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Autore: Flaminia_Kennedy    06/08/2010    7 recensioni
Non avrei mai pensato di dirlo, ma stavo morendo. Stavo morendo com’era morto mio padre, nello stesso luogo e -purtroppo- quasi alla stessa età.
Pairing: Edgeworth/Wright, tensione allo stato puro per il povero avvocato difensore e un momento di intensa riflessione da parte del procuratore, in un momento critico al limite della sua vita.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Miles Edgeworth, Phoenix Wright
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ok, questa è una One-Shot scritta pensando a questa stupenda immagine scovata su Deviant-art, l'ho vista e non ho potuto dire di no alla mia fantasia! XD Spero che piaccia, commentate in molti, questo videogioco vale la pena di essere FanFictionato!
XoXo!

And if this be our last conversation
If this be the last time that we speak for awhile
Don’t lose hope and don’t let go
Cause you should know
Safetysuit - What If
Non avrei mai pensato di dirlo, ma stavo morendo.
Stavo morendo com’era morto mio padre, nello stesso luogo e -purtroppo- quasi alla stessa età.
Io però ero solo in quell’ascensore, nessuno si sarebbe battuto per me come io avevo fatto per lui anni addietro. Nessuno avrebbe ferito il mio assassino prima che sferrasse il suo colpo letale.
Il dolore che si diradava dal mio fianco era lancinante, qualcosa di indescrivibile: sembrava che una rete rossa di sangue si fosse dipinta su di me per bruciarmi e rendermi un mucchio di cenere.
L’aria che passava attraverso le mie labbra era sottile, quasi inesistente, e a volte sembrava che si tenesse alla larga apposta da me, per farmi morire il prima possibile.
Mi ero accasciato contro un angolo, tentando di tenermi al corrimano d’ottone al di sotto dello specchio presente nell’ascensore, ma lasciai solo una strisciata di sangue rosso acceso sulla superficie dello specchio.
Salutai tutte le persone che avevo conosciuto, salutai Franziska, sperando che lei non conoscesse mai la vera facciata del padre.
Salutai Dick Gumshoe, un detective con la voglia di aiutare tutti che veniva sempre denigrato. Avevo sempre creduto in lui e lui aveva sempre creduto in me. Mi dispiaceva che rischiasse sempre di perdere il lavoro a causa del suo buon cuore.
Salutai quella scocciatrice della sorella di Skye, la piccoletta che sembrava essersi presa una bella cotta per me.
Poi il Giudice, i miei clienti e i miei testimoni, persino quella pazza furiosa della Oldbag.
Chi dimenticavo?
Ah già…lui.
Non me la sentii di dare l’estremo saluto all’immagine di Phoenix -non riuscii nemmeno a ricordarlo solo con il suo cognome, tanto era dura la verità- perché infondo non volevo andarmene, non a lui.
Per quanto avessi sempre premuto sul fatto che era solo per la carriera, non avrei mai confessato che ogni mia obiezione contro di lui era semplice…soddisfazione personale.
Adoravo contraddirlo per vedere quella stupida faccia prendere un colorito verdognolo per le mie azzeccate intuizioni.
Adoravo vedere quelle impossibili e stupide sopracciglia a zig e zag corrucciarsi per pensare come continuare un bluff.
Il cuore mi faceva più male del rene trapassato dalla pallottola, solo a pensare di dover abbandonare…lui.
Tutti mi andava bene, ma lui no. Mi stava ancorando al mondo reale come un macigno, un enorme incudine di cemento dai capelli a porcospino.
E proprio quando notai qualcosa di strano nell’aria, qualcosa di elettrizzante, non capii più nulla.
Persi senza che i miei occhi si chiudessero, troppo deboli per farlo.


Mi ero messo a correre all’impazzata appena avevo sentito della notizia: Manfred Von Karma era evaso di prigione e si era rifugiato in procura, dove aveva tenuto sotto ostaggio un paio di agenti disarmati della sicurezza, tra cui Meekins.
Avevo quasi urlato a Maya di avvertire la polizia mentre mi precipitavo fuori dallo studio, sotto la pioggia battente.
Non le sentivo nemmeno, le goccioline d’acqua che mi solleticavano la testa e inzuppavano il mio completo blu.
Sapevo perché Von Karma era andato in procura, armato di una pistola -probabilmente rubata a un poliziotto durante la fuga- e quella conoscenza mi mandava mille scariche elettriche lungo il corpo, infuocandomi i nervi.
Vendetta, quel maledetto cercava vendetta.
Quando arrivai ansante davanti all’enorme palazzo della procura, vidi le volanti della polizia con i lampeggianti accesi mentre il detective Gumshoe usciva dall’edificio strattonando l’uomo, la faccia da pazzo coperta di sangue.
Quel colore rossastro mi tagliò le gambe, sperai che fosse il suo, di sangue «detective!» chiamai, arrivando stravolto mentre l’uomo mi guardò teso «hey amico!! Che ci fai qui?? Potrebbe essere pericoloso, con questo qui» disse battendo le nocche sul vetro della volante dove Von Karma ridacchiava, ammanettato.
Le sue iridi scure mi fissarono con un sorriso sadico.
Ho vinto, diceva, non puoi farci nulla.
Non spiegai a Gumshoe il perché del mio sguardo terrorizzato, partii di nuovo in corsa all’interno del palazzo, indeciso sul da farsi: dove avrebbe potuto essere? Che fosse già…?
I miei occhi caddero sui monitor della sicurezza, quasi tutti scuri a causa della mancanza di elettricità che lo stesso Von Karma aveva creato.
Uno di questi, però, era illuminato di verde, forse una luce d’emergenza: ascensore A, piano 7.
I sudori freddi iniziarono a mischiarsi all’acqua della pioggia, quando vidi nello schermo una macchia scura sul pavimento.
Non poteva essere…non poteva essere!
Corsi su per le scale, il cuore non sapeva se battere a mille o fermarsi, ogni tanto le scarpe bagnate rischiavano di slittare sul pavimento di marmo.
Coraggio Phoenix non ti fermare! Non ti fermare! Se ti fermi…
Raggiunsi il settimo piano e appiccicai la faccia al vetro dell’ascensore, sentendo sotto le mani il foro di un proiettile: Edgeworth era a terra con un foro all‘altezza della vita, la schiena appoggiata alla parete dove sostava lo specchio -insanguinato- e la testa china in avanti, gli occhi semiaperti fissavano il vuoto.
Di nuovo il mio cuore indeciso non seppe se pompare adrenalina o fiele, in quel momento.
Quella vista mise fine a tutta la mia paura.
Afferrai senza pensare un estintore lì vicino e lo schiantai contro il vetro, più e più volte, i denti che scricchiolavano per quanto li stessi premendo tra di loro.


Qualcosa di fresco mi fece risalire in superficie, goccia dopo goccia l’acqua mi fece risvegliare.
Solo alcuni particolari sfocati ballavano davanti ai miei occhi, non ancora del tutto capaci di rimanere aperti.
Sentivo dei rumori, un essere umano parlare, ma non capivo le parole che uscivano dalla bocca che vedevo aprirsi e chiudersi.
Dovetti muovere il capo per poter capire chi fosse la persona accanto a me, o per meglio dire sopra.
Non avrei mai scambiato quei capelli scuri e sparati, non avrei mai smesso di riconoscere quel particolare tipo di blu.
Le mie sopracciglia si aggrottarono in una smorfia di dolore, quando capii che non riuscivo a respirare. Il mio petto era pesante e immobile, sordo ai comandi che il cervello mandava, nonostante la nebbia che lo avvolgeva.
Le gocce che sentivo parevano cadere alla figura agitata sopra di me, come una pioggia rada che sembrava lenire il mio dolore.
Dio, non riuscivo a stare sveglio. Avevo sonno, quello strano sonno che sapevo mi avrebbe portato via per sempre.
Avevo sonno e caldo, nonostante il sangue continuasse a scivolare via dal mio corpo «…sveglio!» capii, un urlo che però non sortì l’effetto desiderato «…Miles!…a…glio!».
Aprii la bocca in cerca d’aria senza riuscire a inspirarla: sapevo che era lì, la potevo sentire avvolgere me e Wright rassicurante e fresca, ma non ne voleva sapere di entrare nella mia bocca.
I miei occhi si rivoltarono senza potessi fare nulla, non riuscivo a rimanere presente nella realtà.
Mi dispiace, avrei voluto dirgli, mi dispiace tanto…non ce la faccio.
Fu in quel momento, in quell’esatto momento, che sentii le sue labbra premere sulle mie, soffiarmi dentro con la stessa determinazione che metteva nelle sue obiezioni a rotta di collo.
Il bacio della vita, lo chiamavano, ma pur sempre un bacio rimaneva. Avrebbe fatto quello, per salvarmi? Sarebbe arrivato a tanto? Sarebbe arrivato a gonfiarmi come un pallone piuttosto che perdermi? Diamine, mi fai piangere così, Phoenix.
Quel soffio d’aria mi riempì come nient’altro avrebbe fatto, dando al mio diaframma l’input per ricominciare a farlo di sua spontanea volontà.
Tossii, piegandomi su un lato mentre il dolore al fianco sembrava otturato da qualcosa, bendato.
La sua giacca, ecco cos’era legato stretto attorno al mio corpo, che impediva al sangue di uscire ancora dal mio corpo, l’ultimo litro che mi manteneva in vita «STUPIDO!» lo sentii urlare al limite del pianto «MI HAI SPAVENTATO!».
Wright, ora ti comporti come una ragazzina? Accidenti, dovevo essere ridotto proprio male.
Alzai una mano verso il suo volto, solo una macchia colorata ai miei occhi stanchi, e lo feci abbassare con quanta forza possedessi in corpo, incontrando ancora le sue labbra per un secondo bacio, questa volta in piena regola.
Restituiscimi il mio bacio, stupido…imbecille…dolcissimo…avvocato dalla testa seghettata.
   
 
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