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Autore: JhonSavor    06/08/2010    1 recensioni
Questa è una fan fic di carattere storico, come in un romanzo. Attraverso una versione non demenziale (fatta eccezione forse per me XD) ma comunque contenente anche episodi umoristici, voglio provare a raccontare come sarebbe stata la Storia con all'interno i personaggi di Hetalia ovvero le Nazioni. I personaggi saranno il più fedeli possbili salvo qualche mia libertà poetica, e saranno affiancati nel corso dei capitoli da numerose figure storiche realmente esistite. Speroche vi divertirete a leggere, buon inizio!
Genere: Avventura, Generale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Antica Roma
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Hetalia: Storie di Nazioni'
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CAPITOLO I: LE ORIGINI DEL MITO

Roma, Anno Domini 476, Settembre

Nello sfarzo del palazzo imperiale della Città Eterna si stava consumando un tragico evento, che diverrà noto come la caduta del potere imperiale romano occidentale.
Odoacre signore degli Eruli, aveva mandato in esilio Romolo Augustolo e ormai da alcuni giorni si era proclamato padrone delle terre italiche.
Per far sì che la sua autorità fosse assolutamente legittima, il re aveva predisposto un matrimonio tra la sua Nazione e quella del decaduto impero; così facendo avrebbe ottenuto dalla loro unione una progenie che avrebbe unito definitivamente i due popoli sotto il suo dominio.
Ma non vi riuscì, perché se le Nazioni sono il simbolo di un popolo, di una cultura, senza di esse, la Nazione non è niente. In altre parole ad Odoacre mancò il tempismo per attuare il suo piano…

Tibullo, Prefetto del Pretorio, marciava a grandi passi nei corridoi del palazzo imperiale. La riunione con i barbari era terminata da alcuni minuti, ma poteva ancora sentire il loro puzzo.
Ed era, per quell’uomo, una cosa insopportabile.
“Bestie, non sono nient’altro che bestie - pensava - bestie che si fingono uomini. Un cieco potrebbe scambiarli per un branco di capre”
Aveva però altro a cui pensare in quel momento: il suo signore lo stava aspettando, e oramai ogni secondo era prezioso.
Raggiunse le sue stanze private e aprì con delicatezza le porte in ebano per non disturbare il suo signore.
Un filo di voce si fece strada nella stanza luminosa fino alle sue orecchie -Tibullo sei tu?-
Sentendosi chiamare l’uomo avanzò fino al letto nel quale vi era disteso l’ultimo vero simulacro del potere imperiale. Il suo Rappresentante.
-Ave Quirino, figlio di Caio, Impero d’Occidente e fulgido simbolo del potere Romano. Tibullo Decio ti saluta-
-Non essere così formale, amico mio, ormai non sono che lo spettro di ciò che ero- disse con tono un po' affaticato.
Benché il suo signore fosse visivamente indebolito, dai sui occhi Tibullo scorgeva tutto l’ardore e l’orgoglio che lo avevano sempre caratterizzato.
-Allora state davvero così male mio signore?-.
L’uomo disteso sul letto si fermò come a riflettere accarezzandosi quello strano ciuffo di capelli ribelle che gli spuntava dalla folta capigliatura bruna.
Tibullo si ritrovò a pensare a quegli aneddoti che aveva sentito sul conto del padre del suo signore: gli avevano raccontato che anch’egli aveva, tra le altre numerose manie, quella di tormentare quel suo particolare ciuffo ogni volta che si ritrovava a elucubrare su qualcosa.
Il Prefetto sorrise: era proprio il vero figlio di suo padre…
-Beh in realtà ti dirò… credi che quella liberta sia ancora disposta a farmi quei servizietti che mi erano stati promessi?-.
Tibullo sembrò non capire.
-Q-quale liberta, scusi?- chiese sconcertato
-Ma si quella ragazza bionda che vive presso l’Aretino, hai presente? È una bella figliola e non mi dispiacerebbe passare gli ultimi momenti con lei tra le braccia-
L’uomo sentì il bisogno di aggrapparsi a qualcosa per non cadere sul posto; oltre alle numerose virtù, il suo signore doveva aver ereditato anche i numerosi vizi del suo nobile padre.
-Credo che dovrete accontentarvi dell’estrema unzione…- disse sospirando
-Già forse non è il caso…-
I due romani si guardarono in viso, e dopo alcuni istanti scoppiarono a ridere sguaiatamente.
-Beh sarebbe sicuramente un bel modo di andarsene, mio signore!-
-Vero, non trovi?!-
Il riso pian piano li abbandonò riportando la serietà sui loro volti. Il prefetto scostò ancora di più le tende dalle finestre per permettere alla luce del sole di entrare e far si che il paesaggio cittadino potesse essere visto anche da Quirino.
-Cosa ti hanno detto i nostri nuovi padroni?-
-Hanno accettato. Date le vostre condizioni hanno deciso che adotteranno i vostri figli, Cisalpino e Partenopeo-.
-I miei due piccoli… sono ancora dei bambini, che molto probabilmente in futuro non ricorderanno nemmeno che faccia abbia avuto il loro papà-
-Non vi preoccupate regalerò loro delle effigi cosicché possano farlo-
L’uomo guardò di tutto cuore il suo fidato amico, commosso – Ti sono grato per tutto questo-
Improvvisamente gli afferrò il braccio, invitandolo ad avvicinarsi
-E Gallia? I Franchi hanno accettato?-
-Si, vostro figlio Gallia è stato accolto come loro Rappresentante da re Childerico per intercessione del principe Clodoveo-
La Nazione gli strinse ancora di più l’arto -E Odoacre? Sospetta qualcosa?-
-No mio signore, il barbaro non ha fatto riferimento alcuno su di lui. Credo che ne ignori l’esistenza stessa-
L’uomo si lasciò cadere sul giaciglio come esausto.
-Tutto procede secondo i piani allora…-
Il Prefetto annuì leggermente.
-I Franchi sono un popolo emergente e il più civilizzato tra quelli che ci hanno invaso. Ho scommesso su di loro, ho ceduto loro un Simbolo… che Dio ci aiuti-
-E finchè Odoacre vorrà essere re senza possibilità di appello, dovrà prendersi cura dei piccoli… la vostra stirpe è salva… mi spiace che vostra moglie non sia qui con voi-
Quirino resto in silenzio, guardando ritto di fronte a se, con occhi stanchi, ma compiaciuti.
-Ora nel poco tempo che mi resta, voglio passarlo con i miei amici, quindi caro Tibullo fatti mandare del vino dalle cantine, e beviamoci sopra!-
Tibullo sorrise – Come voi desiderate, mio signore-.
Detto ciò si reco fuori dalla stanza.
L’Impero d’Occidente voltò lo sguardo fuori dalla finestra: il cielo era limpido solcato da qualche nuvola, e i raggi del sole accarezzavano i tetti delle case romane, tingendoli di un colore più acceso.
“Figli miei, crescete, diventate forti e coraggiosi e non abbiate timore delle difficoltà. Dovrete prendere decisioni difficili, vi faranno combattere, vi ostacoleranno, vi cambieranno nome forse, ma non dovrete avere paura. Voi portate sulle vostre spalle l’onore e la grandezza di Roma, come già io, vostro nonno e suo padre prima di lui abbiamo fatto. Vi guarderemo da lassù e so che ci renderete orgogliosi, qualsiasi strada vogliate prendere, basta che sia ciò che vorrete fare veramente. Fate si che i vostri popoli siano fieri di voi, e andrà tutto bene.
Mi dispiace non potervi seguire nella crescita, mi dispiace veramente. Ma spero di tutto cuore che quando sarete adulti sappiate perdonarmi e sappiate quanto bene vi abbia voluto”



Roma, Anno Domini 100

Traiano stava sfilando in trionfo lungo le vie di Roma.
Per ben due anni il popolo di Roma aveva atteso il suo arrivo, ufficializzando in tal modo il suo ruolo e il suo nobile retaggio.
Due anni di lontananza per combattere e sconfiggere le serpi in seno di Roma, che ne volevano minare l’equilibri e la pace da tanto tempo agognata e infine raggiunta.
Tutti ne conoscevano il valore e la virtù per i numerosi anni che aveva dedicato alla causa romana.
Prima tribuno militare poi console, infine il patronato della Germania.
Per questo motivo il popolo lo chiamava Germanicus, tra gli innumerevoli “Princeps!”,.
Lui in cambio, dalla sua biga dorata trainata da quattro cavalli bianchi, li salutava con le braccia spalancate verso il cielo, come  se volesse contenerli tutti.
Il corteo si mosse fino al colle Palatino, sede del palazzo imperiale, dove i pretoriani lo attendevano insieme ad un gruppo di senatori.
Pretoriani veri, fidati e fedeli. Niente a che vedere con i traditori che si erano rivoltati contro il precedente Imperatore.
Una volta che il cocchio si fu fermato, un secco ordine si levò sovrastando il fragore della folla – Pretoriani! Onore all’imperatore!-
La milizia si divise in due schiere, ai lati del carro;  posero a terra gli scudi e alzarono le lance rilucenti al cielo
-Onore!-
Il cozzare delle aste al suolo, impose il silenzio per alcuni secondi, interrotto infine dai trombettieri che ricrearono un nuovo frastuono, incitando in tal modo il popolo.
Marco Ulpio Traiano, figlio di Nerva, scese, continuando la sua marcia stavolta a piedi e tra i suoi soldati.
Davanti ai suoi occhi si stagliava l’uomo che era a capo la sua guardia scelta.
Nella sua armatura scintillante, Caio Massimo, guardia del corpo dell’Imperatore, Prefetto del Pretorio, Impero Romano, lo salutava portandosi il pugno destro al petto.
Caio Massimo, una Nazione, un eroe, un amico.
Non appena i due uomini si ritrovarono faccia a faccia, si scambiarono uno sguardo amichevole. Vedendosi arrivare incontro il gruppo di senatori, l’Imperatore proseguì verso il palazzo, mentre Caio diede l’ordine ai suoi pretoriani di scortarlo all’interno.
Le ovazioni e le grida del popolo perdurarono fino alla chiusura delle porte del palazzo. Ma quello era stato solo il principio di quelli che sarebbero stati dei lunghi festeggiamenti.

Mentre il popolo romano festeggiava alacremente per le vie della città, all’interno del palazzo imperiale si stavano svolgendo importanti riunioni.
-Come le stavo dicendo, altezza, il Rappresentante dei Nabatei giungerà a giorni qui alla capitale per porgervi i saluti di re Agrippa, e per portarvi alcuni messaggi, sembra, di estrema importanza.
-Molto bene senatore Settimio-
I senatori presenti nella sala delle udienze stavano mettendo al corrente il loro signore delle ultime novità provenienti dalle numerose province dell’Impero e dalla stessa Roma.
-Inoltre ci servirebbe la sua autorizzazione per alcuni permessi e appalti da condonare…-
-Mio signore ci sarebbero da risolvere quei problemi di brigantaggio nella regione di Mediolanum!-
Sergio Settimio fulminò il suo collega con lo sguardo – Non avevo ancora terminato il mio intervento, senatore Casca. Che atteggiamento è questo?-
Il senatore Casca, gli rispose prontamente – Il pericolo di un folto numero di briganti è molto più importante, di una concessione di appalti! Tu avevi già esposto ciò che avevi da dire!-
-Invece non avevo ancora finito. Il tuo comportamento è disdicevole! Che l’educazione ti sia scomparsa insieme alla capigliatura?-
-No, sono andati a fare compagnia ai peli del tuo porro- gli rispose furente
Un terzo senatore, Emilio Paolo, si fece avanti oltrepassando i due litiganti – Vostra altezza ho qui con me quella lista di nomi che mi avevate chiesto di procur…-
-Il mio porro non è peloso!-
-O si che lo è, ed è anche grosso! Tutte le volte che ti guardo in faccia rischio di confonderlo con il tuo naso, tanto è grosso!-
Il senatore Emilio si rivolse sdegnato ai due – Non potreste andare a litigare da un’altra parte? L’Imperatore sta ascoltando il mio messaggio…-
-Senatore Emilio dovevo ancora terminare!- esclamò Casca
-Prima di voi due c’ero io!- gridò Settimio fuori di sé
-La volete smettere? Io Lucio, figlio di Paolo Aureliano, devo presentare il bilancio dei proventi agricoli delle province iberiche…-
-E allora? Io di quelle illiriche! Inoltre presso Zagabria è crollata la biblioteca centrale e devo consegnare la richiesta di ulteriori finanziamenti per la sua ristrutturazione!-
-Ma taci Domizio, della tua situazione non importa niente a nessuno!-
Il caos era scoppiato sotto gli occhi dell’Imperatore e sembrava non volersi placare.
Traiano sconvolto nella sua natura militare da una tale confusione, si alzò con forza dal suo scranno tuonando – Per Giove e Minerva, siete impazziti?! Vi sembra questo il modo di comportarvi, specialmente in mia presenza, al cospetto del vostro Imperatore? Dove è andato a finire l’orgoglio del popolo romano, del rango senatorio? Avanti rispondetemi!-
Un silenzio vergognoso scese, portando l’imbarazzo tra gli accusati
-Siamo costernati mio signore – si scusò Casca – ci siamo fatti prendere dallo zelo e abbiamo perso la ragione, vi chiediamo perdono-
-Essere zelanti è una buona cosa senatore Casca, ma non mi pare il caso di reagire in questo modo-
Traiano si mise una mano sul volto; anche se  non lo dava a vedere era prostrato per il lungo viaggio e per la giornata pesante che aveva avuto, e in quel momento pensò che una riunione politica era l’ultima cosa di cui aveva bisogno.
Risiedendosi sul suo trono, proclamò pacato – Lasciate i documenti e i verbali al mio segretario, li visionerò più tardi. Adesso vi chiederei di lasciare il palazzo e di godervi un meritato riposo. Fatelo in nome di questo giorno di festa-
Traiano dicendo loro quelle parole era come se volesse rivolgersi a se stesso. Soprattutto a se stesso.
I senatori in ogni caso esaudirono la sua richiesta e si allontanarono.
Una volta usciti, Traiano poté tirare un sospiro di sollievo e rilassarsi .
Sicuro che nessuno lo potesse vedere, si alzò in piedi e iniziò a stiracchiarsi con ampi gesti delle braccia e della schiena.
Fu un sollievo  per lui privarsi di tutta la tensione; infatti si sentì molto più attivo e leggero.
-Mi complimento con te, gliele hai dette quattro belle pepate e li hai ammutoliti!-
Al sentire quella voce inaspettata Traiano spiccò un balzò, voltandosi verso l’origine del rumore, mano alla spada.
-No, davvero, hai fatto bene! Quei vecchi rimbambiti a volte dimenticano qual è il loro posto!-
La comparsa del suo Prefetto del Pretorio, rassicurò l’Imperatore.
Rinfoderando la spada disse – Suvvia Caio, non fanno altro che il loro dovere, d’altro canto non avendo più il peso politico di un tempo devono mostrarsi attivi verso il potere imperiale-
-Bah non li ho mai sopportati, mezzi corrotti e schiavi della propria condizione… finirà che i loro discendenti cresceranno fiacchi e decadenti, valorizzati solo dal ricordo dei loro antenati-
L’Imperatore incrociò le braccia al petto – In ogni caso, quando quei pazzi di Lucio Enobalbo e Caligola salirono al potere fu anche grazie al Senato se si riuscì a mantenere l’ordine-
-Il caso di Caligola è stato un pochino diverso da come viene sempre raccontato… però devi ricordarti che la “manu militari” c’è sempre stata… i senatori da soli potevano fare ben poco- gli rispose Caio, impegnato a tormentarsi un ciuffo ribelle.
-Forse hai ragione tu…-
I due romani erano ormai a pochi passi l’uno dall’altro. Si squadravano con occhi seri e sicuri, fermi immobili nelle loro posizioni.
Un estraneo avrebbe potuto scambiarli per statue di marmo.
Poi si sorrisero. Simultaneamente caricarono il braccio destro e si strinsero gli avambracci come si era solito fare tra compagni d’arme.
Solo che lo fecero con tale violenza e forza che lo schiocco che ne derivò risuonò in tutto la sala, rimbombando.
Si guardarono sogghignando
-Non hai perso neanche un po’ della tua forza è Caio? Il lusso e la bambagia di Roma non ti hanno infiacchito a quanto pare- disse con un filo di ironia l’Imperatore  
-Mai! Un buon soldato sa che se il giorno prima si è ubriacato o è stato a donne, il giorno dopo dovrà faticare il doppio, per mettersi in pari- proclamò divertito la Nazione -Neanche tu Marco hai perso lo smalto; l’età non ti ha infiacchito, ne sono felice… vederti fare il sedentario ora sarebbe la peggiore delle visioni…-
L’Imperatore sorrise. Caio Massimo era l’ultimo uomo rimasto in vita che aveva il permesso di chiamarlo semplicemente per nome e dargli del tu.
E forse era anche l’unico uomo che non aveva mai avuto remore a chiamare amico.

-E così gli dico, ascolta bene eh?, gli dico “Perché vorresti la mia pelle? Almeno così abbiamo dimostrato che il tuo vino è giusto da servire ai porci”!-
La sonora risata dell’Imperatore rimbombò in tutta la stanza –E lui cosa ti ha risposto?-
-Niente. Voleva colpirmi con un randello, ma è inciampato, è caduto in uno dei barili ed è ruzzolato nello stagno! Sono dovuto andare anche a ripescarlo, pensa un po’!-
Ritiratisi nella zona privata del palazzo, a cui avevano accesso solo i membri della famiglia imperiale e i loro collaboratori più stretti, i due romani erano sdraiati sui rispettivi divani, sorseggiando vino e gustando i manicaretti delle cucine imperiali.
-Aragoste e fichi… certe leccornie non si trovano sul campo di battaglia. Non credi di esagerare a bere quel vino puro, senza correggerlo con dell’acqua, Caio?-
La Nazione guardò la coppa argentata e sorridendo gli rispose – Oh se per questo l’ho anche corretto con miele e altre spezie-
-Ti resterà sullo stomaco, sappilo-
Caio come se niente fosse stato detto, trangugiò il contenuto della coppa in un sorso.
-Comunque parlando di cose serie- continuò la Nazione afferrando una chela dai piatti – come ci sente ad essere il padrone e a non avere nessuno di superiore tranne che gli dei?-
Traiano iniziò a spellare un fico in silenzio, pensando a  come rispondere – In realtà dovresti sapere che neanche io sono superiore alla legge Caio… sia essa umana o divina, nessuno vi è superiore…-
La Nazione aspirò sonoramente la polpa dell’aragosta apposta, per infastidire l’amico –Dai Marco sai cosa intendo. Me ne parlasti quando eri console… “Roma non può continuare in questa direzione… deve mutare, Caio… la corruzione, i servizi, lo stato, i confini, la magistratura, tutto deve essere rivisto. Spero che quel lurido cane di Domiziano muoia prima possib…”-
-Si, si, ho capito, ho capito. Me lo ricordo come se fosse ieri.-
L’uomo si alzò per affacciarsi alla finestra, e osservare la città.
-Ho intenzione di compiere grandi cose per Roma. Terminati i festeggiamenti andrò in Senato e continuerò i piani del nobile Nerva. Libererò i prigionieri di Domiziano e riconsegnerò le proprietà da lui espropriate. Poi vedrò quanto mi potrà essere utile il Senato nei miei piani per il futuro…-
-C’è questo giovane senatore, un certo Plinio…- intervenne il Rappresentante - Caio Plinio Cecilio ecco, che dice di stimarti profondamente e che non vede l’ora di parlare con te-
-Mai sentito- gli rispose l’Imperatore
-Lo credo, ha mantenuto un profilo basso sotto Domiziano, ma dice di avere delle cose molto importanti da dirti-
-In ogni caso- continuò- questo sarà solo l’inizio:  fonderò un organo apposta solo per i crimini di concussione e corruzione, composto dai migliori giuristi dell’impero. Così scremerò gli scarti dello stato
-Inoltre è tempo di portare la civiltà anche nelle province oltre che a  Roma, che mi premurerò di beneficiare per prima comunque. Rafforzerò e costruirò sistemi idrici più estesi anche in altre parti dell’Impero. Sto pensando anche ad un modo per rinnovare la magistratura e il sistema del colonato-
L’Imperatore volse lo sguardo verso Caio.
La Nazione lo stava osservando serio. Dopo alcuni istanti sospirò – Per fare ciò che proponi, è necessario molto denaro Marco… credi forse nell’albero delle mele d’oro che cresce nel giardino delle Esperidi? No, perché te ne serviranno parecchie…-
Il sarcasmo dell’uomo fece sorridere Traiano che afferrò un rotolo di papiro da uno scaffale e lo mostrò alla Nazione srotolandoglielo di fronte.
-Dimmi Caio, che cosa sai della situazione attuale presso i confini orientali?-
-Uhm, beh so quel che mi è stato detto nei rapporti ma niente di davvero specifico…-
-È il caos, Caio. Anche se non lo avessi già previsto e agito di conseguenza, una volta finito di trattare con i senatori, avrei dovuto mandare ai confini un buon numero di legioni per imporre una Pax Romana ai barbari… e invece sai che cosa farò Caio?-
-Oltre a incuriosirmi?- gli domandò beffardo
-Prenderemo due piccioni con una fava: quegli sporchi barbari  razziatori che vivono sulle sponde del Danubio hanno costruito i loro regni saccheggiando alcune nostre provincie in passato e non solo, ma anche tramite la vendita dei propri servizi come mercenari; nel corso degli anni sono stati in grado di accumulare quantità enormi di oro e argento. Compieremo una campagna bellica contro di loro e con i bottini finanzieranno i nostri progetti di civiltà e stabilità-
-Da quel che ne so i Daci non si sono fatti conquistare mai dalle nostre legioni, o da chiunque altro… cosa ti fa credere che stavolta andrà diversamente?-
Traiano si fece improvvisamente serio e il suo sguardo si indurì
-Non siamo più ai tempi di Cesare, Caio. Siamo più potenti, più organizzati, abbiamo macchine e mezzi che gli altri popolo possono avere solo nei loro sogni. Inoltre non abbiamo altra scelta, guarda qui- disse indicandogli il papiro- i confini orientali sono quelli più instabili; conquistando la Dacia, daremo continuità al limes, otterremo finanziamenti e inoltre porteremo innanzi il sogno di Roma anche oltre i nostri confini; la civiltà prevarrà sulle barbarie e il mondo vivrà in pace, finalmente-
Il braccio che reggeva la cartina si abbassò. Un velo di tristezza scese sul viso di Traiano.
-Tu sai meglio di me che cosa sia il campo di battaglia, e io devo dire di avere una  certa esperienza. La guerra porta morte e distruzione di pari passo all’onore e all’orgoglio di essere sopravvissuti. Voglio che tutto questo termini con la mia generazione, voglio che i futuri romani, e intendo con romani tutti coloro che possono vantare di avere la cittadinanza romana, vivano in pace, abbiano la possibilità di avere una famiglia e di poter invecchiare sereni e liberi-
-È strano sentire un militare parlare in questo modo, sapendo poi che la nostra società è fortemente militarizzata…-
-Non essere sciocco, Caio. Io riconosco l’importanza dell’esercito, ci sono entrato di mia spontanea volontà. Esso è fondamentale, difende e conquista, protegge e vendica. Ma pensa al caso di Sparta: era una oligarchia che si reggeva solo sulla guerra ed è decaduta prima ancora del nostro arrivo. Una società non si può fondare solo sull’esercito. I valori, la virtus, il cursus honorum, l’onore di essere figli di Roma, non è legato all’essere soldati perenni-
Caio vide Traiano afferrare la sua coppa di vino e berne alcune sorsate. Doveva ammetterlo: in tutti quegli anni in cui era stato il simbolo dell’Impero, cioè da quel fatidico 722 ab urbe condita, non aveva mai visto un Imperatore come Marco Traiano, se si faceva eccezione per Augusto.
Romano fino al midollo, estremamente intelligente, un buon soldato, ma con idee ben chiare anche nell’economia e nella politica; benevolo, generoso, leale, severo quando era necessario e non corrotto dalla decadenza del potere.
Se fosse stato qualcun’altro a proporgli un piano del genere non ci avrebbe creduto fino a quando non lo avesse visto realizzato. Ce n’erano stati fin troppi prima di lui che si erano proposti come i risanatori di Roma ma non avevano fatto altro che deluderlo.
Con Traiano si sentiva pronto a fidarsi, a seguirlo e ad aiutarlo come poteva.
-D’accordo-
Traiano lo fissò strano – Cosa?-
-Voglio dire che sarò con te, qualunque cosa tu abbia intenzione di fare-
-Ti avrò dalla mia parte quindi-
-Come sempre del resto-
I due romani si guardarono sorridendo.
Ripresero a mangiare tranquillamente quando all’improvviso Traiano fece una domanda a brucia pelo – Che cosa farai, o grande Impero Romano, se davvero raggiungeremo uno status di pace perenne?-
-Che intendi?- gli rispose addentando un fico
-Intendo dire, metterai su famiglia?-
Sentendo quella domanda Caio stava per strozzarsi con la polpa del fico.
Tossì e guardò sconvolto l’Imperatore – Per gli Inferi! Ma che te ne esci così all’improvviso, Marco?-
L’uomo rise – Semplice curiosità. Me ne racconti sempre di tutti i colori ma non ti ho mai visto avere una relazione seria e duratura. Hai una certa età e se la pace è davvero imminente dovresti pensarci!-
La Nazione sbuffò apertamente – Il conteggio del tempo normale per quelli come me non vale Marco, ho tutto il tempo che voglio-
-Uhm, non dirmi che non ti piacerebbe avere una bella moglie, dei figli e un podere da coltivare e in cui vivere? Magari con dei nipoti a cui raccontare le tue gesta e insegnare le tradizioni?-
-Publio Virgilio Marone aveva una idea così sulla nostra società… troppo bucolica per i miei gusti!-
-Oh immagino!-
Traiano svuotò l’ultima coppa di vino e si allontanò verso l’uscita della sala.
-E adesso dove te ne vai?- gli domandò Caio Massimo
-È tardi e prima di cena avevo chiesto a Plotina di attendermi alzata. Ho intenzione di salutarla come si deve dopo tutto questo tempo- gli rispose Traiano con fare sornione
-Ah, capisco… buona notte allora-
Rimasto solo nella stanza, Caio incominciò a rimuginare, fissando la sua immagine riflessa nella coppa che teneva in mano.
“Una moglie, una famiglia… chissà come sarebbe, non riesco proprio a immaginarlo”


Angolo dell’autore:

Salve a tutti i lettori! Questa non è la mia prima fan fiction di EFP, ma sicuramente lo è di Hetalia e voglio ringraziare sinceramente e in anticipo (ma pensa un po’) tutti coloro che l’hanno letta ed eventualmente recensita.
Il motivo per cui sto scrivendo questa long-fic è sostanzialmente perché amo la storia, Hetalia e tutte le fan fiction non yaoi su di esso, e volevo vedere come me la cavavo. Spero che vi sia piaciuta, alla prossima! XD

 
  
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