*Love the
Nemesis**
Capitolo XI: Wind
Quella
era una mattina bellissima. Il
sole, gelido, illuminava ogni cosa lo circondasse; il cielo, terso, era
uno
spettacolo che da Tokyo non era mai riuscito a scorgere. Solo quella
dannata
sensazione di instabilità non era per niente piacevole,
pensò Kamui, cercando,
per l’ennesima volta, di sistemarsi meglio sul sedile ma con
la massima
lentezza possibile, per non creare ulteriori squilibri. Rinunciandoci,
si
limitò ad affondare il mento dentro la giacca a vento blu
che Subaru gli aveva
dato quella mattina dopo che svegliatolo, gli aveva chiesto di venire
con lui.
“E
dove?”
“Lo
scoprirai quando saremo arrivati. O
non ti va?”
“Non
ho detto questo.” Aveva sbiascicato
Kamui mentre le guancie gli si imporporavano leggermente.
Quella
reazione aveva fatto sorridere
teneramente l’uomo, che alzatosi dal letto su cui era seduto,
gli aveva dunque
intimato di sbrigarsi a prepararsi, per poter partire il prima
possibile. E
così, in meno di venti minuti erano già pronti
per uscire; Subaru gli aveva
dato la giacca blu (tenendo per sé quella nera), per
prendere poi l’ascensore,
che li aveva portati ai box sotterranei. Era la prima volta che
scendeva lì
sotto: aveva immaginato vagamente che dovesse esserci qualcosa del
genere ma
non aveva mai pensato per davvero a ciò che concretamente
avrebbe comportato il
fatto che uno di quei box gli appartenesse. Eppure, non è
che non gli
interessasse sapere che modello di auto potesse guidare una persona
come lui e
da solo non riusciva proprio a figurarselo. Un Mercedes nero, forse. O
una
decappottabile grigio metallizzato o fumo, al minimo. Nulla di troppo
sportivo;
l’immagine che si era fatto di Subaru era elegante e
silenziosa e su una roba
tipo jeep non ce lo vedeva proprio. Poi, mentre camminavano, lo sguardo
gli
cadde sulla giacca: chissà perché gli aveva
chiesto di indossarla. Capì il
motivo solo quando, spalancata la porta del garage, vide
all’interno una
elegante moto da corsa nera. Era bellissima e si sposava perfettamente
con la
sua figura sottile e aggraziata. In effetti auto del genere le avrebbe
viste
meglio su un tipo come il precedente Sakurazukamori; Subaru era
decisamente un
tipo più pratico e giovanile di lui. Fu distratto da questi
pensieri da Subaru
stesso, che gli stava allungando un casco: lo prese, lo
agganciò sotto la testa
e, non appena ebbe messo in moto, salì dietro di lui.
Peccato
che il minimo che avesse
sperimentato fino ad allora, fosse solo lo scooter mezzo scassato di un
suo
compagno di classe alle medie: se ne ricordò solo quando
Subaru, per fare un
rettilineo, toccò i 90 km/h in circa 2 secondi su strada
cittadina. Per la
prima volta nella sua vita, sperò che in quel momento
passasse un’auto della
polizia a fermarli, cosa che sfortunatamente non avvenne. In autostrada
poi,
l’incubo si rinnovò più spaventoso che
mai: 170 km/h. Ecco la prova definitiva
che Subaru era un criminale. E senza rendersene conto, si strinse a
lui, forte.
Si sentiva le gambe molli come il budino, e quando lui curvava o
sorpassava un
camion, stava ancora peggio, perché aveva sempre la
sensazione orribile di star
per cadere dal mezzo. Con gli occhi chiusi, si accorse di star
stringendo la
sua schiena solo quando Subaru girando appena la testa, gli
urlò in mezzo al
frastuono del vento di non essere così teso e di provare a
rilassare i muscoli.
Kamui allora, rendendosi conto di cosa stesse facendo, lo
mollò all’istante
chiedendogli scusa, mentre si sentiva la faccia andare in fiamme. Che
vergogna:
tra un po’ sapeva volare, e non reggeva quella
velocità su una moto. Subaru
allora gli disse di tenersi pure se ne sentiva il bisogno, ma perlomeno
di non
soffocarlo.
“Non
subire il vento. Sentilo.”
Questa
frase, lanciatagli quasi per caso,
ebbe stranamente l’effetto di tranquillizzarlo. Aggrappandosi
alle maniglie
poste sotto il sedile, tirò un profondo sospiro ad occhi
chiusi. E divenne
vento.
oOoOoOoOoOoOoOoOoOo
Erano
ancora per strada, quando di fianco
a loro si aprì il mare. Kamui rimase per un attimo estasiato
a guardarlo; poi
fu colto da un profondo senso di smarrimento: il passato, il presente,
il
futuro, si fusero in quell’unica emozione, violenta, tenace,
mentre il pensiero
gli tornava ancora una volta sugli avvenimenti di qualche giorno prima.
Il
ritorno di Subaru, quelle parole di cui aveva l’impressione
di non riuscire a
cogliere il vero significato, e soprattutto il tono straziante della
propria
voce mentre lo implorava di non andarsene: che senso aveva tutto
quello? Perché
era rimasto? Più il tempo passava, più aveva la
sensazione che nulla più
sarebbe stato come prima. Come se qualcosa quella notte si fosse
spezzato. Il
‘cambiamento’ era ormai inarrestabile? Subaru,
d’altro canto, sembrava essere
decisamente più calmo e sereno; ora non si sforzava
più di sorridergli, e le
sue espressioni gli risultavano tutte molto naturali. Poteva illudersi
che lo
avesse accettato? In realtà non capiva Subaru. Le
affermazioni di quella notte
avrebbero dovuto allarmarlo e di conseguenza allontanarlo da
sé, dato che erano
il chiaro sintomo di un attaccamento che era sicuro che lui volesse
evitare, e
invece… Non concluse il pensiero, confuso
dall’odore forte della salsedine:
erano arrivati nei pressi della spiaggia.
Subaru
spense il mezzo, lasciandolo nel
parcheggio del lido attiguo, deserto. Poi, invitò Kamui a
proseguire pure a
piedi nudi sulla sabbia, qualora lo desiderasse; ma notando che Subaru
stesso
non sembrava intenzionato a seguire il suo stesso consiglio,
declinò l’invito.
“Non
voglio sporcarmi i piedi.”
“Come
vuoi.”
Subaru
lo condusse attraverso quel tratto
di spiaggia senza dire una parola; arrivato al blocco di scogli che
segnavano
la fine della spiaggia, si arrampicò fino a giungere
dall’altra parte, dove
c’erano dei cespugli molto alti dalle fronde molto folte.
Aspettò che Kamui lo
raggiungesse, e poi spostando i rami, rivelò al di
là di quelli una piccola
grotta, invisibile dall’esterno. La attraversarono, e si
ritrovarono davanti ad
una piccola baia che sembrava essere rimasta incontaminata fino a quel
momento.
Incredibile che ci fossero ancora posti del genere, in Giappone; era
davvero
magnifica. Osservandola, notò in lontananza una casa sul
mare, in legno.
“Era
questo che volevi farmi vedere?”
“Aspetta.
Ciò che voglio mostrarti,
precisamente si trova in quella casa lì.” E gliela
indicò con un leggero cenno
del viso.
Mentre
camminavano, gli spiegò il resto.
“Questo
luogo l’abbiamo scoperto mia
sorella ed io quando da piccoli venivamo a giocare qui. Era la spiaggia
che lei
preferiva in assoluto, la considerava un po’ il simbolo della
sua infanzia
felice.” Come anch’io, d’altronde.
Il
tono di voce, modulato e perfettamente
calmo, combinato con quella voce bassa e vellutata, donavano alla pace
di quel
posto, pensò Kamui. Era come un incantesimo da cui non
voleva svegliarsi. Era
da tanto che non si sentiva così sereno, forse da anni,
addirittura, eppure si
trovava ad appena tre ore di viaggio dalla caotica Tokyo.
Cos’è che c’era di
diverso?
Fu
a quel punto che raggiunsero la casa.
Kamui notò che il lato sud dava su altri alberi e cespugli,
dietro cui si
ergevano altri scogli che chiudevano in una semicirconferenza quasi
perfetta
quel paradiso; sul lato ovest si affacciava il mare, sconfinato. Gli
altri due
lati invece davano sulla spiaggia; l’ingresso era davanti a
loro, sul lato
nord. Subaru bussò delicatamente sulla porta in legno, e in
pochi secondi una
donna aprì loro, facendoli accomodare all’interno.
“Il
signorino sarà qui a momenti.” E detto
questo si ritirò.
Il
salottino quadrato che si aprì davanti
ai suoi occhi aveva un’atmosfera accogliente. Sulle pareti di
legno erano
appesi molti quadri, tutti dipinti con colori molto caldi; il
divanetto,
coperto di cuscini variopinti, aveva un’aria molto comoda,
come anche le varie
poltroncine in vimini. Gli piaceva quel posto: nulla a che vedere con
la
freddezza con cui Subaru aveva arredato il suo appartamento.
Dall’altra parte
rispetto al divanetto, poi, c’era una porta da cui poteva
intravedere le altre
stanze. Seguendo l’esempio di Subaru, si sedette, aspettando
di capire cosa lui
volesse mostrargli trascinandolo lì. A chi apparteneva tutto
quello? E poi,
perché lo aveva portato lì così
all’improvviso?
La
confusione aumentò quando, vedendo
sopraggiungere il ‘signorino’, ne riconobbe il
volto: era Kakyo, l’indovino dei
draghi della terra. Era arrivato con passo leggero da una delle stanze
attigue
al salotto, avvolto in uno yukata azzurro cielo.
“Subaru,
non ti aspettavo. E… Kamui?”
Kamui, senza parole, lo vide prima gettare un’occhiata a
Subaru con aria
stranita, il quale però si limitò a sorridergli
ricambiando il saluto, e quindi
poi lasciar cadere la questione, prendendo posto su una poltrona
lì accanto.
“Tu
sei vivo?” Ero convinto fossi morto.
Kakyo
gli sorrise dolcemente, mentre con
lo sguardo gli fece capire che anche quelle erano cose che potevano
accadere:
con la vita, non si sa mai.
“Ricordi
l’ultima volta che ci siamo
visti?”
Kamui
annuì: lo ricordava bene, era stato
poco prima che la ‘tragedia’ si avverasse.
“Avevi
appena ucciso Hinoto ed io ti sono
apparso per chiederti se fossi sicuro di cosa avessi scelto. Tu mi hai
risposto…”
“…che
avrei cercato di capire a tutti i
costi perché noi esseri umani non ci curiamo davvero delle
persone che amiamo e
quale fosse il desiderio di Fuuma. Perché avevo promesso a
me stesso che non
sarei più scappato dalle cose importanti.” Anche a
costo di perdere la
felicità.
Ricordava
tutto quello come se fosse ieri,
ogni singola parola. Quando era in ospedale, aveva passato intere
settimane
pensando a dove avesse sbagliato, quale fosse il punto in cui aveva
messo il
piede in fallo, e quel fiume di parole senza senso erano state
l’unico appiglio
per non perdere la ragione. Migliaia di volte se l’era
ripetute nella testa,
scoprendo di non riuscire a pentirsene neppure una volta.
“Anche
se il tuo desiderio è quello che
è?”
“Sì.
Anche se il mio vero desiderio è
essere ucciso da lui pur di non fargli del male.”
“Allora
esiste davvero una speranza.”
“…Una
speranza?”
“Che
il futuro cambi.”
Solo
in quel momento gli tornarono in mente
le parole di Kotori: “Perché il futuro non
è stato ancora deciso”.
Kamui
gli sorrise. Avrebbe scelto lui il
suo destino, nessun altro. E sarebbe andato tutto bene, ne era sicuro.
Kakyo
riprese a parlare distogliendolo
così dai suoi pensieri, da quel dolore pungente che aveva
ripreso a scavargli
nel petto al ricordo di tutto quello che era successo.
“È
stato in quel momento che ho capito che
avresti deciso di cambiare il futuro. Sai, la verità
è che io sarei dovuto
morire, se tu avessi scelto altrimenti. Come desideravo, sarei stato
ucciso da
Fuuma. Solo lui avrebbe potuto farlo, perché era
l’unico a cui avessi aperto il
mio cuore.”
“Gli
avevi aperto il cuore…?”
Kakyo
annuì, silente. Con espressione
grave si girò a guardare Subaru, che aveva ascoltato tutto
senza fare una
piega, ma non vedendo alcun segnale provenire da lui,
continuò.
“Penso
che in realtà Fuuma non avesse mai
avuto alcuna intenzione di uccidermi, o perlomeno sicuramente non da un
certo
punto in poi. Lui credeva in te, Kamui. Lui sperava che tu lo salvassi
da
quella ‘follia’. Sperava che tu lo uccidessi.
All’inizio non ci credeva nemmeno
lui, ma poi se n’è convinto per davvero. Per
questo Subaru ha impedito che io
morissi.”
A
quelle parole corrispose una stonatura:
era stato Subaru a salvarlo?
“Subaru?”
disse piano, guardando in viso
lui piuttosto che l’indovino.
“Si.
Dopo la battaglia finale, mi ha
chiesto di venire con lui.”
Non
era sicuro di aver capito bene. Questo
significava che mentre lui giaceva piangente sul corpo freddo di Fuuma,
Subaru
si era dato pena per Kakyo, piuttosto che per lui? Questo pensiero
irrazionale
gli fece male. Sapeva perfettamente che in quel momento non avrebbe
avuto alcun
senso che Subaru si occupasse di lui, perché non
c’era nulla che lui potesse
materialmente fare. Inoltre Kakyo rischiava di star per suicidarsi,
mentre lui
era un’altra questione. Ma poi ricordò. Se Subaru
gli aveva chiesto di
perdonarlo, non era perché anche lui voleva morire? Oppure
glielo aveva detto
perché sapeva che avrebbe salvato Kakyo e non lui?
Però era grazie a
quelle parole, se era sopravvissuto. Per questo unico insignificante
motivo. In
un momento in cui il pensiero di Subaru avrebbe dovuto essere
pressoché zero,
notare che lui era lì, che esisteva ancora, gli aveva dato la
forza. La
forza di vivere. Anche nella disperazione.
Questi
pensieri lo misero a disagio. Non
voleva pensare di Subaru in questi termini, o avrebbe finito con
l’abbattere le
ultime barriere che lo dividevano da lui. In fondo esisteva una parte
di sé che
non voleva perdonarlo assolutamente per quello che aveva fatto e per
quello che
era diventato, che non voleva avvicinarglisi più di tanto;
la stessa che gli
aveva detto di scappare via quando Subaru gli aveva proposto di
rimanere. E
sentiva che era un bene mantenere le distanze, anche se a volte gli
risultava
difficile. Per questo accantonò questi pensieri e si
concentrò sull’altro
versante del discorso.
“Fuuma
è sempre stato se stesso, sin
dall’inizio. Io semplicemente non volevo rendermene conto,
perché rifiutavo che
lui, una persona così gentile, potesse togliere la vita in
quel modo ad altri.
Non potevo accettare un ordine di valori diverso dal mio, il fatto che
lui
distruggesse il presente per poter creare un futuro. Ma nonostante
questo
ideale, alla fine ha voluto ugualmente farsi uccidere da me. Non lo
capisco, è
come se qualcosa non avesse senso. Non era un folle,
eppure…”
“È
vero, non era un folle. Ma si era
innamorato di te.”
Il
dolore gli trafisse il cuore.
“Lui
non me lo ha mai detto.”
“Ma
lo pensava. Ed io, quando ci sono
arrivato, era ormai troppo tardi.” Mi dispiace.
Kamui
non rispose. Guardava a terra,
fisso, mentre con la mente cercava di capire quelle parole, senza
riuscirci.
Come poteva saperlo? Come poteva esserne così sicuro? Non
aveva alcun senso; se
lo avesse amato glielo avrebbe detto, no? Non avrebbe avuto motivo di
tacere
una cosa così importante. Inoltre, era sicuro che lui
sapesse che se glielo
avesse detto, non ci sarebbe stato modo che lui, Kamui, potesse
respingerlo:
una vita insieme a Fuuma era ciò che da sempre lo avrebbe
reso felice più di
ogni altra cosa al mondo, no? Quindi perché esitare? No,
c’era qualcosa che non
tornava e che ora non avrebbe più potuto capire.
“Kamui,
c’era una cosa che Fuuma avrebbe
voluto che tu avessi.”
Kakyo
si alzò e aprì le ante dell’armadio
nell’angolo; da qui tirò fuori un oggetto lungo e
stretto, avvolto da molte
bende, e lo porse a Kamui.
“Aprilo.”
Il
ragazzo sciolse i cordoni che
sigillavano l’oggetto, e ne trasse quella che riconobbe come
la spada divina
appartenente una volta a Fuuma.
“Perché
ce l’hai tu?” Disse senza fiato.
La
ricordava, fin troppo bene. Adagiata lì
accanto al suo corpo, linda e meravigliosamente crudele. Nel dolore
aveva
provato l’irrazionale desiderio di distruggerla, ma poi era
svenuto e
risvegliatosi in ospedale, non l’aveva più vista
accanto a sé. Non aveva
chiesto, non gli interessava: aveva la sensazione che qualora
l’avesse rivista,
il dolore sarebbe stato troppo grande per poterlo sopportare.
“Mi
aveva chiesto lui di prenderla con me.
Non ne conosco il motivo vero. Ma questo prova che fin
dall’inizio lui non ti
ha odiato neppure per un attimo; da sempre, ciò che
desiderava era che tu lo
uccidessi e poi vivessi felice. Come se ritenesse necessario
proteggerti da
lui.”
Gli
tornarono in mente le vivide immagini
della sua infanzia, i giochi, le risa, quella felicità quasi
tangibile; Kotori,
il suo volto, il suo sorriso, mentre gli correva incontro, e Fuuma, che
con
quelle sue grandi mani lo aveva sempre protetto da tutti. E quella
promessa: se
tu proteggerai Kotori, io proteggerò te.
Io
ti proteggerò. Da me.
Le
lacrime presero a scendergli lungo il
volto, copiose; come se fossero anni che stesse aspettando quel momento
e ora
non fosse più in grado di fermarsi. Era come un bambino. Si
sentiva inerme,
completamente: se in quel momento anche solo un po’ di vento
lo avesse colpito,
sentiva che sarebbe stato portato via, lontano. Non sarebbe tornato
più
indietro.
Kakyo,
vedendo quella reazione, fece per
alzarsi ma Subaru fu più veloce: senza una parola,
circondò col braccio il suo
corpo scosso dai singhiozzi e se l’attirò al
petto, stretto. E Kamui, se avesse
potuto parlare, lo avrebbe ringraziato, perché sapeva che se
in quel momento avesse
dovuto realizzare di non avere niente da stringere, il suo cuore non
avrebbe
retto al colpo: senza il calore di un abbraccio a trattenerlo,
probabilmente si
sarebbe lasciato andare al nulla, ancora una volta; e tutto ne sarebbe
andato
distrutto, compreso il desiderio di un folle che si era lasciato
uccidere per
mantenere una sciocca promessa.
oOoOoOoOoOoOoOoOoOo
Il
tramonto di cui si poteva godere da
quella spiaggia, era uno spettacolo meraviglioso; per cui su esplicita
richiesta di Subaru, verso le quattro del pomeriggio (il tempo di
prendere un
te insieme), uscirono all’aperto per poterlo ammirare. Kamui,
desiderando
rimanere da solo, si era seduto molto avanti rispetto agli altri due
sugli
scogli appena affioranti sull’acqua e da lì
fissava il mare, meraviglioso,
eterno; sul grembo teneva la spada divina, mentre la mente, assente,
viaggiava
via lontana. Subaru, preoccupato ma senza il coraggio di avvicinarsi,
lo
osservò per un po’ da dietro, dal fondo della
spiaggia dove era rimasto con
l’indovino. Solo quando si accorse che Kakyo aveva iniziato a
parlargli,
distolse lo sguardo dal ragazzo per focalizzare la sua attenzione su
quello che
l’altro gli stava dicendo.
“Perché
l’hai portato qui?”
Che
domanda inopportuna.
“Volevo
avesse la spada. Gli spetta di
diritto, no?”
Pronunciò
quelle parole con un tono
leggermente infastidito e senza guardarlo, con gli occhi rivolti verso
l’orizzonte. Kakyo ridacchiò, delicatamente. Forse
non era cosciente, ma ogni
volta che parlavano e Subaru voleva nascondergli qualcosa, distoglieva
sempre
lo sguardo. Dunque, c’era dell’altro.
“Sapevi
che non ero d’accordo, sul fatto
di portarlo qui. Soprattutto a causa delle tue intenzioni.”
Subaru
sospirò. Kakyo a modo suo sapeva
essere una persona molto testarda; quando si metteva in testa qualcosa,
era
impossibile cercare di sviare il discorso. Dunque lo
assecondò.
“Parli
come se io avessi chissà quale
scopo criminale.”
“Non
è questo il punto, no? Sai meglio di
me quanto abbiamo rischiato dicendogli quelle cose su Fuuma.
E se gli
avessimo spezzato il cuore?”
“Non
è successo.”
Kakyo
aggrottò le sopracciglia in
disaccordo. Poteva accadere, però.
Insistette. “Mi sembrava che la
scorsa volta la pensassi diversamente. Hai già dimenticato
che per evitare quel
futuro era meglio che io e lui non ci incontrassimo?”
Certo
che non lo aveva dimenticato. Come
avrebbe mai potuto? Per un lungo momento, tacque. Sapeva quello che
avrebbe
dovuto dire, ma non era sicuro di volerlo fare. Ma alla fine cedette.
“Io
non voglio che Kamui perda di vista Fuuma.”
Dato
che Kakyo faceva mostra di non
capire, gli raccontò tutto quello che era accaduto in quei
giorni, la sua
assenza, l’intenzione di non tornare più e la
frase che l’aveva trattenuto lì
accanto a lui: ‘se adesso te ne andrai, ti odierò
per il resto della mia vita.’
Era sbiancato sentendo quelle parole; aveva avuto paura che tutto
ciò che aveva
fatto gli si fosse ritorto contro. Che senso aveva avuto desiderare di
andarsene per non interferire più di così con
quel destino che voleva evitare,
se poi in quel modo se lo tirava addosso peggio di prima? Sapeva di non
avere
la forza di cambiare il fato, ma non accettava di essere ancora una
volta il
promotore inconsapevole della propria disgrazia. Se ormai era troppo
tardi per
tornare indietro, se a portare a quel futuro sarebbe stato il desiderio
di un
Kamui abbandonato di stargli accanto, allora non lo avrebbe lasciato
lì. Per
quanto questa decisione fosse un’arma a doppio taglio, gli
sarebbe stato
accanto, anche a costo di dovergli spezzare il cuore ricordandogli di
Fuuma nel
patetico tentativo di tenerlo lontano da sé; per potersi un
giorno separare da
lui senza diventare il centro del suo mondo. Perciò
l’aveva spaventato tanto
sentire quelle parole. Tutto quello che aveva pensato di fare per il
suo bene,
non aveva avuto alcun senso? Allora a quel punto sarebbe stato meglio
non fare
nulla sin dall’inizio. Non prenderlo con sé, non
impegnarsi tanto per
restituirgli almeno una parvenza di equilibrio, di
quotidianità, di routine.
Nemmeno
pronunciare quel ‘perdonami’.
Quel
pensiero lo riportò alla realtà. Si
accorse che la conversazione con Kakyo era sfumata già da un
po’, e che anche
l’altro aveva taciuto per tutto il tempo, immerso nei propri
pensieri. Nel
silenzio, la sua attenzione venne nuovamente attirata dal sibilo
leggero che il
vento produceva infrangendosi contro le onde; Kamui era ancora
lì, perso nel
suo mondo. Ad un tratto l’indovino si volse a guardarlo con
una strana
espressione sul viso, di esitazione mista ad aspettativa.
“E
se… dovessi innamorarti di lui?”
Subaru
gelò sul posto. Dato che aveva
preso a guardarlo come se l’indovino avesse appena dichiarato
che Babbo Natale
esiste, Kakyo si sbrigò a rettificare.
“Solo
per ipotesi, certo” e qui si schiarì
la voce nervosamente “però se l’hai
portato qui, non è stato solo per riguardo
nei confronti di Fuuma, vero?”
Ma
che…
Respirò profondamente per calmarsi.
“E
sentiamo, quale sarebbe l’altro
motivo?”
“Tu
volevi che Kamui smettesse di
colpevolizzarsi per aver scelto un futuro che non aveva portato che
sofferenza.
Volevi dimostrargli che esistono anche persone, come il sottoscritto,
che dalla
sua tragedia hanno tratto la forza per continuare a vivere.”
“Anche
se fosse, non mi sembra che abbia
tutta questa importanza, no?”
“Forse
si, forse no.” E sorrise. Subaru
odiava quel suo modo di fare; era un atteggiamento che non gli
permetteva di
credere di essere al comando delle proprie azioni. Comunque quella era
solo una
sua opinione; nulla gli vietava di pensarla in modo completamente
opposto al
suo.
…O
no? Rabbrividì, avvertendo d’improvviso
la necessità di difendersi da quelle parole.
“Dimentichi
chi sono.”
Kakyo
abbassò lo sguardo tristemente,
mentre il dolore travolgeva ogni singola cellula del suo corpo. Per un
attimo rivide
il cadavere di Hokuto e il suo carnefice in piedi avanti a lei che lo
guardava.
“Tu
non puoi salvarla.” Tu non puoi
salvare nessuno.
Il
Sakurazukamori.
Respinse
quel pensiero con tutta l’energia
possibile. Non doveva pensarci. Quel giorno, quando Kamui aveva
cambiato il
destino del pianeta, aveva promesso a se stesso che non si sarebbe
più fatto
abbattere da una cosa del genere; aveva deciso che si sarebbe preso
cura della
persona per cui la donna che aveva amato aveva ritenuto di dover dare
la vita. Avrebbe
protetto Subaru, dato che lei non poteva farlo più, e lo
avrebbe fatto a
prescindere dal fatto che fosse il Sakurazukamori, perché
lei così avrebbe
voluto.
Perché
quello era l’unico modo per poter
continuare a vivere.
Deciso,
alzò lo sguardo fino ad incontrare
nuovamente il suo, mentre cercava nella mente le parole adatte. Voleva
la
verità? Bene. Si vede che aveva bisogno di sbatterci contro,
per comprendere.
“Avresti
potuto ucciderlo. Eliminare alla
radice il problema. Invece non l’hai fatto. Hai desiderato
che lui vivesse.
Perché? Semplice, tu non volevi che lui morisse. Anche
quella volta, quattro
anni fa… non gli hai detto quelle parole per legarlo alla
vita? Per essere in
grado un giorno di rincontrarlo. Non volevi ingannarlo,
perciò hai tentato di
scomparire dalla sua vita. Non puoi uccidere il Sumeragi che
è in te,
dopotutto. E ora mi dici che lo condurrai alla disperazione per un tuo
desiderio? Io non ci credo. Non voglio credervi, perché ora
so che esistono
futuri che possono essere cambiati, come esistono persone che possono
essere
salvate.”
Lungo
silenzio.
“…È
tardi.”
Lo
disse piano, come se quelle due parole
fossero fatte di cristallo e avessero potuto infrangersi da un momento
all’altro. E mentre il vento le portava
all’orecchio dello yumemi, come per
mettere fine al discorso, Subaru prese a camminare verso il mare.
Era
folle.
Pensare
che fosse ancora in grado di
amare, era folle.
Soprattutto
se ora come ora, l’altra parte
era Kamui.
Il
ragazzo non si avvide dell’uomo se non
quando se lo vide accanto, in piedi sugli scogli affioranti su cui era
seduto.
Alzò la testa per guardarlo in volto e incontrò
il suo sguardo a mezz’aria. I
suoi occhi… era come se avesse pianto. Perché? Si
alzò per osservarlo meglio e
questa volta fu in grado di captare anche un’altra emozione
imprigionata nelle
sue iridi: il rimorso. Di cosa avevano parlato, lui e Kakyo? Allungando
le
braccia, gli toccò il viso con entrambe le mani, mentre
Subaru chiudeva gli
occhi, lasciando che l’altro lo toccasse. Sembrava
leggermente invecchiato,
rispetto a poche ore prima. Era un’illusione? Lo
guardò meglio.
Quel
volto…
Fu
come scottarsi, come bruciare e
diventare cenere. Solo che lui non era in grado, come le fenici, di
rinascere.
Ritrasse le mani, in fretta, mentre Subaru riapriva gli occhi,
spaesato. Kamui
distolse lo sguardo: cosa gli era preso?
Subaru
sorrise.
“È
ora. Torniamo a casa?”
Kamui
annuì, chinandosi a prendere la
spada divina. E solo mentre Subaru gli dava le spalle, ebbe il coraggio
di
ammettere in un sussurro la propria debolezza.
“Perdonami…”
Ma
il vento portò via ogni cosa.
Aside
“Love
the Nemesis” è ufficialmente
sospesa, almeno per il momento. Questo è
l’ultimo capitolo che ho scritto
e, fin quando non recupererò l’ispirazione
necessaria per continuarla, rimarrà
incompiuta.
Scusatemi
per la lunga attesa che questa
decisione ha dovuto prendere.