Se ripenso all'inizio della mia
carriera, mi vergogno della mia stupidità. Ok, sono ancora un cretino immaturo
sotto molti punti di vista, ma prima di fare un acquisto importante ci penso su
almeno tre volte. Ma nel 2004 avevo appena ventitré anni, ero appena salito
alla ribalta, tutti mi acclamavano e i soldi piovevano come mai avevo osato
sognare. E Brian mi convinse a comprare una casa. Ok, l’idea non era male: in
fondo, comprare una casa può essere un ottimo investimento.
Dannazione, questa non è una casa. Prima di tutto, non esiste una parete che
sia una parete: ovunque volga lo sguardo, incontro grandi lastre di vetro che
mi sbattono davanti agli occhi il resto del mondo anche quando avrei voglia di
isolarmi. Ed è tutto di un bianco accecante, una specie di via di mezzo tra la
stanza della TV del signor Wonka e una corsia d’ospedale. Non mi è mai piaciuto
questo maledetto appartamento, ma Brian è stato così convincente… o forse io
ero maledettamente suggestionabile: un ragazzino di Los Angeles che
improvvisamente si ritrova con una montagna di soldi tra le mani può diventare
pericoloso.
Brian, efficiente come al solito,
risponde dopo due squilli e mezzo. “Avnet.”
“Ciao, Brian. Sono io.”
“Ehi, Josh! Il viaggio è andato bene? Hai bisogno che faccia qualcosa per te?”
“Sì, sono arrivato da poco.” Evito di menzionare Grace. “E sì, avrei bisogno di
un favore.”
“Dimmi tutto.”
“Vendi questo appartamento.”
“Scusa?”
“Il mio appartamento di Los Angeles. Trova qualcuno disposto a comprare questo
schifo.”
Non vivo più a casa da una decina
d’anni, ma mamma e papà hanno voluto che tenessi una copia delle chiavi. “Non
si sa mai cosa può succedere nella vita. Potresti averne bisogno.”
Infatti. Suono il campanello, e nonostante all’interno si sentano due voci discutere
in modo piuttosto animato, nessuno viene ad aprire.
“Ciao, sono a casa!” dico ad alta
voce, avanzando nell’ingresso.
“Josh? Joshie, amore della mamma,
che ci fai qui?”
Come sempre, mia madre mi investe
con la forza di un Panzer, e inizia subito a dire quanto mi trova dimagrito,
quanto sono sciupato, che questa vita mi sta uccidendo… a sentire lei, dovrei
essere morto da almeno otto anni.
“Allie ha chiamato Brian e lo ha
informato che avete di nuovo messo su uno dei vostri soliti teatrini.”
“Allie dovrebbe imparare a farsi gli
affari suoi.”
“Allie si preoccupa per voi, com’è giusto che sia.”
Allison Marie Groban, detta Allie, è
mia sorella. Ha cinque anni più di me, è sposata e ha tre figli fantastici. Suo
marito gestisce un piccolo negozio di dischi, e lei gli dà una mano, quando non
è troppo impegnata con i miei nipoti. Quando pubblicai il mio primo album, il
loro fu l’unico negozio ad esporlo subito in vetrina: Allie è sempre stata
piuttosto fiera di me.
“A proposito, dov’è papà? Mi
sembrava di aver sentito anche la sua voce.”
“Credo sia sgattaiolato via dalla
porta sul retro. Vuoi un the, caro?”
Non importa che ore siano: mia madre
offre the a tutti, che siano le otto del mattino o le sette di sera. Comunque
sia, anche se le tre del pomeriggio non sono l’ora più adatta per un the con
mia madre, accetto. Cinque minuti più tardi mi sono tolto il cappotto e mi sono
seduto a tavola, con una tazza di the bollente tra le mani e mille domande da
fare alla donna che continua a sfaccendare davanti ai miei occhi. E a
rimproverarmi. Neanche avessi ancora quindici anni.
“Joshua Winslow Groban, chi ti ha
insegnato a stare così scomposto? Mi meraviglio che tu riesca ancora a
camminare diritto!”
“Oh, mamma! Perché invece non
parliamo di cose importanti?”
“Tipo?”
“Tipo del fatto che tu e papà vi state lasciando.”
“Oh, Joshie, sono cose che
succedono. Insomma, anche tu e Isabel vi siete lasciati. E prima c’era stata
Tish, e prima ancora Lucy…”
“Non tirare in ballo le mie storie.
So che sono cose che succedono. Ma voi avete divorziato tre volte, e per tre
volte vi siete risposati. Non è normale.”
“Beh, se può consolarti, questa
volta è finita davvero. Tuo padre ha
un’altra donna.”
Fantastico. Ci mancava soltanto
questa: mio padre che, a sessant’anni suonati, inizia ad andare a donne.
***
Odio Los Angeles. Troppo traffico.
Sto cercando di raggiungere mia sorella: a quest’ora dovrebbe essere al
negozio. Mentre mi rassegno a percorrere i pochi chilometri che mancano a passo
di lumaca, passo in rassegna le mie storie passate. Isabel è stata la mia
ultima ragazza: dopo aver rotto con lei, ho giurato a me stesso che non mi
sarei più innamorato di una musicista. Isabel suonava il clarinetto
nell’orchestra che mi accompagna durante i miei concerti, e col tempo si era
autoeletta mio consigliere personale. Come se Brian non fosse stato
sufficiente. Comunque, Isabel stava iniziando a diventare soffocante, con tutte
le sue critiche al mio modo di cantare e al poco spazio che davo ad alcuni
reparti dell’orchestra… e così, poco prima di Natale, l’ho scaricata. Peccato
però: era davvero bella, con i suoi grandi occhi grigi e i capelli biondi
sempre sciolti lungo la schiena.
Prima di Isabel c’era stata
Jennifer, non Tish. Jennifer era una delle assistenti di David Foster. L’avevo
conosciuta appena ero approdato alla Warner, ma mi sono reso conto di quanto
fosse carina soltanto due anni fa. Ma poi anche con lei finì: non sopportava le
mie lunghe tournée, io non sopportava di vederla sempre di cattivo umore. Un
paio di mesi fa si è sposata con Alan, un tecnico del suono. E dire che io
avevo sempre pensato che gli piacessero i maschietti…
Prima di Jenny, sono stato con Tish.
Tish è stata la miglior ragazza che abbia mai avuto, dopo Lucy. Tish non si
lamentava se restavo fuori un mese per una serie di concerti, se restavo chiuso
in studio a ripetere una registrazione fino a che non era perfetta, se Brian mi
teneva sveglio tutta la notte per espormi i suoi progetti. Tish non si
lamentava, non mi chiedeva mai niente, e io ne ero profondamente innamorato.
Finché non ho scoperto che sopperiva alla mia assenza con chiunque le capitasse
a tiro – uomo o donna, non aveva importanza. Il che, forse, non la rende la
miglior ragazza che abbia mai avuto.
Lucy. Lei sì che è stata la migliore
ragazza che abbia mai avuto. Bella, intelligente, simpatica e semplice: tutto
quello che avrei mai potuto cercare in una ragazza. L’ho conosciuta all’asilo,
e abbiamo condiviso tutte le esperienze più importanti della vita: varicella,
morbillo, brutti voti, brufoli, il primo bacio e la prima volta. Ci siamo messi
insieme ufficialmente a quattordici anni. È durata tre anni, per finire quando
lei si trasferì con la famiglia in Europa. Lucy è stata l’unica ragazza ad
avere il vero Josh, ad avere l’uomo,
e non il cantante. A quell’epoca ero ancora una specie di reietto che ogni
giorno rischiava di finire con la testa infilata nella tazza del gabinetto, ma
Lucy... a Lucy piacevo così com’ero.
L’automobilista in coda dietro di me
suona il clacson e mi lancia un paio di insulti. Ha ragione. L’auto davanti a
me è già talmente lontana che non riesco nemmeno a leggere la targa. Io e i
miei maledetti problemi di concentrazione. Sarebbe meglio dimenticare.
Dimenticare. Dimenticare tutto.