Bonnie
piangeva. Bagnava il suo cuscino, bagnava quella dannata lettera. Una
rettifica, una correzione. Cosa c'era di peggio del sapere che esiste quel
mondo magico, quell'universo parallelo in cui pensavi di poter essere accettata
e non riuscire a farne parte? Niente. Eppure era così. Non sarebbe potuta
entrare ad Hogwarts. C'era stato un errore madornale, unico nel suo genere. Lei
non aveva poteri magici, lei era un’umana qualunque. Una babbana qualunque.
Allora Bonnie piangeva. Sarebbe stato meglio sapere che l'unica realtà era
quella che conosceva. L'illusione faceva male. L'effimera felicità provata nel
vedere una civetta poggiarsi sul suo balcone, nello scoprire dietro quella
calligrafia sbilenca la possibilità di sorridere veramente. Ora tutto svaniva.
Bonnie piangeva.
Bonnie era stata una bambina solare e un'adolescente depressa. Era un
camaleonte, un essere mutevole e instabile. All'età di dieci anni aveva un viso
delicato incorniciato da boccoli castani e illuminato da occhi bronzei velati
dalla tristezza per una sofferenza inflittale troppo presto. Perdere la mamma
senza nemmeno conoscerla, mentre ti dà alla luce con un padre che ti
attribuisce la colpa per la perdita della donna che amava, che anche tu avresti
amato, ti segna inevitabilmente l’esistenza. A undici anni aveva pianto per
essere stata rifiutata dall'unico posto che avrebbe potuto chiamare “casa”. Dopo
le lettere ricevute da Hogwarts era scattata la scintilla. Era vissuta nei
libri che parlavano di magia, incantesimi, streghe, fate, folletti e draghi. Erano
il suo sorriso, meglio della quotidianità. Loro non l'avrebbero abbandonata.
L’avevano tradita. In un giorno solo era venuta a conoscenza di un segreto lo e
aveva provato un dolore inimmaginabile: un mondo magico esisteva. Lei ne faceva
parte. Dopo un ora passata a fantasticare un’atra lettera. Il preside Albus
Silente si scusava. C’era stato un errore, dei maghi sarebbero venuti a
cancellarle la memoria. Ma nemmeno la magia può rimuovere ciò che ti ha reso
felice e ti ha procurato un vuoto così grande. Un rifiuto Erano passati ventiquattro mesi bui. Sentiva
un senso di oppressione, abbandono e rigetto, ma, senza i suoi ricordi, il
dolore non aveva una causa. A quattordici anni Bonnie aveva tinto i capelli.
Tutte le punte avevano dei riflessi rame, tendenti al rosso. Copriva gli occhi
con lenti a contatto nere. Era sempre sola, ai margini della società. Esclusa
da tutti. Non leggeva più, passava il tempo a scrivere. A sedici anni voleva la
sua giustizia. Ricordava. La sua sete di vendetta richiamò Lui.
Le sue pupille
si assottigliarono. Il bronzo si tinse di rosso. Il sangue scorreva nel suo
iride. Il suo cuore divenne di ghiaccio. Bonnie non esisteva più. Il signore
Oscuro la prese con sé. L'errore di Silente si sarebbe rivelato doppiamente
fatale.
- Domani avrà
inizio la tua vendetta.
- Signore, quella di cui sta parlando non è la sua vendetta? – marcò quel “sua”
con particolare enfasi e malizia.
- Lingua biforcuta taci! Tu mi devi tutto. Senza me non saresti più niente.
Sono l'unico per te - il sibilo della voce echeggiava nel maniero, penetrava
nelle ossa.
Lei tacque si credeva amata, era convinta di quelle parole. Ma lui, non provava
sentimenti. Lui la stava usando.