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Autore: _Mary    03/08/2010    10 recensioni
“Chi è lui?” aveva chiesto, freddo.
Ginny aveva aggrottato le sopracciglia.
“Lui chi?”
“Chi ti ha dato il sorriso”.
Seconda classificata al contest 'Time of Your Song' indetto da vogue sul forum di EFP.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley | Coppie: Draco/Ginny
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
- Questa storia fa parte della serie 'Puzzle'
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-NdA: io detesto con tutto il cuore Draco. E anche Ginny mi sta piuttosto antipatica. Mi sono scavata la fossa con le mie mani, decidendo di rendere due personaggi così antipatici i miei protagonisti. Ma ormai ho capito che non riesco a scrivere se non torturo i personaggi principali delle mie fic, e qui mi sono divertita molto a farlo, scoprendo addirittura che sfogarsi su personaggi cartacei può fare bene all’equilibrio di mente e corpo <3

Ah, un’altra cosa: se ho reso Draco un puccioso orsacchiotto innamorato, ti chiedo di fustigarmi. Se c’è una cosa che odio più di Draco Malfoy, quella è un Draco Malfoy snaturato <.<

Detto ciò… buona lettura!

 

DISCLAIMER: i personaggi non mi appartengono, ma sono di JK Rowling. La fan fiction non ha scopo di lucro.

Le strofe citate sono della canzone ‘La canzone dei vecchi amanti’, di Battiato. Inutile dire che non mi appartengono nemmeno quelle.

 

 

 

 

La danse des vieux amants

 

Ed ogni mobile ricorda,
in questa stanza senza culla,
i lampi dei vecchi contrasti.

Non sapeva perché lo stesse facendo. Perché, in quella notte di luna, stesse aprendo lentamente la porta di quella stanza che aveva lasciato chiusa da anni.

I mobili in legno scuro, che lei detestava, erano coperti da lenzuoli bianchi. Fantasmi nel chiaro di luna. Il letto era freddo e vuoto, senza coperte. Senza lei, senza il suo profumo, senza il suo calore.

Draco carezzò lievemente la colonna del baldacchino. Lei era lì, in una mattina di maggio, si reggeva a quella colonna e lo guardava con quel mezzo sorriso che aveva sempre amato, senza mai dirglielo.

Aveva amato Ginny. L’aveva amata quel giorno, quando indossava una camicia bianca troppo grande e lo aveva guardato sorridente, da quella colonna, i capelli rossi e arruffati che contrastavano con quella stanza troppo vuota, troppo fredda, troppo seria.

L’aveva amata quando l’aveva raggiunto sul letto per baciarlo, con una luce maliziosa nello sguardo. L’aveva amata quando aveva riso per qualcosa che le aveva detto.

L’aveva amata e l’aveva fatta andare via. Troppi disaccordi, all’inizio. Troppo pochi, alla fine. Troppi sogni non realizzati che appesantivano i loro cuori stanchi e feriti.

Troppi errori.

Draco passò una mano sulla testata del letto. Gli rimasero in mano minuscoli granelli di polvere, che avevano ricoperto tutto in quella stanza come un prezioso lenzuolo. Gli erano rimasti solo quelli ed una manciata di ricordi simili a coriandoli.

Del resto, Ginny l’aveva avvertito: l’unica cosa che si possiede, è l’amore che si dà.

 

Era arrivata a maggio. Indossava un impermeabile beige e portava il profumo dell’estate in quella casa ancora fredda e buia. Ginny si era guardata intorno a testa alta, per niente a disagio.

Aveva visto tutte le stanze. Ritratti imponenti vecchi di generazioni l’avevano scrutata, mentre spalancava le finestre per fare entrare il vento d’aprile. I vecchi mobili non l’avevano intimidita, mentre dava indicazioni per le pulizie.

“C’è un bel po’ di lavoro da fare” aveva detto quando Draco le si era avvicinato.

“Ti posso far notare che vuoi rivoluzionare una casa vecchia di due secoli?” aveva detto, seccato.

Ginny aveva riso.

“L’hai detto. È vecchia. Un mausoleo”.

Ginny si era guardata intorno.

“Ho in mente alcune modifiche per renderla vivibile”.

Draco, quello più vecchio, seduto sul letto, ghignò nel ricordare la sua espressione alla risposta ricevuta.

“Scordatele”.

Prima si era sorpresa; poi si era incupita; infine, Ginny si era voltata e se ne era andata, lasciandolo solo con i suoi ‘amati mobili’.

Draco aveva ghignato. L’aveva raggiunta ed abbracciata da dietro, baciandole il collo. Ginny si era voltata a fronteggiarlo, maliziosa.

“E credi che questo semplice e casto bacio possa bastare a farti perdonare?”

 

Non era mai stato facile con lei. Neanche all’inizio, quando si erano trovati a dover lavorare insieme. Neanche dopo, quando erano andati oltre ai ‘Weasley’ e ‘Malfoy’ sputati con disprezzo ogni volta che si vedevano. Neanche in seguito, quando si erano trovati l’uno nell’abbraccio dell’altro nella camera dell’appartamento di Ginny.

Solo dopo molto altro tempo, e solo dopo che aveva imparato a conoscere come le sue tasche il minuscolo monolocale in cui Ginny viveva in affitto, Draco si era deciso a chiederle di vivere con lui.

 

Draco era abituato a comandare e ad essere servito. Ginny era abituata a non farsi sottomettere da nessuno. Non era stato facile neanche per questo. Draco aveva perso il conto delle volte in cui Ginny se ne era andata sbattendo la porta, delle volte in cui si erano urlati contro per una sciocchezza, delle volte in cui aveva pensato che fosse finita. Ma Ginny tornava ogni volta. E tornava con i suoi baci, col suo profumo, con il suo calore.

 

Draco l’aveva sposata. Avevano vissuto insieme per anni, ma non le aveva mai chiesto se desiderasse qualcosa in più.

C’era una paura che lo tratteneva. Non era qualcosa di razionale. Temeva di infrangerla, come una delle perfette statuine di vetro che ornavano il salone e che lei aveva scelto. Ginny aveva classe, doveva ammetterlo.

Ma Draco l’amava, e avrebbe voluto vedere la luce che animava i suoi occhi quando le avesse chiesto di sposarlo. Aveva fatto la sua proposta per vanità, e si era sentito rispondere con l’amore.

Ginny era bellissima nel suo abito bianco. Era bellissima quando, quella notte, aveva guidato le sue mani sul suo corpo, alla luce della luna. Era bellissima quando si era addormentata con la testa contro il suo petto.

Ginny era bellissima. Ed era diventata sua.

Draco non glielo disse mai. Semplicemente, sapeva che Ginny sapeva. Lo faceva ridere, lo trattava da bambino viziato e poi lo amava la notte, gli faceva fare magre figure ai ricevimenti e poi si faceva perdonare con una sorpresa. E sapeva. Sapeva che la amava. Per lui andava bene così. Aveva il suo sorriso, il suo amore. Aveva lei.

Ma Ginny avrebbe voluto qualcos’altro. Draco lo seppe quando, un giorno, gli chiese:

“Ti piacerebbe avere un figlio?”

Draco aveva alzato lo sguardo su di lei, non riuscendo a capire.

“Un bambino. A volte penso che sarebbe bello avere qualcuno che si aggira tra queste stanze”.

Ginny aveva rabbrividito. Nonostante tutto, il freddo di quella casa non se ne era ancora andato. Il vento di maggio non era riuscito a riscaldarla, a scacciare i suoi fantasmi.

Draco non aveva risposto, limitandosi a storcere la bocca.

“Non mi sembrava che finora avessimo preso precauzioni per evitare una simile conseguenza” osservò, puntando nuovamente la sua attenzione sul documento che stava leggendo.

L’aveva sentita avvicinarsi e chinarsi al suo orecchio.

“Ma finora non ci siamo impegnati abbastanza…”.

 

Gli anni erano passati. Il vento era calato, i fiori avevano lasciato posto ai frutti e poi al nulla. Lacrime di pioggia avevano bagnato il terreno arido intorno alla villa, in un pianto silenzioso che, per un momento, aveva fatto temere a Draco che qualcosa non andasse.

La neve aveva spazzato via le speranze di Ginny.

Non avevano avuto figli. Ginny aveva continuato a sognare quel dono che il suo grembo non avrebbe potuto darle. Aveva sperato a lungo in un miracolo che non era mai avvenuto.

“Cosa ho fatto?” aveva chiesto una notte, la testa sul petto di Draco. “È così sbagliato desiderare un bambino?” aveva sussurrato.

Draco l’aveva stretta a sé senza sapere cosa risponderle. Ginny aveva pianto in silenzio, quella notte, per un bambino mai nato.

 

Non c’era più una cosa giusta:
avevi perso il tuo calore,
ed io la febbre di conquista.

 

Draco non sapeva come fosse successo. Come mai, ad un certo punto, improvvisamente si fosse accorto di quanto la villa fosse cupa, e di come i passi di Ginny non bastassero più a riempirla.

Non capiva come mai i mobili della casa sembrassero così scuri. Non capiva come mai non gli provocasse più nessuna sensazione sentire i sussurri notturni di Ginny, le sue carezze, il tocco delle sue labbra.

Non lo capiva.

Sapeva di non provare più nessuna emozione quando tornava alla villa. Sapeva di essere quasi spaventato dalla forza che quelle pietre sembravano emanare contro di lui, un semplice e fragile uomo.

Una mattina, Draco aveva sentito il vuoto accanto a sé.

Il letto era freddo. Ginny si era già alzata.

La sera precedente, lei era stata strana. Lo aveva raggiunto nel suo studio e l’aveva abbracciato da dietro. Draco si era voltato e aveva visto che aveva gli occhi rossi come quelli di chi aveva pianto.

Aveva corrugato la fronte senza dire niente. Ginny aveva cominciato a baciarlo con disperazione.

“Mi ami, Draco?” aveva sussurrato, guardandolo negli occhi.

Quella notte avevano fatto l’amore, e Draco aveva capito di averla persa. Non avevano parlato. Ginny aveva bisogno di lui, quella notte, Draco lo sentiva dai suoi baci, dai suoi sospiri, dai suoi singhiozzi.

Perché Draco l’aveva sentita singhiozzare. E non aveva chiesto niente.

Quando era sceso a fare colazione, la mattina, l’aveva trovata lì, seduta a bere una tazza di caffè, torturandosi con la mano libera una ciocca di capelli. Gli aveva rivolto un sorriso tremulo.

“Blaise ha mandato un gufo” gli aveva detto, con un entusiasmo che Draco aveva trovato eccessivo.

Eccessivo. Si era stancato. Si era stancato di tutto. Della casa, del freddo, del sole.

Di Ginny.

Perché aveva capito questo: Ginny l’aveva stancato. Erano stati i suoi occhi a nausearlo. Erano state le sue labbra a fargli odiare quel posto. Era stato il suo corpo a ridurlo come l’ombra di ciò che era stato.

Ginny aveva continuato ad osservarlo, in attesa di una reazione.

“Bene” aveva risposto Draco.

Ginny aveva abbassato lo sguardo.

“Cosa ti ho fatto?” aveva mormorato.

Draco non aveva detto niente. Mi hai stancato, avrebbe voluto risponderle. Ma non aveva detto niente, sapendo che il silenzio può ferire molto più delle parole.

Ed era questo che voleva fare. Ferirla.

“Non mi hai fatto niente. Non capisco di cosa tu stia parlando” aveva ribattuto poi, seccato, afferrando la copia della Gazzetta del Profeta che si trovava sul tavolo.

“Ti sei stancato di me, Draco? Non mi ami più?”

Draco aveva alzato lo sguardo. Ginny era chiaramente in lacrime.

“Non capisco cosa te lo faccia pensare. E ora, per favore, calmati”.

Draco aveva visto di sottecchi il suo sguardo. Non c’era più nessuna luce nei suoi occhi. Inespressivi. Freddi.

L’aveva uccisa.

Quando era tornato alla villa, quella sera, Ginny aveva già cenato. Gli avevano detto che ‘la signora’ era uscita. La notte era entrata nella loro camera e si era svestita in silenzio. Draco l’aveva sentita, ma aveva finto di dormire. Ginny si era messa sotto le coperte senza neanche controllare che fosse sveglio.

La mattina seguente non gli aveva augurato il buongiorno, e Draco aveva fatto altrettanto. E così era stato per tutti gli altri giorni.

Anche quando Draco si era accorto che la casa gli sembrava più fredda e vuota che mai.

So che hai avuto degli amanti.
Bisogna pur passare il tempo,
Bisogna pur che il corpo esulti…

Più il tempo passava, più Draco si rendeva conto di quanto Ginny fosse diventata come l’aria per lui, nonostante prima non se ne fosse reso conto.

Da quando l’aveva allontanata, da quando lei non dormiva più nel suo stesso letto, non la vedeva quasi più. ‘La signora’ era sempre assente, sempre fuori. E quando la vedeva, Draco notava le occhiaie violacee che cerchiavano i suoi occhi, notava il suo corpo smagrito, notava la luce che le mancava.

Aveva cominciato a prendere in considerazione l’idea che avesse un amante, ma non gliene aveva fatta una colpa. La casa li stava uccidendo. Ginny cercava di fuggire, pensava, e si faceva del male con le sue stesse mani, perché non sarebbe potuta tornare a vivere senza di lui. Lui, che le aveva tolto la vita, e la casa, che era stata sua complice. Ginny era un uccello finito in gabbia che cercava di non farsi afferrare da quella villa tetra. Draco, invece, le apparteneva completamente. Le era sempre appartenuto.

Una sera l’aveva aspettata nella sua stanza. Aveva dovuto attendere le prime ore del mattino. Non era ubriaca come si sarebbe aspettato. Aveva visto una cosa che lo aveva disgustato maggiormente: era felice. Raggiante, come non l’aveva più vista da tempo.

Era innamorata.

“Draco?” aveva chiamato, sorpresa. “Cosa ci fai qui? Ti credevo già a letto”.

Draco l’aveva guardata. La luce che animava i suoi occhi non gli apparteneva più. Ginny era di qualcun altro, ormai.

“Chi è lui?” aveva chiesto, freddo.

Ginny aveva aggrottato le sopracciglia.

“Lui chi?”

“Chi ti ha dato il sorriso”.

Ginny si era seduta sul bordo del letto, togliendosi stancamente le scarpe.

“Non saresti tornata così tardi se non ci fosse stato un lui, Ginny”.

Draco sapeva che l’avrebbe colpita, chiamandola per nome. Una volta, questo l’avrebbe fatta sorridere.

“È solo un amico. Lo conosco da una vita” aveva mormorato dopo qualche istante.

Draco aveva stretto i pugni.

“Potter” aveva sputato.

Ginny non aveva risposto. Lo aveva invitato solamente ad uscire dalla sua stanza.

 

Draco l’aveva vista andarsene a novembre.

Aveva i capelli rossi legati in uno chignon che lasciava libere alcune ciocche. Aveva preparato le valigie la sera prima, aggirandosi per la casa senza degnarlo di uno sguardo.

Aveva preso le sue cose e le aveva portate all’ingresso. Non aveva voluto l’aiuto di nessuno.

“Dove andrai?” le aveva chiesto, senza nessuna intonazione nella voce.

Lei lo aveva guardato senza rancore. L’aveva guardato senza nessuna emozione. Senza quella luce che le aveva acceso gli occhi all’inizio, senza quel sorriso per cui l’aveva amata, senza mai dirglielo.

Gli aveva concesso un’occhiata fredda.

“Me ne vado” aveva risposto, infilandosi l’impermeabile beige.

Lo stesso con cui era entrata in quella villa, anni prima. Lo stesso con cui l’aveva amata.

“Questo lo vedo” aveva sibilato, cercando di mantenere il controllo.

“Non hai un soldo, non hai amici e non hai niente. Niente! Non hai niente! Dove diavolo pensi di andare?” aveva detto a denti stretti, avvicinandosele e prendendola per un braccio.

Lei aveva sostenuto il suo sguardo.

“Oh, Draco” aveva sussurrato, sfiorandogli la guancia con la mano libera. “Non lo capisci? Non hai ancora capito, non è vero?”

Draco non aveva lasciato la presa.

“L’unica cosa che si possiede, è l’amore che si dà” aveva mormorato. “Io ne ho dato tanto di amore, Draco. Ma tu? Tu cosa hai dato, finora?”

Draco aveva ritratto la mano, come scottato.

Ginny era indietreggiata di qualche passo. “Sei tanto ricco, allora, Draco? Io lo spero. Spero che qualcuno possa apprezzare questa tua ricchezza nascosta”.

Se ne era andata. L’aveva lasciato lì, e Draco aveva saputo poco dopo che aveva trovato un appartamento tutto suo.

Un appartamento in cui entrava il sole, che aveva riempito di statuine di cristallo.

 

Ma c’è voluto del talento
per riuscire ad invecchiare senza diventare adulti.

 

Erano passati altri anni. Ginny si era fidanzata con Potter. Forse per quello, quella notte, Draco aveva sentito il bisogno di entrare di nuovo in quella stanza. Per poter vedere un’ultima volta l’ombra del suo sorriso.

Si sedette sul letto. Si sentiva molto stanco. Ma non era quella stanchezza che derivava da una giornata soddisfacente, non era quella di chi non aspettava altro che tornare a casa tra le braccia di sua moglie, desideroso solo di dormire e di essere amato.

Era la stanchezza degli sconfitti.

Ginny era ancora in quelle stanze. La sua ultima frase non faceva altro che rimbombare tra quelle vecchie mura, come un incantesimo capace di sconfiggere l’oscurità.

Draco si sentiva vecchio, e non lo era. Si sentiva sconfitto ed amareggiato.

E quel che era peggio era che era stato sconfitto senza di lei.

Non si erano più visti. L’aveva sempre evitata. Avevano divorziato senza clamore, senza liti, senza niente. Ginny aveva lasciato in quella casa il vuoto. Draco, invece, temeva di non averle lasciato niente.

Non aveva avuto il coraggio di provare a parlarle di nuovo. Non aveva avuto il coraggio di crescere, di provare a porre rimedio ai suoi errori.

Era invecchiato, e basta. Ed aveva scoperto di non possedere niente.

 

Il tempo passa e ci scoraggia,
tormenti sulla nostra via.
Ma dimmi: c’è peggior insidia
che amarsi con monotonia?

 

Il vento portò via con sé le foglie d’autunno. La casa continuava ad emettere il suo respiro di morte.

Draco, un giorno, si trovò di fronte a lei. Notò la fede che Ginny portava al dito e che si torturava, nervosa.

“Congratulazioni” disse, sarcastico. “Il matrimonio con Potter ti rende felice, spero”.

Ginny lo guardò negli occhi senza dire niente.

“Cos’altro vuoi, Draco?” chiese, sostenendo il suo sguardo.

“Una motivazione” rispose Draco. “Non sono un tipo da dichiarazioni. Lo sai questo” continuò. “E non penso che tu ti aspetti grandi discorsi da me”.

Ginny continuava a tacere.

“Ma ti ho amata. Molto più di quanto possa fare quel… chiunque altro” si corresse, evitando di nominare Potter.

“Perché l’hai fatto? Voglio sapere solo questo. Lui non può offrirti niente” concluse Draco, bruscamente.

“Non lo conosci neanche, come puoi…”.

“Lo so. Conosco quelli come lui”.

Ginny rimase in silenzio.

“Lui ti ama, ma non può darti nient’altro. Tu ti stancherai. È il suo amore stupido, cieco, senza nessun tipo di passione che vuoi? È il suo affetto che cerchi?”

Ginny abbassò lo sguardo sulla fede.

“È questa monotonia che vuoi?” insisté Draco.

 

Adesso piangi molto dopo,
io mi dispero con ritardo.

“Io ti amavo, Draco” cominciò Ginny.

“Pensavo che ci fosse qualcosa in te. E c’era. L’ho visto. Ma è troppo facile, per come la metti tu” disse, alzando lo sguardo.

“Ti sei stancato di me. Pensi che me ne sia dimenticata? Pensi che riuscirò mai a farlo?” chiese, assottigliando gli occhi.

“Ti sei divertito e, ad un certo punto, mi hai lasciata. Perché sei fatto così. Sei capriccioso e viziato, e hai sempre avuto tutto quello che volevi”.

Ginny si interruppe. Aveva gli occhi gonfi di lacrime.

“Come pensi che io possa volere questo?”

Draco non disse niente; sapeva che Ginny aveva ragione, sapeva di averla persa molto tempo prima, ma forse, per un attimo, aveva sperato che così non fosse. Si sentì avvolgere da un vento freddo ed inaspettato, mentre gli ultimi, fragili, cristalli di speranza si infrangevano per sempre.

Ginny continuò.

“Ricordi cosa ti ho detto? Che l’unica cosa che si possiede è l’amore che si dà?”

Draco rimase in silenzio.

“Harry mi ha dato tutto ciò che possedeva” sorrise Ginny. “E anche se il suo amore non è passione… è sincero. Io ho bisogno di questo tipo di amore, lo capisci?”

Draco alzò il capo di scatto, disgustato.

“Ti accontenti. Scendi a patti” sibilò.

Ginny lo guardò negli occhi.

“Forse avresti dovuto accontentarti anche tu di me, qualche anno fa. Ora è inutile parlarne”.

Si alzò, lisciandosi la gonna e portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

“Non voglio più vederti. Fai in modo di mantenerti alla larga da me” disse allontanandosi, con un’ultima occhiata di gelo.

Draco la guardò andare via di nuovo. La guardò andarsene con quell’impermeabile sul braccio, i capelli sciolti sulle spalle, ed un sorriso che non era più suo ad illuminarle il volto. La guardò allontanarsi come un vecchio deve guardare il vento d’autunno, quando gli porta via il cappello o il giornale, e sorride mestamente.

Ginny aveva portato con sé quella parte della sua giovinezza che aveva vissuto con più gioia: era stata come il vento che aveva trascinato via le foglie degli alberi di Villa Malfoy. Un vento caldo che l’aveva carezzato con gentilezza, un vento che l’aveva lasciato solo, in quel momento, in compagnia delle foglie che aveva smosso.

Un vento che se ne era andato lontano, in un posto in cui il sole riscaldava i rami degli alberi e c’erano tante statuine di cristallo.

 

Mon amour,
mon doux, mon tendre, mon merveilleux amour
de l'aube clai
re jusqu'à la fin du jour
je t'aime encore, tu sais, je t'aime.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Occhei, parliamone. Draco/Ginny. Umh. Non avrei mai provato a scrivere una fanfiction in cui Draco fosse il protagonista – e in cui fosse affiancato nientemeno che da Ginny – Ginny! –, se non fosse stato per lo splendido contest di vogue qui. Si richiedeva di scegliere un numero, una lettera ed una citazione. Al numero corrispondeva un personaggio (Draco), alla lettera una canzone (La canzone dei vecchi amanti, di Battiato) e alla citazione… una citazione u.u Che, nel mio caso, era ‘L’unica cosa che si possiede è l’amore che si dà’, di Allende. Dato che avevo Draco, mi è venuto spontaneo affiancargli il personaggio femminile che mi è più indigesto nell’intera saga – per la serie, facciamo le cose per bene, già che ci siamo.

Nonostante il mio odio per questi due personaggi, questa fanfiction si è classificata seconda. Sì, sono ancora sotto schock O.O

Posso solo ringraziare per la millemillesima volta vogue e complimentarmi con tutte le altre partecipanti *____*

Un abbraccio,

Ilaria

 

 

 

2° Classificata
_Mary “La Danse de Vieux Amants”


-Grammatica: 10/10
-Lessico: 10/10
-Stile: 10/10
-IC: 9/10
-Trama: 10/10
-Attinenza alla canzone: 15/15
-Utilizzo della frase scelta: 10/10
-Giudizio personale: 5/5

Totale: 79/80

Ma chere... allora, partiamo dalla forma. Come puoi capire dai punteggi, è tutto semplicemente perfetto. Dal punto di vista grammaticale, non c’è nessun errore, il lessico utilizzato è ottimo, nella parte finale pare quasi solenne, ma del resto si adatta alla situazione che hai descritto. E non è da meno nelle parti colloquiali o introspettive. Lo stile, come sempre, è meraviglioso. Scorrevole, le frasi sono della lunghezza giusta, in modo tale da non arenarsi nella lettura, ed è assolutamente piacevole leggere. Come di consueto nelle tue storie, è un dispiacere arrivare alla fine.
Passiamo alla nota vagamente dolente (certo, poi dipende dai punti di vista... definire un 9 dolente è triste xD). Sei miracolosamente riuscita a mantenere l’IC di Draco in una situazione assolutamente inconsueta per lui. Eppure ha sempre quelle sfumature del suo carattere, ha quell’alterigia che gli è tipica, e... beh, anche una buona dose di viltà latente. È Ginny a non convincermi del tutto. Mi è sembrata in certi punti troppo combattiva, e in altri troppo poco. Sicuramente quella che hai delineato è la decadenza di una storia, eppure mi ha sorpreso vedere come lei si getti nelle braccia di Harry senza quasi remore (il che probabilmente è dovuto ad un poco approfondimento della vicenda in sé, più che ad un OOC del personaggio).
La trama è straordinariamente buona. Sembra di vedere il ciclo dell’amore di Draco e Ginny: nasce, cresce, appassisce e muore. Niente è lasciato al caso, e il passaggio fra questi vari stadi è graduale e sfumato, non brusco e netto, cosa pregevole. Ottimo anche lo svolgimento della storia in parallelo a quello della canzone. “La Canzone dei Vecchi Amanti” si presta perfettamente a questo tipo di situazione, ma il merito di averla interpretata nella giusta chiave di lettura va tutto a te. Hai creato delle immagini assai vivide, intense. Meraviglioso anche l’utilizzo della citazione. È quasi come una sconfitta finale, come rendersi conto che, al di là di tutti gli oggetti, della stessa casa che Ginny ha creato per loro, l’unica cosa che possiedono è davvero l’amore che sono in grado di dare, e che tolto quello non hanno più niente l’uno per l’altra.
Insomma, ti faccio i miei complimenti. Ora, finito il giudizio ‘tecnico’, ti posso dire che io detesto Ginny dal più profondo del cuore. Non mi piace, la trovo un personaggio insulso. E tu, cara mia, sei riuscita a farmi apprezzare davvero una storia in cui è protagonista. Meriti una standing ovation. È una storia che mostra il lento sfacelo di due persone, uno sfacelo drammatico, ma con delle sfumature che sembrano quasi attenuarlo ad un certo punto... prima, come dicevo, della sconfitta finale. Davvero una bella storia... e al di là del contest ti devo dire che hai la straordinaria capacità di scrivere davvero bene indipendente dal personaggio. E non è cosa da sottovalutare. Trés bon ^^

   
 
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