sedette sul divano in pelle posto in un angolo, osservando senza in realtà vederle le riviste posate sul tavolino di fronte a sé. Tendenzialmente, non aveva una buona opinione dei maschi ventenni. O troppo frivoli, o troppo concentrati su loro stessi, o troppo studiosi.
Storse il naso, ripensando alla sua ultima “storia” – o fallimento, come amava ripetersi lei.
Mike Newton si era rivelato una vera delusione. Doveva ammetterlo, all’inizio i suoi modi cortesi e garbati l’avevano attirata – e lusingata, per essere completamenti sinceri. Si era però dimenticata che il suo corso di studi prevedeva un futuro da attore. Dopo due settimane passate a frequentarsi e diversi tentativi atti a portarsela a letto – oltre altre sottigliezze che le avevano fatto capire quanto quel ragazzo fosse troppo concentrato su sé stesso – aveva cercato di dirgli che, purtroppo, lui non era il suo tipo; Mike sembrava non averlo preso male, il suo rifiuto. Un sorriso un po’ triste, che l’aveva fatta sentire colpevole, un bacio veloce a fior di labbra ed una rapida ritirata.
Dopo una settimana, si era fatto vedere abbracciato ad un’altra ragazza, con cui pomiciava allegramente nei corridoi dell’Accademia.

Uomini, si ritrovò a pensare.

Sperava sinceramente di non aver a che fare con un montato pieno di sé.
Non che avrebbe potuto farci molto, se fosse stato altrimenti, né doveva scambiarci chissà quali discorsi filosofici, sapeva bene anche questo. Solo che si conosceva: più sentiva la pressione – o le aspettative – più si agitava. Più si agitava, più combinava disastri.
Se poi considerava quanto fosse goffa per natura, Bella sapeva per certo che un tale mix avrebbe portato al disastro – nonché al proprio licenziamento.
Sospirando, adocchiò l’orologio a parete.
Mancava poco, ormai.
Fu in quell’istante che sentì delle voci avvicinarsi.
Non fece a tempo ad alzarsi, che la porta venne aperta in maniera abbastanza violenta da farla sobbalzare.
La voce che aveva sentito apparteneva ad una donna sulla quarantina, i capelli raccolti in una stretta crocchia e gli abiti abbastanza austeri.
La sua manager, dedusse la giovane.
Ma il suo sguardo venne subito attratto dalla figura che la seguiva.
Un ragazzo alto, dalla muscolatura ben definita ma non eccessiva. Le mani erano affondate nei jeans, lo sguardo sembrava annoiato, mentre annuiva distrattamente alla donna.
Isabella si ritrovò a boccheggiare, mentre ne studiava il profilo,  gli occhi puntati sulle labbra del giovane, che sembravano ancora più invitanti ora che poteva vederle realmente...
Cercò di riscuotersi, facendosi timidamente più vicina.
Nel muoversi, riuscì ad attirare su di sé l’attenzione di entrambi – e non seppe dirsi se ciò fu un bene o meno.
Ma quando incrociò lo sguardo del ragazzo, capì che no, non era un bene avere il suo sguardo addosso.
Non era preparata a quella intensità.
E dovette ammettere che dal vivo era più bello che in fotografia; osservò il sopracciglio piegarsi verso l’alto, la piega della fronte al movimento... e giù, fino alla bocca, per scendere alla pelle scoperta del collo, ombreggiata dal mento.
Sapeva di aver fatto una figura ben misera, nel fissarlo così sfacciatamente e si sentì arrossire maggiormente quando le rivolse un sorriso, seguito da un piccolo cenno del capo.
Non un ghigno, non una smorfia compiaciuta  - perché era sicura che avesse notato come lo aveva guardato.
Un sorriso.
Le labbra piegate verso l’alto, una piccola fossetta sull’angolo destro...
E quando fece per aprire bocca – Bella non desiderava altro, a quel punto, che sentirlo parlare – quel piccolo momento venne rotto dalla voce spazientita della donna.
« Allora, mi stai ascoltando Edward?»
Delusa, lo vide spostare lo sguardo da lei, le parole spazzate via da un cenno di capo rivolto alla manager.
Era ben magra consolazione, rispetto all’occasione persa di sentirlo parlare – soprattutto, visto che era a lei che voleva rivolgersi.
Si impose di cacciare dalla mente quegli sciocchi pensieri; era il momento di mostrarsi professionali, si disse.
Si avvicinò a loro, mentre vedeva Edward accomodarsi sulla sedia, pronto per essere truccato.
La voce della donna era l’unico rumore che si sentiva; non aveva osato parlare, per non interrompere il suo lungo monologo, incentrato sugli impegni di lavoro del modello.
Tempo, giorni, luoghi...
Bella lasciò che le parole scorressero come suoni lontani, mentre prendeva in mano i trucchi.
Era consapevole che là dentro, in quell’ambiente, bastava un errore per essere fuori. Non era la più brava delle truccatrici, ma sapeva il fatto suo; del resto, il modello era sì bravo e conosciuto, ma la sua fama non era così “grande” da permettergli chissà quali trattamenti.
Quando si voltò, pronta a mettersi all’opera, sentì tutta la sua sicurezza – o quella che sembrava una parvenza di buona volontà – scemare di fronte alle iridi puntate su di sé.
Edward la guardava completamente rilassato, le mani giunte sul ventre e la piega della bocca tirata quasi stesse sorridendo.
Dovette deglutire forzatamente, traendo un respiro profondo, per riuscire a chinarsi verso di lui.
Gli era vicino, troppo vicino.
Ne sentiva il profumo, non troppo pesante o pacchiano; la fotografa in lei, a quella vicinanza, era persa a registrare ogni dettaglio della sua pelle, del suo profilo...
Si rendeva conto di non essere minimamente professionale, al momento.
Ma era altrettanto consapevole – fin troppo, a dire il vero – del suo respiro sul polso, quando passava con la mano su uno zigomo.
Vicino, troppo vicino.
Il suo sguardo vagò sui capelli, quei capelli che aveva giudicato perfettamente scomposti, un ossimoro che calzava a pennello; folti, indisciplinati, di uno splendido color ramato che si sposava alla perfezione alla colorazione dei suoi occhi e alla cute non troppo abbronzata.
La tentazione di passarci una mano attraverso era talmente forte che dovette allontanarsi e voltarsi verso il piano di lavoro, il cuore in tumulto.
Era stupido, era tutto maledettamente stupido.
Ma non poteva lottare contro sé stessa; era una persona abbastanza impacciata, con una vita sociale non certo movimentata. E lui... lui era un ragazzo bellissimo, là a portata di mano – e di respiro e bocca...

Non pensiamo a sciocchezze, Bella!

Cercò di fare appello alla parte più razionale di sé, quella che l’aveva sempre protetta dal commettere cose sciocche o insensate – doveva ringraziare suo padre, per quell’autocontrollo.
Prese in mano il fard, pronto per stenderlo sul volto di Edward.
Non l’avrebbe guardato in volto, si decise.
Avrebbe solo pensato ai punti dove stendere il trucco, quali ombreggiare, quali far risaltare.
E così fece, seppur con fatica; la tentazione di guardarlo dritto negli occhi era tanta, ma cercò di resistere, per evitare di risultare troppo sfacciata.
Si vergognò quando la voce le uscì fin troppo roca nel chiedergli di voltarsi, ma continuò a truccarlo con attenzione.
Non che servisse molto, per rendere quella cute perfetta; le imperfezioni da coprire erano ben poche – un accenno di irritazione causato dalla barba, una piccola cicatrice di varicella vicino all’orecchio... – ed il colorito era perfetto per il servizio che si sarebbe tenuto: del resto, quelli erano scatti di prova per testare le capacità e le espressioni del modello, oltre che un modo per far entrare in sintonia il fotografo con il soggetto da immortalare. Dopodiché, alcuni scatti sarebbero stati immortalati all’esterno nei giorni a venire, mentre Edward sponsorizzava attraverso certi luoghi della città la nuova collezione autunno/inverno maschile di una nota casa di moda.
Poco importava se Aprile era da poco iniziato...
Persa nei propri pensieri, non si era accorta di aver quasi terminato il suo lavoro.
Quando si alzò per esaminare il risultato, la manager si congedò da loro, per andare a parlare con il resto dello staff.
Si sorprese nel vederlo sospirare pesantemente, quando la porta venne chiusa alle loro spalle.
Ma del resto, Isabella poteva quasi capirlo: quella donna non aveva smesso di parlare per un attimo, prendendo per risposta i suoi cenni di capo o interrompendosi giusto per parlare al telefono.
Sicuramente, doveva essere efficiente nel suo lavoro.

Cosa che tu, al momento, non sei stata.

Poco importava, ormai il lavoro era stato eseguito.
Il trucco non era pesante e con le luci dello studio di certo non si sarebbe notato.
E in ogni caso, nulla che un buon programma di fotoritocco non riuscisse a cancellare.
Sì, poteva dirsi soddisfatta – anche se, ovviamente, gran parte del merito andava alla bellezza del soggetto.
Era pronta a congedarlo, quando lui la interruppe, parlando per la prima volta.

« Volevo scusarmi per l’ingresso maleducato che io e la mia manager abbiamo fatto».
Isabella lo fissò stupita da quell’uscita, mentre si alzava lentamente; era serio in volto, come nella voce.
Una voce che finalmente sentiva... e che le piaceva.
Non c’era un motivo; semplicemente, si sposava perfettamente con l’idea che aveva di lui – e del suo tono.
Quando lo vide sollevare una mano in sua direzione, lo sguardo fu catturato dalle dita, lunghe e sottili, da pianista. Erano curate, ma al contempo mostravano solidità e mascolinità.
Erano... belle.
E quando rialzò il volto, vide un sorriso cordiale spuntare su quel bellissimo viso.
Un sorriso rivolto a lei.
Un interessamento rivolto a lei.
« Piacere di conoscerti, sono Edward».
Si ritrovò a stringere quella mano automaticamente, non riuscendo a capire a cosa fosse dovuta tutta quella gentilezza. Per il suo lavoro? Non le sembrava di aver fatto nulla di che...
Ma ogni considerazione, sensata o meno che fosse, fu persa, quando il suo braccio venne strattonato.
Non c’era violenza, nel gesto.
E da parte sua non c’era stata resistenza, in quanto il movimento era stato troppo improvviso.
La sua goffaggine fece il resto; il suo corpo poggiò contro quello del ragazzo e le sue labbra... le sue labbra entrano in contatto con quelle di lui.
Invece che spostarsi, sentì la bocca di Edward indugiare sulla propria – ed era morbida, fresca.
Un contatto lieve, ma piacevole.
Semplicemente inaspettato.

E troppo breve.

Fu lui il primo a separarsi; Bella aprì gli occhi di scatto, a quel movimento: non si era resa conto di averli chiusi quando si era sentita tirare. La prima cosa che vide, fu il suo sguardo: era posato sulle sue labbra, intenso e bruciante – come lo era la stretta che sentiva attorno al polso, come lo era il suo sapore che ancora percepiva sulla bocca...
Quando Edward alzò gli occhi, incontrando i suoi, Isabella osservò affascinata come quel verde si fosse incupito; come prati carichi di umidità, che la pioggia aveva inscurito, il suo sguardo era qualcosa di... intenso e ne rimase incantata, mentre il respiro dell’altro ancora le avvolgeva il viso, in una carezza sensuale ed attraente.
E quando le chiese il nome, con la voce leggermente arrochita, fu costretta a sua volta a schiarirsi la gola, per non suonare pateticamente fioca.
« Isabella», sussurrò, cercando di capire quali fossero le sue intenzioni.
Voleva baciarla ancora?
Voleva... non lo sapeva neppure lei.
Era ancora troppo allibita da tutto quello che era successo.
Ed il suo sapore era ancora forte sulle labbra...
Ma fu lui, di nuovo, ad agire.
Si staccò, lasciandole il polso non prima di averlo accarezzato e con un sorriso dolce aveva mormorato un « Grazie» che l’aveva lasciata confusa e senza parole.
Non riuscì a dire nulla mentre lui usciva dalla stanza.
Si sentiva fulminata.
Immobile, stava nella stessa posizione in cui l’aveva mollata.

Nella mente, la fotografia perfetto di un bacio che sapeva di mistero...


***


Note: Allora, prima cosa da notare: sto scrivendo in terza persona.
Io, che non amo questo modo, la sto usando :|
Purtroppo, questa storia nasce così e così la terrò - e non mi farà neppure male esercitarmi un po'...
Seconda cosa: la settimana prossima vado in vacanza, finendo il lavoro. Per due settimane - ergo, più tempo libero per me e per scrivere.
Terza cosa: "Life" e "Dépendance" riprenderanno a settembre, mentre per "In a Lustful Night" vedrò di completarla nella pausa ferie. Per "Ciò che nasce in vacanza" vedrò se cancellare quel prologo o meno. Le idee erano buone, ma questa storia mi prende di più: è un regalo che sto facendo a me stessa. ^^

Dovrei riuscire a postare una volta a settimana - il lunedì, precisamente. Ma per la settimana prossima non ci metto la mano sul fuoco, perché parto e non sono certa che la chiavetta prenda (anche se sono più che fiduciosa).
Come sarà la storia?
Romantica. Rispetto alle mie solite, gli eventi si svolgeranno in maniera più veloce e si soffermeranno sui sentimenti e le emozioni.
Ci saranno momenti dolci, ci saranno momenti intimi - pur nel rispetto del rating - e ci sarà pure l'angolo malinconico. Il lieto fine, comunqe, è certo.
I capitoli non saranno troppo lunghi, per mia volontà.
E' una storia che mi piace, che mi prende.
E spero possa piacere pure a voi!

Un bacione a tutti e grazie a chi passerà da queste parti.
Anthea

   
 
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