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Autore: Valaus    04/08/2010    13 recensioni
“Era il suo passato a mantenerlo vivo. Gli bastava chiudere gli occhi ed abbandonarsi. Non doveva fare altro che sognare. Sognare di ripercorrere ogni passo, di ripetere ogni scena, di rivivere ogni momento. Sognare di ricominciare tutto da capo.”
Prima Classificata al contest "Time of your song" indetto da vogue91 sul forum di EFP
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia ha partecipato al contest "Time of your song" indetto da vogue91 sul forum di EFP, classificandosi prima. Era prevista la scelta di un numero, a cui era assegnato un personaggio, di una lettera, a cui corrispondeva una canzone, e di una citazione.
Il numero da me scelto era il 22, che equivaleva ad un Malandrino (nel mio caso, ho optato per Sirius Black, il mio preferito *-*). Come lettera ho scelto la V, a cui corrispondeva "Sogna ragazzo sogna" di Roberto Vecchioni, mentre la citazione che ho scelto è "L'affidarsi alla memoria è la volontà dell'uomo di non scomparire" di Andrea Camilleri.
La storia che state per leggere è la combinazione di questi tre elementi, più il mio cervellino bacato. Ringrazio in anticipo la stupenda giudicIA per aver organizzato questo contest e chiunque vorrà sprecare due minuti del suo tempo sulla mia fict ^^






“The Ballad of Azkaban Gaol” *





Plic, plic, plic, plic.
Centocinquantuno, centocinquantadue, centocinquantatre, centocinquantaquattro.

Effettivamente, funzionava.
Qualche giorno prima, quando gli era balenata in testa quella strampalata idea, aveva creduto che si sarebbe rivelata solo l’ennesima delle sue assurdità.
Ma aveva comunque deciso di provare.
Ed ora doveva ammetterlo, c’aveva visto giusto.
Plic, plic, plic, plic.
Centocinquantacinque, centocinquantasei, centocinquantasette, centocinquantotto.

Si domandava a quanto sarebbe arrivato quel giorno.
La sera prima aveva chiuso gli occhi a seicentododici.
Un ottimo record, indubbiamente.
Seicentododici gocce d’acqua.
Seicentododici gocce d’acqua in ventiquattr’ore.
Plic, plic, plic, plic.
Centocinquantanove, centosessanta, centosessantuno, centosessantadue.

Centosessantadue volte in cui si era estraniato.
Centosessantadue volte in cui non aveva pensato a dove si trovava, alla sua situazione, a ciò che si era lasciato alle spalle e a ciò che ne sarebbe stato di lui.
Contare le gocce d’acqua che colavano dal lurido rubinetto della sua buia cella era l’unico modo in cui Sirius Black riusciva a dimenticare di essere ad Azkaban.
Perché se si concentrava, quei plic riuscivano ad infrangere il tetro silenzio che lo circondava. Sentiva solo quelli.
Plic, plic, plic, plic. Non c’era altro. Non i mormorii sommessi delle ombre che occupavano le celle attigue, non le strazianti urla di dolore che di quando in quando si diffondevano per i corridoi, non lo strano fruscio che accompagnava l’avanzare dei Dissennatori.
La puzza di morte, quella non riusciva a coprirla.
Restava lì, stagnante. Un putrido fetore talmente pungente che sembrava quasi penetrarti nell’interno e lordarti.
Aveva provato a tapparsi il naso e respirare solo con la bocca, ma niente. Persino in quel modo finiva per inalarlo.
Però, se si concentrava intensamente sul rumore delle gocce d’acqua, passava in secondo piano. Diventava quasi sopportabile.
Plic, plic, plic, plic.
Cento...
Cento...
Cento...

Digrignò i denti, mentre un ringhio quasi animalesco gli sfuggiva dalle labbra.
Aveva perso il conto. Sarebbe stato costretto a ricominciare da capo.
Gettò stancamente la testa all’indietro, appoggiandola alla parete scura.
Ricominciare da capo...
Per quanto ancora?
Per quanto sarebbe rimasto a marcire in quella cella, occupando il suo tempo a contare le perdite giornaliere di un rubinetto?
Per quanto ancora sarebbe stato rinchiuso lì dentro, mentre il mondo continuava a girare senza di lui?
Harry.
Harry. Per quanto ancora avrebbe lasciato quel bambino a se stesso?
Bambino...
No, non bambino.
Un rapido calcolo gli fece notare che il figlio di James doveva avere già dodici anni ormai.
Dodici anni.
Dodici anni che il suo figlioccio viveva nella casa di quei babbani. Ed era certo che non l’avessero trattato esattamente come un ospite gradito.
Dodici anni che non lo vedeva. L’ultima volta, l’aveva stretto tra le sue braccia, avvolto da una copertina bianca. Talmente piccolo che temeva quasi di romperlo.
Dodici anni che Harry viveva senza sapere di lui, di James, della loro amicizia. Senza sapere che non era stato lui la causa della morte dei suoi genitori.
Mai. Mai, per nulla al mondo, per nessun fottuto motivo avrebbe potuto tradire il suo migliore amico. Ma questo il ragazzo non poteva saperlo. E perciò, continuava a credere alla menzogna che il mondo intero aveva spacciato per verità.
Per dodici anni.
Perché tanto era il tempo trascorso.
Dodici dannati, miseri, disgustosi, inutili anni.
Dodici anni da reietto, da criminale, da sudicio prigioniero.
Dodici anni in cui si era trasformato nell’ombra di ciò che era stato Sirius Black.
Chiuse gli occhi, sospirando.
Soprattutto, dodici anni da quando era morto James.
James.
Chissà che avrebbe pensato, se l’avesse visto in quelle condizioni.
Un sorriso accennato fece capolino sulle sue labbra secche e screpolate.
L’avrebbe sfottuto per la puzza, sicuramente. C’avrebbe messo la mano sul fuoco.
Quasi gli sembrava di sentirlo.
Merlino Felpato, puzzi davvero come un cane rognoso!
Sì, gli avrebbe indubbiamente rifilato quella scontata allusione alla sua forma canina. Ed era certo che avrebbe accompagnato il tutto con una qualche smorfia plateale di disgusto. Melodrammatico come sempre, quel bastardo di Ramoso.
Ma poi, fregandosene altamente della puzza, dello sporco, di qualunque altra cosa, l’avrebbe abbracciato. Ed avrebbe continuato a burlarsi di lui e a ridere, tenendolo stretto a sé.
Riaprì gli occhi, rivolgendo lo sguardo alla parete alla sua destra. Dalle sbarre di ferro riusciva ad intravedere uno squarcio del panorama che circondava la prigione. Lo fissò passivamente, lasciando libero il flusso dei propri pensieri.
I Dissennatori lo odiavano, ne era sicuro. Odiavano il fatto che, dopo tutti quegli anni, lui non avesse ancora perso il senno.
Era sciupato, stanco, rancoroso, debole, rabbioso, malinconico, sporco e maleodorante. Ma non pazzo.
Era ancora nel pieno delle sue facoltà mentali, lucido e consapevole.
A differenza di tutti gli altri prigionieri di Azkaban, Sirius Black era ancora Sirius Black. Non era diventato un cadavere che respira, senza anima né identità.
Era ancora lui. Una versione indubbiamente più ammaccata e malconcia, ma pur sempre se stesso.
E quei mostri non riuscivano a capacitarsene. Probabilmente si domandavano come fosse possibile, sempre ammesso che quei cosi fossero in grado di pensare.
A volte anche lui se l’era domandato. E non era stato particolarmente difficoltoso trovare una risposta.
Se quando fosse uscito – perché lui sarebbe uscito, prima o poi – gliel’avessero chiesto, Harry o chi per lui, probabilmente avrebbe risposto che era stata la consapevolezza a tenerlo in vita. La consapevolezza di avere una missione, la consapevolezza che c’era un ragazzino fuori di lì che aveva bisogno di lui.
E sarebbe stata la verità. Sapere di avere uno scopo, una promessa da mantenere, aveva indubbiamente giocato un ruolo fondamentale in quel processo di tutela della propria sanità mentale.
Ma sarebbe comunque stata una mezza verità. Perché c’era dell’altro.
Se Sirius Black era ancora Sirius Black, se non era scomparso, lo doveva anche e soprattutto alla memoria.
I ricordi lo tenevano ancorato alla propria vita con la stessa forza con cui un naufrago in mezzo al mare si aggrappa ad uno scoglio per non venir trascinato via dalle onde.
Era il suo passato a mantenerlo vivo. Gli bastava chiudere gli occhi ed abbandonarsi.
Non doveva fare altro che sognare. Sognare di ripercorrere ogni passo, di ripetere ogni scena, di rivivere ogni momento.
Sognare di ricominciare tutto da capo.


A partire dalla sua infanzia, macchiata dal veleno degli insegnamenti dei suoi genitori.


– E ti diranno parole
rosse come il sangue, nere come la notte –




Rivedeva quel bambino spaurito che veniva iniziato al destino della Nobile Casata dei Black. Risentiva le folli parole di suo padre sulla purezza del loro sangue, su come chi non proveniva da una famiglia come la loro non fosse degno di far parte del Mondo Magico, sulla superiorità della loro specie, su come votarsi alla Magia Nera fosse una gloriosa missione a cui ogni Black era tenuto ad adempiere. E gli facevano eco gli sproloqui di sua madre sul suo “essere nato per liberare il mondo dalla piaga degli indegni, estirpandoli alla radice”, su come dovesse seguire il buon esempio di suo fratello Regulus e portare alto il nome della sua famiglia.
Rabbrividiva ancora al pensiero. E continuava a non comprendere come dei genitori potessero tentare d’inculcare simili idee deviate e perverse nella mente di un povero innocente di soli cinque anni.


– Ma non è vero, ragazzo, che la ragione sta sempre col più forte.
Io conosco poeti che spostano i fiumi con il pensiero,
E naviganti infiniti che sanno parlare con il cielo –




Mai per un solo istante aveva prestato fede a quei vaneggiamenti. La sua anima, a differenza del suo cognome, non era mai stata nera.
Non aveva mai creduto nella “nobile causa” dei suoi genitori, non aveva mai seriamente considerato quello fornito da Regulus un buon esempio, mai si era sentito superiore a qualcuno solo perché non proveniva da una famiglia come la sua. Casomai il contrario.
Ed il sangue... beh, il suo sangue era rosso, denso ed amarognolo, esattamente come quello di chiunque altro.
Non ci aveva messo molto a comprendere che dietro quella gran ostentazione di potere e supremazia, dietro quell’armeggiar di bacchette ed ingiurie si celava solo un grosso, immenso ed inconsistente nulla.
E la vita gli aveva dimostrato che i veri nobili non erano quelli che brandivano la bacchetta, ma coloro che spontaneamente decidevano di non utilizzarla per quei vuoti ed insulsi fini.


– Chiudi gli occhi ragazzo,
E credi solo a quel che vedi dentro –




Sirius Black non aveva dato ascolto alle mille voci che tentavano di corromperlo. Ne aveva ascoltata solo una: la sua.
Aveva dato retta a ciò che pensava, a ciò che sentiva, alle conclusioni a cui lui stesso arrivava.
Non si era lasciato plasmare da quel mondo oscuro e traviato. Era riuscito a conservare la sua purezza, la sua scintilla, difendendola con tutte le sue forze. Aveva protetto la fiamma del suo cuore dalle insidie dei venti freddi, facendole schermo con le mani.
Era riuscito a rimanere lo stesso ragazzino buono, onesto, leale ed idealista pur vivendo circondato da adepti del male.
Avevano avuto suo fratello, sua cugina Bella, persino la piccola Narcissa. Ma non avrebbero mai avuto lui, mai e poi mai.


– Stringi i pugni ragazzo,
Non lasciargliela vinta neanche un momento –




Aveva tenuto duro, Sirius.
Ed aveva vinto.
Neppure per un solo istante aveva permesso a quell’oscurità d’impadronirsi della sua anima.
Aveva combattuto strenuamente, e ne era uscito vincitore.
Anche a costo di attirare su di sé il biasimo e sì, persino l’odio della sua famiglia. Anche a costo di vedere il proprio nome cancellato dall’arazzo di famiglia. Anche a costo di sentire suo padre tacciarlo di tradimento, suo fratello manifestare il proprio disgusto per un simile pusillanime consanguineo, sua madre maledire al cielo il giorno in cui lo aveva messo al mondo.
Nessuna minaccia, nessuna ingiuria, nessuna violenza, nessuna punizione, nessun tentativo di corruzione erano riusciti ad intaccare la sua ferrea volontà.
Aveva stretto i pugni e serrato i denti, aveva sputato sangue e pianto lacrime amare, si era sentito solo ed abbandonato al mondo, indesiderato, sbagliato, detestato.
Ma era sempre riuscito a guardare il proprio riflesso allo specchio senza provare vergogna. Sempre fiero di ciò che vedeva, anche quando il suo volto era tirato in un’espressione di sofferenza e sul suo zigomo troneggiava l’ennesimo livido provocatogli da suo padre.
Perché ciò che vedeva era un ragazzo che non molla, un ragazzo sicuro del suo posto nel mondo, un ragazzo che non si era lasciato comprare da vane insinuazioni sulla razza e vuote promesse di potere e ricchezza. Un ragazzo ricco di principi, valori e morale.
Un uomo. Una persona che suo fratello mai sarebbe diventato, neppure con tutto l’oro che il suo amato Signore Oscuro avrebbe potuto regalargli.
Un uomo capace di comprendere da quale parte propendesse il suo cuore, capace di prendere una posizione anche contro il volere della propria famiglia. Un uomo che aveva il coraggio dei propri ideali e delle proprie azioni.
Un uomo che aveva avuto il coraggio di lasciare tutto ed abbandonare il ricco e nobile maniero in cui era cresciuto, pur di salvare la sua anima.
E la sua anima era stata effettivamente salvata. Salvata da quella famiglia che l’aveva accolto ed amato come un figlio, salvata da quel ragazzo dallo sguardo furbo e la lingua tagliente che era stato per lui come un vero fratello.


– Copri l’amore ragazzo,
Ma non nasconderlo sotto il mantello;
A volte passa qualcuno,
A volte c’è qualcuno che deve vederlo –




James.
Aveva amato James come mai, mai per un solo, singolo istante aveva amato Regulus.
Non importava se non erano realmente fratelli, se non avevano lo stesso sangue, se venivano da due famiglie diverse. James era stato ciò che Regulus mai aveva saputo essere per lui.
Con lui era stato capace, forse per la prima volta in vita sua, di aprire il suo cuore e mostrare ciò che celava.
Era stato cresciuto con l’idea che i sentimenti fossero roba da femminucce, che un vero uomo non dovesse mai scoprire il fianco a quel modo con nessuno. Gli avevano insegnato a nascondere quella parte di sé al resto del mondo, a vergognarsene, a negarne l’esistenza.
James gli aveva fatto comprendere che non c’era umiliazione nel provare affetto per un altro essere umano, ma che al contrario era quanto di più nobilitante e dignitoso ci potesse essere. Gli aveva fatto capire che concedere il proprio amore a chi riteneva degno era quanto di più bello ed appagante potesse mai provare.
E Sirius l’aveva fatto. Aveva aperto cuore ed anima all’amico migliore che il cielo potesse mai donargli. Ed aveva imparato a farlo anche con altre persone, senza provare vergogna per ciò che il suo cuore sentiva.
Aveva mostrato il proprio amore a Remus, che ne aveva bisogno quanto se non più di lui stesso; a Peter, nonostante si fosse poi rivelato solo un bieco traditore; ad Harry, che aveva deliberatamente adorato sin dal primo singolo vagito che aveva emesso; a Lily...
No.
Non a Lily.
A lei mai aveva mostrato il proprio amore. Non quello vero, per lo meno.
Perché nel preciso istante in cui aveva realizzato che quella ragazzina dai lunghi capelli rosso fuoco e gli occhi verdi come due smeraldi aveva fatto perdere la testa al suo migliore amico, aveva sepolto tutto sotto tonnellate d’indifferenza.
Aveva finto che il cuore non gli saltasse in gola ogni volta che posava il suo sguardo su di lei, aveva incoraggiato James a dichiararle il proprio amore nonostante il tarlo della gelosia dentro di sé sbraitasse contro quel vero e proprio crimine.
Perché Sirius aveva amato Lily Evans. Ma non nel modo in cui ci si aspetta che qualcuno ami la donna del proprio amico.
Si era riscoperto innamorato di lei senza nemmeno rendersene conto. Forse perché era così diversa da tutte le altre, forse perché era molto più che un semplice bel faccino, forse per la sua fierezza ed intelligenza, o forse perché anche lei come lui era una reietta nel suo mondo.
Assurdo come aveva potuto infatuarsi di una che nemmeno gli rivolgeva la parola, nonostante avessero passato cinque anni della loro vita nella stessa scuola, nella stessa classe, nella stessa Casata.
Eppure era successo. Ma poi James, l’ignaro James, il leale buon vecchio James gli aveva confidato di essersi preso una sbandata di dimensioni epiche per la Evans.
E a Sirius, al misero Sirius, al leale buon vecchio Sirius non era rimasto altro che farsi da parte. E sebbene quella scelta fosse stata lì per lì ardua, dura, sofferta, neppure per un secondo se n’era pentito.
James era l’uomo perfetto per Lily, non lui. Aveva fatto il meglio per il suo più caro amico, ed il meglio per la ragazza che amava.
E ne era stato fiero.
La sua famiglia probabilmente avrebbe disprezzato quell’ennesimo atto di viltà, quella pavida arrendevolezza. Perché un Black non concede agli altri ciò che è suo, un Black prende e conquista senza chiedere.
Un Black.
Ma non Sirius Black.
Sirius Black aveva rinunciato all’amore di una persona per amore di un'altra. Ed era stato dannatamente orgoglioso di quella sua decisione. **


– Lasciali dire che al mondo
Quelli come te perderanno sempre;
Perché hai già vinto, lo giuro,
E non ti possono fare più niente –




Un perdente.
Uno sconfitto.
Un debole, patetico, incapace, inutile, debosciato.
Quegli insulti li aveva digeriti tutti a testa alta.
Gli avevano sottolineato come avesse già perso in partenza, scegliendo di schierarsi dalla parte sbagliata. Perché quelli come loro, coi traditori erano ancora meno indulgenti che con gli altri.
L’avevano schernito, offeso, cacciato, minacciato.
Lui aveva sopportato tutto, forte della sua decisione, della sua etica, dei suoi valori, di tutto ciò che l’aveva convinto a voltare le spalle a quel mondo oscuro e subdolo per immergersi in quella luce dorata che gli riscaldava anima e cuore, cullandoli e proteggendoli dal gelo.
Loro lo chiamavano perdente. Ma lui sapeva di aver vinto.
Aveva vinto sulle loro tenebre, sulle loro carezze al vetriolo, sull’inganno e la crudeltà, sulla violenza e sull’odio. Semplicemente, aveva vinto.
E nessun insulto, nessuna rappresaglia, nessuno stratagemma, niente di ciò che loro potevano dire o fare l’avrebbe mai scalfito.
Era immune a quel fascino illusorio e corrotto, ai soldi, al potere, alla presunta gloria.
Aveva vinto su tutto ciò.
Sirius Black aveva vinto.
Un debole, patetico, incapace, inutile, debosciato.
Forse.
Ma, sicuramente, un debole, patetico, incapace, inutile, debosciato vittorioso.


– E la vita è così forte
Che attraversa i muri senza farsi vedere –




Troppo forte, Sirius.
Troppo forte la sua voglia di vivere.
Talmente forte che era riuscita a penetrare quelle fredde mura, quelle celle oscure, quelle sbarre arrugginite.
Era filtrata assieme ai pallidi raggi del sole, indisturbata, inarrestabile.
Nemmeno quei mostruosi figuri, con le loro dita scheletriche e putride, nemmeno loro erano riusciti a strappargliela via.
Sirius Black viveva. Persino lì, in quel luogo dimenticato da Dio, in quell’antro oscuro dove l’esistenza era un Inferno e la morte una dolce promessa di pace e sollievo.
La sua stessa cella era permeata di vita in ogni parete umida, in ogni angolo polveroso, in ogni catena, ogni ragnatela, ogni goccia d’acqua, ogni centimetro di muffa.


– La vita è così vera
Che sembra impossibile doverla lasciare –




La sua vita era lì, al suo fianco, tangibile, pulsante.
Vera.
Impossibile lasciarla. Non così, non in quel modo squallido ed inglorioso.
Non lì, non in quel luogo desolante e spettrale.
La sua vita non lo abbandonava, perché ancora non era giunto il momento dell’addio.
Sirius Black aveva ancora da vivere.
Quanto, non poteva saperlo.
Forse dieci anni, forse solo uno, forse un mese, una settimana. Forse solo un unico, breve, rapido, fulmineo giorno.
Ma sarebbe stato fuori da lì.
Sirius Black non sarebbe morto da reietto, da prigioniero, da lurido e puzzolente semicadavere, da colpevole di uno scempio che non riusciva a figurarsi neppure nei suoi più torbidi incubi.
No. C’era un compito che lo attendeva fuori da quelle mura, c’era una persona che aveva bisogno di lui. E la sua vita lo sapeva.
La sua vita non gli avrebbe permesso di aggirare l’ostacolo e fuggire di fronte alle proprie responsabilità.
La sua vita l’avrebbe mantenuto ancorato a questo mondo schifoso finché non avrebbe espletato del tutto la propria missione.
Impossibile lasciarla prima di allora.


– Sogna, ragazzo, sogna.
Passeranno i giorni,
Passerà l’amore,
Passeran le notti
Finirà il dolore,
Sarai sempre tu –




Sogna, ragazzo, sogna.
Sogna, Sirius Black.
Sogna il tuo passato, sogna il tuo futuro.
Estraniati da quella realtà, da quel presente crudele e meschino. Ricongiungiti ai tuoi ricordi, a tutto ciò che di bello c’è stato nella tua vita, a quei pensieri che ti rammentano ogni singolo istante che tu sei un uomo, che sei vivo, che esisti.
Aggrappati a quelle memorie, mantienile vive in te così che loro alimentino la fiamma della tua anima.
Passerà tutto, tutto finirà. E sarai sempre tu, sempre Sirius Black.
Nessuno ti priverà di ciò che sei.
Nessuno cancellerà l’uomo che è in te.
Nessun carcere, nessuna accusa, nessuna sentenza, nessun Dissennatore. Niente.
Sarai sempre tu.
E sogna, ragazzo cresciuto troppo in fretta. Sogna.
Sogna ciò che ti aspetta fuori da lì.
Sogna chi ti aspetta.
Sogna quel ragazzino di dodici anni di cui hai tanto letto sui giornali, sogna quel bambino dagli occhi verdi e la risata squillante. Sogna quella cicatrice a forma di saetta, sogna quello sguardo curioso e quel caldo sorriso.
Sogna il momento in cui te lo ritroverai davanti. Sogna ciò che gli dirai, ciò che lui ti chiederà.
Sogna la tua libertà. Sogna le tue responsabilità di padrino.


– Manca solo un verso a quella poesia.
Puoi finirla tu –




Sogna, Sirius.
Stanotte puoi sognare.
Stanotte puoi sognare il tuo passato, stanotte devi sognare il tuo futuro.
Solo stanotte.
Perché domani sarà un altro giorno.
E da domani smetterai di sognare.
Da domani, Sirius Black, inizierai a scrivere il tuo ultimo capitolo. L’ultimo, conclusivo capitolo della tua esistenza.
Da domani smetterai di abbandonarti ai ricordi e alle memorie. Da domani smetterai di rimanere aggrappato alla vita. Da domani, inizierai a viverla. Viverla davvero.





Plic, plic, plic, plic.
Sbatté ripetutamente le palpebre, come se si fosse appena risvegliato da un lungo sonno.
Riacquistò il contatto con la realtà. Di nuovo circondato da quelle mura, da quel tanfo, da quell’oscurità, da quel silenzio angosciante.
Non sapeva come si fosse ritrovato a formulare quegli ultimi pensieri. Eppure, fu improvvisamente investito dalla consapevolezza di quanto corretti fossero.
I suoi ricordi l’avevano mantenuto sano e lucido per tutti quegli anni. Ma era giunto il momento di smetterla di vivere nel passato.
Doveva trovare il modo di uscire da quella cella. Doveva farlo per Harry, per Remus, per James, per Lily. Ma, soprattutto, doveva farlo per se stesso.
Sorrise.
Il primo, vero sorriso dopo dodici anni.
A differenza di tutti gli altri prigionieri di Azkaban, Sirius Black era ancora Sirius Black. Non era diventato un cadavere che respira, senza anima né identità.
Era ancora lui. Una versione indubbiamente più ammaccata e malconcia, ma pur sempre se stesso.
Probabilmente, dietro a tutto ciò c’era un valido motivo. Anzi no, non probabilmente.
Sicuramente.
Sirius Black aveva ancora una missione da compiere. E non si sarebbe dato pace finché non ci fosse riuscito.
In tutti quei lunghi, interminabili, vuoti, tristi anni aveva sognato di ricominciare tutto da capo.
Era giunto il momento di smetterla di sognare.
Era giunto il momento di ricominciare, sul serio.
Continuando a sorridere, rivolse un’occhiata alla misera finestrella accanto a lui.
Aspettami Harry, sto arrivando. E, mentre osservava quel buio panorama progettando un piano di evasione, flebili gocce d’acqua continuarono a scendere imperterrite dal consunto rubinetto grigio, scandendo col loro suono le ultime ore di prigionia di Sirius Black.




Plic, plic, plic, plic.










“L’affidarsi alla memoria è la volontà dell’uomo di non scomparire”
Andrea Camilleri




























* Il titolo è, neanche troppo liberamente, ispirato alla “The Ballad of Reading Gaol” di Oscar Wilde. In che modo poi le due cose siano collegate, nemmeno io ne ho idea xD
Comunque, il mio era solo un umile tentativo di trovare un qualche titolo decente a questa storia. Nessuna intenzione di accostarmi neppure da lontano al genio di Oscar Wilde. Il giorno in cui disgraziatamente dovessi avere questa malaugurata idea, sentitevi liberi di prendermi a calci! O.o

** Sono pienamente consapevole che questa parte possa risultare alquanto OOC, dato che non vi è mai stato il minimo accenno ad una “simpatia” di Sirius nei confronti di Lily. E’, diciamo, una malsana convinzione che risiede allegramente nella mia testolina bacata da alcuni anni.
E forse proprio il fatto che su gran parte delle esistenze dei Malandrini la Row abbia lasciato ampio spazio per una libera interpretazione ha permesso a questa mia idea di piantare radici e crescere rigogliosa. Non biasimerò chi sottolineerà che parlare dell’amore di Sirius per Lily è assurdo e poco credibile, ma io personalmente ormai non riesco più a vedere la situazione James/Sirius/Lily se non sotto questa ottica ^^
Comunque, a prescindere da tutto ciò, in questa particolare storia ho deciso d’inserire un accenno della passione di Sir per la Evans perché, a mio parere, era adattissimo a rendere il senso di quella parte di canzone, almeno per come l’ho interpretata io. Sirius in generale cela i propri sentimenti, un po’ per sua riservatezza personale, un po’ perché così gli è stato insegnato a fare dai genitori. Perciò, letteralmente, “copre il suo amore”. Lo copre, ma non lo nasconde del tutto, perché ci sono persone che devono vederlo. Altre però, è meglio che ne restino all’oscuro. Dunque, svela il proprio affetto a James e ai suoi amici, ma lo copre per non mostrarlo a Lily. Non lo nasconde, non lo nega e neppure cerca di combatterlo: semplicemente lo soffoca, ne cela l’esistenza al mondo intero. Ma c’è, è lì, forte e pulsante come un tempo. Sirius impara a conviverci, ed anche quello serve come ricordo, serve a mantenerlo in vita, sano e lucido.





NdA alquanto inutili: ebbene, come detto sopra, questa fict ha partecipato al contest "Time of your song", classificandosi prima con mio sommo stupore O.o
Onestamente, non le avrei dato mezza lira. Temevo fosse troppo pesante, troppo contorta, troppo piangiolenta (?). Insomma, troppo.
C'è da dire che la storia di questa storia (oggesù u.u) è piuttosto strana, a voler essere onesti. Le consegne per il contest scadevano il 2 agosto, ma io non so per quale motivo mi ero segnata la scadenza per il 2 di luglio, sicchè ho iniziato a scriverla durante l'ultima settimana di giugno, periodo tra parentesi piuttosto infruttuoso per me in quanto in balia di una carenza d'ispirazione che si protrae tuttora. Quando ho realizzato che avevo ancora un mese di tempo, la storia era già arrivata a metà. A quel punto, nonostante non fossi proprio super soddisfatta nè preda del mio amato "raptus da scrittura" (noto anche, appunto, come "ispirazione"), ho convenuto che mollare una storia a metà era uno spregio, sicchè ho tirato a finirla e sono riuscita a consegnare.
Tutto mi aspettavo, meno che un risultato così positivo. E forse perchè tanto inatteso, mi ha spiazzata. Ci ho messo un paio di minuti prima di realizzare cosa fosse effettivamente successo xD
Sirius, poi, è un personaggio che amo alla follia. Senza ombra di dubbio sarebbe stato il mio personaggio maschile preferito, se la Row non avesse avuto la brillante idea di creare un bulletto dai capelli biondi che si frapponesse a Potter durante i suoi anni di scuola, dando così vita al mio amato Draco (sia ringraziato il cielo per tutto ciò, nonostante gli abusi subiti da parte di suddetta scrittrice per tutti i sette libri). Ma in ogni caso, si piazza ad un più che onorevole secondo posto ^^
Tuttavia, tra amare un personaggio e scrivere di lui ne passa. Non avevo mai avuto il coraggio, in passato, neppure di immaginare di scrivere su Sirius. Non so, mi sembrava quasi commettere una sorta di reato, violando la caratterizzazione perfetta della Row per lordarla con i miei abomini. Ma la mafia dei contest potteriani mi ha spinto anche a questo.
Scrivere di lui è stato molto più entusiasmante di quanto mi sarei aspettata. Sirius è un personaggio contorto ma semplice al tempo stesso, ha una psiche profonda e molto interessante in cui scavare. In questo caso, ho cercato di fare il possibile per mantenerlo sempre IC ma andando a grattare la superficie e tirando fuori cose che la Row ha semplicemente accennato.
Eccetto la faccenda Sirius/Lily. Quella, come ho già spiegato, è tutta farina del mio sacco andato a male xD
Infine, la canzone. So che qualcuno rabbrividirà nel leggerlo (tipo vogue xD), ma io non amo particolarmente Vecchioni. Ad essere onesti, i generi musicali che preferisco sono mooooooooolto distanti da lui e dall'insieme dei grandi cantautori italiani. Questo non significa che non riconosca i loro meriti, tutt'altro. Semplicemente, mi piace ascoltare ben altra musica.
Però, "Sogna ragazzo sogna" è una canzone che adoro, letteralmente. Non so se sia perchè l'ascoltavo sempre da piccola quando facevo i viaggi in macchina coi miei genitori, o perchè sono una sognatrice incallita ed inguaribile e quindi mi sento tirata in causa. L'accostamento Sirius-canzone è stato assolutamente casuale, ma dal primo istante l'ho sentita immediatamente sua, perfetta per lui in ogni minimo aspetto.
In conclusione, è stato un bell'esperimento e sono piuttosto contenta del risultato ^^ Non ne ero pienamente convinta, ma la cara giudice mi ha smentita di botto, regalandomi un paio di minuti di autostima che non sono affatto sgraditi! xD
A lei rinnovo i miei complimenti innanzitutto per l'intera organizzazione del contest, per la sua disponibilità, per i giudizi dettagliati e per la rapidità con cui ha pubblicato i risultati. E mi complimento anche con tutte le altre partecipanti (sì Mary, pure con te, anche se ti picchierei a sangue per quello che hai scritto u.u Muahahhaha <3)!
Detto ciò, mi eclisso e vi lascio con il giudizio di vogue.
Salutoni, alla prossima ;)




1° Classificata
Valaus “The Ballad of Azkaban Gaol”


-Grammatica: 10/10
-Lessico: 10/10
-Stile: 10/10
-IC: 10/10
-Trama: 10/10
-Attinenza alla canzone: 15/15
-Utilizzo della frase scelta: 10/10
-Giudizio personale: 5/5

Totale: 80/80

Posso lasciare solo i punteggi senza spiegare nulla? Sinceramente, non so bene come commentare la tua storia.
Grammaticalmente parlando è impeccabile, nemmeno un microscopico e insignificante errore. Il lessico è perfetto, sei stata in grado di modularlo in modo tale che ogni singola parola fosse adatta al tipo di argomento trattato. Quindi non è unitario, in certi punti è più aulico ed in altri più semplice... ma è proprio questo che lo rende davvero ottimo. Caratteristica che vale anche per lo stile, che passa da periodi secchi, troncati e incisivi, al altri a più ampio respiro e più intensi, cosa rimarcata anche da un ottimo utilizzo della punteggiatura.
Passando alla caratterizzazione... ottimo l’IC di Sirius (perdona la scarsa varietà di termini, ma mi vengono in mente solo parole come “ottimo”, “perfetto”, “bellissimo” e simili xD). È una storia lunga e totalmente introspettiva, quindi è ancora più difficile non cadere in fallo con dei dettagli che siano OOC. Persino il fattore Lily non rovina il quadro generale, anzi offre uno spunto diverso rispetto ai soliti pensieri di Sirius, dà una luce nuova al suo rapporto con James ed è sicuramente piacevole leggere di un Sirius innamorato. La trama segue un filo logico nettissimo, spazia a tutti i pensieri di un uomo che sente di aver perso tutto, ma che ancora vive di speranze, e li analizza uno per uno quasi in un modo schematico (ma ovviamente mantenendo la fluidità della narrazione), così da mantenere una discreta coerenza all’interno della storia. L’attinenza alla canzone... ci vorrebbe un romanzo per scrivere quanto mi sia piaciuto il modo in cui hai rapportato il testo a Sirius. Premetto che è una canzone che personalmente adoro, e quindi va da sé che questa sorta di “parafrasi” che hai attuato mi è piaciuta... è davvero un ottimo risultato. Hai interpretato bene ogni strofa citata, e l’hai utilizzata con riferimenti lampanti, nessuno dei collegamenti che hai fatto sembrano stiracchiati, o inseriti tanto per inserirli. Disarmante anche l’uso della citazione, la quale pare quasi svolgersi lungo tutta la storia, per essere messa nero su bianco solo alla fine. La storia è basata sul ricordo, su memorie felici o dolorose, ma si percepisce nettamente come siano quelle memorie stesse a tenere Sirius a galla, e a spingerlo a reagire.
Beh... si può dire che ho amato questa storia, ogni sua singola parola, ogni singola goccia contata da Sirius, ogni suo singolo pensiero. Mi ha intristita, e mi ha fatta sorridere, mi ha fatto pensare e mi ha aperto a nuovi spunti... insomma, torno a quanto ho detto prima, gli unici termini che si possono utilizzare sono ottima, bellissima, perfetta. Se possibile, mi ha fatta innamorare ancora di più di Sirius, e soprattutto del tuo modo di scrivere. M’inchino.






   
 
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