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Autore: Gea_Kristh    02/08/2010    0 recensioni
"E c’è anche chi, come me, ricorda
l’angel’, e tace. Poich’ella, in guerra,
trovò la sua luce, e la sua terra."
Genere: Dark, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ed eccomi qua.

Oggi, presa dal fervore per la pubblicazione del secondo capitolo della mia nuova fanfic su Saint Seiya (e, cogliendo l'occasione, mi faccio un po' di pubblicità. Leggete "Bleeding Sunset - Occhi di Tigre"!), ho spulciato un po' nella cartella dei miei lavori. Ho ritrovato un sacco di cose di cui mi ero completamente dimenticata e che, sinceramente, non avevo mai pensato di pubblicare prima. 

Questo lavoro in particolare è un poemetto a carattere un po' epico, un po' fantasy, che donai ad una mia amica speciale un anno e mezzo fa - a Natale - assieme al regalo vero e proprio - una katana. Scrissi "Leggenda" pensando a lei, al suo carattere battagliero, alla sua vitalità, e  al contempo alla sua tristezza; non lo reputo un capolavoro, affatto, ma per me è speciale in quanto dedicato ad una persona importante.

Ora, rileggendolo a così tanto tempo di distanza, mi rendo conto che avrebbe bisogno di essere riveduto. Forse lo farò, un giorno; ma non credo. Ci sono affezionata così com'è, imperfezioni incluse. Quindi perdonate lo stile a tratti grezzo - è stato il primo componimento in versi al quale mi sono mai dedicata, e ho carcato, a volte pretenziosamente, di dargli un tono aulico che richiamasse il tema epico. 

Non mi resta che augurarvi buona lettura, sperando che riusciate ad arrivare fino in fondo!

Tanti saluti,

Gea Kristh

PS: l'immagine che ho utilizzato per lo sfondo del titolo non mi appartiene assolutamente; purtroppo non ricordo il nome dell'artista, comunque è opera sua e tutti i diritti gli sono riservati.

Leggenda

                  Le dedico a te, dolce spirito,
queste parole ch’intono novelle;
che se gloria ti negan’ le stelle,
a tal sia ora il mio canto dedito.

                  Narro oggi di quel regno lontano,
patria celeste di gentil genti,
piume e pallori, voci e venti.

Nell’alba bionda rifulge la luce
su cristalli e coralli e castelli,
fronde, frasche e rive di ruscelli;
cieco fulgore che pace produce.

 

               Il fato con la brezza par cantare,
innalzare al sole, al mattino,
parole e pensieri, destino.

 

                Siede regale e solenne, lei –
ne’ suoi occhi ardon’ fiamme pure,
braci, specchi di vicende venture –
immortale creatura degli dei.

                Gli occhi socchiude sull’oceano,
quieto quanto in lei è tempesta:
sì se’ fatale, oh guerra funesta!

               Quel che le rughe del tempo soffocan’
il pensiero ora resuscita;
appassionato il cuore palpita,
i ricordi il presente soverchian’.

               Vede il pianto lavare il sangue,
rotti i corpi cari e rivali,
genti de’ cieli e quelle de’ mali.

 

               Ahi guerre! Nate sante e beate,
eppure muoion’ meste, amare! 
Perché debbon’ lacrime annegare
conquiste in gloria celebrate?

 

                Sì la mente sua l’avvenir sogna,
ove disfatta, a’ trionfo, morte
rende una sì somigliante sorte.

                Potenza che nelle vene sue scorre
mai vide falla, viltà né timore;
ch’in ella vive coraggio, valore,
e a dolor’ onore par frapporre.

 

               Giustizia la move: lei che foco,
spirito guerriero, creatura
sacra, abiura pena e paura!

 

               Dubbi non indulge pensier’ suoi;
e già udir’ le pare, da lontano,
il clamor’ di grida, e il baccano,
voci, urli, e canti agl’eroi.

                Maestosa all’occhio, sì solenne,
si leva eretta lei guerriera;
ella indomita, ella fiera.

               Spiega le ali al nuovo vento,
penne, piume e pallido candore;
stira gli arti, sguaina ‘l fulgore – 
la lama sua, il lucente argento.

                E spicca il volo, ‘l triste angelo;
oh dama! Pelle tua solar luce
rifrange, in divin’ gloria ’l trasduce.  

               Sì tanto splendor’ fuori quant’in core
vuoto; sentiva sé spenta, stanca.
Che vit’è, se vital’ ragione manca?
Qual, se ‘n grigio stinge ogni colore?

 

                Vede compagni di mille battaglie,
lor’ e l’armi, delinearsi duri:
‘l nemico avanza, in bordi scuri.

               Tra lor’ atterra, leggiadra guerriera;
la spada al ciel’ alza, campionessa;
così ‘l grido si leva, grinta impressa
‘n voci, a feral’ ferocia maniera.

               Com’ d’una bilancia in equilibrio
piatti, soverchiar’ legion’ non poteva
l’altra schiera, ché legge ‘l precludeva.

               Ma natur’ scrisse e decretò fato:
per l’eterno contro l’oscur’ livido
lottar’ dovéa il biancor candido,
mai trionfante e mai trionfato.

                Ahi destino atroce, ch’alla lotta
conduci le celestial’ creature ,
esse vincoli sopportar’ torture!

Così battaglia imperversa bruta,
e ‘l frastuono di lame contro lame
scorta del sangue nemico la fame
ch’in bestie anche cuor’ gentili muta.

                Mai, per giorni, per notti, vide guerra
sosta, e sì persa fu linfa nera
a quell’ argento in simil’ maniera.

                Lei par’ instancabile, e combatte,
e di vittime miriadi miete,
e sua mano l’anime fa inquiete,
mentre senza pietà vite abbatte.

                La lama con forza sferza e vibra;
con sensual’ grazia il corpo slancia,
a morte pari bellezza bilancia.

                Al cospetto di lei nuovo nemico
trema e cade; sì dal corpo vuoto
l’arma estrae in veloce moto.
E già sfumav’azzurro ‘n ros’antico.

 

                Lo sguardo di lei, rubin’ sopra ‘l mondo,
i dintorni suoi cinge scrutando,
nella calca nuov’avversar’ cercando.

 

Così ‘l vede, lui condottier’ nemico,
che rival’ suoi piega e massacra,
e rinnovata in lei forza sacra,
dalle labbra sgorga grido antico.

 

Lui alza gl’occhi, nei suoi l’immerge;
per un istante di lei il destino
avvampa in quell’iridi rubino.

 

Cade la pioggia, mentre nubi nere
‘l cielo avvolgono e abbuiano,
e lo sguardo già stanco annebbiano,
ché luce tal’ coltre mai può fendere.

 

Muove un passo lei, e poi un altro,
ed ecco che lo attacca, rapida,
del nero sangue rivale madida.

 

Lui schiva, si difende; è abile
e astuto, quel demone guerriero,
delle schiere nemiche ‘l condottiero,
che forza sua par’ inestinguibile.

 

    E il duello imperversa, mentre
la pioggia lava ‘l sangue e ‘l sudore
via da pelli dal corrotto candore .

 

    Lei ‘l ferisce, e dopo vien’ colpita;
bilanciata è la lotta, e forti
gl’ avversari sfidan’ le proprie sorti,
combatton’ e rischian’ la cara vita.

 

Oh divinità mie, chiama, amara;
    lei che sogna vita e vede morte,
    in cuor’ piange ma di fuor’ resta forte.

 

    Vede d’intorno compagni cadere,
     vede in terra regnar’ distruzione,
     vede ‘l sangue segnar’ disperazione,
     e ‘l cielo che par’ lacrime piangere.

 

Può cotanto esser’ giusto? Miei dei,
    a me questo rispondete: per cosa
    guerra imperversa e mai riposa?

 

Angoscia vive nell’animo di lei,
    che però mantien’ fede e si batte;
    che creature del ciel’ furon’ fatte
    per mai contestar’ il voler’ degli dei.

 

Sì per giorni l’angel’ ‘l nemico sfida;
    per altrettanti soluzion’ ‘n’s’approccia,
    e nel cuor’ ogni incertezza sboccia.

 

La luce del sol’ nascente riflette
    sulla letale lama avversaria,
    che volteggia, ballerina, nell’aria;
    colpisce e poi gl’ attacchi deflette.

 

    E’ una sensuale danza, la loro.
    Un ballo di furia, e di dolore,
    macchiato dall’ombra d’ogni orrore.

 

    ‘L settimo sol’ all’orizzonte muore,
     lascia ‘l passo a una notte scura,
     senza luna, presagio di sventura,
     ch’ oscuri pensieri annida ‘n cuore.

 

    I due guerrieri negl’occhi si guardan’ –
    l’altro studian’ con attenzione tesa –
    mai vera possibilità la resa.

 

‘L nemico balza avanti, colpisce;
    la sua arma saetta, fulminea;
    s’una gota un’ orma sanguinea
    traccia, d’argento vivo l’ colorisce.

 

    Rubin’ nel rubino, occhi negl’ occhi;
    coperti ‘n sangue proprio e rivale –
    pallor’ de’ cieli com’ oscur’ del male.

 

    Di lei la lama scatta, l’aria fende;
    ché ‘l guerrier’ schiva, e ‘l favor’ ricambia:
    metal’ contro metallo stride; ‘nfuria
    l’equale lotta prosegue e pende.

 

    ‘Nsanguinato ‘l ciel’ intero ‘l tramonto
    ha reso, quando, rinnovato vigor’
    in ven’ di nemico, egl’ attacca ‘ncor’.

 

    Oh Signori miei, goder’ vi offre
    morte, che tutte le vostre creatur’
    a tal sorte condannate? Il futur’
    sì le si spiega : ch’al sol’ pensar’ soffre.

 

    Vive mai giustizia ‘n guerra e pena?
    Han dunque gli dei voltato via ‘l viso
    dal popol’ lor’, di devozion’ intriso?

 

    Sì ‘l dubbio in lei ruggisce e cresce,
    e ‘l colpo nemico l’ arma in stupor’
    le strappa, e sì volteggiando ‘l fulgor’
    ‘n terra si pianta, ché sol’ metà n’esce.

 

    Del rival’ l’arma le carezza ‘l collo;
    e com’ amante che d’amante ‘l gesto
    riceva, brivido la scuote, mesto.

 

    Ahi morte! Giungi ‘n silenzio e vai via
    trionfante: ch’ un’ ode a tua gloria,
    d’ogni vita signora, in sì storia
    celebrata venga senz’ agonia.

 

     Giustizia in te è viva e regna:
    ché tu, dama, mieti ogni fazione
    e schieramento, senza distinzione.

 

    ‘L potente rombo d’un tuono distante
    par dichiarar’ sentenza: piange ora
    ‘l cielo, e d’ombre la terra colora,
    la scuote, ed ella trema, pulsante.

 

    E mentre la pioggia – divin’ lacrime –
    dal cielo scende e sciacqua scrosciante,
    due cuor’ violenti tutto fan’ distante.

 

    Occhi rubino negl’ altri immersi,
    rabbiosi respiri fus’in un solo,
    battiti, furenti, com’ ali ‘n volo:
    affini, esseri pur sì diversi!

 

    Un sospiro profondo dalle labbra
    amaranto esce: ‘l corpo silenzia,
    lui vincente, quindi piano sentenzia:

 

    « Ditemi chi siete, oh creatura, »
    bass’ e roche le parole, da sete
    e fatica marcate; ah, sì chete,
    che a stento mente di lei ‘l cattura.

 

    « Per cosa? » Suoi occhi par saette
    lanciare, « or’, guerriero, uccidimi,
    e fa’ ‘l parlar’ silente ‘n quest’ attimi. »

 

    « Non desidero farlo, oh guerriera.
    Tal’ rivale mai avevo ‘ncrociato,
    e nulla in vita più ho bramato
    che sfidar’ sì anima battagliera. »

 

    « Desideri tuoi dover’ non surclassan’.
    Ché guerra mai può viver’ di singoli,
    ma d’ideali, grand’ oppur’ piccoli. »

 

    « Tu dunque vedi senso ‘n tal’ contesa.
    Mostral’ anche a me, ch’ a ciò son’ cieco .»
    L’angel’ tace, ‘n mente de’ pensier’ l’eco;
    sorride lui, mesto a tal’ intesa.

 

    « Combattiam’ sovr’ al destino; sì moriam’,
    per un pugno di polvere. »  Mai smette
    d’osservar’ lei, che verità ammette.

 

    Sospira lei, stanca, svuotata. « Lama
    vibr’ o riponi, guerriero. » Bisbiglia.
    Lei feral’ fiera e celestial’ figlia
    sé sente già in petto morta, grama.

 

    Lo sguardo ‘ndurisce lui, poi sospira;
    l’arma rinfodera con grazia lenta,
    poi si volta, ogni movenz’ attenta.

 

    Il suo passo mai falla né indugia,
    e quando l’ali scure spieg’ ai venti,
    battiti di lei martellan’ potenti.
    Lei ‘l fissa, tace, ‘n vuoto si rifugia.

 

    Oh angelo, l’onor’ tuo sanguina,
    ma ‘l cuor’ par’ volerti ‘n petto scoppiare!
    ‘N guerra luce hai potuto trovare.

 

    Nel ciel’ t’innalzi, e sol’uno sguardo
    rechi all’arm’ abbandonat’ a terra
    prima di volar’ lontan’ d’ogni guerra,
    d’ogni falsità d’un mondo bugiardo.

 

    Nella mente ‘l rivede, ‘l viso di lui,
    e capisce, infine: ché giustizia
    non è né assoluta, né fittizia.

 

    ‘L bene non siede con alcun’ fazione;
    nell’equilibrio dimor’ e regna,
    lui, bilancia che mai vincitor’ segna,
    spettator’ di pretes’ e ambizione.

 

    In un cicl’infinito i popoli
    lottano e s’annientano, mai vinti,
    mai trionfanti: sol’ da morte cinti.

 

    Dell’angel’ condottiero è pers’ ogni
    traccia; c’è chi narra ch’ arse ‘n battaglia;
    chi ch’ascese tra gli dei ch’or’ eguaglia;
    chi la vede, viva, morta, ‘n lor’ sogni.

 

    E c’è anche chi, come me, ricorda
    l’angel’, e tace. Poich’ella, in guerra,
    trovò la sua luce, e la sua terra.

   
 
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