Il suo nascondiglio era ricoperto di ritagli di giornale.
Ricordi di ogni omicidio commesso strisciando nella notte come un predatore
silenzioso.
Sul volto occhi da folle e ghigno malvagio a distorcergli la bocca: la maschera
della crudeltà.
Sceglieva la sua vittima, adempieva al suo compito, e poi il nome di questa
diveniva soltanto un altro ritaglio di giornale attaccato alle pareti.
It’s the me that I let you know, ‘cause I never show. I have my reason.
Ingannava le sue vittime?
Faceva in modo che si fidassero?
Cercava una buona ragione per ucciderle?
-Stop!
Il regista mise fine alla ripresa, ed insieme ad essa ai pensieri di Quinn.
Pensieri che lo avevano inquietato alquanto; aveva avuto quasi paura.
Per un istante non era più riuscito a vedere tutto come una finzione, ma quella voce aveva messo fine a tutto restituendogli il suo
Bert.
Quinn si allontanò dal set, concedendosi un caffè ed una sigaretta; aspirava
con calma ogni boccata, cercando di rilassare i nervi.
Il cantante era a suo agio sulla scena -pensò- forse anche troppo. E si fece in
strada in lui il timore che fosse quello della scena il vero Bert. Fu scosso da un tremito di
paura: non poteva essere quello, no.
Una ragazza dello staff venne a chiamare il chitarrista: dovevano girare la
scena della performance.
Quinn la girò non riuscendo a staccare gli occhi da Bert:
ogni secondo che passava si stupiva di più su quanto il cantante sembrasse nel
posto giusto per lui.
Finite le riprese tornarono in albergo; appena raggiunta la stanza che divideva
con Bert, Quinn si tuffò sotto la doccia, sperando
che almeno l’acqua calda riuscisse ad allentare la tensione che si sentiva
addosso.
Passò poco tempo prima che il cantante lo raggiungesse dentro il box: lo
strinse da dietro ed iniziò a lasciare baci e piccoli morsi sulle spalle di
Quinn, che si voltò per baciarlo.
Fu solo un attimo – o forse un allucinazione: un lampo folle negli occhi di Bert e un ghigno feroce sulle labbra.
Mormorando qualche scusa a mezza bocca uscì velocemente dal box, si mise un
telo legato intorno alla vita e con un secondo asciugamano iniziò a strofinarsi
i capelli ormai tornati castani.
Aveva bisogno di una lunga e rigenerante
dormita: era stanco e la sua testa gli faceva brutti scherzi.
Si mise addosso i primi vestiti che trovò e, uscito sul piccolo balconcino
della stanza, si accese una sigaretta.
Fuori era già buio, l’ora di cena era già più che passata ma a Quinn non lo
scuoteva il minimo accenno di fame. Si sentiva anzi lo stomaco annodato.
Finì la sigaretta e si andò a mettere direttamente sul letto.
Il cantante uscì dal bagno e chiese all’altro ragazzo se sarebbe sceso a cena;
alla risposta negativa di Quinn, quello, finito di vestirsi, uscì dalla stanza
annunciando che gli avrebbe portato comunque qualcosa da mangiare –sapeva che
all’ex biondo veniva fame a qualsiasi ora del giorno e della notte.
Quando Bert rientrò, poco più di un ora dopo, trovò
Quinn già profondamente addormentato.
Posò la barretta di cioccolato che aveva comprato sul comodino e, senza neanche
cambiarsi si sdraiò accanto al suo ragazzo e lo strinse, aspettando che il
sonno prendesse anche lui.
Quinn è a casa.
E’ notte.
Fa caldo.
Va in bagno a sciacquarsi la faccia con l’acqua fredda; c’è una figura dietro
di lui.
La vede di sfuggita riflessa nello specchio.
Non riesce a riconoscerla: il suo volto è una maschera.
Ha paura.
Si volta.
Dietro di lui il vuoto.
Si stende sul divano.
Una porta si apre.
Sente dei passi.
Non ci bada.
Una lama ora gli preme sulla gola.
Apre gli occhi terrorizzato: non c’è nessuno.
Si porta una mano al collo: non c’è nulla.
Richiude gli occhi.
Di nuovo sente del freddo metallo poggiarsi sulla sua carne.
Riapre gli occhi: davanti a lui un ghigno. La maschera dello specchio.
Riconosce Bert.
Il cantante muove le labbra, ma nessun suono esce dalla sua bocca.
Quinn si ritrae spaventato: la lama lo segue.
Sangue macchia i vestiti dell’altro. Quinn vorrebbe chiedere di chi è, ma un
tremito lo ferma.
Il metallo scivola più a fondo nella sua pelle, liquido rosso inizia a
sgorgare.
La lama sprofonda ancora..
Si svegliò gridando, bagnato di sudore freddo.
Il cantante preoccupato cercava di calmarlo, di stringerlo, ma Quinn sfuggiva
al suo contatto.
Bert si alzò e gli portò un bicchiere d’acqua.
Quello lo prese e bevve avidamente, cercando di calmare il battito cardiaco con
scarsi risultati.
Il moro cercò ancora di stringerlo a sé e calmarlo, e questa volta Quinn non si
oppose.
Si nascose nel petto dell’altro e rimasero così, confortati l’uno dal calore
dell’altro finchè il chitarrista non ruppe il
silenzio.
-Tu mi faresti mai del male?- chiese con voce tremante.
-Cosa? Quinn, ma come diavolo ti vengono in mente cose del genere?
-Mi prometti che non mi feriresti mai?
-Non posso farlo, mi dispiace- Bert sentì l’altro
irrigidirti tra le sue braccia, ma continuò –non posso prometterti di essere
sempre perfetto, non posso prometterti che non ti ferirò mai perché è possibile
che lo faccia. Posso prometterti che farò il possibile e l’impossibile per non
farlo, e posso prometterti che mai ti farò del male volontariamente. Posso
prometterti che ci sarò sempre per te, qualunque cosa accada. Posso prometterti
che sarò al tu fianco finché mi vorrai. E posso prometterti che farò di tutto
per renderti sempre felice. Di più non posso fare piccolo, mi dispiace.
Quinn increspò le labbra in un piccolo sorriso, facendosi più piccolo tra le
braccia dell’altro. Nonostante questo, però, non riusciva a smettere di
tremare.
Bert gli chiese perché avesse urlato, e lui iniziò a
raccontare l’incubo.
Quando finì Bert scoppiò in una fragorosa risata, poi
si scusò con il suo amato. Non voleva ridere, ma l’idea che lui potesse anche
solo pensare di ucciderlo era davvero paradossale. E glielo disse.
Quinn parve rilassarsi leggermente, quando Bert riprese
a parlare : -Ti amo, lo sai questo?
L’altro annuì, lo baciò e poi riuscì finalmente a riprendere sonno.
Qualche giorno dopo arrivò alla band la comunicazione che il video era pronto,
montaggio incluso.
Si sedettero a guardarlo tutti e quattro insieme, e non appena sullo schermo
apparve l’immagine di Bert, Quinn sì irrigidì e cercò
la mano del suo ragazzo, che la strinse forte accarezzandogli piano il dorso di
questa.
Il risultato era grandioso, tutti erano soddisfatti. Anche Quinn doveva
ammettere che era un gran bel video.
Quando tutto finì Bert gli sorrise dolce e
rassicurante, e lo baciò ripetendogli ancora che l’amava.
Qualche anno dopo Quinn era sdraiato sul divano dell’appartamento che divideva
con Bert, aveva un po’ di febbre quindi era rimasto a
casa mentre il suo uomo era andato a fare la spesa.
Allungò stancamente la mano verso il telecomando e sintonizzò su un canale di
musica. Passavano una qualche canzone che non conosceva, probabilmente qualche
nuova band.
Quando quel video finì, Quinn ne vide iniziare un altro più familiare. Sorrise.
Era un vecchio video, negli anni che erano passati ne avevano fatti altri ma
mai nessuno lo aveva inquietato quanto quello.
A distanza di tempo riuscì a vederlo a mente fredda, e doveva ammettere che era
davvero fantastico.
Bert aveva interpretato in modo eccellente la sua
parte: sì, la parte.
Quinn ora sapeva che Bert non gli avrebbe mai fatto
del male.
Sorrise piano e prese a giocare distrattamente con la fede che adornava il suo
anulare, fino a che non sentì la porta di casa aprirsi e la voce del suo
coinquilino urlare un: “ti ho portato la cioccolata, prova a non mangiare
perché dici di essere grasso e giuro che ti ingozzo”.
Sempre la solita finezza.
Ridacchiò piano e si accucciò meglio sotto il plaid aspettando che il suo uomo
lo raggiungesse.