Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: MrEvilside    02/08/2010    4 recensioni
Sai, senza il signor Sebastian non avrei mai visto gli uccellini. Non mi sarebbero mai cresciuti i capelli e sarei rimasto morto per tutta la vita.
[spoiler! sui capitoli 43 e 44 del manga]
[I classificata al contest Gratta e Vinci... forse, indetto da Yuri_giovane_contadina.]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bard, Finian
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Those Servants, Watching Over Him

Che Bard sapesse, i cadaveri non singhiozzano – e lui, di cadaveri, ne sapeva parecchio.
Stava scendendo le scale che portavano alla cantina della magione, osservando distrattamente l’ombra del suo braccio che, proiettata sulle piastrelle dalle fiamme delle lampade ad olio disseminate lungo la rampa, si sollevava e si ripiegava in direzione della bocca ogniqualvolta desiderava aspirare una boccata di fumo dalla sigaretta, quando l’aveva udito.
Un suono pietoso, come di un bambino che si lamenta d’un taglio sul ginocchio derivato da una caduta, tuttavia non era nelle possibilità d’una salma produrne uno simile.
Era per questa ragione che aveva afferrato l’impugnatura d’una vecchia spada stretta fra i guanti di ferro d’un’armatura arrugginita abbandonata sul pianerottolo – gli era stato detto che in principio si trovava in un corridoio ai piani superiori e che era appartenuta al signor Vincent Phantomhive ma, alla sua morte, suo figlio l’aveva fatta spostare dabbasso a rovinarsi parimenti ogni altro oggetto potesse ricordargli i genitori; che strano ragazzino, talvolta non riusciva davvero a capirlo – e si era affrettato innanzi la porta del seminterrato, nient’altro.
Non l’improvvisa indignazione che gli aveva suscitato il pensiero del corpo di Sebastian profanato, perlomeno, si rassicurò nello spingere il battente.
Nel buio pressoché totale della stanza, il cuoco aguzzò gli occhi e distinse le sagome dei cadaveri celati da lenzuoli bianchi che giacevano sul pavimento e, al fianco di quello che, a quanto ricordava, doveva essere Sebastian, una quarta figura raggomitolata sul suolo freddo e viscido.
Bard levò in alto la lama della spada.
« Chi è là? » chiese con cautela.
L’ombra scura sembrò aver sollevato un braccio ed emise un nuovo singhiozzo – forse si era asciugata una lacrima. « Bard…? » rispose la voce di Finian, rotta da un dolore tagliente che tentò vanamente di dissimulare.
« Finian? » Adesso che aveva fatto l’abitudine all’oscurità quasi completa, il cuoco poteva intravvedere il giardiniere accucciato a terra, con le gambe raccolte al petto ed il mento appoggiato sulle ginocchia. « Perché sei venuto quaggiù a quest’ora? »
« Volevo proteggere il signor Sebastian » mormorò Finian, strofinando il palmo della mano contro il naso nell’intento di scacciare la sofferenza. « Non voglio che nessuno gli faccia ancora del male… E s-se quel… quell’uomo cattivo dovesse tornare… lo farò a pezzi io stesso… » Eppure il suo tono aveva l’aroma del dolore e la sua voce si affievoliva un poco in più ad ogni parola.
« Hm ». La punta della spada adesso strisciava sul pavimento, mentre Bard gli si accostava e si lasciava ricadere al suo fianco, prendendo una nuova boccata dalla sigaretta.
Il giardiniere s’avvide dell’arma con stupore. « E tu perché sei venuto? E perché con una spada? » volle sapere, battendo ripetutamente le palpebre in un gesto perplesso.
« Oh, questa? » Il cuoco l’osservò come se la vedesse anch’egli per la prima volta. « L’ho presa perché… uhm… » Volse la testa da un lato, dimentico che a causa del buio Finian non avrebbe ugualmente potuto incrociare il suo sguardo. « Ero venuto a controllare che fosse tutto a posto ».
Il giardiniere abbozzò un debole sorriso. « Anche tu vuoi difendere il signor Sebastian dall’uomo cattivo? » indovinò con quel suo innocente tono da bambino.
« Sì, be’… » Bard socchiuse le labbra, di modo che il fumo potesse uscirne, e svicolò: « È un peccato che sia morto; inoltre era il maggiordomo, merita d’essere protetto da quel bastar… »
Sussultò all’udire un inaspettato miagolio proveniente dal petto di Finian e levò istintivamente la lama della spada nella sua direzione. « Ma che diavolo…?! »
Il giardiniere si raddrizzò, permettendo al gatto nero premuto tra il suo ventre e le sue gambe di sfuggire sinuosamente alla sua stretta protettiva e di sedersi al suo fianco, accanto ad un lembo del lenzuolo che nascondeva la salma del maggiordomo.
« Era il gattino preferito del signor Sebastian » sussurrò Finian in tono cospiratore, quasi considerasse scortese turbare la contemplazione del cadavere da parte del gatto, che piegò un orecchio e socchiuse gli occhi gialli, come piccole torce nel buio che celava il suo corpo scuro. « L’ho trovato qui, affamato e infreddolito: gli ho dato da mangiare e l’ho abbracciato perché non si prendesse un brutto raffreddore ».
Il cuoco esalò un sospiro, riponendo l’arma una seconda volta. « Non farlo vedere al signorino: lo caccerebbe via » gli ricordò semplicemente.
« Sono contento che gli volessi bene » commentò il giardiniere, equivocando palesemente la sua osservazione – non che fosse convinto che quel gatto avrebbe vegliato sul maggiordomo, assolutamente; non credeva a simili favole, lui. « Sai, senza il signor Sebastian non avrei mai visto gli uccellini » aggiunse mestamente, passandosi le dita tra le ciocche bionde per nascondere le lacrime che bruciavano ai lati dei suoi occhi. « Non mi sarebbero mai cresciuti i capelli e sarei rimasto morto per tutta la vita ».
Il cuoco si limitò a disegnare distrattamente dei cerchi immaginari sul terreno con l’estremità della spada, in silenzio.
Era ben consapevole di che cosa significasse essere morti per l’intera durata della propria esistenza: ricordava perfettamente gli uomini del suo reggimento che, uno dopo l’altro, cadevano e non si rialzavano più, ricordava i loro sguardi vuoti levati al cielo, ricordava la coscienza d’essere l’unico sopravvissuto – ed il cadavere più pietosamente straziato –, ricordava Sebastian che, indossando la consueta tenuta da maggiordomo, quasi ridicola in quel contesto, gli proponeva un lavoro alla magione di Ciel Phantomhive.
Sebastian che gli offriva la possibilità di costruirsi una nuova vita.
Il giardiniere non fu in grado di reprimere ulteriormente il pianto e scoppiò nuovamente in singhiozzi, affondando il viso contro le ginocchia. Attratto dal rumore, il gatto si volse a guardarlo, appoggiò le zampe anteriori sulle sue gambe e mormorò un timido miagolio.
« I-il signor Sebastian è… è sempre stato c-così gentile con me… »
Dal momento che era morto, nessuno gli aveva mai dato un nome.
Non era nient’altro che una salma, utile soltanto per condurre degli esperimenti. Un corpo vuoto che urlava e si dibatteva fra le mani dei medici, tentando vanamente di sfuggire a quella medicina che curava la malattia dell’umanità e favoriva gli anticorpi della mostruosità.
Non rammentava molto della sua morte, se non la sofferenza, i volti indistinti di quegli uomini cattivi ed il mondo bianco che l’aveva circondato sino a che, un giorno, una macchia nera in quell’universo immacolato gli aveva fatto dono d’un’esistenza tutta sua. Una macchia vestita dell’uniforme d’un maggiordomo che aveva sporcato i medici di rosso e l’aveva trascinato via da quel mondo d’un opprimente candore.
Una macchia che gli aveva mostrato un universo ben differente da quello che sino ad allora aveva conosciuto, dove, se faceva attenzione, poteva permettere agli uccellini di posarsi sul palmo della sua mano senza far loro del male, dove esistevano i colori ed esisteva lui.
Finian, in questo modo gli si era appellata la macchia, accetteresti la mia proposta di lavorare per il mio signore il conte Ciel Phantomhive in qualità di giardiniere?
La macchia si chiamava Sebastian e gli aveva promesso un giardino con tanti uccellini.
Bard gli cinse le spalle con un braccio, piano, maldestramente, in un gesto d’impacciato conforto. « Già » concordò goffamente.
Al principio, lui, Finian e Maylene non sapevano fare nient’altro che uccidere: era stato il maggiordomo ad occuparsi d’insegnare loro tutto il resto.
Accompagnandosi ad un sorriso in parte paziente ed in parte canzonatorio, forse, che il cuoco non sopportava e che il giardiniere e la domestica ammiravano, si era impegnato affinché apprendessero ogni mansione che un servitore avrebbe dovuto svolgere.
Ognuno di loro sapeva che, disumanamente perfetto com’era, avrebbe potuto occuparsi d’ogni singolo servizio senza il loro goffo aiuto, eppure Sebastian aveva spinto gli occhiali sulla radice del naso e aveva picchiato l’estremità della bacchetta di legno sulle lettere vergate sui fogli che aveva distribuito loro, insegnando loro l’alfabeto – forse ancora adesso Finian faticava a leggere, tuttavia nessuno poteva più persuaderlo che l’etichetta d’un veleno riportava il nome d’una medicina che lo avrebbe fatto stare meglio.
« L’uomo cattivo non gli farà più del male, vero? » Finian si asciugò le lacrime un’ennesima volta, accarezzando il gatto dietro le orecchie in segno di ringraziamento. « Non potrà, perché ci siamo noi, non è così? » Abbozzò un sorriso nel sentire l’animale fare le fusa, compiaciuto, ed accoccolarsi contro il suo piede.
Sebbene la sua forza fosse tanto spropositata che avrebbe potuto uccidere soltanto sfiorando con un dito, non sapeva che, una volta morto davvero, non si sentiva più nulla – lui ricordava ancora il dolore del fluido sconosciuto che si mescolava al suo sangue nelle vene.
Bard, tuttavia, volle lasciare che credesse nella dolce menzogna di poter seguitare a difendere il maggiordomo che cullava amorevolmente il suo cuore nel grembo – sarebbe stato un peccato fare a pezzi anche quella sua ultima illusione: per quanto potesse rinnegare le favole, rispettava chi era ancora in grado di credervi. Di tanto in tanto, forse, sarebbe piaciuto anche a lui.
« Ovviamente » affermò, stringendo l’impugnatura della spada con maggior convinzione – in teoria, avrebbe dovuto avere più o meno lo stesso principio d’uso della baionetta. « Siamo servitori della casata Phantomhive, dopotutto » si costrinse a citare il maggiordomo, non senza reprimere una smorfia stizzita che soffocò contro la sigaretta dalla quale prese un’ennesima boccata. « Se non fossimo capaci di cose del genere, che cosa accadrebbe? »
Il giardiniere accennò una risata contro la stoffa della sua camicia, pur tenendo per sé il suo pensiero in merito a quanto fosse stata ridicola quella frase, che Sebastian sovente pronunciava con aggraziata solennità, sulla bocca del cuoco che, al contrario, l’aveva mugugnata con un misto di fastidio e speranza di rasserenarlo.
« Sono contento » disse, sbadigliando.
Piccato, Bard gli avrebbe chiesto che cosa vi fosse di tanto divertente, non fosse stato che Finian si era già addormentato contro il suo petto e che il gatto li stava studiando con intensità.
« Ehi, gatto, » borbottò il cuoco, arrossendo impercettibilmente « che diavolo hai da guardare? »
Ne era convinto: quell’animale stava silenziosamente ridendo della sorta d’abbraccio al quale il giardiniere l’aveva costretto – non che si sarebbe sorpreso, se il gatto preferito di Sebastian fosse stato il Gatto del Cheshire.


* Che Bard sapesse, i cadaveri non singhiozzano – e lui, di cadaveri, ne sapeva parecchio. – riferimento alla guerra che Bard combatté il giorno in cui Sebastian lo assunse.
* l’armatura portata in cantina: si dice nell’opera originale che Ciel, dopo la morte dei genitori, non abbia più voluto tenere in giro per casa oggetti che potessero ricordarglieli.
* Non farlo vedere al signorino: lo caccerebbe via – come viene ripetuto nel capitolo 44, Ciel è allergico ai gatti.
* quella medicina che curava la malattia dell’umanità e favoriva gli anticorpi della mostruosità – faccio riferimento agli orribili esperimenti cui Finian era sottoposto per testare la medicina, o quel che era.
* nessuno poteva più persuaderlo che l’etichetta d’un veleno riportava il nome d’una medicina che lo avrebbe fatto stare meglio – riferimento ad una delle tante menzogne che i carcerieri di Finian gli avevano raccontato.




( pre-risultati:
Non è nulla di particolare se non l’analisi del rapporto che lega[va?] il cuoco ed il giardiniere al maggiordomo: nel capitolo 44, un’immagine che mi ha molto colpito è stata la vignetta in cui si vede quest’ultimo insegnare ai tre apprendisti domestici a leggere, poiché a quel tempo l’istruzione non era cosa comune a tutti, in particolare non ai servitori, e nemmeno io, che poco sopporto Sebastian, non ho potuto non ammirarlo perlomeno per questo, perciò ho pensato di scriverci qualcosa su.
Il titolo è una sorta di ripresa, come si può facilmente indovinare, dei titoli dei capitoli del manga e degli episodi dell’anime, i quali iniziano tutti con “That Butler, …”

post-risultati:
Era un esperimento, il mio primo esperimento su di loro, ed è arrivato primo! °o°
Ne sono davvero, davvero felice! E poi gli voglio tanto bene, a questo piccolino.
E' la prima volta che non inserisco il giudizio del giudice, ma il portatile mi sta ostacolando...! .__. Battuto dalla tecnologia.
Oh, be'.
'til next time, chu. )
  
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