New York è la città per pensare
E’ la città del’individualismo e della
solitudine.
E’ la città dell’uomo.
La città dell’oggi.
La città del sempre, e quella del mai.
New York città della notte.
La città delle luci.
New York è la città del caos.
E’ la città del rumore.
E’ la città della musica a tutte le ore.
E’ la città delle seconde opportunità.
E’ la città della fuga da sé stessi.
Per questo, e non solo, si era andato lì a rifugiare.
« ..andare a vivere a New York.. »
« ..prendere un cane.. »
« Cani assolutamente no. Al massimo ti posso concedere un criceto »
« Ma..
La loro storia, se storia la vogliamo chiamare, era sempre stata così: a
due facce.
Dall’esterno sembravano solamente due in cerca del compagno di bevute e della
scopata post-concerto.
Loro stavano al gioco, lasciavano le lo credessero.
Eppure c’era l’altra faccia. Quella più dolce. Era quella fatta di baci rubati,
del tenersi la mano di nascosto e di restare stretti dopo aver fatto sesso. Era
la parte dei progetti per il futuro –fatti tanto per parlare, eh! ma nei quali,
in fondo, entrambi speravano.
« Niente ma Bert.
Qui sono io a decidere! »
Forse erano innamorati, o forse erano solamente sulla buona strada per caderci.
« Ma io voglio un cane!» protestò Bert, sembrava un bambino capriccioso. Ci mancava solamente
che iniziasse a sbattere i piedi.
Il maggiore intenerito si allungò per baciarlo, e quello non si tirò indietro.
Bert si svegliò di scatto.
Da quanto non lo sognava? E ora se lo ritrovava nei sogni per due notti di
fila. Non poteva soppottarlo.
Lentamente si alzò e si diresse verso la cucina per bere un bicchiere d’acqua.
Guardò fuori dalla finestra le luci di New York, e malinconicamente gli tornò
in mente il ricordo di tutti i progetti che avevano fatto.
Ci sarebbero dovuti andare a vivere insieme, a New York, e invece si era
ritrovato lì da solo.
Si sciacquò velocemente il viso, sperando così di riuscire a cancellare i
residui del sogno: ma l’odore della sua pelle, tornatogli alla memoria,
non ne voleva sapere di andarsene dalla sua testa. Si stupiva di come fosse
ancora in grado di ricordarlo: come se i mesi non fossero passati.
Con gli occhi chiusi cercò a tentoni l’asciugamano; lo trovò e quando si
asciugò restò fermo, con le mani appoggiate al bordo del lavandino, guardando
la sua immagine riflessa nello specchio.
Neanche l’acqua gelida era riuscita a cancellare le immagini ormai radicate
nella sua mente, troppo vivide.
Per un attimo Bert aveva creduto che, risvegliatosi,
avrebbe trovato accanto a sé Gerard ancora addormentato con i capelli che
ricadevano scombinati sul viso. Aveva immaginato perfettamente l’azione di
allungare la mano e spostarglieli dal viso, portandoglieli dietro l’orecchio,
solo per potersi perdere a contemplare il suo dolce viso, come aveva fatto
talmente tante volte da perderne il conto.
Ma quando aveva aperto gli occhi si era reso conto di essere solo, ancora. Come
sempre.
La mattina dopo verso le otto era già in piedi. Una bella doccia, e si preparò
ad uscire.
Aveva una riunione con la casa discografica, a proposito del loro nuovo album.
Era già tutto pronto, dovevano definire solamente gli ultimi dettagli.
Alla caffetteria sotto casa prese un caffè, e lo bevve durante il tragitto
verso l’enorme palazzo della Reprise: era circa una
mezz’ora a piedi, e lui aveva voglia di camminare.
Amava New York. Amava il suo clima freddo, amava camminare per le sue strade.
Amava che fosse una città viva, e, soprattutto, era affascinato dai suoi
abitanti: guardandoli cercava di capire chi fossero, dove fossero diretti; era
convinto che i tratti del loro viso potessero rivelare qualcosa di loro, e lui
cercava di cogliere quel qualcosa.
La riunione iniziò puntuale e un paio d’ore dopo uscirono di lì.
Bert salutò gli altri, e si diresse di nuovo verso
casa.
Faceva freddo, quasi rimpianse di essere uscito solamente con una felpa
addosso, ma i cappotti proprio non facevano per lui.
Durante il tragittò si imbatté nelle vetrine di un negozio di cd. Rimase un
attimo a fissare un cartellone pubblicitario.
My Chemical Romance, The Black Parade.
Vestiti tutti come facessero parte della parata. Gerard si era tinto i capelli
di bianco.
Bert sbuffò, si accese una sigaretta e passò oltre.
Il solito megalomane, pensò.
Fece pochi passi prima di urtare qualcuno: e fu allora che lo vide.
Il Warped
giungeva ormai a termine. Il loro rapporto andava avanti, ma ormai si
susseguivano solamente litigate, per non parlare delle ore da ubriachi,
La verità era che nessuno, sin da quando tutto aveva appena avuto inizio, aveva
pensato al dopo della loro relazione –se la vogliamo così chiamare.
Nessuno dei due si era reso conto che avrebbero, prima o poi, dovuto prendere
una decisione.
Entrambi stavano male per la cosa, ma erano troppo orgogliosi e testardi per
ammetterlo.
Nessuno dei due aveva la minima intenzione di mostrarsi debole di fronte
all’altro: preferivano bere e non pensare al fatto che il poco tempo rimastogli
se lo stavano lasciando sfuggire dalle dita.
E l’ultimo giorno, quando Gerard partì prima di averlo salutato, Bert si rese conto che era davvero finita, che era stata
una piacevole parentesi e che non avrebbe avuto alcun seguito.
Era rimasto nuovamente da solo, a prova del fallimento che era.
Già dai sedici anni aveva il destino segnato. Gerard gli aveva dato quel
briciolo di speranza –forse non era poi così male no? Forse non sarebbe rimasto
solo- e all’ultimo momento lo aveva buttato giù. Di nuovo.
Fanculo Gerard.
Di nuovo verde contro blu. Entrambi sorpresi e meravigliati.
Senza rendersi bene conto di quello che stava accadendo, in breve si
ritrovarono dentro uno starbucks.
Gli occhi del maggiore scesero sulla mano del minore, incontrando quel piccolo
cuoricino che lui aveva disegnato per gioco, e che l’altro si era fatto
tatuare.
Era ancora lì.
Che forse volesse dire che non tutto era perduto?
Ma l’atteggiamento di Bert, il suo restare distante
intendevano il contrario.
E fu allora che Gerard notò l’altra mano.
Un altro piccolo cuore. Nero. Spezzato.
Rialzò lo sguardo. Incrociò ancora gli occhi di Bert.
Abbozzò un sorriso, che il minore non ricambiò: continuava a guardarlo con
sguardo indifferente.
« Gerard, cosa vuoi? Perché questo stupido caffè? » chiese quindi quello,
voltando lo sguardo verso le grandi vetrate del locale che davano sulla strada
e guardando i passanti.
« Parlare con te. E’ finita in modo brusco, e mi dispiace. »
«Ok. Accetto le tue scuse. Contento? »
Bert si alzò: « Addio Gerard »
Uscì dal locale senza tornare indietro, e con un peso in meno sullo stomaco.
Forse, in fondo, aveva bisogno solo di questo: rivederlo. Per rendersi così
conto che in lui non era rimasta neanche la più remota traccia dell’uomo di cui
si era –forse- innamorato una volta.
Si accese una sigaretta e si diresse verso casa di Quinn, dove sapeva avrebbe
trovato tutti –ultimamente era sempre sfuggito da queste occasioni, preferendo
restare solo in casa sua.
Si ripromise, durante il tragitto, che li avrebbe ringraziati per tutto quello
che facevano per lui –era solo grazie a loro, si rese conto, che non si sentiva
un completo fallimento.
Sapeva che poi non lo avrebbe mai fatto, troppo orgoglioso, ma –ehi- le buone
intenzioni c’erano tutte. Ed è il pensiero che conta, no?