Fanfic su artisti musicali > Josh Groban
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Autore: EffieSamadhi    06/08/2010    0 recensioni
Ha ventinove anni, un bel sorriso e una personalità dirompente. Ha una voce che incanta, adora gli animali di peluche e ogni minuto della sua vita è pianificato dal suo manager. Ma Josh ha voglia di scoprire che cosa c'è oltre l'orizzonte, ha voglia di uscire dallo schema. Gli basta prendere un aereo, e tutto cambia. ***I personaggi di questa ff non mi appartengono (se Josh Groban mi appartenesse sarei qui? XD) e la storia non è scritta a scopo di lucro.***
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3.

Se ripenso all'inizio della mia carriera, mi vergogno della mia stupidità. Ok, sono ancora un cretino immaturo sotto molti punti di vista, ma prima di fare un acquisto importante ci penso su almeno tre volte. Ma nel 2004 avevo appena ventitré anni, ero appena salito alla ribalta, tutti mi acclamavano e i soldi piovevano come mai avevo osato sognare. E Brian mi convinse a comprare una casa. Ok, l’idea non era male: in fondo, comprare una casa può essere un ottimo investimento.

Dannazione, questa non è una casa. Prima di tutto, non esiste una parete che sia una parete: ovunque volga lo sguardo, incontro grandi lastre di vetro che mi sbattono davanti agli occhi il resto del mondo anche quando avrei voglia di isolarmi. Ed è tutto di un bianco accecante, una specie di via di mezzo tra la stanza della TV del signor Wonka e una corsia d’ospedale. Non mi è mai piaciuto questo maledetto appartamento, ma Brian è stato così convincente… o forse io ero maledettamente suggestionabile: un ragazzino di Los Angeles che improvvisamente si ritrova con una montagna di soldi tra le mani può diventare pericoloso.

Brian, efficiente come al solito, risponde dopo due squilli e mezzo. “Avnet.”
“Ciao, Brian. Sono io.”
“Ehi, Josh! Il viaggio è andato bene? Hai bisogno che faccia qualcosa per te?”
“Sì, sono arrivato da poco.” Evito di menzionare Grace. “E sì, avrei bisogno di un favore.”
“Dimmi tutto.”
“Vendi questo appartamento.”
“Scusa?”
“Il mio appartamento di Los Angeles. Trova qualcuno disposto a comprare questo schifo.”

 

Non vivo più a casa da una decina d’anni, ma mamma e papà hanno voluto che tenessi una copia delle chiavi. “Non si sa mai cosa può succedere nella vita. Potresti averne bisogno.”
Infatti. Suono il campanello, e nonostante all’interno si sentano due voci discutere in modo piuttosto animato, nessuno viene ad aprire.

“Ciao, sono a casa!” dico ad alta voce, avanzando nell’ingresso.

“Josh? Joshie, amore della mamma, che ci fai qui?”

Come sempre, mia madre mi investe con la forza di un Panzer, e inizia subito a dire quanto mi trova dimagrito, quanto sono sciupato, che questa vita mi sta uccidendo… a sentire lei, dovrei essere morto da almeno otto anni.

“Allie ha chiamato Brian e lo ha informato che avete di nuovo messo su uno dei vostri soliti teatrini.”

“Allie dovrebbe imparare a farsi gli affari suoi.”
“Allie si preoccupa per voi, com’è giusto che sia.”

Allison Marie Groban, detta Allie, è mia sorella. Ha cinque anni più di me, è sposata e ha tre figli fantastici. Suo marito gestisce un piccolo negozio di dischi, e lei gli dà una mano, quando non è troppo impegnata con i miei nipoti. Quando pubblicai il mio primo album, il loro fu l’unico negozio ad esporlo subito in vetrina: Allie è sempre stata piuttosto fiera di me.

“A proposito, dov’è papà? Mi sembrava di aver sentito anche la sua voce.”

“Credo sia sgattaiolato via dalla porta sul retro. Vuoi un the, caro?”

Non importa che ore siano: mia madre offre the a tutti, che siano le otto del mattino o le sette di sera. Comunque sia, anche se le tre del pomeriggio non sono l’ora più adatta per un the con mia madre, accetto. Cinque minuti più tardi mi sono tolto il cappotto e mi sono seduto a tavola, con una tazza di the bollente tra le mani e mille domande da fare alla donna che continua a sfaccendare davanti ai miei occhi. E a rimproverarmi. Neanche avessi ancora quindici anni.

“Joshua Winslow Groban, chi ti ha insegnato a stare così scomposto? Mi meraviglio che tu riesca ancora a camminare diritto!”

“Oh, mamma! Perché invece non parliamo di cose importanti?”
“Tipo?”
“Tipo del fatto che tu e papà vi state lasciando.”

“Oh, Joshie, sono cose che succedono. Insomma, anche tu e Isabel vi siete lasciati. E prima c’era stata Tish, e prima ancora Lucy…”
“Non tirare in ballo le mie storie. So che sono cose che succedono. Ma voi avete divorziato tre volte, e per tre volte vi siete risposati. Non è normale.”

“Beh, se può consolarti, questa volta è finita davvero. Tuo padre ha un’altra donna.”

Fantastico. Ci mancava soltanto questa: mio padre che, a sessant’anni suonati, inizia ad andare a donne.

 

***

 

Odio Los Angeles. Troppo traffico. Sto cercando di raggiungere mia sorella: a quest’ora dovrebbe essere al negozio. Mentre mi rassegno a percorrere i pochi chilometri che mancano a passo di lumaca, passo in rassegna le mie storie passate. Isabel è stata la mia ultima ragazza: dopo aver rotto con lei, ho giurato a me stesso che non mi sarei più innamorato di una musicista. Isabel suonava il clarinetto nell’orchestra che mi accompagna durante i miei concerti, e col tempo si era autoeletta mio consigliere personale. Come se Brian non fosse stato sufficiente. Comunque, Isabel stava iniziando a diventare soffocante, con tutte le sue critiche al mio modo di cantare e al poco spazio che davo ad alcuni reparti dell’orchestra… e così, poco prima di Natale, l’ho scaricata. Peccato però: era davvero bella, con i suoi grandi occhi grigi e i capelli biondi sempre sciolti lungo la schiena.

Prima di Isabel c’era stata Jennifer, non Tish. Jennifer era una delle assistenti di David Foster. L’avevo conosciuta appena ero approdato alla Warner, ma mi sono reso conto di quanto fosse carina soltanto due anni fa. Ma poi anche con lei finì: non sopportava le mie lunghe tournée, io non sopportava di vederla sempre di cattivo umore. Un paio di mesi fa si è sposata con Alan, un tecnico del suono. E dire che io avevo sempre pensato che gli piacessero i maschietti…

Prima di Jenny, sono stato con Tish. Tish è stata la miglior ragazza che abbia mai avuto, dopo Lucy. Tish non si lamentava se restavo fuori un mese per una serie di concerti, se restavo chiuso in studio a ripetere una registrazione fino a che non era perfetta, se Brian mi teneva sveglio tutta la notte per espormi i suoi progetti. Tish non si lamentava, non mi chiedeva mai niente, e io ne ero profondamente innamorato. Finché non ho scoperto che sopperiva alla mia assenza con chiunque le capitasse a tiro – uomo o donna, non aveva importanza. Il che, forse, non la rende la miglior ragazza che abbia mai avuto.

Lucy. Lei sì che è stata la migliore ragazza che abbia mai avuto. Bella, intelligente, simpatica e semplice: tutto quello che avrei mai potuto cercare in una ragazza. L’ho conosciuta all’asilo, e abbiamo condiviso tutte le esperienze più importanti della vita: varicella, morbillo, brutti voti, brufoli, il primo bacio e la prima volta. Ci siamo messi insieme ufficialmente a quattordici anni. È durata tre anni, per finire quando lei si trasferì con la famiglia in Europa. Lucy è stata l’unica ragazza ad avere il vero Josh, ad avere l’uomo, e non il cantante. A quell’epoca ero ancora una specie di reietto che ogni giorno rischiava di finire con la testa infilata nella tazza del gabinetto, ma Lucy... a Lucy piacevo così com’ero.

L’automobilista in coda dietro di me suona il clacson e mi lancia un paio di insulti. Ha ragione. L’auto davanti a me è già talmente lontana che non riesco nemmeno a leggere la targa. Io e i miei maledetti problemi di concentrazione. Sarebbe meglio dimenticare. Dimenticare. Dimenticare tutto.

   
 
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