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Autore: Beeble    20/08/2010    2 recensioni
Una ragazza e un pianoforte.
L''amore e l'amicizia.
[Racconto scritto per partecipare al contest Ragazze al pianoforte indetto da Harriet sul forum di EFP]
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ho scritto questo racconto per partecipare al contest Ragazze al pianoforte indetto da Harriet sul forum di EFP.

Il video da cui ho tratto ispirazione è quello della canzone Fidelity di Regina Spektor che potete trovare a questo link

 

Il cristallo e la roccia

 

Entro nella mia nuova casa quando il sole ha già fatto capolino da un po’ sulla nostra città.

La casa nuova che dovevo dividere con lui.

Ma che ora è solo mia.

Il mobilio è quasi inesistente, o meglio c'è solo il necessario.

Ma di fronte a me c'è una parete bianca del salotto e davanti c'è un pianoforte a coda.

Parenti ad amici si erano accordati e tutti insieme ci avevano acquistato il pianoforte come regalo di matrimonio.

Invece io e lui un duetto su questo pianoforte non lo faremo mai...

Una rosa bianca è appoggiata sul piano nero.

Bianca come il mio vestito steso su una sedia: lungo, bello, quello dei miei sogni.

E non so se avrò la forza di spostarlo da lì.

Forse ingrigirà lì, ingrigirà per la solitudine, per il non amore, forse qualcuno lo sposterà per me.

Non so nemmeno chi l’abbia portato qui a dire il vero.

Se resterà sulla sedia almeno mi servirà da monito: non voglio più cadere con tutta me stessa nell’a­more.

Mi ero fidata di lui, gli avevo dato il mio cuore ed ero pronta a donargli la mia anima, la mia stessa vita.

Ma ieri sera lui mi chiama e mi dice solo: “Annulla tutto, mi dispiace, è colpa mia, non sono adatto alla fedeltà”.

Credo che abbia addirittura atteso una risposta, anche solo un singhiozzo, un insulto, una parola.

Ma non ho detto niente e dopo svariati secondi di silenzio ho chiuso la comunicazione.

Sessanta secondi per chiudere 4 anni insieme.

Un record immagino.

Mi sono seduta per terra e poi distesa a fissare le tavole di legno del soffitto della casa dove ho sem­pre vissuto.

Ma non ho pianto.

E intanto pensavo ad una canzone, l’unica le cui parole risuonano nella mia mente come mi appartenessero.

 


I never loved nobody fully                    Non ho mai amato nessuno appieno

Always one foot on the ground            Sempre un piede per terra

And by protecting my heart truly         e per proteggere veramente il mio cuore

I got lost in the sounds                      mi sono persa nei suoni

I hear in my mind all these voices       sento nella mia testa tutte queste voci

I hear in my mind all these words       sento nella mia testa tutte queste parole

I hear in my mind all this music           sento nella mia testa tutta questa musica

 

 

Pensavo così: forse avrei dovuto seguire solo la musica, le sue parole, le sue voci, le sue sfumature, senza innamorarmi di lui, lasciando un piede per terra.

Non ho pianto quando è arrivata mia mamma e non sono riuscita nemmeno a dirle perché stavo lì.

Non ho pianto nemmeno quando è arrivata Cecilia, la mia migliore amica, allarmata da mia mamma.

A lei sono riuscita a raccontare cos’era successo, ma non ho versato nemmeno una lacrima, mentre lei stava già piangendo.

Mi sono quasi sentita un’insensibile, ero di una freddezza che ha fatto paura non solo agli altri, ma persino a me stessa.

Tutti erano preoccupati: io non piangevo, non urlavo, non suonavo nemmeno il pianoforte e non esprimevo assolutamente nulla.

Loro non capivano, come non capivo io.

Era troppo presto, ma ora, qui, ho capito il perché: come un uccello in volo, mi trovavo così ad alta quota, così sicura che non ho ancora toccato il suolo pur essendo stata abbattuta.

Sono un cristallo la cui caduta si è rallentata, ed esso è consapevole che prima o poi giungerà l’inevitabile fine: si frantumerà.

Mai come ora mi pare reale la parola ‘frantumi’.

Farò mille pezzi.

Sarò mille pezzi.

Non lo chiamo per nome nemmeno qui, nei miei pensieri.

Per me è diventato persino senza volto, per qualche grazia divina.

Dio mi sta graziando: non ricordo i suoi occhi, il loro colore, non ricordo i lineamenti del suo volto, il suo modo di parlare, il suo respiro, nemmeno le sue mani, la sensazione al tatto, non ricordo nemmeno il colore dei suoi capelli, credo di star scordando persino il profumo della sua pelle.

 

Mi siedo sul piccolo seggiolino morbido e appoggio le mani sui tasti bianchi e su quelli neri, sfiorandoli.

Non saprei cosa suonare: tutto troppo banale, inadatto a questo momento.

E sento come un tintinnio: è nella mia testa.

Ripenso al cristallo di prima e sento freddo anche se è giugno.

Mi rannicchio su questo piccolo seggiolino e stringo forte le mie gambe al petto cercando di contrastare il vuoto, la voragine che si sta creando dentro di me.

 

Te ne sei andato come un codardo.

Insultarti ulteriormente sarebbe inutile, sarebbe uno spreco di energie.

È stata tutta un’immensa follia.

 

Urlo fra i singhiozzi, urlo per il dolore insopportabile e piango per liberare il mio petto da questo strazio.

 

Ero un cristallo opaco.

 

Ora ti vedo: capelli neri poco curati, ricordo le mie insistenze per il matrimonio, ricordo i tuoi occhi grigio chiaro, ricordo quelle sere in cui dicevi di essere a casa ma poi il telefono, quando ti chiamavo, suonava libero, ricordo le tue scuse che erano bugie così palesi, eppure io non volevo crederci e mi convincevo da sola che fossero bugie dette a fin di bene, ricordo il tuo sorriso scaltro che poteva essere scambiato per un segno di dolcezza ma che in fondo faceva solo parte del tuo apparire, perché infine eri e sei tutto solo e soltanto apparenza.

 

Piango ancora, incurante che le lacrime scivolino sulle mie gambe.

Anzi, vorrei che le mie lacrime mi sommergessero ed io potessi stare sott’acqua, forse per morire, forse per cercare la vita.

 

No, morire no, non ne vale la pena per te.

 

Resterò qui a piangere per giorni? Forse sì, mi dico.

Ma giunge l’aiuto sperato.

Sento due braccia che mi stringono da dietro.

È Cecilia, la riconosco dal tocco sicuro, le ho dato io la seconda copia delle chiavi di questa casa.

Probabilmente quando stamattina ha visto che non ero a casa ha capito che ero qui.

Ieri sera ha insistito per dormire a casa mia, aveva paura che facessi qualche stupidaggine.

 

“Grazie” riesco a dirle quando mi sono un po’ ripresa.

“Di niente” dice piano, la sento sorridere.

Si avvia in cucina, riempie di acqua un piccolo pentolino che probabilmente ha portato da casa e lo mette a scaldare sulla piastra elettrica poggiata su un tavolo che zia Katia ci aveva prestato fino a che non avremmo potuto acquistarci una vera cucina.

Ceci sta facendo una delle sue famose tisane: una rilassante immagino.

 

Il tuo volto, ciò che riguarda te, noi due insieme, trova posto nella lista dell’oblio della mia mente.

Prima o poi guarirò, come si spera con delle brutte cicatrici, ma non lascerò più a me stessa nemmeno la più vaga possibilità di farmi spezzare il cuore a questo modo.

Fiducia.

Finzione.

Fedeltà.

Falsità.

Ti odio e odio la tua voce... e odio me stessa per essermi permessa ancora una volta di perdere il controllo ed essermi abbandonata alle illusioni.

 

Ceci mi porge la tisana, lì, dinnanzi al pianoforte.

Mi sembra quasi una personalità importante: il Signor Pianoforte a Coda..

Meraviglioso.

Faccio un sorso e mi sento quasi sussultare per l’effetto che fa.

Forse è il calore, forse l’intruglio di fiori e piante che Cecilia ha messo dentro.

La guardo e cerco di avere, nonostante gli occhi rossi ed i capelli scomposti, uno sguardo complice.

“Suoniamo...?” non so bene neanch’io se è una domanda o un’affermazione.

“Cosa?” chiede lei. In effetti non ci sono spartiti sul leggio.

Chi se ne importa, l’idea che sta esplodendo nella mia mente mi rende euforica.

“Ceci suoniamo e basta!” la incito mentre sorrido e nuove lacrime di cui non conosco il senso scorrono sulle mie gote.

Ci stringiamo sul seggiolino e io inizio a suonare a caso... lei mi segue in questa pazza armonia.

Contro le regole della musica, contro le regole dell’armonia, noi improvvisiamo a quattro mani e non mi importa cosa potrebbe pensarne il resto del mondo, io sento qualcosa di bellissimo.

Un’anima divisa in due corpi, diceva qualcuno, un solo suono che esce attraverso quattro mani, dico io.

Per me questa è la melodia più bella del mondo: si chiama amicizia.

Ed è come una tempesta di suoni, una tempesta di colori che danzano nella mia testa.

Con gli occhi chiusi suono ancora e sembriamo due uragani di potenza e bellezza inaudita che, incuranti di dove passano e di tutto il resto, danzano, ballano, cantano e si scatenano.

Pian piano lascio che queste immagini che mi hanno riempito la mente si allontanino da sole.

E mentre si allontanano concludo la mia melodia.

 

“Grazie a Dio gli amici restano per sempre” sospiro alzando le mani dal pianoforte.

Non so per quanto tempo abbiamo suonato, non ha alcuna importanza.

Il tempo intacca gli oggetti, i nostri corpi non ciò che abbiamo dentro: su quello il tempo non ha alcun potere, esso vive per sempre.

“Ti voglio bene” mi dice Ceci abbracciandomi.

Mi lascio avvolgere dal suo abbraccio e scivolo nel sonno quasi senza accorgermene.

 

Quando mi sveglio sono stesa su un asciugamano da spiaggia poggiato sul pavimento, davanti al pianoforte, dev’essere stata Cecilia.

Guardo fuori dalla finestra, il sole è abbastanza alto, forse è già mezzogiorno...

Sento un odore strano poi scorgo Ceci ai fornelli.

Guardo verso il soffitto cercando di immaginarmi il cielo, cercando di immaginarmi Dio.

Ricordo che a Lui in queste ultime ore non ho nemmeno pensato.

Allora, caro Dio, che dire...

Tu avevi cerato di avvertirmi, ma io rifiutavo di ascoltare cercando di fare la scelta più comoda.

Lui non aveva intenzione di attendere insieme a me il matrimonio, per fare l’amore, ma questa era solo la punta dell’iceberg, lui non riusciva a capire l’importanza di sfiorarsi anche solo una mano, non comprendeva l’intensità di uno sguardo, la potenza dell’Amore vero.

E ora come ora Ti ringrazio Dio, perché in qualche modo mi hai fermato, mi hai impedito di fare questa follia.

È difficile dire davvero credendoci ‘sia fatta la tua volontà’.

Non riuscirò ad accettare tutto ora, lo sai.

Allora aiutami.

Mandami ciò che accomuna tutte le donne del mondo: la forza interiore.

 

E mentre prego con gli occhi serrati, delle note al pianoforte mi giungono chiare.

Avvolta nel mio dialogo non l’avevo sentita arrivare vicina.

 

Ceci sta suonando... una canzone che non conosco...

La ascolto....

Poi inizia a cantare con la sua voce così particolare, dolce.

 

Io e te, tu ed io,

amiche da sempre.

Io e te, tu ed io,

sorelle acquisite

e non saremo mai sole.

Io e te, tu ed io,

supereremo le delusioni e manderemo a quel paese gli uomini stupidi

che non meritano il nostro amore,

e forse un giorno troveremo il nostro principe...

lo troverai anche tu Regina....

Io e te, tu ed io,

due donne al pianoforte.

Non temere, sei forte...

Non temere, non temere nemmeno la morte,

sei forte, sei forte.

Io e te, tu ed io,

Regina e Cecilia,

Cecilia e Regina

se cadiamo ci rialziamo

e ci credo di nuovo voleremo.

 

 

Ho di nuovo gli occhi umidi.

Ha composto una canzone per me, per noi.

 

E se io sono ancora cristallo, Cecilia, se lo sono ancora pur essendo in mille pezzi: tu sei la mia roccia.

Ricomponimi, insegnami di nuovo come evitare i colpi e come divenire roccia.

 

 

 

  
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