Mi sembra impossibile che sia passato solo un giorno da quando ho scritto l’ultima volta,
sono
accadute talmente tante cose.
La
scalata fino alla vetta, la valanga che mi ha
trascinato via, la ferita alla testa.
Ma l’unica cosa a cui riesco a pensare è quello che è successo con Fanny.
Non
capisco cosa posso aver fatto di sbagliato per farle
cambiare così atteggiamento e, soprattutto, cosa abbia rotto
lo strano
incantesimo che ci permetteva di comprenderci a vicenda.
Il nostro incontro è la cosa più bella che mi sia mai accaduta e quella giovane Fenice è la creatura più spettacolare, più magica, più affascinante che io abbia mai visto.
Ne sono rimasto incantato dal primo momento, è stato un colpo di fulmine.
Se
Fanny fosse un essere umano
penserei di essermi
innamorato.
Non mi sentivo così da quando conobbi
Gellert: provo di nuovo lo stupore di trovare un’anima
affine, la gioia di
scoprire di non essere solo.
Purtroppo
provo anche il dolore dell’abbandono e il
senso di tradimento di un anno fa, quando tutto mi è
crollato intorno.
Dopo
quello che è successo ad Ariana, quando
finalmente ho aperto gli occhi su di lui, non avrei mai cercato di
ritrovare
Gellert o di rivederlo, ma questa volta è diverso.
Sento di
dover rivedere Fanny, parlarle, cercare di capire cosa ci è
successo, me lo
sento nelle ossa, nella testa, è come se il suo verso
addolorato mentre volava
via mi risuonasse ancora nelle orecchie, lasciandomi in bocca il gusto
amaro di
una fiducia tradita.
Ora
ho bisogno di riposare per recuperare le forze,
ma domani … domani cercherò in tutti i modi di
trovarla, dovessi anche
esplorare tutto il monte Everest!
Mi
sembrano ore che sono in volo, volevo tornare
subito al nido ma non ce l’ho fatta.
Non
sono proprio riuscita ad andarmene prima di
vedere Albus al sicuro.
Mi
sono detta che è normale: in fondo non l’ho
salvato dalla neve per vederlo precipitare in qualche crepaccio, eppure
in
fondo so che non è così.
Non
riesco a smettere di spiare nella sua tenda, è
molto tempo che traccia segni con una penna d’aquila su una strana superficie
che sembra una pelle.
Fino
a poco fa aveva lo sguardo triste ma ora sembra
più sereno, deciso.
Forse domani scenderà a valle e tornerà da dove è venuto, nel suo mondo umano e infido.
Eppure,
mentre parlavamo, mi sembrava di potermi
fidare di lui, mi pareva quasi di conversare con uno dei miei fratelli
di nido,
qualcuno che poteva capirmi, qualcuno cui dare fiducia, qualcuno che mi
amasse.
Invece
è solo un umano!
E ora non capisco nemmeno più quando parla, l’ho sentito chiamare a lungo dopo essermi nascosta, credo cercasse me. Ma io non ho sentito il mio nome, solo dei versi sgraziati e incomprensibili.
Che
mi abbia
ingannata con la sua magia?
Ma
era davvero ferito e sono stata io ad avvicinarmi
non lui.
Non
capisco, non capisco proprio!
La notte scese sui monti e, mentre Albus spegneva la luce per riposare fino all’alba,
Fanny si accovacciò su una roccia, una cinquantina di metri sopra di lui e nascose il capo sotto un’ala,
addormentandosi
all’istante stremata e sognando i suoi sogni
da Fenice.