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Autore: Feel Good Inc    17/08/2010    2 recensioni
È stato in un pomeriggio d’estate, uguale a tantissimi altri, che si è fermata per la prima volta da quelle parti e si è accorta dei corvi.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dorothy Gale, Totò
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Follow the yellow brick road'
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Mattoni gialli

 

 

 

 

 

 

« Tu mi mancherai più di tutti. »

Dorothy allo Spaventapasseri, Il mago di Oz (1939)

 

 

 

Non lontano dalla fattoria di zio Henry e zia Emma c’è un campo di grano.

Non ci aveva mai dato troppo peso, prima. Il Kansas le è sempre sembrato un posto grigio, tutto uguale, freddo in certi casi e in certi momenti. Oh, è la sua casa, certo, e lei adora il suo paese per questo. Perché è il suo posto. Ma in qualche modo, già allora sentiva che c’era dell’altro – un mondo al di là dell’arcobaleno.

Poi c’è stato quel sogno, e lei ha oltrepassato l’arcobaleno e ha visto tutti quei colori.

Da quando si è svegliata non è cambiato molto. È tornata alla vita in cui è cresciuta, la vita che ha amato e che forse ora ama anche un poco di più. Soltanto, il grigio si è fatto un po’ meno freddo, e soprattutto si è accorta di quel campo di grano.

È stato in un pomeriggio d’estate, uguale a tantissimi altri, che si è fermata per la prima volta da quelle parti e si è accorta dei corvi. Beccavano rumorosi e indisturbati e hanno attirato l’attenzione di Totò, che si è fermato ai bordi del recinto con le orecchie ritte e la lingua di fuori, aspettando tacitamente un consenso di lei. Si è concessa un rapido sguardo intorno e una manciata di esitazioni, ma poi glielo ha dato, quel consenso, e Totò è schizzato tra i corvi abbaiando e guaendo, quasi volteggiando nel dissolversi veloce di lucide piume nere, felice come un cucciolo alla sua prima caccia.

È stato quel giorno che ci ha ripensato, dopo tanto tempo, e che si è accorta di sentire la sua mancanza.

« Se ne sta seduta in quel campo per ore e ore. Cosa diavolo le passerà in quella testolina svagata, proprio non lo capisco. »

Zia Emma e zio Henry non possono capire, perché non ci hanno mai creduto. Non hanno mai ascoltato.

Ma lei, lei ricorda ancora il suono della sua voce, della sua risata allegra; ricorda che lui è stato il primo a percorrere con lei il sentiero dorato, e ricorda la sensazione friabile che ha avvertito sotto le dita quando lo ha sfiorato per l’ultima volta. Ricorda come le è scivolato via, in tutti i sensi.

Lo ricorda come se quel sogno l’avesse fatto solo ieri notte.

Per questo motivo, per continuare a ricordare, ogni giorno se ne sta lì seduta tra le spighe dorate a tenere lontani i corvi, lavorando di ago e filo con pezzi di stoffa e mucchi di paglia.

È quasi una settimana ormai che il suo lavoro prosegue.

Oggi ha finito. Oggi fa un passo indietro e guarda con occhio critico il prodotto degli ultimi giorni.

Non gli somiglia molto: è impossibile riprodurre fedelmente un ricordo. Specie il ricordo di un sogno. Eppure, se lo guarda bene, quel fantoccio senza vita con un sorriso dipinto, riesce a trovarci qualcosa di lui e di quel suo essere così saggiamente senza cervello.

Il tramonto disegna lunghe ombre scure oltre le punte delle sue scarpette rosse. Si accorge che è ora di rientrare. Dà ancora un ultimo sguardo a quel povero riflesso di un posticino del suo cuore e sorride; poi bisbiglia poche parole già dette, che questa volta si perdono inascoltate nella brezza di luglio.

« Non essere sciocco, Totò. Gli spaventapasseri non parlano… »

Il cane, accucciato sotto il pupazzo, la guarda con i suoi piccoli occhi intelligenti, come se condividesse la sua memoria. Poi si alza, stira le zampe, fa uno sbadiglio ed esce dal campo trotterellando verso casa.

Lei recupera il cestino con i rocchetti di filo ed il resto, prima di seguirlo sulla strada per la fattoria. Si volta un paio di volte per assicurarsi che i corvi siano ancora lontani. Nella luce rossa del sole, il sorriso dipinto dello spaventapasseri sembra un po’ più accentuato, un po’ più vivo, un po’ più reale.

Dorothy Gale ritorna ancora una volta alla sua vita, nel Kansas, lasciandosi quel sogno alle spalle con la consapevolezza che non lo dimenticherà mai. Mentre le sue scarpette rosse percorrono piano piano la strada sterrata, sotto i piedi ha l’impressione che invece della dura terra scorrano i cari vecchi mattoni gialli.

 

 

Somewhere over the rainbow skies are blue

And the dreams that you dare to dream really do come true

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio dell’autrice

 

Il mago di Oz è praticamente l’unico caso mai riscontrato nella mia vita in cui un film mi sia piaciuto più del relativo libro da cui fosse tratto xD In particolare, ho adorato il modo in cui il rapporto tra Dorothy e lo Spaventapasseri – ma questo vale anche per l’Uomo di latta ed il Leone – fosse molto più accentuato, e in certe occasioni umanizzato, nella pellicola. Quella frase che ho riportato prima della storia mi fa pensare ogni volta che tra quei due ci sia qualcosa di non detto, che va al di là del semplice aver condiviso un’avventura; più o meno è la stessa cosa che mi ispirano Alice e il Cappellaio Matto. *-*

Ho esitato a lungo prima di scrivere su questo fandom, ed ora che ho rivisto il film a distanza di anni ero troppo ispirata per lasciar perdere. Spero che questa cosuccia possa piacere a qualcuno.

 

* Il nome del cagnolino di Dorothy è Toto nella versione originale; però il più italiano Totò mi fa troppa tenerezza, così ho scelto di usare quello.

* La presenza delle scarpe rosse è un altro modo di Dorothy per ricordare la sua avventura nel regno di Oz. Ovvio che non sono le stesse scarpe del ‘sogno’ ;)

* La frase da lei pronunciata è quella che nel film introduce il suo primissimo dialogo con lo Spaventapasseri.

* I versi finali sono tratti dalla canzone Somewhere over the rainbow, ovviamente tratta a sua volta dal film nella versione originale di Judy Garland.

 

Hope you liked it. God bless you <3

   
 
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