Ed eccomi qua.
Oggi, presa dal fervore per la pubblicazione del secondo capitolo della mia nuova fanfic su Saint Seiya (e, cogliendo l'occasione, mi faccio un po' di pubblicità. Leggete "Bleeding Sunset - Occhi di Tigre"!), ho spulciato un po' nella cartella dei miei lavori. Ho ritrovato un sacco di cose di cui mi ero completamente dimenticata e che, sinceramente, non avevo mai pensato di pubblicare prima.
Questo lavoro in particolare è un poemetto a carattere un po' epico, un po' fantasy, che donai ad una mia amica speciale un anno e mezzo fa - a Natale - assieme al regalo vero e proprio - una katana. Scrissi "Leggenda" pensando a lei, al suo carattere battagliero, alla sua vitalità, e al contempo alla sua tristezza; non lo reputo un capolavoro, affatto, ma per me è speciale in quanto dedicato ad una persona importante.
Ora, rileggendolo a così tanto tempo di distanza, mi rendo conto che avrebbe bisogno di essere riveduto. Forse lo farò, un giorno; ma non credo. Ci sono affezionata così com'è, imperfezioni incluse. Quindi perdonate lo stile a tratti grezzo - è stato il primo componimento in versi al quale mi sono mai dedicata, e ho carcato, a volte pretenziosamente, di dargli un tono aulico che richiamasse il tema epico.
Non mi resta che augurarvi buona lettura, sperando che riusciate ad arrivare fino in fondo!
Tanti saluti,
Gea Kristh
PS: l'immagine che ho utilizzato per lo sfondo del titolo non mi appartiene assolutamente; purtroppo non ricordo il nome dell'artista, comunque è opera sua e tutti i diritti gli sono riservati.
Le
dedico a te, dolce spirito,
queste parole ch’intono novelle;
che se gloria ti negan’ le stelle,
a tal sia ora il mio canto dedito.
Narro
oggi di quel regno lontano,
patria celeste di gentil genti,
piume e pallori, voci e venti.
Nell’alba
bionda rifulge la luce
su cristalli e coralli e castelli,
fronde, frasche e rive di ruscelli;
cieco fulgore che pace produce.
Il
fato con la brezza par cantare,
innalzare al sole, al mattino,
parole e pensieri, destino.
Siede
regale e solenne, lei –
ne’ suoi occhi ardon’ fiamme pure,
braci, specchi di vicende venture –
immortale creatura degli dei.
Gli
occhi socchiude sull’oceano,
quieto quanto in lei è tempesta:
sì se’ fatale, oh guerra funesta!
Quel
che le rughe del tempo soffocan’
il pensiero ora resuscita;
appassionato il cuore palpita,
i ricordi il presente soverchian’.
Vede
il pianto lavare il sangue,
rotti i corpi cari e rivali,
genti de’ cieli e quelle de’ mali.
Ahi
guerre! Nate sante e beate,
eppure muoion’ meste, amare!
Perché debbon’ lacrime annegare
conquiste in gloria celebrate?
Sì
la mente sua l’avvenir sogna,
ove disfatta, a’ trionfo, morte
rende una sì somigliante sorte.
Potenza
che nelle vene sue scorre
mai vide falla, viltà né timore;
ch’in ella vive coraggio, valore,
e a dolor’ onore par frapporre.
Giustizia
la move: lei che foco,
spirito guerriero, creatura
sacra, abiura pena e paura!
Dubbi
non indulge pensier’ suoi;
e già udir’ le pare, da lontano,
il clamor’ di grida, e il baccano,
voci, urli, e canti agl’eroi.
Maestosa
all’occhio, sì solenne,
si leva eretta lei guerriera;
ella indomita, ella fiera.
Spiega
le ali al nuovo vento,
penne, piume e pallido candore;
stira gli arti, sguaina ‘l fulgore –
la lama sua, il lucente argento.
E
spicca il volo, ‘l triste angelo;
oh dama! Pelle tua solar luce
rifrange, in divin’ gloria ’l trasduce.
Sì
tanto splendor’ fuori quant’in core
vuoto; sentiva sé spenta, stanca.
Che vit’è, se vital’ ragione manca?
Qual, se ‘n grigio stinge ogni colore?
Vede
compagni di mille battaglie,
lor’ e l’armi, delinearsi duri:
‘l nemico avanza, in bordi scuri.
Tra
lor’ atterra, leggiadra guerriera;
la spada al ciel’ alza, campionessa;
così ‘l grido si leva, grinta impressa
‘n voci, a feral’ ferocia maniera.
Com’
d’una bilancia in equilibrio
piatti, soverchiar’ legion’ non poteva
l’altra schiera, ché legge ‘l
precludeva.
Ma
natur’ scrisse e decretò fato:
per l’eterno contro l’oscur’ livido
lottar’ dovéa il biancor candido,
mai trionfante e mai trionfato.
Ahi
destino atroce, ch’alla lotta
conduci le celestial’ creature ,
esse vincoli sopportar’ torture!
Così
battaglia imperversa bruta,
e ‘l frastuono di lame contro lame
scorta del sangue nemico la fame
ch’in bestie anche cuor’ gentili muta.
Mai,
per giorni, per notti, vide guerra
sosta, e sì persa fu linfa nera
a quell’ argento in simil’ maniera.
Lei
par’ instancabile, e combatte,
e di vittime miriadi miete,
e sua mano l’anime fa inquiete,
mentre senza pietà vite abbatte.
La
lama con forza sferza e vibra;
con sensual’ grazia il corpo slancia,
a morte pari bellezza bilancia.
Al
cospetto di lei nuovo nemico
trema e cade; sì dal corpo vuoto
l’arma estrae in veloce moto.
E già sfumav’azzurro ‘n
ros’antico.
Lo
sguardo di lei, rubin’ sopra ‘l mondo,
i dintorni suoi cinge scrutando,
nella calca nuov’avversar’ cercando.
Così
‘l vede, lui condottier’ nemico,
che rival’ suoi piega e massacra,
e rinnovata in lei forza sacra,
dalle labbra sgorga grido antico.
Lui
alza gl’occhi, nei suoi l’immerge;
per un istante di lei il destino
avvampa in quell’iridi rubino.
Cade
la pioggia, mentre nubi nere
‘l cielo avvolgono e abbuiano,
e lo sguardo già stanco annebbiano,
ché luce tal’ coltre mai può fendere.
Muove
un passo lei, e poi un altro,
ed ecco che lo attacca, rapida,
del nero sangue rivale madida.
Lui
schiva, si difende; è abile
e astuto, quel demone guerriero,
delle schiere nemiche ‘l condottiero,
che forza sua par’ inestinguibile.
E
il duello imperversa, mentre
la pioggia lava ‘l sangue e ‘l sudore
via da pelli dal corrotto
candore .
Lei
‘l ferisce, e dopo vien’ colpita;
bilanciata è la
lotta, e forti
gl’ avversari
sfidan’ le proprie sorti,
combatton’ e
rischian’ la cara vita.
Oh
divinità mie, chiama, amara;
lei che sogna vita e vede morte,
in cuor’ piange ma di
fuor’ resta
forte.
Vede
d’intorno compagni cadere,
vede
in
terra regnar’ distruzione,
vede
‘l
sangue segnar’ disperazione,
e
‘l cielo
che par’ lacrime piangere.
Può
cotanto esser’ giusto? Miei dei,
a me questo rispondete: per cosa
guerra imperversa e mai riposa?
Angoscia
vive nell’animo di lei,
che però mantien’
fede e si batte;
che creature del ciel’
furon’ fatte
per mai contestar’ il
voler’ degli
dei.
Sì
per giorni l’angel’ ‘l nemico sfida;
per altrettanti soluzion’
‘n’s’approccia,
e nel cuor’ ogni incertezza
sboccia.
La
luce del sol’ nascente riflette
sulla letale lama avversaria,
che volteggia, ballerina,
nell’aria;
colpisce e poi gl’ attacchi
deflette.
E’
una sensuale danza, la loro.
Un
ballo di
furia, e di dolore,
macchiato
dall’ombra d’ogni orrore.
‘L
settimo sol’ all’orizzonte muore,
lascia
‘l
passo a una notte scura,
senza
luna, presagio
di sventura,
ch’
oscuri
pensieri annida ‘n cuore.
I
due guerrieri negl’occhi si guardan’ –
l’altro
studian’
con attenzione tesa –
mai
vera
possibilità la resa.
‘L
nemico balza avanti, colpisce;
la sua arma saetta, fulminea;
s’una gota un’ orma
sanguinea
traccia, d’argento vivo
l’
colorisce.
Rubin’
nel rubino, occhi negl’ occhi;
coperti
‘n
sangue proprio e rivale –
pallor’
de’
cieli com’ oscur’ del male.
Di
lei la lama scatta, l’aria fende;
ché
‘l
guerrier’ schiva, e ‘l favor’ ricambia:
metal’
contro metallo stride; ‘nfuria
l’equale
lotta prosegue e pende.
‘Nsanguinato
‘l ciel’ intero ‘l tramonto
ha
reso,
quando, rinnovato vigor’
in
ven’ di
nemico, egl’ attacca ‘ncor’.
Oh
Signori miei, goder’ vi offre
morte,
che
tutte le vostre creatur’
a
tal sorte
condannate? Il futur’
sì
le si
spiega : ch’al sol’ pensar’ soffre.
Vive
mai giustizia ‘n guerra e pena?
Han
dunque
gli dei voltato via ‘l viso
dal
popol’
lor’, di devozion’ intriso?
Sì
‘l dubbio in lei ruggisce e cresce,
e
‘l colpo
nemico l’ arma in stupor’
le
strappa, e
sì volteggiando ‘l fulgor’
‘n
terra si
pianta, ché sol’ metà n’esce.
Del
rival’ l’arma le carezza ‘l collo;
e
com’
amante che d’amante ‘l gesto
riceva,
brivido la scuote, mesto.
Ahi
morte! Giungi ‘n silenzio e vai via
trionfante:
ch’
un’ ode a tua gloria,
d’ogni
vita
signora, in sì storia
celebrata
venga senz’ agonia.
Giustizia
in te è viva e regna:
ché
tu,
dama, mieti ogni fazione
e
schieramento, senza distinzione.
‘L
potente rombo d’un tuono distante
par
dichiarar’ sentenza: piange ora
‘l
cielo, e
d’ombre la terra colora,
la
scuote,
ed ella trema, pulsante.
E
mentre la pioggia – divin’ lacrime –
dal
cielo scende
e sciacqua scrosciante,
due
cuor’ violenti
tutto fan’ distante.
Occhi
rubino negl’ altri immersi,
rabbiosi
respiri fus’in un solo,
battiti,
furenti, com’ ali ‘n volo:
affini,
esseri pur sì diversi!
Un
sospiro profondo dalle labbra
amaranto
esce: ‘l corpo silenzia,
lui
vincente,
quindi piano sentenzia:
«
Ditemi chi siete, oh creatura, »
bass’
e roche
le parole, da sete
e
fatica
marcate; ah, sì chete,
che
a stento
mente di lei ‘l cattura.
«
Per cosa? » Suoi occhi par saette
lanciare,
« or’,
guerriero, uccidimi,
e
fa’ ‘l
parlar’ silente ‘n quest’ attimi.
»
«
Non desidero farlo, oh guerriera.
Tal’
rivale
mai avevo ‘ncrociato,
e
nulla in
vita più ho bramato
che
sfidar’
sì anima battagliera. »
«
Desideri tuoi dover’ non surclassan’.
Ché
guerra
mai può viver’ di singoli,
ma
d’ideali,
grand’ oppur’ piccoli. »
«
Tu dunque vedi senso ‘n tal’ contesa.
Mostral’
anche a me, ch’ a ciò son’ cieco
.»
L’angel’
tace, ‘n mente de’ pensier’
l’eco;
sorride
lui,
mesto a tal’ intesa.
«
Combattiam’ sovr’ al destino; sì
moriam’,
per
un pugno
di polvere. » Mai
smette
d’osservar’
lei, che verità ammette.
Sospira
lei, stanca, svuotata. « Lama
vibr’
o
riponi, guerriero. » Bisbiglia.
Lei
feral’
fiera e celestial’ figlia
sé
sente già
in petto morta, grama.
Lo
sguardo ‘ndurisce lui, poi sospira;
l’arma
rinfodera con grazia lenta,
poi
si
volta, ogni movenz’ attenta.
Il
suo passo mai falla né indugia,
e
quando
l’ali scure spieg’ ai venti,
battiti
di
lei martellan’ potenti.
Lei
‘l
fissa, tace, ‘n vuoto si rifugia.
Oh
angelo, l’onor’ tuo sanguina,
ma
‘l cuor’
par’ volerti ‘n petto scoppiare!
‘N guerra luce hai potuto
trovare.
Nel
ciel’ t’innalzi, e sol’uno sguardo
rechi
all’arm’ abbandonat’ a terra
prima
di
volar’ lontan’ d’ogni guerra,
d’ogni
falsità
d’un mondo bugiardo.
Nella
mente ‘l rivede, ‘l viso di lui,
e
capisce,
infine: ché giustizia
non
è né
assoluta, né fittizia.
‘L
bene non siede con alcun’ fazione;
nell’equilibrio
dimor’ e regna,
lui,
bilancia che mai vincitor’ segna,
spettator’
di pretes’ e ambizione.
In
un cicl’infinito i popoli
lottano
e
s’annientano, mai vinti,
mai
trionfanti: sol’ da morte cinti.
Dell’angel’
condottiero è pers’ ogni
traccia;
c’è
chi narra ch’ arse ‘n battaglia;
chi
ch’ascese tra gli dei ch’or’ eguaglia;
chi
la vede,
viva, morta, ‘n lor’ sogni.
E
c’è anche chi, come me, ricorda
l’angel’,
e
tace. Poich’ella, in guerra,
trovò
la sua
luce, e la sua terra.