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Autore: Stray cat Eyes     09/08/2010    1 recensioni
“Perché non sei come me?!”
Mordred gliel’ha chiesto, finalmente. Questa notte, quando Galahad s’è infilato di prepotenza nei suoi sogni.
La risposta era...
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Mordred
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note.
Partecipante al Fanon Fest, proposto da True Colors e Fanworld, con il prompt Leggende arturiane, Galahad e Mordred, i bastardi a corte "Perché non sei come me?".

Tempo di saldare i debiti! XD
Ho impiegato un mese e poco più ad elaborarla, mezza serata a scriverla. Il che mi fa, devo ammetterlo, un certo effetto.
E stavolta so chi ha proposto il prompt! XD Quello che non so è cosa ne sia stato prodotto. ò_ò
Spero che non vi rovini la digestione!















[Words]




Bastardo.
La prima parola che ha imparato è stata questa. La prima da quando è arrivato a corte.
È stata una parola nuova, per lui; dura, dal suono antipatico, apparentemente difficile - ma Mordred ne ha assimilato subito il significato. È qualcosa che dipende dalla nascita, ma che ci si trascina dietro per tutta la vita.
“Bastardo” significa, in sostanza, essere figlio della persona sbagliata. Nel suo caso, vuol dire non essere figlio di Ginevra. O di Lot.

La sensazione che dà l’essere un bastardo è fondamentalmente la stessa di quando si è sporchi, o ci si è rotolati nell’erba e nel fango e le macchie non vengono più via.
Ecco, Mordred ha due macchie. Una se la porta addosso, forse sulla fronte, e la gente per lo più la chiama Morgause; nessuno pare sapere che sua madre l’ha sempre chiamata Arthur.
L’altra macchia, invece, se ne va a spasso per conto suo, girovaga per il castello e sembra sempre precederlo, ovunque lui vada. Mordred sospetta che abbia a che fare con il suo odore.
Forse dovrebbe lavarsi di più, pensa. Forse dovrebbero lavare meglio i suoi vestiti.





La seconda parola che scopre a Camelot è Errore.
In realtà, Mordred la conosceva già prima; ma qui pare l’investano di un significato più profondo, più buio e ostile che una caverna.
La gente gli ha insegnato, anche se senza rivolgergli la parola, che anche una persona può essere un errore.
Certi dicono - ma non a lui - che errare è umano. Forse è questo che intendono.





Quando giunge il termine Incesto, Mordred è troppo confuso per dargli davvero peso.
Sta maturando nuove ipotesi, man mano che il suo vocabolario cresce e le persone gli affibbiano storpiature che lui non credeva di avere.
Fino a poco tempo fa, era convinto che il problema fosse l’odore che emanava; ebbene, si è lavato e lavato e lavato, strofinando senza risparmiarsi quando i servitori non guardavano, ma si è accorto che è tutto inutile.
Si è guardato intorno, e ha notato che i cortigiani non annusano l’aria quando lui arriva. Si avvedono della sua presenza già a distanza, una distanza dalla quale sarebbe impossibile distinguere finanche l’olezzo delle stalle, ed è per questo che il ragazzino si sta convincendo che ci sia di mezzo il suo aspetto.





Abominio è una parola che non riesce a capire davvero.
Per giorni e giorni si è sforzato di trovare un punto in comune fra sé e la definizione datagli da un popolano - l’unico, forse, che abbia avuto abbastanza rispetto di lui da guardarlo in faccia e rivolgergli la parola, prima di sputare a terra e dileguarsi -, ma la nebbia è ancora fitta e il filo che li lega piuttosto indistinto.
Mordred si è toccato molto, sia vestito che nella tinozza; si è guardato a lungo allo specchio - cosa che gli ha guadagnato un aggettivo in più e una qualità che, di nuovo, lui non sapeva di possedere -, e specchiandosi e tastandosi in ogni dove ha cercato tracce della sua mostruosità.
Cercava delle corna, una coda puntuta, delle squame che nascessero in posti forse segreti, ma niente. Ha tentato di pungersi con un canino, per controllare che non stillasse veleno; ha controllato il colore degli occhi e dei capelli, la forma del naso, che dicono sia incredibilmente storto, e delle mani, che a molti sono sembrate tanto simili ad artigli.
In ogni anfratto che ha osservato, in ogni punto che ha tastato, nulla c’era di quello che si aspettava.

Però gli altri si fanno sempre più lontani, la nebbia s’infittisce, e lui è sempre più convinto che il suo aspetto covi qualcosa di troppo strano per essere accettato.





Oggi Mordred ha incontrato un altro Errore, anche lui figlio della persona sbagliata.
Ma non ha potuto fare a meno di notare che c’è qualcosa di diverso, in lui. Qualcosa che li separa e li distingue l’uno dall’altro, anche se hanno un fattore in comune.
Probabilmente sono gli altri.
Probabilmente sono i sorrisi degli altri.

Errore-Galahad è inodore - lui lo sa, perché gli è arrivato molto vicino, nella confusione. E vorrebbe potergli parlare, chiedergli conferma della stessa cosa, ma ci sono molte cose che glielo impediscono.





Errore-Galahad non è come lui, e la cosa lo tormenta.
La gente non sussurra Bastardo, non borbotta d’Incesto, non mugugna Abominio quando lo vede. Nemmeno Errore gli hanno insegnato.
E, in effetti, Galahad è diverso. Galahad non ha il naso storto e le mani arcuate. Galahad è biondo, ha l’aria dolce - così gli dicono, così si complimentano. Non che sia un mostriciattolo privo di identità, coi capelli neri come la morte e gli occhi malevoli, dell’assurdo colore del ghiaccio.
Galahad sembra un angelo, è questo che dicono. E che abbia gli occhi del medesimo colore degli smeraldi - anche questo dicono. Parlano della sua avvenenza, di quanto sembri segnato da un destino pieno di grazia e candore.
Mordred non capisce. Ha guardato bene il suo gemello, l’altro Errore giunto a Camelot, ha guardato gli occhi e i capelli, e li ha trovati belli. Li ha invidiati, e si è stupito.

Galahad non corrisponde alla definizione.





“Perché non sei come me?!”

Mordred gliel’ha chiesto, finalmente. Questa notte, quando Galahad s’è infilato di prepotenza nei suoi sogni.
La risposta era...







Gli anni sono passati, le ossessioni non proprio, e i pensieri si stanno schiarendo nei toni.
Oggi, Mordred ha capito alcune cose.

Il concetto di “invidiare” ha iniziato a scindersi da quello di “desiderare per sé”, nella sua testa, e Mordred non crede che i due mondi s’incontreranno ancora.
Lui non vuole avere i capelli biondi e due pietre preziose al posto degli occhi. Li vuole e basta.
Ma questa è destinata a restare una parentesi. In eterno, può darsi.





Le ipotesi continuano a maturare, come frutti d’estate; i dubbi, invece, fioccano come neve a congelarle.

Forse la sua missione è espiazione, riflette Mordred, lontano da ogni specchio - per non vedervi un mostro - e da chiunque abbia la facoltà di parlare - per non sentirlo pronunciare.
Forse Dio non l’ha benedetto, l’ha soltanto voluto punire, donandogli beltà e favori perché Galahad non sentisse l’odore di morte sulla sua strada. E lui ha collaborato.
Disgrazia, dunque, sull’angelo in Terra. Disgrazia su ogni suo capello, disgrazia sulla sua pelle, disgrazia sulla sua voce e disgrazia, disgrazia, disgrazia e maledizione sul suo sguardo da anima innocente.
Anche Galahad, infine, è un Errore.
E sempre l’errore di qualcun altro.











  
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