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Autore: Eternal Fantasy    13/10/2005    6 recensioni
Daimonon Eugenichè Pentakis: Hellmaster strikes back!
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hellmaster Phibrizio, Personaggio originale
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Thanatos

Scritta da Eternal Fantasy

 

 

 

Il bambino camminava con passo disinvolto tra gli alberi spogli del bosco, calciando ogni tanto le foglie morte che ricoprivano come un caldo mantello il terreno sotto la coltre di neve fresca; era ancora autunno, ma tra quelle colline il clima era già nella morsa di Fratello Inverno. Pochi esemplari della fauna sfidavano il prematuro arrivo del freddo, per cui fu molto sorpreso di udire, a poca distanza, rumori prodotti senza dubbio da un essere umano. Incuriosito, s’avvicinò.

In una piccola radura, un ragazzo sedicenne dai corti capelli corvini che spiccavano sulla carnagione pallida incideva segni sulla corteccia degli alberi con un coltello. S’accorse subito della presenza tra gli alberi, e si voltò a fronteggiare il nuovo arrivato; i suoi occhi, neri quanto i capelli, possedevano un’espressione cupa, colmi di una misteriosa, inquietante pensosità, in quel momento non priva di minaccia.

Il bambino però non parve intimidito, e sorridendo gli si avvicinò osservando le rune che l’altro aveva scolpito, rossi sfregi stillanti lacrime di resina.

“Perché incidi maledizioni su questi alberi?” chiese innocentemente, la curiosità che illuminava i chiari occhioni verdi.

Il ragazzo lo ignorò, e tornò con seria determinazione al proprio compito. Trascorsero alcuni minuti di completo silenzio, lo sguardo del bambino cocciutamente fisso sul ragazzo più grande, finché quest’ultimo rispose, con tono brusco: “Quando nacqui, fui esposto in questo luogo.”

Era un’usanza tristemente diffusa: le famiglie più povere di quei luoghi selvaggi, non potendo sfamare i figli, li abbandonavano; tale sorte era destinata anche ai neonati frutto di relazioni illecite.

“Per questo il bosco è maledetto? Perché qui ti hanno abbandonato?” chiese distrattamente il bambino, osservando attentamente quei segni netti e profondi, rivelatori di dolore e rabbia.

“No” sentenziò il ragazzo, un oscuro rancore sepolto nella sua voce fredda “è maledetto perché qui mi hanno trovato e salvato.”

Il pesante silenzio che seguì fu interrotto dal bimbo, che trillò con voce allegra la sua richiesta di accompagnarlo al villaggio.

“Perché vuoi andarci?” borbottò sepolcrale l’altro.

“Beh… non che ci sia molto di meglio in giro… alberi, foglie morte, neve, qualche animaletto, la neve, cespugli, neve, un gufo, la neve, qualche roccia… ho detto la neve?”

Il ragazzo per la prima volta lo guardò dritto negli occhi; disse soltanto “Segui il puzzo di morte” e se ne andò senza voltarsi né aspettarlo.

Il bambino dai capelli neri sorrise misteriosamente, poi si rimise in cammino.

 

Quel villaggio non aveva assolutamente nulla di speciale. Identico a cento altri anonimi villaggi umani della Penisola dei Demoni, luoghi dimenticati dal tempo, tanto insignificanti da non essere coinvolti neppure dalle grandi battaglie della Kouma Sensou che da anni stavano sconvolgendo il mondo.

Il bambino sbuffò annoiato e decise come ultima risorsa di recarsi al tempio del villaggio, presso il quale si trovava la scuola; gli era stato detto dagli abitanti che lì si insegnava anche la magia… e desiderava scoprire a che livelli, sebbene non si aspettasse granché da un luogo così fuori dal mondo. Fu il maestro a soddisfare la sua affettata curiosità, con la divertita condiscendenza che gli adulti riservano ai bambini quando fanno domande di cui credono non capiscano il reale significato. Le informazioni che ottenne non si discostavano da ciò che già ipotizzava; decise quindi di piantare in asso quell’idiota con una scusa, quando egli si lasciò sfuggire un accenno interessante. Uno dei suoi allievi appariva straordinariamente dotato, passava le giornate a studiare i testi della biblioteca e aveva appreso con straordinaria rapidità e talento tutti gli incantesimi che lui ed altri maestri potevano insegnargli; lui stesso ammetteva di non poterne valutare il potenziale magico, che superava l’esperienza di un umile insegnante di campagna come lui.

Il ragazzino allora espresse con entusiasmo il desiderio di conoscerlo, ma il maestro cercò di dissuaderlo: quella persona aveva un pessimo carattere, chiuso e scontroso; nessuno riusciva ad instaurare con lui un qualsiasi legame, e la sua lingua tagliente impediva qualunque tentativo di dialogo pacifico. Ma dato che il piccolo non demordeva, il maestro s’arrese alla sua insistenza e decise di fare un ennesimo tentativo col suo allievo più dotato e intrattabile.

Il bambino non fu sorpreso nello scoprire che il famigerato individuo non era altri che il ragazzo dagli occhi neri come l’abisso.

“Hiro, ti va di fare quattro chiacchierare col tuo peggior nemico?” esordì con ironica allegria il maestro.

L’interpellato piegò le proprie labbra sottili in un ghigno e rispose acido: “Non sopravvalutarti. Non sei certo tu che definirei il mio ‘peggior nemico’.”

“Mi fa piacere saperlo” sorrise il maestro; sorriso che scomparve subito davanti all’espressione di malcelato disprezzo che lesse negli occhi spietati dell’altro. Proseguì con tono ben più amaro: “e mi dispiace per te, perché ciò significa che hai problemi ben più gravosi del sottoscritto. Io invece mi ritengo fortunato: TU sei il peggio che mi sia mai capitato.” Concluse con un pallido sorriso.

Hiro lo soppesò con sguardo sardonico: “Non esserne tanto sollevato. Non hai idea di quanto sia, questo *peggio*.”

“Ti ritieni tanto terribile?”

L’altro stiracchiò le labbra in un tetro sorrisetto saputo: “Forse definirmi ‘il peggio che possa mai capitarti’ non corrisponde a verità… ma credimi, ci va dannatamente vicino.”

Voltò le spalle all’uomo rimasto impietrito e ignorandolo completamente se ne andò.

 

Il bambino, ridacchiando divertito, decise che quel ragazzo era davvero molto interessante; voleva scoprire di più su di lui, così lo seguì. S’intrufolò di soppiatto in biblioteca, nascondendosi sotto un tavolo vicino a quello dove Hiro stava seduto, circondato da pile di libri dai titoli complicati, immerso nella lettura di un tomo straordinariamente grosso e noioso.

Per mezz’ora non accadde nulla: Hiro non cambiò neppure espressione del volto, completamente concentrato nella lettura con la terrificante determinazione che lo caratterizzava e lo portava ad escludere tutto ciò che non rientrasse nel suo interesse. Il bimbo dagli occhi verdi cominciò a pensare di andarsene, ma cambiò idea nel vedere un anziano monaco avvicinarsi temerario all’oggetto della sua attenzione. Pregustando un’altra succulenta tenzone verbale, s’avvicinò il più possibile, con un sorriso d’aspettativa sulle labbra e una luce famelica negli occhi verdi che avevano accantonato l’innocenza per brillare di una luce sinistra.

Ascoltò annoiato le esortazioni pedanti e spazientite del vecchio prete sulla necessità di aprirsi agli altri, di amare il prossimo, di socializzare con le persone… finché la logorroica predica non venne bruscamente interrotta dal tonfo del libro, chiuso violentemente.

Tutte le argomentazioni trite e stantie del sacerdote s’infransero come vetro contro i diamanti neri degli occhi di Hiro, roventi di rabbia e velenosi di disprezzo; la misura era colma, l’acido che ribolliva nell’anima del ragazzo ruppe gli argini del riserbo e del rispetto, vomitando tutto l’odio senza confini che covava negli abissi del suo animo:

“Persone? Coloro che mi circondano non sono che cadaveri ambulanti, morti nemmeno consapevoli di esserlo. Carne debole destinata nel giro di pochi anni ad essere divorata dai vermi, anime che neppure sanno apprezzare la fuggevole luce a loro concessa prima di sprofondare nella tenebra eterna.”

Le guance del vecchio divennero rubizze di collera e farfugliando come un tacchino spennato ribatté con sdegno: “Anche tu sei umano!”

Lo sguardo di Hiro non mutò, non mitigò in nulla il suo astio rancoroso:

“Si. E odio me stesso per questo. Così io passo il tempo aspettando la morte, e assaporandone il gusto inebriante in ogni attimo della mia vita.”

Terrorizzato da quelle parole e da quegli occhi neri come la morte e cattivi come l’inferno, il vecchio fuggì colmo d’orrore.

Il bambino sorrise di nuovo.

 

Lo attese al varco, appoggiato al muro accanto alla porta della biblioteca. Quando Hiro uscì, senza guardarsi attorno, il ragazzino gli si affiancò e l’apostrofò allegramente:

“Lo sai che ti fa male alla pressione se continui a sopperire i tuoi istinti omicidi?”

Hiro non lo degnò di uno sguardo; senza rallentare il passo deciso dall’ampia e rapida falcata, replicò seccamente:

“Và a dormire e, se possibile, domattina vedi di svegliarti MORTO!”

L’altro sbuffò, costretto ad accelerare il passo cercando di non restare indietro:

“Perché sei sempre così drastico??”

“Predisposizione naturale.” fu l’asciutta risposta.

Il ragazzino ridacchiò con un luccichio interessato negli occhi verdi:

“Tu sei uno di quelli che se sente odore di fiori guarda se c’è una bara, vero?”

Il ragazzo più grande si fermò di colpo, facendo andare a sbattere l’altro contro la sua schiena; con il suo solito ‘adorabile’ tono tra l’autoritario, il menefreghista e lo scazzato, decretò cinicamente:

“Se vogliamo giocare a farci del male, io so essere a questo gioco molto più bravo, e cattivo, di te.”

Il bambino scrollò il capo di capelli neri e divertito sbuffò:

“Ma smettila di essere così… così… così tanto dannatamente te stesso!”

Hiro, colpito da quelle parole, si voltò a guardarlo; per la prima volta lo vide *davvero*. E, sorprendentemente, un piccolo sorriso enigmatico ed indecifrabile si dipinse sulle sue labbra severe  e pallide.

 

“Viviamo a volte vite invisibili, che sono un nulla di fronte al mondo, ma che dentro di noi sono *il* mondo, un universo intero di emozioni, sensazioni, pensieri, forza… e morte.”

Il ragazzino dagli occhi verdi non replicò. Seduto su quel tetto al fianco di Hiro, osservava il sole che calava dietro le colline, tuffandosi in un mare di nubi rosse come il sangue. Gli umani superstiziosi dicevano che quello era il sangue dei Mazoku e dei Draghi che ogni giorno venivano uccisi in battaglia, e il sole era la luce che s’inabissava in un mare di tenebre, una notte senza fine; questa era la spiegazione che le loro menti limitate davano agli sconvolgimenti della Grande Guerra che si svolgeva lontano da quei miseri mortali.

A lui l’immagine invece piaceva molto, e avrebbe scommesso che piaceva anche a Hiro, sebbene lui avesse commentato sbuffando “L’incomprensibile è solo un pettegolezzo messo in giro dalla gente che non apprezza il linguaggio sublime.

Rimasero in silenzio a lungo, immersi nei rispettivi pensieri, ma non era un silenzio spiacevole. Dispiaciuto sembrò invece il bambino, quando annunciò, come risvegliandosi da un sogno:

“Devo andare via.” Il suo sguardo incontrò nuovamente quello scuro e misterioso di Hiro, e non riuscì a trattenere un sorriso ambiguo: “Sento però che noi due ci rivedremo molto presto.” Concluse sibillino.

Non distogliendo i suoi occhi intensi, l’altro annuì: “Ne sono certo. Questo villaggio è condannato.”

“A causa delle tue maledizioni?” scherzò il bambino.

“No, a causa MIA.” Hiro s’alzò e gli voltò le spalle, scendendo dal tetto: “D’altronde la distruzione di questo posto è proprio ciò che voglio.”

 

L’alba s’approssimava, quando Hiro tornò al villaggio.

Era rimasto fuori, nel bosco, per tutta la notte, nelle tenebre.

I suoi passi gli avevano fatto raggiungere le case più esterne, quando udì un gallo cantare. Se ne stava su una staccionata, arrogante ed orgoglioso della sua voce che forte risuonava nel silenzio, nelle ultime propaggini di un sonno che in sua assenza poteva sembrare senza risveglio.

Una lama emerse dalle tenebre della notte, impugnata da una mano pallida come i fantasmi che dimorano nei sogni che la popolano; e altrettanto spettrale fu la voce che l’accompagnò:

“Araldo del giorno, la tua canzone scaccia le ombre per aprire la terra alla luce… ma non sai che le ombre non scompaiono mai, si ritirano soltanto, la gente crede di dimenticarle… ma esse tornano più potenti che mai. E io sostituirò la mia canzone alla tua.”

Hiro afferrò il gallo, affondando nel suo petto dalle seriche piume la stessa lama con cui il giorno prima aveva impresso indelebilmente la sua maledizione… una condanna a morte.

Le sue mani impietose bloccarono ogni disperato tentativo di fuga, di lotta per una vita che scivolava via tra quelle dita forti e sottili, diafane e fredde come una pietra tombale.

Le rimirò soddisfatto infine, rosseggianti di sangue che appariva nero alla luce flebile di una falce di luna, cantando una lugubre nenia simile ad un requiem tra le ultime propaggini della notte.

“Perché nell’istante medesimo in cui ogni vita nasce, comincia a morire…”

 

L’attacco dei Mazoku svegliò il villaggio.

I Demoni appiccarono il fuoco alle case, ridendo alle urla di coloro che, intrappolati, ardevano vivi. Coloro che riuscivano a sfuggire alle fiamme, cadevano preda delle mostruose creature che sciamavano nelle strade: uomini e donne, vecchi e bambini, senza distinzione di sesso o età, venivano dilaniati, mutilati e uccisi davanti agli occhi dei loro cari, poco prima che venisse il loro turno. Urla di terrore e agonia mischiate ai gemiti dei morenti, pianti d’angoscia interrotti da risate sguaiate prive d’umanità. La neve sulle strade tinta di rosso sangue, impastata col fango e la cenere. Il fumo s’innalzava al cielo insieme alle preghiere inascoltate dagli Dei, impotenti davanti al trionfo del Re Nero.

Hiro assisteva da una terrazza alla strage. Il suo volto pallido risplendeva nel riverbero di quelle fiamme, pallide imitazioni di quelle che divampavano nel suo animo. Sulle sue labbra un sorriso appena accennato non rendeva giustizia alla possente emozione che lo scuoteva fin nelle più intime fibre del suo essere. Morte, Distruzione. Ad esse lui apparteneva. Le immagini di sangue e violenza si riflettevano nei suoi occhi d’ossidiana, restandovi prigioniere di quelle pupille dalle profondità infinite.

La sua meditazione venne interrotta dall’arrivo di alcuni demoni, che credendolo una facile preda ebbero la pessima idea di aggredirlo. Fu la loro ultima pessima idea.

Hiro non aveva con sé altro che il suo pugnale, la sua magia, e una discreta esperienza di risse; certo, quelli non erano i bulli del paese, ma proprio per questo Hiro fu soddisfatto alla prospettiva di poter fare sul serio. Almeno una dozzina di demoni minori rimasero cadaveri sul terreno, prima che il loro Signore in persona decidesse di farsi avanti a fronteggiare il temerario mortale.

Fibrizio Hellmaster gli rivolse il suo allegro sorriso di bambino, ma nei suoi occhioni verdi la luce dell’ingenuità infantile era stata sostituita dalla danza di ombre del mistico potere che apparteneva al Principe degli Inferi.

Hiro gli sorrise di rimando, un sorriso obliquo e consapevole:

“Ti aspettavo.”

“Non sembri sorpreso.” Commentò il Dark Lord “Ciò significa che il mio giudizio su di te era esatto, anzi, ti sei dimostrato addirittura superiore alle mie aspettative.”

Sorprendendo persino il Mazoku, che non riteneva quella creatura fiera e indomabile capace di simili gesti, Hiro s’inchinò a lui:

“Allora permettimi di diventare tuo seguace.”

Fibrizio malcelò un’espressione compiaciuta: “Perché questa richiesta? Temi forse che voglia ucciderti?”

“È la mia scelta. È ciò che desidero. Se intendi rifiutarla, uccidimi, e mi riterrò ugualmente soddisfatto.”

“Non rinuncerò di certo a un così promettente subordinato! Intendo fare di te un Demone Maggiore, il Demone della Morte, Guardiano del Terzo Cerchio del mio Regno degli Inferi. Ma prima, voglio un’ulteriore prova del tuo valore.”

“Ovvero?” domandò privo d’esitazione.

L’Hellmaster sorrise dispettoso: “Se te lo dicessi io sarebbe troppo facile! Dimostrami la tua tempra, provami che sei colui che cerco, e diverrai mio allievo!”

Hiro accettò.

 

“Io soltanto sarò l’artefice del mio destino.”

 

 

 

 

Nota dell’autrice:

Questo sarebbe dovuto essere l’inizio della lunga saga dedicata a Hiro e Harold, i miei personaggi originali, futuri Kurosuzaku no Shinigami e Midnight Hawk, Fenice nera e Falco, Demoni Maggiori degli Inferi, rispettivamente della Morte e degli Incubi. Su di loro ci sarebbe da scrivere per pagine e pagine, ma dato che probabilmente non lo farò mai, lascio al piacere dei lettori almeno l’inizio delle avventure di Hiro ^^

Ringrazio i miei beta-readers: Ilune, Hyl e KillKenny!

 

 

 

 

 

  
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