Mattoni gialli
« Tu mi mancherai più di tutti. »
Dorothy
allo Spaventapasseri, Il mago di Oz (1939)
Non lontano dalla
fattoria di zio Henry e zia Emma c’è un campo di grano.
Non ci
aveva mai dato troppo peso, prima. Il
Kansas le è sempre sembrato un posto grigio, tutto uguale, freddo in
certi casi e in certi momenti. Oh, è la sua casa, certo, e lei adora il
suo paese per questo. Perché è il suo posto. Ma in qualche modo, già allora sentiva che c’era
dell’altro – un mondo al di là dell’arcobaleno.
Poi c’è
stato quel sogno, e lei ha oltrepassato l’arcobaleno e ha visto tutti
quei colori.
Da quando
si è svegliata non è cambiato molto. È tornata alla vita
in cui è cresciuta, la vita che ha amato e che forse ora ama anche un
poco di più. Soltanto, il grigio si è fatto un po’ meno
freddo, e soprattutto si è accorta di quel campo di grano.
È
stato in un pomeriggio d’estate, uguale a tantissimi altri, che si
è fermata per la prima volta da quelle parti e si è accorta dei
corvi. Beccavano rumorosi e indisturbati e hanno attirato l’attenzione di
Totò, che si è fermato ai bordi del recinto con le orecchie ritte
e la lingua di fuori, aspettando tacitamente un consenso di lei. Si è
concessa un rapido sguardo intorno e una manciata di esitazioni, ma poi glielo
ha dato, quel consenso, e Totò è schizzato tra i corvi abbaiando
e guaendo, quasi volteggiando nel dissolversi veloce di lucide piume nere,
felice come un cucciolo alla sua prima caccia.
È
stato quel giorno che ci ha ripensato, dopo tanto tempo, e che si è
accorta di sentire la sua mancanza.
« Se ne sta
seduta in quel campo per ore e ore. Cosa diavolo le passerà in quella
testolina svagata, proprio non lo capisco. »
Zia
Emma e zio Henry non possono capire, perché non ci hanno mai creduto. Non
hanno mai ascoltato.
Ma lei,
lei ricorda ancora il suono della sua voce, della sua risata allegra; ricorda
che lui è stato il primo a
percorrere con lei il sentiero dorato, e ricorda la sensazione friabile che ha
avvertito sotto le dita quando lo ha sfiorato per l’ultima volta. Ricorda
come le è scivolato via, in tutti i sensi.
Lo ricorda
come se quel sogno l’avesse fatto solo ieri notte.
Per questo
motivo, per continuare a ricordare, ogni giorno se ne sta lì seduta tra
le spighe dorate a tenere lontani i corvi, lavorando di ago e filo con pezzi di
stoffa e mucchi di paglia.
È
quasi una settimana ormai che il suo lavoro prosegue.
Oggi
ha finito. Oggi fa un passo indietro e guarda con occhio critico il prodotto
degli ultimi giorni.
Non gli
somiglia molto: è impossibile riprodurre fedelmente un ricordo. Specie il
ricordo di un sogno. Eppure, se lo guarda bene, quel fantoccio senza vita con
un sorriso dipinto, riesce a trovarci qualcosa di lui e di quel suo essere
così saggiamente senza cervello.
Il tramonto
disegna lunghe ombre scure oltre le punte delle sue scarpette rosse. Si accorge che
è ora di rientrare. Dà ancora un ultimo sguardo a quel povero
riflesso di un posticino del suo cuore e sorride; poi bisbiglia poche parole
già dette, che questa volta si perdono inascoltate nella brezza di
luglio.
«
Non essere sciocco, Totò. Gli spaventapasseri non parlano…
»
Il cane,
accucciato sotto il pupazzo, la guarda con i suoi piccoli occhi intelligenti, come
se condividesse la sua memoria. Poi si alza, stira le zampe, fa uno sbadiglio
ed esce dal campo trotterellando verso casa.
Lei
recupera il cestino con i rocchetti di filo ed il resto, prima di seguirlo
sulla strada per la fattoria. Si volta un paio di volte per assicurarsi che i
corvi siano ancora lontani. Nella luce rossa del sole, il sorriso dipinto dello
spaventapasseri sembra un po’ più accentuato, un po’
più vivo, un po’ più reale.
Dorothy
Gale ritorna ancora una volta alla sua vita, nel Kansas, lasciandosi quel sogno
alle spalle con la consapevolezza che non lo dimenticherà mai. Mentre le
sue scarpette rosse percorrono piano piano la strada
sterrata, sotto i piedi ha l’impressione che invece della dura terra scorrano
i cari vecchi mattoni gialli.
Somewhere over the rainbow skies are blue
And the dreams that you dare to dream really do come
true
Spazio dell’autrice
Il mago di Oz è
praticamente l’unico caso mai riscontrato nella mia vita in cui un film
mi sia piaciuto più del relativo libro da cui fosse tratto xD In particolare, ho adorato il modo in cui il rapporto
tra Dorothy e lo Spaventapasseri – ma questo vale anche per l’Uomo
di latta ed il Leone – fosse molto più accentuato, e in certe occasioni
umanizzato, nella pellicola. Quella frase che ho riportato prima della storia mi
fa pensare ogni volta che tra quei due ci sia qualcosa di non detto, che va al
di là del semplice aver condiviso un’avventura; più o meno
è la stessa cosa che mi ispirano Alice e il Cappellaio Matto. *-*
Ho esitato
a lungo prima di scrivere su questo fandom, ed ora
che ho rivisto il film a distanza di anni ero troppo ispirata per lasciar
perdere. Spero che questa cosuccia possa piacere a qualcuno.
* Il
nome del cagnolino di Dorothy è Toto nella versione originale;
però il più italiano Totò mi fa troppa tenerezza, così
ho scelto di usare quello.
* La
presenza delle scarpe rosse è un altro modo di Dorothy per ricordare la
sua avventura nel regno di Oz. Ovvio che non sono le
stesse scarpe del ‘sogno’ ;)
* La
frase da lei pronunciata è quella che nel film introduce il suo
primissimo dialogo con lo Spaventapasseri.
* I
versi finali sono tratti dalla canzone Somewhere over the rainbow, ovviamente
tratta a sua volta dal film nella versione originale di Judy Garland.
Hope you liked it. God bless you <3