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Autore: Relena_AliScheggiate    06/08/2010    0 recensioni
Pubblicazione sospesa
"Si sentì stringere una spada, le lacrime rigargli il volto, lentamente. Era ancora lì, lo sapeva, nel luogo dove la ‘luce’ non poteva arrivare. Per questo tenne gli occhi chiusi, dolcemente, solo un po’ più a lungo di un istante, quasi per non permettere al dolore di scavargli dentro eccessivamente. Sapeva quello che sarebbe successo di lì a poco, quando sarebbe stato costretto ad aprirli: avrebbe ucciso lui, Fuuma, ancora una volta. Avrebbe sofferto di nuovo quel dolore profondo sette solitudini, fino ad impazzire per il senso di colpa. Ne aveva terrore, ma era anche quello che desiderava: dunque, ora doveva solo anestetizzarsi la mente. [...]"
Ambientata dopo la fine di X, *Love the Nemesis** tratta del dolore di chi è sopravvissuto a quella tragedia, proponendo una visione in negativo delle vicende di X e TB. [SubaruKamui]
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kamui Shiro, Subaru Sumeragi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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*Love the Nemesis**

Capitolo XI: Wind

Quella era una mattina bellissima. Il sole, gelido, illuminava ogni cosa lo circondasse; il cielo, terso, era uno spettacolo che da Tokyo non era mai riuscito a scorgere. Solo quella dannata sensazione di instabilità non era per niente piacevole, pensò Kamui, cercando, per l’ennesima volta, di sistemarsi meglio sul sedile ma con la massima lentezza possibile, per non creare ulteriori squilibri. Rinunciandoci, si limitò ad affondare il mento dentro la giacca a vento blu che Subaru gli aveva dato quella mattina dopo che svegliatolo, gli aveva chiesto di venire con lui.

“E dove?”

“Lo scoprirai quando saremo arrivati. O non ti va?”

“Non ho detto questo.” Aveva sbiascicato Kamui mentre le guancie gli si imporporavano leggermente.

Quella reazione aveva fatto sorridere teneramente l’uomo, che alzatosi dal letto su cui era seduto, gli aveva dunque intimato di sbrigarsi a prepararsi, per poter partire il prima possibile. E così, in meno di venti minuti erano già pronti per uscire; Subaru gli aveva dato la giacca blu (tenendo per sé quella nera), per prendere poi l’ascensore, che li aveva portati ai box sotterranei. Era la prima volta che scendeva lì sotto: aveva immaginato vagamente che dovesse esserci qualcosa del genere ma non aveva mai pensato per davvero a ciò che concretamente avrebbe comportato il fatto che uno di quei box gli appartenesse. Eppure, non è che non gli interessasse sapere che modello di auto potesse guidare una persona come lui e da solo non riusciva proprio a figurarselo. Un Mercedes nero, forse. O una decappottabile grigio metallizzato o fumo, al minimo. Nulla di troppo sportivo; l’immagine che si era fatto di Subaru era elegante e silenziosa e su una roba tipo jeep non ce lo vedeva proprio. Poi, mentre camminavano, lo sguardo gli cadde sulla giacca: chissà perché gli aveva chiesto di indossarla. Capì il motivo solo quando, spalancata la porta del garage, vide all’interno una elegante moto da corsa nera. Era bellissima e si sposava perfettamente con la sua figura sottile e aggraziata. In effetti auto del genere le avrebbe viste meglio su un tipo come il precedente Sakurazukamori; Subaru era decisamente un tipo più pratico e giovanile di lui. Fu distratto da questi pensieri da Subaru stesso, che gli stava allungando un casco: lo prese, lo agganciò sotto la testa e, non appena ebbe messo in moto, salì dietro di lui.

Peccato che il minimo che avesse sperimentato fino ad allora, fosse solo lo scooter mezzo scassato di un suo compagno di classe alle medie: se ne ricordò solo quando Subaru, per fare un rettilineo, toccò i 90 km/h in circa 2 secondi su strada cittadina. Per la prima volta nella sua vita, sperò che in quel momento passasse un’auto della polizia a fermarli, cosa che sfortunatamente non avvenne. In autostrada poi, l’incubo si rinnovò più spaventoso che mai: 170 km/h. Ecco la prova definitiva che Subaru era un criminale. E senza rendersene conto, si strinse a lui, forte. Si sentiva le gambe molli come il budino, e quando lui curvava o sorpassava un camion, stava ancora peggio, perché aveva sempre la sensazione orribile di star per cadere dal mezzo. Con gli occhi chiusi, si accorse di star stringendo la sua schiena solo quando Subaru girando appena la testa, gli urlò in mezzo al frastuono del vento di non essere così teso e di provare a rilassare i muscoli. Kamui allora, rendendosi conto di cosa stesse facendo, lo mollò all’istante chiedendogli scusa, mentre si sentiva la faccia andare in fiamme. Che vergogna: tra un po’ sapeva volare, e non reggeva quella velocità su una moto. Subaru allora gli disse di tenersi pure se ne sentiva il bisogno, ma perlomeno di non soffocarlo.

“Non subire il vento. Sentilo.”

Questa frase, lanciatagli quasi per caso, ebbe stranamente l’effetto di tranquillizzarlo. Aggrappandosi alle maniglie poste sotto il sedile, tirò un profondo sospiro ad occhi chiusi. E divenne vento.

oOoOoOoOoOoOoOoOoOo

Erano ancora per strada, quando di fianco a loro si aprì il mare. Kamui rimase per un attimo estasiato a guardarlo; poi fu colto da un profondo senso di smarrimento: il passato, il presente, il futuro, si fusero in quell’unica emozione, violenta, tenace, mentre il pensiero gli tornava ancora una volta sugli avvenimenti di qualche giorno prima. Il ritorno di Subaru, quelle parole di cui aveva l’impressione di non riuscire a cogliere il vero significato, e soprattutto il tono straziante della propria voce mentre lo implorava di non andarsene: che senso aveva tutto quello? Perché era rimasto? Più il tempo passava, più aveva la sensazione che nulla più sarebbe stato come prima. Come se qualcosa quella notte si fosse spezzato. Il ‘cambiamento’ era ormai inarrestabile? Subaru, d’altro canto, sembrava essere decisamente più calmo e sereno; ora non si sforzava più di sorridergli, e le sue espressioni gli risultavano tutte molto naturali. Poteva illudersi che lo avesse accettato? In realtà non capiva Subaru. Le affermazioni di quella notte avrebbero dovuto allarmarlo e di conseguenza allontanarlo da sé, dato che erano il chiaro sintomo di un attaccamento che era sicuro che lui volesse evitare, e invece… Non concluse il pensiero, confuso dall’odore forte della salsedine: erano arrivati nei pressi della spiaggia.

Subaru spense il mezzo, lasciandolo nel parcheggio del lido attiguo, deserto. Poi, invitò Kamui a proseguire pure a piedi nudi sulla sabbia, qualora lo desiderasse; ma notando che Subaru stesso non sembrava intenzionato a seguire il suo stesso consiglio, declinò l’invito.

“Non voglio sporcarmi i piedi.”

“Come vuoi.”

Subaru lo condusse attraverso quel tratto di spiaggia senza dire una parola; arrivato al blocco di scogli che segnavano la fine della spiaggia, si arrampicò fino a giungere dall’altra parte, dove c’erano dei cespugli molto alti dalle fronde molto folte. Aspettò che Kamui lo raggiungesse, e poi spostando i rami, rivelò al di là di quelli una piccola grotta, invisibile dall’esterno. La attraversarono, e si ritrovarono davanti ad una piccola baia che sembrava essere rimasta incontaminata fino a quel momento. Incredibile che ci fossero ancora posti del genere, in Giappone; era davvero magnifica. Osservandola, notò in lontananza una casa sul mare, in legno.

“Era questo che volevi farmi vedere?”

“Aspetta. Ciò che voglio mostrarti, precisamente si trova in quella casa lì.” E gliela indicò con un leggero cenno del viso.

Mentre camminavano, gli spiegò il resto.

“Questo luogo l’abbiamo scoperto mia sorella ed io quando da piccoli venivamo a giocare qui. Era la spiaggia che lei preferiva in assoluto, la considerava un po’ il simbolo della sua infanzia felice.” Come anch’io, d’altronde.

Il tono di voce, modulato e perfettamente calmo, combinato con quella voce bassa e vellutata, donavano alla pace di quel posto, pensò Kamui. Era come un incantesimo da cui non voleva svegliarsi. Era da tanto che non si sentiva così sereno, forse da anni, addirittura, eppure si trovava ad appena tre ore di viaggio dalla caotica Tokyo. Cos’è che c’era di diverso?

Fu a quel punto che raggiunsero la casa. Kamui notò che il lato sud dava su altri alberi e cespugli, dietro cui si ergevano altri scogli che chiudevano in una semicirconferenza quasi perfetta quel paradiso; sul lato ovest si affacciava il mare, sconfinato. Gli altri due lati invece davano sulla spiaggia; l’ingresso era davanti a loro, sul lato nord. Subaru bussò delicatamente sulla porta in legno, e in pochi secondi una donna aprì loro, facendoli accomodare all’interno.

“Il signorino sarà qui a momenti.” E detto questo si ritirò.

Il salottino quadrato che si aprì davanti ai suoi occhi aveva un’atmosfera accogliente. Sulle pareti di legno erano appesi molti quadri, tutti dipinti con colori molto caldi; il divanetto, coperto di cuscini variopinti, aveva un’aria molto comoda, come anche le varie poltroncine in vimini. Gli piaceva quel posto: nulla a che vedere con la freddezza con cui Subaru aveva arredato il suo appartamento. Dall’altra parte rispetto al divanetto, poi, c’era una porta da cui poteva intravedere le altre stanze. Seguendo l’esempio di Subaru, si sedette, aspettando di capire cosa lui volesse mostrargli trascinandolo lì. A chi apparteneva tutto quello? E poi, perché lo aveva portato lì così all’improvviso?

La confusione aumentò quando, vedendo sopraggiungere il ‘signorino’, ne riconobbe il volto: era Kakyo, l’indovino dei draghi della terra. Era arrivato con passo leggero da una delle stanze attigue al salotto, avvolto in uno yukata azzurro cielo.

“Subaru, non ti aspettavo. E… Kamui?” Kamui, senza parole, lo vide prima gettare un’occhiata a Subaru con aria stranita, il quale però si limitò a sorridergli ricambiando il saluto, e quindi poi lasciar cadere la questione, prendendo posto su una poltrona lì accanto.

“Tu sei vivo?” Ero convinto fossi morto.

Kakyo gli sorrise dolcemente, mentre con lo sguardo gli fece capire che anche quelle erano cose che potevano accadere: con la vita, non si sa mai.

“Ricordi l’ultima volta che ci siamo visti?”

Kamui annuì: lo ricordava bene, era stato poco prima che la ‘tragedia’ si avverasse.

“Avevi appena ucciso Hinoto ed io ti sono apparso per chiederti se fossi sicuro di cosa avessi scelto. Tu mi hai risposto…”

“…che avrei cercato di capire a tutti i costi perché noi esseri umani non ci curiamo davvero delle persone che amiamo e quale fosse il desiderio di Fuuma. Perché avevo promesso a me stesso che non sarei più scappato dalle cose importanti.” Anche a costo di perdere la felicità.

Ricordava tutto quello come se fosse ieri, ogni singola parola. Quando era in ospedale, aveva passato intere settimane pensando a dove avesse sbagliato, quale fosse il punto in cui aveva messo il piede in fallo, e quel fiume di parole senza senso erano state l’unico appiglio per non perdere la ragione. Migliaia di volte se l’era ripetute nella testa, scoprendo di non riuscire a pentirsene neppure una volta.

“Anche se il tuo desiderio è quello che è?”

“Sì. Anche se il mio vero desiderio è essere ucciso da lui pur di non fargli del male.”

“Allora esiste davvero una speranza.”

“…Una speranza?”

“Che il futuro cambi.”

Solo in quel momento gli tornarono in mente le parole di Kotori: “Perché il futuro non è stato ancora deciso”.

Kamui gli sorrise. Avrebbe scelto lui il suo destino, nessun altro. E sarebbe andato tutto bene, ne era sicuro.

Kakyo riprese a parlare distogliendolo così dai suoi pensieri, da quel dolore pungente che aveva ripreso a scavargli nel petto al ricordo di tutto quello che era successo.

“È stato in quel momento che ho capito che avresti deciso di cambiare il futuro. Sai, la verità è che io sarei dovuto morire, se tu avessi scelto altrimenti. Come desideravo, sarei stato ucciso da Fuuma. Solo lui avrebbe potuto farlo, perché era l’unico a cui avessi aperto il mio cuore.”

“Gli avevi aperto il cuore…?”

Kakyo annuì, silente. Con espressione grave si girò a guardare Subaru, che aveva ascoltato tutto senza fare una piega, ma non vedendo alcun segnale provenire da lui, continuò.

“Penso che in realtà Fuuma non avesse mai avuto alcuna intenzione di uccidermi, o perlomeno sicuramente non da un certo punto in poi. Lui credeva in te, Kamui. Lui sperava che tu lo salvassi da quella ‘follia’. Sperava che tu lo uccidessi. All’inizio non ci credeva nemmeno lui, ma poi se n’è convinto per davvero. Per questo Subaru ha impedito che io morissi.”

A quelle parole corrispose una stonatura: era stato Subaru a salvarlo?

“Subaru?” disse piano, guardando in viso lui piuttosto che l’indovino.

“Si. Dopo la battaglia finale, mi ha chiesto di venire con lui.”

Non era sicuro di aver capito bene. Questo significava che mentre lui giaceva piangente sul corpo freddo di Fuuma, Subaru si era dato pena per Kakyo, piuttosto che per lui? Questo pensiero irrazionale gli fece male. Sapeva perfettamente che in quel momento non avrebbe avuto alcun senso che Subaru si occupasse di lui, perché non c’era nulla che lui potesse materialmente fare. Inoltre Kakyo rischiava di star per suicidarsi, mentre lui era un’altra questione. Ma poi ricordò. Se Subaru gli aveva chiesto di perdonarlo, non era perché anche lui voleva morire? Oppure glielo aveva detto perché  sapeva che avrebbe salvato Kakyo e non lui? Però era grazie a quelle parole, se era sopravvissuto. Per questo unico insignificante motivo. In un momento in cui il pensiero di Subaru avrebbe dovuto essere pressoché zero, notare che lui era lì, che esisteva ancora, gli aveva dato la forza. La forza di vivere. Anche nella disperazione.

Questi pensieri lo misero a disagio. Non voleva pensare di Subaru in questi termini, o avrebbe finito con l’abbattere le ultime barriere che lo dividevano da lui. In fondo esisteva una parte di sé che non voleva perdonarlo assolutamente per quello che aveva fatto e per quello che era diventato, che non voleva avvicinarglisi più di tanto; la stessa che gli aveva detto di scappare via quando Subaru gli aveva proposto di rimanere. E sentiva che era un bene mantenere le distanze, anche se a volte gli risultava difficile. Per questo accantonò questi pensieri e si concentrò sull’altro versante del discorso.

“Fuuma è sempre stato se stesso, sin dall’inizio. Io semplicemente non volevo rendermene conto, perché rifiutavo che lui, una persona così gentile, potesse togliere la vita in quel modo ad altri. Non potevo accettare un ordine di valori diverso dal mio, il fatto che lui distruggesse il presente per poter creare un futuro. Ma nonostante questo ideale, alla fine ha voluto ugualmente farsi uccidere da me. Non lo capisco, è come se qualcosa non avesse senso. Non era un folle, eppure…”

“È vero, non era un folle. Ma si era innamorato di te.”

Il dolore gli trafisse il cuore.

“Lui non me lo ha mai detto.”

“Ma lo pensava. Ed io, quando ci sono arrivato, era ormai troppo tardi.” Mi dispiace.

Kamui non rispose. Guardava a terra, fisso, mentre con la mente cercava di capire quelle parole, senza riuscirci. Come poteva saperlo? Come poteva esserne così sicuro? Non aveva alcun senso; se lo avesse amato glielo avrebbe detto, no? Non avrebbe avuto motivo di tacere una cosa così importante. Inoltre, era sicuro che lui sapesse che se glielo avesse detto, non ci sarebbe stato modo che lui, Kamui, potesse respingerlo: una vita insieme a Fuuma era ciò che da sempre lo avrebbe reso felice più di ogni altra cosa al mondo, no? Quindi perché esitare? No, c’era qualcosa che non tornava e che ora non avrebbe più potuto capire.

“Kamui, c’era una cosa che Fuuma avrebbe voluto che tu avessi.”

Kakyo si alzò e aprì le ante dell’armadio nell’angolo; da qui tirò fuori un oggetto lungo e stretto, avvolto da molte bende, e lo porse a Kamui.

“Aprilo.”

Il ragazzo sciolse i cordoni che sigillavano l’oggetto, e ne trasse quella che riconobbe come la spada divina appartenente una volta a Fuuma.

“Perché ce l’hai tu?” Disse senza fiato.

La ricordava, fin troppo bene. Adagiata lì accanto al suo corpo, linda e meravigliosamente crudele. Nel dolore aveva provato l’irrazionale desiderio di distruggerla, ma poi era svenuto e risvegliatosi in ospedale, non l’aveva più vista accanto a sé. Non aveva chiesto, non gli interessava: aveva la sensazione che qualora l’avesse rivista, il dolore sarebbe stato troppo grande per poterlo sopportare.

“Mi aveva chiesto lui di prenderla con me. Non ne conosco il motivo vero. Ma questo prova che fin dall’inizio lui non ti ha odiato neppure per un attimo; da sempre, ciò che desiderava era che tu lo uccidessi e poi vivessi felice. Come se ritenesse necessario proteggerti da lui.”

Gli tornarono in mente le vivide immagini della sua infanzia, i giochi, le risa, quella felicità quasi tangibile; Kotori, il suo volto, il suo sorriso, mentre gli correva incontro, e Fuuma, che con quelle sue grandi mani lo aveva sempre protetto da tutti. E quella promessa: se tu proteggerai Kotori, io proteggerò te.

Io ti proteggerò. Da me.

Le lacrime presero a scendergli lungo il volto, copiose; come se fossero anni che stesse aspettando quel momento e ora non fosse più in grado di fermarsi. Era come un bambino. Si sentiva inerme, completamente: se in quel momento anche solo un po’ di vento lo avesse colpito, sentiva che sarebbe stato portato via, lontano. Non sarebbe tornato più indietro.

Kakyo, vedendo quella reazione, fece per alzarsi ma Subaru fu più veloce: senza una parola, circondò col braccio il suo corpo scosso dai singhiozzi e se l’attirò al petto, stretto. E Kamui, se avesse potuto parlare, lo avrebbe ringraziato, perché sapeva che se in quel momento avesse dovuto realizzare di non avere niente da stringere, il suo cuore non avrebbe retto al colpo: senza il calore di un abbraccio a trattenerlo, probabilmente si sarebbe lasciato andare al nulla, ancora una volta; e tutto ne sarebbe andato distrutto, compreso il desiderio di un folle che si era lasciato uccidere per mantenere una sciocca promessa.

oOoOoOoOoOoOoOoOoOo

Il tramonto di cui si poteva godere da quella spiaggia, era uno spettacolo meraviglioso; per cui su esplicita richiesta di Subaru, verso le quattro del pomeriggio (il tempo di prendere un te insieme), uscirono all’aperto per poterlo ammirare. Kamui, desiderando rimanere da solo, si era seduto molto avanti rispetto agli altri due sugli scogli appena affioranti sull’acqua e da lì fissava il mare, meraviglioso, eterno; sul grembo teneva la spada divina, mentre la mente, assente, viaggiava via lontana. Subaru, preoccupato ma senza il coraggio di avvicinarsi, lo osservò per un po’ da dietro, dal fondo della spiaggia dove era rimasto con l’indovino. Solo quando si accorse che Kakyo aveva iniziato a parlargli, distolse lo sguardo dal ragazzo per focalizzare la sua attenzione su quello che l’altro gli stava dicendo.

“Perché l’hai portato qui?”

Che domanda inopportuna.

“Volevo avesse la spada. Gli spetta di diritto, no?”

Pronunciò quelle parole con un tono leggermente infastidito e senza guardarlo, con gli occhi rivolti verso l’orizzonte. Kakyo ridacchiò, delicatamente. Forse non era cosciente, ma ogni volta che parlavano e Subaru voleva nascondergli qualcosa, distoglieva sempre lo sguardo. Dunque, c’era dell’altro.

“Sapevi che non ero d’accordo, sul fatto di portarlo qui. Soprattutto a causa delle tue intenzioni.”

Subaru sospirò. Kakyo a modo suo sapeva essere una persona molto testarda; quando si metteva in testa qualcosa, era impossibile cercare di sviare il discorso. Dunque lo assecondò.

“Parli come se io avessi chissà quale scopo criminale.”

“Non è questo il punto, no? Sai meglio di me quanto abbiamo rischiato dicendogli quelle cose su Fuuma.  E se gli avessimo spezzato il cuore?”

“Non è successo.”

Kakyo aggrottò le sopracciglia in disaccordo. Poteva accadere, però. Insistette. “Mi sembrava che la scorsa volta la pensassi diversamente. Hai già dimenticato che per evitare quel futuro era meglio che io e lui non ci incontrassimo?”

Certo che non lo aveva dimenticato. Come avrebbe mai potuto? Per un lungo momento, tacque. Sapeva quello che avrebbe dovuto dire, ma non era sicuro di volerlo fare. Ma alla fine cedette.

“Io non voglio che Kamui perda di vista Fuuma.”

Dato che Kakyo faceva mostra di non capire, gli raccontò tutto quello che era accaduto in quei giorni, la sua assenza, l’intenzione di non tornare più e la frase che l’aveva trattenuto lì accanto a lui: ‘se adesso te ne andrai, ti odierò per il resto della mia vita.’ Era sbiancato sentendo quelle parole; aveva avuto paura che tutto ciò che aveva fatto gli si fosse ritorto contro. Che senso aveva avuto desiderare di andarsene per non interferire più di così con quel destino che voleva evitare, se poi in quel modo se lo tirava addosso peggio di prima? Sapeva di non avere la forza di cambiare il fato, ma non accettava di essere ancora una volta il promotore inconsapevole della propria disgrazia. Se ormai era troppo tardi per tornare indietro, se a portare a quel futuro sarebbe stato il desiderio di un Kamui abbandonato di stargli accanto, allora non lo avrebbe lasciato lì. Per quanto questa decisione fosse un’arma a doppio taglio, gli sarebbe stato accanto, anche a costo di dovergli spezzare il cuore ricordandogli di Fuuma nel patetico tentativo di tenerlo lontano da sé; per potersi un giorno separare da lui senza diventare il centro del suo mondo. Perciò l’aveva spaventato tanto sentire quelle parole. Tutto quello che aveva pensato di fare per il suo bene, non aveva avuto alcun senso? Allora a quel punto sarebbe stato meglio non fare nulla sin dall’inizio. Non prenderlo con sé, non impegnarsi tanto per restituirgli almeno una parvenza di equilibrio, di quotidianità, di routine.

Nemmeno pronunciare quel ‘perdonami’.

Quel pensiero lo riportò alla realtà. Si accorse che la conversazione con Kakyo era sfumata già da un po’, e che anche l’altro aveva taciuto per tutto il tempo, immerso nei propri pensieri. Nel silenzio, la sua attenzione venne nuovamente attirata dal sibilo leggero che il vento produceva infrangendosi contro le onde; Kamui era ancora lì, perso nel suo mondo. Ad un tratto l’indovino si volse a guardarlo con una strana espressione sul viso, di esitazione mista ad aspettativa.

“E se… dovessi innamorarti di lui?”

Subaru gelò sul posto. Dato che aveva preso a guardarlo come se l’indovino avesse appena dichiarato che Babbo Natale esiste, Kakyo si sbrigò a rettificare.

“Solo per ipotesi, certo” e qui si schiarì la voce nervosamente “però se l’hai portato qui, non è stato solo per riguardo nei confronti di Fuuma, vero?”

Ma che… Respirò profondamente per calmarsi.

“E sentiamo, quale sarebbe l’altro motivo?”

“Tu volevi che Kamui smettesse di colpevolizzarsi per aver scelto un futuro che non aveva portato che sofferenza. Volevi dimostrargli che esistono anche persone, come il sottoscritto, che dalla sua tragedia hanno tratto la forza per continuare a vivere.”

“Anche se fosse, non mi sembra che abbia tutta questa importanza, no?”

“Forse si, forse no.” E sorrise. Subaru odiava quel suo modo di fare; era un atteggiamento che non gli permetteva di credere di essere al comando delle proprie azioni. Comunque quella era solo una sua opinione; nulla gli vietava di pensarla in modo completamente opposto al suo.

…O no? Rabbrividì, avvertendo d’improvviso la necessità di difendersi da quelle parole.

“Dimentichi chi sono.”

Kakyo abbassò lo sguardo tristemente, mentre il dolore travolgeva ogni singola cellula del suo corpo. Per un attimo rivide il cadavere di Hokuto e il suo carnefice in piedi avanti a lei che lo guardava.

“Tu non puoi salvarla.” Tu non puoi salvare nessuno.

Il Sakurazukamori.

Respinse quel pensiero con tutta l’energia possibile. Non doveva pensarci. Quel giorno, quando Kamui aveva cambiato il destino del pianeta, aveva promesso a se stesso che non si sarebbe più fatto abbattere da una cosa del genere; aveva deciso che si sarebbe preso cura della persona per cui la donna che aveva amato aveva ritenuto di dover dare la vita. Avrebbe protetto Subaru, dato che lei non poteva farlo più, e lo avrebbe fatto a prescindere dal fatto che fosse il Sakurazukamori, perché lei così avrebbe voluto.

Perché quello era l’unico modo per poter continuare a vivere.

Deciso, alzò lo sguardo fino ad incontrare nuovamente il suo, mentre cercava nella mente le parole adatte. Voleva la verità? Bene. Si vede che aveva bisogno di sbatterci contro, per comprendere.

“Avresti potuto ucciderlo. Eliminare alla radice il problema. Invece non l’hai fatto. Hai desiderato che lui vivesse. Perché? Semplice, tu non volevi che lui morisse. Anche quella volta, quattro anni fa… non gli hai detto quelle parole per legarlo alla vita? Per essere in grado un giorno di rincontrarlo. Non volevi ingannarlo, perciò hai tentato di scomparire dalla sua vita. Non puoi uccidere il Sumeragi che è in te, dopotutto. E ora mi dici che lo condurrai alla disperazione per un tuo desiderio? Io non ci credo. Non voglio credervi, perché ora so che esistono futuri che possono essere cambiati, come esistono persone che possono essere salvate.”

Lungo silenzio.

“…È tardi.”

Lo disse piano, come se quelle due parole fossero fatte di cristallo e avessero potuto infrangersi da un momento all’altro. E mentre il vento le portava all’orecchio dello yumemi, come per mettere fine al discorso, Subaru prese a camminare verso il mare.

Era folle.

Pensare che fosse ancora in grado di amare, era folle.

Soprattutto se ora come ora, l’altra parte era Kamui.

Il ragazzo non si avvide dell’uomo se non quando se lo vide accanto, in piedi sugli scogli affioranti su cui era seduto. Alzò la testa per guardarlo in volto e incontrò il suo sguardo a mezz’aria. I suoi occhi… era come se avesse pianto. Perché? Si alzò per osservarlo meglio e questa volta fu in grado di captare anche un’altra emozione imprigionata nelle sue iridi: il rimorso. Di cosa avevano parlato, lui e Kakyo? Allungando le braccia, gli toccò il viso con entrambe le mani, mentre Subaru chiudeva gli occhi, lasciando che l’altro lo toccasse. Sembrava leggermente invecchiato, rispetto a poche ore prima. Era un’illusione? Lo guardò meglio.

Quel volto…

Fu come scottarsi, come bruciare e diventare cenere. Solo che lui non era in grado, come le fenici, di rinascere. Ritrasse le mani, in fretta, mentre Subaru riapriva gli occhi, spaesato. Kamui distolse lo sguardo: cosa gli era preso?

Subaru sorrise.

“È ora. Torniamo a casa?”

Kamui annuì, chinandosi a prendere la spada divina. E solo mentre Subaru gli dava le spalle, ebbe il coraggio di ammettere in un sussurro la propria debolezza.

“Perdonami…”

Ma il vento portò via ogni cosa.

 

 

Aside

“Love the Nemesis” è ufficialmente sospesa, almeno per il momento. Questo è l’ultimo capitolo che ho scritto e, fin quando non recupererò l’ispirazione necessaria per continuarla, rimarrà incompiuta.

Scusatemi per la lunga attesa che questa decisione ha dovuto prendere.

 

  
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