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Autore: KikiWhiteFly    09/08/2010    3 recensioni
"È incredibile come tutti noi abbiamo bisogno di dare una giustificazione a qualcos'altro: una persona, un oggetto, il destino. Lo facciamo, a mio parere, perché abbiamo bisogno di sentirci forti. Proprio così: pensare che la colpa possa essere nostra non ci permetterebbe di andare avanti ogni giorno, di combattere la fatica e lo stress quotidiano, di sedersi e dire: “Anche oggi questa giornata è finita”, senza rimpianti. E, alla fine, ti accorgi che l'unica cosa che avresti dovuto dire davvero era solo una..." (SasukeSakura)
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cos'è che distingue la realtà dal sogno?

Se solo non ci svegliassimo ogni giorno, non lo capiremmo probabilmente.

La realtà è qualcosa di tangibile, ma anche il sogno lo è altrettanto. Anzi, spesso ci si ritrova a borbottare esclamazioni quali: “Credevo che fosse vero!”, tant'è la potenza del sogno.

I sogni son desideri, è vero: desideri rimangono, se la realtà non opera per farli diventar reali.

Nei sogni ci sono tante risposte quante nella realtà, solo che ci appaiono diversamente. In sogno, ad esempio, tutto è molto più melodico: nulla sembra dover far male, c'è un armonia tra spazio e tempo che non è umanamente spiegabile.

La stessa risposta, nella realtà, è mille volte più pesante: è un macigno che sembra piombare addosso – non c'è salvezza, è inutile tentar la fuga! –, è dolore.

Dolore, ecco la risposta.

Ciò che ferisce, perisce con il tempo. Tuttavia, in alcuni casi, l'anima e il corpo decidono di collaborare insieme: tutto ciò che perisce, rifiorisce.

Sempre, sempre, sempre.










Like a dream















Sakura schiuse le palpebre, piuttosto confusa.

Si guardò un po' attorno, non distinguendo nulla di familiare; in più, era quasi certa di essere distesa sulle fredde piastrelle di un pavimento e, a giudicare dall'arredamento, si trovava in cucina.

«Cosa diavolo fai?»

Grugnì una voce familiare.

Sakura riconobbe quasi subito il timbro, allorché gli occhi le si riempirono di lacrime e scattò su improvvisamente, quasi fosse stata spinta da una molla.

«Sas'ke-kun?»

Sbatté un paio di volte le palpebre, trovando il corpo del ragazzo davanti il proprio. Non indossava il suo kimono, non portava in vita la fascia obi e non recava in mano la fedele kusanagi. La ragazza, allora, fece un mezzo giro attorno al suo interlocutore, quasi a convincersi della veridicità delle sue ipotesi.

«Siamo a Konoha?»

Chiese, faticando ancora a credere che lui fosse lì. L'Uchiha fissò per un momento il lato destro della stanza, dopodiché esordì: «Hai battuto forte, allora.»

Non la stava prendendo sul serio, era palese. Sakura però non si arrese: gli corse incontro, strattonandogli la manica della maglia, piuttosto supplichevole.

«Sei tornato, Sas'ke-kun? Ti prego, rispondimi seriamente.»

Uno sbuffo, poi un breve attimo di silenzio.

«Grossomodo.»

Sakura lo lasciò andare, un sorriso indugiava sulle sue labbra: Sasuke era lì, a Konoha, con lei – forse non per lei, ma insieme a lei in quel momento: significava molto – voleva soltanto rimettere a posto i cocci, anche se orgoglioso com'era non l'avrebbe mai ammesso.

Sasuke mugugnò qualcosa d'incomprensibile – qualche insulto alla sua sanità mentale, probabilmente –, un attimo dopo non lo vide più.

Ora, finalmente, aveva il tempo per fare i conti con quella realtà che stava vivendo: a Konoha – il Villaggio che conosceva lei, perlomeno – si era chiusa da poco un'epica guerra, che avrebbe segnato per sempre gli abitanti, così come le generazioni a seguire. Sasuke Uchiha era morto e lei, invece, aveva ripreso a lavorare.

L'ultima cosa che ricordava era il volto di Ino, che le intimava di ritirarsi a casa perché aveva un'espressione stravolta; Sakura si era accasciata su una sedia, dopodiché aveva poggiato la testa su un gomito. Ecco, quella era l'ultima cosa che riusciva a rammentare.

Forse stava sognando.

Incredibile, non si era mai sentita così reale come in quel momento; fece un giro velocemente, considerando che quella era proprio la casa adatta all'Uchiha: piuttosto scarna, arredata in modo spartano – l'essenziale per vivere, in pratica – e priva di luce. L'unica tapparella aperta era in cucina, il resto della casa era oscurata.

Sakura ritornò sui suoi passi, affacciandosi al terrazzo dalla parte della cucina e osservando il panorama che aveva davanti a sé: durante la guerra erano morti tanti valorosi ninja, vederli nuovamente le fece sbarrare gli occhi. Sembravano condurre tutti una vita normale, nulla sembrava turbare la loro quiete.

D'un tratto, ebbe un'illuminazione: Ino, la sua migliore amica. Pur assurdo che potesse essere doveva confidarsi con lei; sentiva che sarebbe stata l'unica persona che avrebbe avuto il coraggio di credere ad una storia tanto assurda, l'unica della quale poteva fidarsi.







Proprio come pensava, si trovava al negozio di fiori, a prendersi cura delle sue piante.

Entrò nel negozio, guardandosi attorno assorta: le piante quasi splendevano alla luce del sole, Ino sembrava il coronamento di tale paradiso.

«Non posso crederci. Lasci Sas'ke-kun per venire a trovare Ino-pig... Quale onore!»

Esclamò a gran voce l'amica, beffeggiandola scherzosamente. Sakura gonfiò alcuni secondi le guance, poi decise di lasciar correre per quella volta.

«Senti Ino... tu sei la mia migliore amica, vero?»

Domandò, guardandola speranzosa in volto. Ino la fissò alcuni secondi stralunata, chissà cosa stava pensando.

«Hai trovato qualcun altro disposto a sopportarti?»

Ridacchiarono entrambe, finché Sakura si ricordò il motivo per il quale era andata dall'amica.

«Allora mi devi credere.»

«Ti credo.»

Non esitò neppure un attimo Ino, avendo capito che la situazione era più seria di quanto previsto.

«Anche se ti sembrerò assurda.»

«Ti credo.»

Ripeté una seconda volta.

«Io credo di non vivere questa vita... No, Ino, è così» la frenò, prima ancora che potesse proferir parola. «Non ricordo nulla. Sasuke è ritornato, io... perché ero insieme a lui? Naruto, che fine ha fatto?»

Tante altre domande le affioravano in mente, ma fu Ino a scrollarle le spalle e farla ragionare. Le intimò di calmarsi, dopodiché la invitò ad uscire fuori.

«Senti Sakura... Non so cosa sia successo, ma non voglio ancora darti della pazza. Capisco che vivere con quel traditore sia provante ma addirittura...»

«Ino, arriva al dunque.»

Precisò Sakura, piuttosto agitata.

«Okay, okay. Beh, la guerra si è conclusa da tre anni. Naruto è riuscito a riportare indietro Sasuke e voi non avete perso molto tempo, diciamo...» Ino lo disse maliziosamente, lei invece arrossì. «... Naruto è diventato Hokage, alla faccia di tutti noi che lo davamo per fallito. Oh, la mia vita sessuale e sentimentale funziona alla grande comunque, alla fine sto con Shikamaru!» esclamò, tutta festosa. Sulle labbra dell'altra kunoichi, probabilmente, si leggeva un ovale di stupore. «Okay, questo non c'entra niente.»

Arrossì per un millesimo di secondo Ino, dopodiché si riprese. Sakura, invece, stentava ancora a credere alle parole dell'amica: davvero tutto ciò era reale?

«Quindi io vivrei con Sasuke. Io, Sasuke...»

Si passò una mano sulla fronte, c'erano un tripudio di sensazioni dentro di lei: lottavano, tutte quante, per prevalere le une sulle altre. Alla fine, però, quel che rimaneva nella sua mente era un gigantesco punto interrogativo. «E dimmi... Noi, cioè, hai capito...»

Ino fece una risata che la raggelò, poi esordì: «Santo cielo, sorella! Il fatto che tu non sia ancora rimasta incinta ha del sovrannaturale!»

Le intimò di abbassare il tono di voce, Ino era sempre la solita avventata – realtà alternativa o meno.

«Ino?»

Stavolta le prestò attenzione seriamente.

«Davvero stai con Shikamaru?»

In fondo Sakura voleva condividere anche la felicità dell'amica: ragion per cui vedere nei suoi occhi brillare un tale guizzo di splendore non poteva che rassicurarla. Certo, Shikamaru era stata una scelta davvero azzardata e inaspettata ma chissà se nella vera realtà la vera Ino non fosse segretamente innamorata del ragazzo.

«Beh, non sarà aitante a letto come il tuo Sasuke-kun... Ma sì, stiamo insieme.»

Arrossì un nano secondo. «Sono felice.»

Sakura sorrise, le passò una mano tra i capelli. Sembrava proprio regnare la quiete incontrastata, era tutto così perfetto da forzarla a credere che la realtà fosse più irreale di quanto pensasse.

«È proprio la realtà ideale questa, vero fronte spaziosa?»

Domandò Ino, sorridente. Sakura, invece, sentì qualcosa come una lama affilata contorcersi dentro. Sì, effettivamente quello era tutto ciò che aveva sempre sognato: una vita senza preoccupazioni, il fatto che Sasuke stesse con lei, il desiderio di veder Naruto realizzato come Hokage, la calma nel villaggio.

Ragion per cui quella fu un ulteriore conferma: non c'era nulla di reale in tutto ciò e lei non sapeva come uscirne.

Ma, in fondo, voleva davvero uscirne?






Quella sera rincasò all'ora di cena; Sasuke era in casa, lo avvertiva, se le fosse comparso nuovamente davanti avrebbe rischiato uno svenimento – dopo averlo visto morire davanti i propri occhi era il minimo.

Tuttavia, non riusciva proprio ad immaginare una vita coniugale con l'Uchiha: nei suoi sogni forse si era fatta tanti film e, probabilmente, anche quello era un sogno... In ogni caso, era così potente da indurla a dubitare dell'immaginazione.

Dove iniziava l'immaginazione e dove terminava la realtà?

Era una bella domanda, che non avrebbe risolto di certo quella sera; se ci avesse pensato ancora avrebbe sentito la testa scoppiare presto o tardi, tanto valeva rilassarsi e godersi la meritata realtà.

«Scusa il ritardo! Preparo la cena immediatamente.»

Disse, quando incrociò il passo di Sasuke. Quest'ultimo la fissò un sol momento con aria di sufficienza, prima di superarla. Era stata stranamente sicura di se stessa Sakura, come mai prima d'allora; aveva tanto sognato di dire una frase simile un giorno, magari con indosso un grembiulino – tuttavia non si poteva avere tutto, doveva riconoscerlo.

Si diresse ai fornelli, tremando al sol pensiero che lei e Sasuke stessero respirando la stessa aria. Eppure doveva controllarsi: anche se si trattava di un sogno, doveva mantenere un minimo di contegno.


«Sasuke!»

Saltò su, quando trovò il corpo del ragazzo dietro il proprio. Insieme a lei anche il pacco di pasta adesso si era sparpagliato in ogni dove – ottimo lavoro, davvero, signor contegno –, perfino sui capelli di Sasuke.

Sakura cercò di non ridacchiare, tuttavia quella era una scena che meritava.

«Oh, scusa.»

Mormorò, vivamente dispiaciuta.

Non poteva ancora crederci, ma stava venendo a contatto con i capelli dell'Uchiha senza esserne respinta; incredibile, come ogni gesto la stupisse quando si trattava di Sasuke.

«Cosa c'è?»

Chiese, osservando gli occhi del ragazzo indagare nei suoi.

«Non ho fame.»

Disse lui. Sakura si guardò attorno, le parve più che naturale proporgli un ramen precotto o qualche genere di surgelato cucinabile in qualche minuto.

«Non farmi ripetere, Haruno. Non ho fame.»

Sentì le mani di Sasuke intrappolate all'altezza dei suoi fianchi; solo allora capì che genere di fame avesse Sasuke. Tuttavia Sakura non si sentiva ancora pronta per un sogno a luci rosse, ragion per cui indietreggiò.

«Ma non sarebbe meglio fa--»

«No.»

Di poche parole, semplice e coinciso.

Sakura capì che non aveva speranza, doveva arrendersi; non voleva certamente rifiutare Sasuke, beninteso, ma quella si trattava della sua prima volta. Probabilmente in quella realtà in cui era intrappolata per lei e Sasuke erano quotidiani quegli atti di violenza reciproca ma per lei, temporanea visitatrice di una realtà parallela, si trattava di tutt'altro che un piacere.

Sakura sentì le spalle bloccate al muro: Sasuke l'aveva sbattuta con violenza alla parete domestica, senza curarsi troppo del suo corpo. Dopodiché aveva sentito le sue dita cercare la biancheria intima sotto la sua gonna e, un attimo dopo, l'aveva sfilata sapientemente.

Ora veniva la parte più dolorosa dal suo punto di vista; tuttavia, non si rivelò così spiacevole come pensava. Nonostante Sasuke fosse stato rude e selvaggio, le sue dita all'interno della sua intimità la fecero sussultare.

Gridò – quasi per disperazione fu costretta ad affondare le unghie nella sua schiena – gemette di piacere e la titubanza di poco prima era un semplice ricordo.

Fu quando le labbra di Sasuke cercarono le sue, che Sakura sentì di aver toccato l'apice dell'autentica felicità; erano assassine, le une con le altre, si alternavano senza sosta, si mordevano con violenza, urlavano in preda all'eccitazione ma non si arrendevano mai. No, le loro labbra erano in continua lotta, in perpetua gioia e sofferenza.

Qualche attimo dopo le mani di Sasuke raggiungevano anche la sua camicetta. Fu sul punto di scoppiare Sakura, quando sentì le labbra di Sasuke arrivare fino a lì e, forse, ancora più giù. Lei, che le aveva spesso odiate, ora sentiva di non poterne fare a meno poiché esercitavano un tale controllo su di lei da costringerla a sottomettersi.

D'altronde, poteva solo subire la tortura – che, in fondo, tale non era – e limitarsi a commentare tra sé e sé quanto avesse perso nella sua vita: quante volte poteva fare l'amore e invece aveva pensato a Sasuke; allora, si era convinta che non avrebbe potuto dare il meglio di sé se non si trovava con colui che amava veramente.

Sakura sognava ancora un grande amore, di quelli da conviverci tutta la vita. E, stupidamente, sarebbe stata disposta anche ad aspettare in eterno pur di avere quel che meritava: ma, forse, Sakura non aveva capito che non sempre la pazienza premiava i giusti. Men che meno le persone innamorate.

«Sasuke...» mormorò, piuttosto stordita. «... Potrei abituarmici.»

Pur di avere Sasuke accanto a sé avrebbe dimenticato tutto: sia che lei appartenesse ad un'altra realtà, sia che probabilmente quello era davvero un sogno o un portale in cui era stata inevitabilmente catturata. Avrebbe accettato di vivere così, se questo avesse significato una vita con Sasuke.









Se si potesse riavvolgere il nastro della vita, dimmi Sasuke, cosa cambieresti?

Se solo potessi mettere in pausa il mondo e guardarlo dall'alto in basso... chi cancelleresti?

E se il mondo che ti circonda non fosse autentico o se fosse il mondo che potevi avere ma per cui non hai lottato abbastanza... tu cosa faresti?

Io ho sempre pensato che ognuno avesse quello che si meritasse. Ed è per questo motivo che non ho avuto mai troppe aspettative.

Crescendo, poi, iniziai a pensare che il destino non regalasse nulla: se non lo aiutavo, lui non mi avrebbe aiutata.

È sciocco, vero?

Sì, non è necessario che tu risponda.

È incredibile come tutti noi abbiamo bisogno di dare una giustificazione a qualcos'altro: una persona, un oggetto, il destino.

Lo facciamo, a mio parere, perché abbiamo bisogno di sentirci forti.

Proprio così: pensare che la colpa possa essere nostra non ci permetterebbe di andare avanti ogni giorno, di combattere la fatica e lo stress quotidiano, di sedersi e dire: “Anche oggi questa giornata è finita”, senza rimpianti.

E, alla fine, ti accorgi che l'unica cosa che avresti dovuto dire davvero era solo una...





«Finiscila Sakura. Sei noiosa.»

Si limitò a commentare Sasuke, dopo uno sproloquio circa il senso della vita. Sakura sorrise inaspettatamente, in fondo aveva previsto una tale battuta.

In fondo, già il fatto di potergli stare accanto la rendeva felice: non era necessario che discutessero di argomenti così impegnativi. Sasuke le diede le spalle, prendendosi più di metà lenzuolo; Sakura, invece, se ne restava immobile; fissava il soffitto immacolato e iniziava a pensare che quella situazione avesse dell'assurdo, veramente.

Non aveva mai sognato di fare l'amore con Sasuke, anzi, iniziava a pensare che quello non fosse solamente un sogno. Tutto era così tangibile che risvegliarsi le sembrava impossibile; le battute di Sasuke erano ancora lame affilate, sebbene non fossero più crudeli come qualche anno prima. Insomma, se si fosse risvegliata da un momento all'altro non avrebbe messo nuovamente piede nella realtà così come la conosceva: non ce l'avrebbe fatta a separarsi da tutto ciò.

Chissà, magari era possibile sognare per tutta la vita.


E, alla fine, ti accorgi che l'unica cosa che avresti dovuto dire davvero era solo una...


«Sasuke?»

«Mh.»

Sakura nascose il volto tra le mani, voleva quasi sotterrarsi.

«No, niente.»


Ti amo.











Ciò che ferisce, perisce con il tempo. Tuttavia, in alcuni casi, l'anima e il corpo decidono di collaborare insieme: tutto ciò che perisce, rifiorisce.

Sempre, sempre, sempre.








«Come sta?!»

Si udì una voce piuttosto agitata fare capolino all'interno della stanza. Un mazzo di fiori in una mano, la speranza nell'altra.

«Naruto, ti ho già detto di non urlare in ospedale...» sbuffò la dottoressa, prima di lanciare uno sguardo alla cartella. «... Nessuno sviluppo. È come se fosse intrappolata in tutt'altro mondo.»

Un momento dopo il ragazzo si accasciò a terra; Sakura era bloccata su un lettino, da ormai due giorni. Era ritornata piuttosto malconcia da una missione ma Ino aveva pensato bene di curarla e in poco tempo si era ristabilita; dopodiché l'aveva vista per l'ultima volta un pomeriggio, Sakura aveva detto che si sarebbero visti l'indomani.

Fu solo il mattino seguente, quando si sentì un urlo, che tutti scattarono improvvisamente in piedi: Sakura era distesa sulle fredde piastrelle del corridoio, completamente incosciente.

«Non... Non lasciarmi!»

Esclamò Ino, terribilmente agitata.

Sakura sembrava morta. Non solo allora, ma da molto tempo: Ino, stupidamente, non se ne era resa conto.

«Dimmi una cosa Ino... C'è qualche possibilità che si riprenda?»

A quella domanda, Ino non riuscì a rispondere in tono diplomatico; la cartella le cadde di mano, dai suoi occhi scivolarono una, due, tre, quattro – e forse più – lacrime. Prese la mano dell'amica, la strinse alla sua, poi infilò l'altra mano tra i suoi capelli, accarezzandoli in modo gentile.

«Non lo so. Insomma... Cosa vuoi che ne sappia?! Lei... è la mia unica amica. L'unica per cui darei seriamente la vita. E io non posso fare niente

Sentì una morsa al cuore Ino, dopodiché avvertì una frattura all'interno. «... Niente.»











Sakura non aveva mai immaginato un presente più roseo di quello che stava vivendo e, soprattutto, non con Sasuke. Perfino il semplice fatto di poter preparare la colazione all'Uchiha la rendeva felice: sulle sue labbra indugiava un sorriso ebete, si sentiva quasi ebbra di felicità.

«Buongiorno!»

Esclamò con enfasi, porgendogli una fetta di pane con la marmellata. Sasuke la prese senza troppi ringraziamenti, dopodiché si sedette di fronte a lei; Sakura sentiva lo sguardo puntato addosso, ammise una certa soggezione.

«Senti Sasuke...» abbandonò il coltello, prestandogli attenzione ed esigendo che anche il ragazzo facesse altrettanto. «... Dimentica quei discorsi di ieri. Sai, non ero molto in me.»

Cercò di sembrare convincente, almeno agli occhi di Sasuke. Si sentì un breve mugugno da parte del suo interlocutore, a cui Sakura rispose annuendo.

«Comunque, dovresti aiutare il destino.»

Sakura si bloccò, dopodiché rivolse lo sguardo al ragazzo. «Tu mi ascoltavi?»

Il cuore fece un balzo perché, nonostante l'imbarazzo, Sasuke l'aveva ascoltata attentamente.

«No.»

Fu la sua risposta, più che prevedibile.

«Grazie, Sasuke.»

Sorrise di nuovo Sakura, poi riprese a spalmare la marmellata sul pane.


«Come sta?!»




D'un tratto la testa si fece pesante, sembrava quasi scoppiare. Ciondolò per alcuni secondi, il coltello le cadde di mano e si ritrovò a terra, con mille dubbi in testa.

Aveva come l'impressione di trovarsi in bilico fra due realtà: una reale e una ideale.

Quale avrebbe scelto?

Da una parte poteva avere Sasuke per sé, svegliarsi ogni mattina insieme a lui, vivere a Konoha senza dover necessariamente chiedersi dove sarebbe stata l'indomani. La vita perfetta, sì.

Mentre, dall'altra, c'era solamente un letto, un ospedale, Ino, Naruto, Kakashi e tutti gli altri che si preoccupavano per lei e... Sasuke, dov'era Sasuke?

Sentì la testa scoppiare, era sul punto di impazzire. Mise due dita sulle tempie, sentì di dover urlare ma le voci non se ne andavano, anzi, si diffondevano.


«Non... Non lasciarmi!»



Quelle suppliche, quei pianti, quei tormenti... Era tutto così forte, doloroso. Perfino i silenzi erano amplificati dal suono della sofferenza.

Riusciva a sentire il dolore, la tensione, il senso di colpa in modo quasi palpabile; era come se avesse fatto un viaggio, alla scoperta di quello che sognava. Aveva oltrepassato la linea di demarcazione tra realtà ed immaginazione, desiderava così ardentemente quella vita che era riuscita a crearla nella sua mente.


«Dimmi una cosa Ino... C'è qualche possibilità che si riprenda?»




Sentiva le loro emozioni, riusciva a capire i loro sentimenti.

«È tempo che io ritorni », si diceva Sakura; eppure, d'altro canto, come poteva abbandonare quella vita? Avrebbe dovuto lasciare le mani del destino, che in qualche modo l'aveva messa in contatto con l'impossibile.

Urlò e, un attimo dopo, pianse. Era un pianto davvero curioso, rasentava l'isterico: tra le lacrime cercava di trovare una ragione per far ritorno al suo mondo, con il dolore invece provava a rendere più malleabile la sua realtà e più odiosa la realtà ideale nella quale si trovava.


Quando riaprì gli occhi c'era solo Sasuke davanti a lei: si trovava sopra un enorme piattaforma bianca. A dir la verità tutto quello che la circondava era bianco, quasi onirico; non era delimitabile né in latitudine, né in longitudine. Sakura si alzò, cercando di trovare il principio e la fine, non riusciva proprio a capire dove si trovasse.

«Ce ne hai messo di tempo, Haruno.»

Si limitò a commentare Sasuke, stampandosi in volto il solito ghigno sardonico. Era vestito proprio come lo ricordava: la fascia obi in vita, il kimono, la kusanagi nel fodero. Il tutto era ridotto a brandelli, quasi fosse appena uscito da una battaglia.

«Tu... Tu sei reale?»

Disse, provando a sfiorare la stoffa del kimono.

Incredibilmente era tangibile.

«Trovi che qualcosa sia reale qui?»

Sakura annuì brevemente, dopodiché le sovvenne spontanea una domanda: «Ora cosa facciamo?»

Sasuke estrasse la spada dal fodero e la kunoichi a quel punto indietreggiò. Ora, quel Sasuke che l'aveva stretta tra le braccia lo sentiva distante anni luce; la sua bella favola era conclusa ancor prima che potesse iniziare, proprio come immaginava.

«Uccidimi

Una semplice parola che le era costata una coltellata al cuore. Non poteva chiederle tanto, non aveva il diritto di impartirle quell'ordine.

«Tu sei già morto.»

Rammentò.

«Davvero?»

In quel momento, Sakura capì veramente: lei doveva liberarsi di Sasuke, metaforicamente parlando, del suo ricordo, andare avanti con la propria vita e alzarsi di nuovo, forse più fragile, forse più forte di prima.

«Non posso...»

Rifiutò la kusanagi, non se la sentiva Sakura. Capì che avrebbe preferito essere eternamente assillata dal suo ricordo, piuttosto che amare qualcun altro nel modo malato in cui aveva amato Sasuke.

«... Non posso uccidere i miei sentimenti.»

Quella era la verità: per quanto Sasuke l'avesse potuta considerare debole in quel momento, i suoi sentimenti erano tali e non sarebbero cambiati.

«Aspetta...» realizzò qualche secondo dopo, osservandolo meglio. «... Tu sei un illusione!»

Esclamò, puntandogli il dito contro. Sakura si guardò nuovamente attorno, esplorando quell'inquietante spazio bianco fin dove la visuale glielo permetteva: aveva come l'impressione che tutto quello che stesse vivendo fosse surreale ma, probabilmente, all'impossibile non esisteva limite.

«Questa è la mia mente. E tu sei un illusione. Il vero Sasuke...» gli occhi si riempirono di lacrime, per quante cercava di soffocarle «... Lui non mi avrebbe mai dato la sua kusanagi!»

Urlò, vedendolo sfocare poco a poco.

Sakura lo rincorse a lungo ma sembrava non poterlo mai raggiungere – che immagine familiare, vero? – e, nonostante tutto, non riusciva ad arrendersi. A breve, il ragazzo svanì completamente e lei si trovò ad afferrare solo l'aria.

Si accasciò a terra, finché non sentì delle voci chiamarla: sembravano supplicarla, erano trascinate, spezzate, rotte dal pianto, malinconiche e infelici.

«Devo tornare?»

Si chiese, avvertendo sempre più distintamente le suddette voci. Camminava, cercando di trovare una scappatoia ma, a ben vedere, era lei a non voler far ritorno ad una realtà così brutale.


Accetta la realtà, le diceva la mente.

Accettala, perché esser felici non significa necessariamente avere la felicità a portata di mano, le suggeriva il cuore.

Infine Sakura realizzò che la realtà poteva essere potente quanto l'immaginazione e quest'ultima, alcune volte, riusciva a sottometterla: il desiderio, spingeva l'uomo alla via della perdizione e, talvolta, a quella della pazzia.

Se esser folli ed esser pazzi significavano la medesima cosa, allora l'amore aveva il diritto di amare e odiare al contempo: già, perché la follia era un'allegra ubriacatura, un momento di piacere in cui la razionalità veniva meno. La pazzia, invece, sapeva esser la matrigna di tutti i mali del mondo: se la follia era capace di render l'uomo più felice, la pazzia riusciva ad annientarlo, sottomettendolo ad un volere da cui non era possibile redimersi e, men che meno, far ritorno.

Impazziva, Sakura.

Sentiva di aver perduto la realtà, di averla fatta fuggire dalle proprie dita. Non le rimanevano altro che illusioni, speranze, desideri.

Sogni, in pratica.








«Sakura! Sei viva!»

Riaprì nuovamente gli occhi, distinguendo alcune sagome familiari. La prima immagine che aveva visto era stata quella di Ino: aveva gli occhi riempiti di lacrime, due enormi occhiaie a confermare lo stress quotidiano. La kunoichi non rispose, realizzando solo in quel momento il posto in cui si trovava; era in ospedale, attaccata a dei fili, collegati a loro volta a dei macchinari. I suoi valori, vide, erano stabili.

Altre due infermiere accanto a lei controllavano le cartelle e le confrontavano con altre, di tanto in tanto le lanciavano degli sguardi affettuosi, quasi facesse loro tenerezza.

«Cosa è successo?»

Domandò, sentendo la testa pesante.

«Sei stata in coma tre giorni. Tre giorni che ci sono sembrati un eternità... Così, improvvisamente, non rispondevi più! Il giorno prima ti potevo prendere in giro e quello dopo tu... tu...»

Poi, la voce rotta da un singhiozzo.

«O-Okay.»

Balbettò Sakura, piuttosto debolmente. Trovò la forza di afferrare il polso dell'amica e di stringere la sua mano, che in quel momento le parve molto più gracile.

Ino pianse, come raramente le succedeva: un pianto che le sciolse il cuore in verità, uno di quei pianti che solo due amiche – o, meglio, due sorelle – potevano comprendere. Pianse insieme a lei Sakura, sorridendo.

«Idiota»

Mormorò Ino, in tono affettuoso. Sakura rise, in modo piuttosto ilare, poi cercò di cacciar via le lacrime e di fabbricare il miglior sorriso di cui era capace.

«Ora sarà il caso fare un rapporto a questi cosi a lunga durata...» alluse alle sue ciglia, sugli zigomi di Ino scendevano due lacrime nere e, ben presto, il volto intero diventò di quel colore così scuro da tradire il suo tradizionale pallore. «... Lunga durata un corno!» esclamò, facendola ridere di gusto.

«Vai, Ino.»

Le suggerì Sakura, capendo che avrebbe dovuto avvertire gli altri del suo risveglio. L'amica si alzò, impartì ordini alle due infermiere e le sorrise un'ultima volta.

«Ino?»

La ragazza si voltò all'istante.

«Mi racconterai di Shikamaru, un giorno?»

Com'era prevedibile Ino arrossì: probabilmente si stava chiedendo come sapesse tutte quelle cose, in quale modo avesse fatto quell'impossibile – avrebbe calcato in particolar maniera su quest'ultimo aggettivo, sì – ipotesi. Invece, si avvicinò a lei e le mormorò al timpano: «Un giorno. Abbiamo tempo, no?»

Disse quella frase con dolcezza, come per dire: non dobbiamo separarci più, no?, dopodiché le sfiorò i capelli. Ino sorrise nuovamente, quasi volesse sforzarsi di reprimere le lacrime.

«Ho avuto la sensazione che tu in qualche modo mi trattenessi qui, Ino. Eri sempre con me.»

Stavolta fu lei a sentire le lacrime imperlarle le ciglia; in qualche modo Ino era sempre con lei, in qualunque posto Sakura fosse. Cominciò a pensare che il destino intercedeva per via traverse, in un modo o nell'altro. «Ora vai.»

La incitò Sakura.

Un attimo dopo Ino si era defilata e lei era preda di mille dubbi: ogni cosa, vista da quel lettino, ora le appariva tutt'altro che reale.

La sua realtà forse era stata manipolata?

Era come se le fosse sfuggito un filo sottile dalle dita, che vincolava i rapporti umani: allora, si chiedeva, non avrebbe potuto fare qualcosa di più?

Sapeva che continuare a rimuginare sul passato le avrebbe fatto tutt'altro che bene; tuttavia non poteva fare a meno di porsi qualche domanda, trovando infinite risposte.

Gli occhi le brillarono e, prima che se ne potesse rendere conto, le lacrime presero a scenderle copiosamente.

Sentì di aver appena desiderato qualcosa che non poteva avere: un'altra vita. E, cosa ancor più terribile, non voleva rassegnarsi a ciò: se non poteva avere la vita, desiderava la morte.

Se Ino avesse potuto ascoltare i suoi pensieri, probabilmente l'avrebbe odiata. Quante persone riuscivano a scampare al pericolo dalla morte e quante altre – molte altre, invero – rimanevano bloccate per tutta la vita in quello stato?

Doveva apprezzare la vita, proprio perché talvolta riusciva ad essere più forte della morte.

Sakura chiuse le palpebre, cercando di lasciar andare i ricordi: un attimo dopo, sentì un leggerissimo colpo allo stomaco.

Fu solo quando sentì un'altra fitta, più dolorosa della precedente, che schiuse istintivamente le palpebre. Ora la testa sembrava essere pesante, un macigno gravoso; d'un tratto si accorse di non aver pieno controllo del suo corpo, di non riuscire nemmeno a invocare un aiuto.

Riuscì solo... a sognare.

Sognare, sì.

Abbandonava tutto, perché tutto non le apparteneva; Sakura si sentiva sull'orlo di un precipizio, con la sola differenza che aveva deciso lei di cadere. Non si era certo aggrappata ad un ramo sicuro, non aveva chiesto l'aiuto di alcuna persona – pur con le poche forze che le rimanevano – in fondo le andava bene così.

Morire, lentamente, come cullata da un sogno... Questo desiderava Sakura, nulla più.



«Sakura, Sakura!»

La ragazza sentì di essere appena stata schiaffeggiata da qualcuno e, aprendo gli occhi, distinse la figura di Ino. In verità vedeva tutto molto offuscato: si sentiva piuttosto stordita, come se il suo corpo e la sua mente fossero in bilico fra la terra ed il cielo.

Ino la teneva ancorata alla terra, non voleva lasciarla andare. Probabilmente appena era entrata si era accorta delle condizioni in cui versava ed era corsa a prendere il defibrillatore per rianimarla.

«Non morire, hai capito? Non ti azzardare a morire!»

Esclamò Ino, in preda al panico.

Sakura vide tante persone che le si accerchiavano attorno: medici, infermiere, strumenti di ogni tipo. Poi sentì parole, silenzi, pianti, grida e tanti altri rumori impercettibili.

Sorrise, perché sapeva già come sarebbe andata a finire. Richiamò le ultime forze, dopodiché si sentì in dover dire qualcosa. Già, qualcosa di importante.

Probabilmente non l'avrebbe ascoltata nessuno, ma sentiva di dover combattere per l'ultima volta; poi se ne sarebbe andata felice, con un sorriso sulle labbra.

Felice, come non le succedeva da tempo – quanto? Quello stesso tempo che lei aveva sprecato e che, invece, era prezioso.

Si rilassò completamente, esalando le ultime parole: «I sogni sanno essere persino più crudeli della realtà: non importa in quale modo, loro si prendono comunque gioco di noi. Non è colpa di nessuno, in fondo. No, è inutile darsi la colpa. Sognare, in alcuni casi, significa vivere e trovare un motivo per alzarsi il mattino seguente. Siamo esseri umani e...» Sakura faticò a respirare, i suoi valori stavano vertiginosamente scendendo. «... E desideriamo. Dobbiamo desiderare. Ho capito questo, alla fine. Però, dobbiamo sapere anche lasciar andare un desiderio...»

«Sakura, non sforzarti!»

Esclamò Ino, nuovamente in preda al panico. Sakura vide una serie di camici bianchi davanti a lei, persone che si agitavano, molte infermiere che cercavano di stabilizzare i suoi valori, ma la kunoichi lo sentiva: il battito cardiaco veniva meno, gli occhi le sembravano pesanti come piombo, non avvertiva più la consistenza del suo corpo.

In fondo, però, sorrideva: lei aveva vissuto una vita, aveva avuto l'immensa fortuna – almeno dal suo punto di vista – di vivere anche una realtà parallela.

Dopo aver amato e pianto, amato e perso, amato e sofferto, amato e desiderato, amato e avuto un grande amore, una fidata amica, uno stimato lavoro, degli amici formidabili, un tetto sopra la testa... Non era già abbastanza?

Avrebbe avuto molto da vivere ancora, ne era certa, ma senza Sasuke sentiva che le sue giornate non avrebbero preso una piega diversa: anche se un domani si sarebbe innamorata di nuovo, anche se avrebbe avuto dei figli, anche se sarebbe stata lodata ancora come medic-ninja.

«... Prima che il desiderio decida di non lasciarci più andare. In questo caso, la forza di volontà non basterà da sola. La forza di volontà è niente contro l'amore. Ogni sentimento è niente contro l'amore...»

Sakura sentì che quelle sarebbero state le ultime parole, gli ultimi sospiri, le ultime lacrime – per una volta sarebbe riuscita a mettere fine alla sofferenza – desiderava riuscire a comunicare ancora per un po', solo un attimo e poi sarebbe finita all'inferno o in paradiso.

«... Tranne l'odio. Ma se siete riusciti ad odiare qualcuno che amavate... Beh, i miei complimenti. Siete i primi ad aver trovato la cura.»

Sorrise, prima di socchiudere quasi completamente gli occhi.

«Tu ne sai qualcosa, vero, Sas'ke-kun?»

Era stato lì tutto il tempo – oppure era la sua immaginazione? Ormai, da esperta sognatrice qual era, non si sarebbe stupita più di niente – Sasuke, ad ascoltare silenziosamente le sue ultime parole. Lo vide grugnire, prima di mormorare le proverbiali parole.

«Sei noiosa, Haruno.»

Ridacchiò, per un breve istante. «Va all'inferno, Uchiha.»

Stavolta fu lui a sorprenderla: ghignò, ma in modo diverso; non era un ghigno di sufficienza, men che meno di soddisfazione. Sembrava quasi volerle dare ragione, per qualche strano motivo.

«Ci sono già.»

Un piccolo ovale di stupore indugiava ora sulle labbra di Sakura, ebbe quasi paura di parlare. «Allora vattene e lasciami morire.»

Prima ancora che finisse la frase, sentì qualcosa di lacerante premerle all'interno; un attimo dopo la mano di Ino stringeva la sua, l'ultima immagine che vide fu quella della sua migliore amica che le chiedeva di non lasciarla.

«Ino, vado...» richiamò le ultime forze, per poterla tranquillizzare. «... Vado nel mondo dei sogni.»

Mormorò sottovoce. «Buonanotte. Non svegliarmi.»











In fondo la vita è così: molta disperazione, ma anche qualche istante di bellezza dove il tempo non è più lo stesso. È come se le note musicali creassero una specie di parentesi temporale, una sospensione, un altrove in questo luogo, un sempre nel mai.







Fine.






Note:



Credits!


© Naruto - Masashi Kishimoto;

© L'eleganza del riccio - Muriel Barbery;



Dunque, questa storia si potrebbe benissimo leggere come un AU: tuttavia, io ho voluto ambientarla nell'universo di Naruto, in quanto ho voluto analizzare la psiche di Sakura e, sì, mi sono fatta trasportare dall'immaginazione (o forse no? Chi ci può dire che quello che è successo a Sakura sia impossibile? u_u) ma il mio obbiettivo era sempre e solo uno... Sakura riesce ad amare solo Sasuke, realtà alternativa o meno.

Nella realtà parallela che Sakura vive tutto è “ideale” o, meglio, perfetto: lei vive con Sasuke, lui è ritornato a Konoha, regna la pace nel villaggio.

Troppo perfetto per essere vero.

Insomma, la domanda che mi sono posta è stata una: dove termina la realtà e dove inizia l'immaginazione?

Ecco perché alcune scene sono descrittive, talvolta in modo esagerato... Volevo che l'immaginazione fosse tanto reale quanto la realtà, semplicemente.

Stendere questa fan fiction è stato assai difficile, non potete capire quanto mi ha distrutta. Ero arrivata anche io a provare le stesse angosce di Sakura, a sentire la sua sofferenza... Insomma, se vi dico che mi sono immedesimata vi mento, questa storia mi ha totalmente assorbita.

Alla fine, però, Sakura è una persona realista: capisce che tutto quello che ha vissuto è stato prodotto dalla sua mente, lo comprende in particolare quando Sasuke le offre volontariamente la kusanagi.

Comunque, l'ultima frase è tratta da “L'eleganza del riccio” di Muriel Barbery, uno dei miei libri in assoluto preferiti. Un libro che amo, poiché è filosofico – d'altronde, è stato scritto da una docente di filosofia – e introspettivo, mi ha fatto piangere ç_ç.

Grazie a tutti per aver letto – oltre la fic, anche questo sermone XD.


Kiki.



   
 
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