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Autore: _Syn    06/08/2010    3 recensioni
10051 - A pralinedetective, molto molto molto in ritardo
Scritta per la community bingo_italia
[...]Il respiro di Byakuran rappresentava ancora uno dei suoi punti deboli. Era come una porta aperta, socchiusa anzi, da cui si poteva vedere solo uno spicchio di luce e da cui fuoriusciva un profumo meraviglioso e intriso di una sensazione di dolce pericolo. Un pericolo che si poteva affrontare, perché qualcosa suggeriva che ne valesse la pena. Era ancora una tentazione a cui resistere diventava difficile ogni giorno che passava, che trasformava in malinconia ogni suo proposito di freddezza e serietà[...]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Byakuran, Shoichi Irie
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scritta per la Challenge della Community “bingo_italia” con il prompt: "Abbandono"

 

Autrice: AlexielFay

Fandom: Katekyo Hitman Reborn!

Titolo: Il destino ha due facce

Personaggi: Byakuran, Irie Shouichi

Pairing: 10051 [ByakuranIrie]

Genere: Angst, Introspettivo

Rating: Giallo

Avvertimenti: One Shot, Shounen-ai, Spoiler Future!Arc

Link alla community: http://community.livejournal.com/bingo_italia/

Link alla tabella: http://alexiel-fay.livejournal.com/20132.html

 


A pralinedetective.

Per il suo compleanno, in ritardo spaventoso. Una promessa è debito e piacere, in questo caso. Auguri <3



Il destino ha due facce


Dicono che il mondo possa essere una cosa spaventosa. Fino a qualche settimana prima, Irie si ritrovava perfettamente d’accordo con quella definizione di “mondo”, ma quella mattina, quando si era svegliato e aveva scostato le lenzuola, fissando senza traccia di emozione il vuoto davanti a lui, aveva pensato che il mondo poteva essere semplicemente “diverso”. Ed era più triste e angosciante sapere che i tuoi occhi si aprono e incontrano un soffitto sconosciuto, osservano un cielo di un blu quasi scambiato, che non arrancare senza requie in un incubo di paure. Le cose spaventose non pensi neanche di guardarle, perché gli occhi le rifuggono e il cuore le scaccia via. Ma quando la familiarità di uno sguardo, di un contatto o di un sorriso diventa “diversa” allora gli occhi prendono a piangere in preda alla confusione e alla disperazione silenziosa di chi si è perduto dentro se stesso.

Se chiudeva gli occhi e ritrovava il suo mondo, Irie correva dritto filato verso casa sua, nell’immaginazione, e ritrovava i libri di scuola, i profumi della cucina e la morbidezza del cuscino. Se chiudeva gli occhi, però, sentiva anche il pericolo, lo sguardo sempre presente di Byakuran e il suo giudizio inevitabile pendere sulla sua testa come un’apocalisse di terrore. Tremava nel suo stesso, diverso, letto, comprendendo di non essere al sicuro. Non era al sicuro in alcun luogo, neanche nei suoi pensieri. Forse era proprio lì che i demoni si acquattavano, attendendo pazientemente di tradirlo, per spiccare il volo come un gargoyle che fino a un secondo prima era solo pietra inanimata e fredda. Anche le pietre e i muri avevano orecchie, e potevano facilmente trasformarsi in aguzzini pronti a minacciarlo o, più possibilmente, consegnarlo senza remore a Byakuran.

Irie strinse con una mano il lenzuolo e ascoltò i battiti del cuore. Sembrava così solo, quel cuore, che Irie si domandò se la gabbia delle costole fosse ancora presente nel suo corpo. Il cuore batteva così velocemente che pareva colpirlo direttamente in gola, poi sulla pelle sottile e nivea della pancia. Poi arrivava al cervello, pulsando dolorosamente e creando le fiamme e il ghiaccio. Era lì, dove i pensieri nascevano o morivano nel terrore di essere scoperti, che il mondo di Irie era diventato diverso. Dove erano nate anche le bugie, dove la verità era stata cancellata dalle sue stesse mani per poi rinascere, crescendo in un feto di piombo capace di schermare anche le occhiate e i sorrisi di Byakuran. Ma poi era rinata davvero, aveva respirato in un mondo che non le apparteneva, e Irie aveva deciso di non darle nome. Per non chiamarla di notte quando sognava e la mente produceva incubi, per non cercarla nelle strade, invocandola a gran voce.

Probabilmente, però, Irie le avrebbe dato il nome di Salvezza se solo la sua mente non fosse stata tenuta al silenzio dei traditori e degli eroi celati nell’ombra. E come secondo nome, Giustizia.


“Ah, che terribile spettacolo, ieri, vero Shou-chan?” la voce di Byakuran si infranse come ovatta pregna di veleno pronta a posarsi su una ferita. Soffice e candida al di fuori, fatale e dolorosamente inquietante all’interno.

Shouichi rimase impassibile di fronte all’osservazione di Byakuran, ben sapendo a cosa si stava riferendo. Manifestò indifferenza verso le sorti tragiche del Decimo Boss della Famiglia Vongola, continuando ad occuparsi dei compiti assegnatigli.

“Era il nostro obiettivo, doveva essere perfettamente riuscito. Non terribile.” a volte Irie pensava che quelle domande fossero ben mirate, che Byakuran sapesse perfettamente cosa ci fosse davvero dietro i suoi occhi.

“Sei sempre così scrupoloso e serio, Shou-chan!” cinguettò ancora Byakuran, andandogli alle spalle per poggiare il mento sulla sua spalla. Irie rimase immobile, non si irrigidì, ma accolse quel gesto. Forse anni prima avrebbe provocato in lui una piacevolissima sensazione di calore, come quando avviciniamo una mano alle fiamme di un camino di una baita di montagna. In quel momento, però, Irie aveva le mani immerse nel fuoco.

“Faccio il mio lavoro, non voglio commettere errori.” replicò, calmo. Né troppo calmo, né troppo teso. Naturale. Ma Irie sapeva che quella farsa non sarebbe durata per sempre: non poteva produrre la naturalezza, poteva solo imitarla. E le imitazioni, le bugie, alla fine emergono sempre.

“Bravo, Shou-chan.” sorrise Byakuran, respirandogli sulla guancia. A Irie servì tutta la volontà di cui disponeva per non sospirare e far tremare le ginocchia. Il respiro di Byakuran rappresentava ancora uno dei suoi punti deboli. Era come una porta aperta, socchiusa anzi, da cui si poteva vedere solo uno spicchio di luce e da cui fuoriusciva un profumo meraviglioso e intriso di una sensazione di dolce pericolo. Un pericolo che si poteva affrontare, perché qualcosa suggeriva che ne valesse la pena. Era ancora una tentazione a cui resistere diventava difficile ogni giorno che passava, che trasformava in malinconia ogni suo proposito di freddezza e serietà, come la chiamava Byakuran.

Quell’uomo gli stava lentamente rovinando la vita, ma non poteva dire che lui stesso non avesse preso parte a quella distruzione. Nonostante tutto, però, Irie sapeva bene che senza di lui quel mondo non solo sarebbe stato diverso, ma avrebbe perso ogni cosa. Anche i ricordi.

“Tu cosa faresti se dovessi morire, Shou-chan?”

La domanda giunse come una stilettata al cuore. Irie schiuse le labbra e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, smettendo di lavorare. Le due Cervello, comprendendo lo sguardo di Byakuran, si congedarono e lasciarono i due da soli. Le pareti bianche cominciarono a diventare sempre più alte e Irie ebbe come l’impressione che da un momento all’altro gli sarebbero crollate addosso, ma che Byakuran sarebbe rimasto illeso, che le macerie non l’avrebbero neanche colpito. Solo lui sarebbe rimasto distrutto.

Byakuran era troppo in alto, troppo lontano - in un cielo divino in cui era possibile trovarsi ovunque, anche alle sue spalle - per venire colpito in pieno dal terremoto della mente di Irie.

“Non fare certe domande, Byakuran-san.” ribatté. Non era solo paura di essere scoperto, in quel momento Irie non ci pensò neanche. Era terrore cieco di perdere un appiglio, anche se quell’appiglio lo stava trascinando nel baratro invece di farlo risalire.

“Io sarei triste.” disse Byakuran, avvicinando ancora la sua testa a quella di Shouichi. Gli sfiorava la tempia e continuava a respirare così da farlo impazzire. Il baratro era così profondo che non riusciva neanche a sentire il tonfo dei suoi pensieri, quando cadevano giù, trascinati a forza dalla potenza inaudita di Byakuran.

“Se morissi io?”

“No, se morissi io.” Irie rimase immobile, rigido, chiedendosi perché. E Byakuran gli lesse nel pensiero, ammantandolo di terrore. Aveva già letto tutto? “Perché se io andassi via tu saresti solo, Shou-chan. Saresti senza di me.”

Irie avrebbe voluto mordersi la labbra e farle sanguinare, sentire il sapore del sangue nella bocca e prosciugarsi completamente. Un’altra parte di sé desiderava irrazionalmente fare mezzo passo indietro per poggiare la schiena al petto di Byakuran. Voleva sentirlo vicino e sfociare come un fiume dentro di lui. Avrebbe voluto comprenderlo a fondo, anche se questo avrebbe significato essere scoperto. Si chiamava debolezza, si chiamava caduta nell’ombra.

“Tu non vuoi restare solo, vero, Shou-chan?”

Non voglio restare senza di te, pensò Irie. Si maledì miliardi di volte per quel pensiero. Avrebbe dovuto allontanarlo ora che lo stava tradendo, invece gli sovvenivano alla mente i ricordi del passato. Un passato già corrotto, macchiato dal primo momento, ma che avevano reso puri e felici in maniera inimmaginabile milioni di momenti. Lui li ricordava tutti.

“No.”


C’era un’incrinatura nella sua anima da cui esalazioni di tristezza volavano via. I lividi erano dolore puro quando, disteso nel suo letto, Irie si stendeva, prono, e ascoltava il cuore battere contro il materasso e i polmoni svuotarsi e riempirsi. Qualche volte smetteva semplicemente di respirare, ma il cuore non riusciva a fermarlo mai. Era a quel punto che sapeva che non avrebbe avuto neanche la speranza di fermare il tempo, solo per ritagliare un momento che non avesse il sapore del potere e del gioco perverso di Byakuran. Perché il tempo era potere, ed era quello che Byakuran voleva. Un tempo, milioni di tempi, da stringere tra le mani con cui giocare.

Soffocò un urlo contro il cuscino, mordendo, piangendo in silenzio e affogando nel pensiero di lui. Tradirlo significava lasciarlo morire e rischiare a sua volta di svanire. Tradirlo significava lasciarlo andare e dimenticare. O almeno far finta. Tradirlo significava salvarsi e rendere giustizia al mondo intero.

Ma dentro, Irie ricordava ancora le sue mani. Più di qualunque altra cosa, ricordava le mani di Byakuran e le proprie unite, in un bacio di pelle sensibile e liscia, di fronte a una finestra inondata di sole. I raggi erano così forti che era quasi impossibile guardare fuori: era un meraviglioso giorno d’estate e i loro giorni brulicavano di sorrisi e di vita.

Ora, quando Byakuran cercava le sue mani, Irie portava sempre i guanti. Era un bacio finto, un’altra bugia, ma lui non le lasciava comunque. Continuava a stringergli le mani, intrecciando le loro dita, fino a quando il respiro diventava talmente ipnotico e caldo che il controllo volava via, accecato da quell’antico sole estivo, e i guanti riuscivano a cadere sul pavimento, liberati dalla forza di Byakuran. A quel punto era semplice - era un obbligo che, se non portato a terminare avrebbe distrutto il corpo - fare quei pochi passi all’indietro per incontrare il corpo di Byakuran e abbandonarsi a esso. Si abbandonava a lui perché se si fosse abbandonato a se stesso avrebbe scoperto di voler morire per la propria vergognosa debolezza. Si abbandonava a Byakuran perché così era più facile mentire.

Se avesse osato annegare dentro se stesso, allora, ogni bugia sarebbe stata talmente evidente che si sarebbe ritrovato un pugnale conficcato nel petto. Era nella sua mente, segnata da torture e memorie dolorose, che esisteva quel Byakuran che Irie non voleva dimenticare. Quello per cui era facile piangere e sorridere, quello per cui era semplice respirare.

“Shou-chan...” se chiamava il suo nome il mondo girava al contrario. Ma restava diverso ed era più facile resistere alla tentazione più grande. Abbandonare tutto e donarsi totalmente a lui. “Che buona la tua pelle, Shou-chan.” se gli baciava il collo, stringendogli le mani e imprigionandolo alle spalle, l’abbandono diventava un modo per ricordare di tenere gli occhi aperti per non lasciare entrare il buio totale. Il piacere di averlo lì, il piacere di essere suo, gli incrinava sempre di più l’anima. E se il buio fosse entrato in quelle fessure anche la tristezza che ne usciva, come lacrime nere, sarebbe morta. E allora l’avrebbe raggiunto in quel mondo divino, in alto, dove Byakuran voleva portarlo. Quel mondo che Irie avrebbe voluto vedere distrutto, solo per riavere il suo amico indietro.

Ma i mondi non si distruggono, si trasformano e si modellano per farli diventare diversi. Ormai, incontrando Byakuran, diventando suo amico e unendo i loro destini, Irie quel mondo l’aveva già cambiato.


“A volte mi chiedo se sia stato io a incontrarti o tu a incontrare me. Tu che ne pensi Shou-chan?”

Le sue labbra vicino al collo e ciocche di capelli a solleticargli la pelle, il respiro che creava letti aridi di fiumi prosciugati, da cui era impossibile attingere per placare la sete di lui.

“Il destino ha due facce, Byakuran-san. Ci siamo incontrati e basta.”

Nello stesso istante. Per distruggerci.

 

  
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