Doubts
~ Don’t leave me alone…
Sbatté
la porta con troppa violenza e si sedette sul letto, distrutto. No, diamine,
non doveva stare così, non lui! In fondo era stato lui a prendere quella decisione, lui aveva condotto il gioco verso la fine ed ora non poteva
concedersi di stare male. Doveva convincersi che era stata la cosa migliore,
l’unica possibile. E lui ci provava, gridava a se stesso che era così, gridava
disperatamente che quella – solo quella –
era la verità.
Il
respiro cominciò a farsi affannato, nonostante tutte le sue accortezza e con
stizza scacciò via quelle maledette lacrime che avevano cominciato a bagnargli
le guance.
Le
sue parole continuavano a rimbombargli nella testa, il suo sguardo scuro così
improvvisamente sconvolto, il volto che sbiancava…
«Puoi ripetere?» chiede in un
sussurro.
«Bisogna fermarsi qui. Basta»
afferma di nuovo Jude, sicuro.
Robert apre la bocca per dire
qualcosa, ma per la prima volta è realmente senza parole, gli mancava il fiato.
Se la situazione non fosse tanto seria, Jude esulterebbe per quella vittoria.
«Tu hai una moglie, dei figli!
Anch’io ho dei bambini! Quello che stiamo facendo è assurdo, è solo un
capriccio momentaneo e se salta fuori…»
«Se salta fuori… cosa?!» stavolta
Robert quasi grida, senza capire in che modo Jude riesca a dire quelle parole.
«Perderemo tutto ciò che abbiamo.
Ammettilo Rob: neanche tu sei sicuro che questa storia potrà avere un futuro,
neanche tu sai se domani ci parleremo ancora…» anche lui ha alzato la voce.
«Certo» continua Rob «Ma questo è
uguale in ogni storia: nessuno sa come va a finire» e mentre parla gli pare che
i ruoli si siano invertiti: da quando Jude fa il duro e lui lo rassicura?
«Rob, forse non hai capito: io non
sono qui per discutere» fa l’inglese, serio.
All’americano scappa un sorriso
amaro.
«Quindi hai già deciso per
entrambi» e c’è rabbia nella sua voce.
Jude semplicemente annuisce.
«Non che ci sia molto da decidere»
sussurra,
«Che intendi?»
«Oh, avanti! Sto parlando
seriamente con Robert Downey Jr? Tu ci hai creduto
sul serio?»
Robert trattiene a stento un “tu
no?” che lo farebbe sembrare troppo patetico, ma i suoi occhi non riescono a
mentire.
Ora è Jude che sorride, ma pare
quasi schernire l’altro.
«Addio, Rob» e semplicemente va
via.
Con
un nuovo movimento di stizza l’inglese distrusse i simpatici soprammobili si
una mensola di quella stanza d’hotel. Maledetta idea di Andare in America,
maledetta idea dio incontrarlo! A cosa era servito? A decidere di mandare tutto
all’aria? Le era bastato vederlo con la moglie per capire cosa doveva fare,
cosa avrebbe dovuto fare sin dall’inizio.
Dio,
quanto gli era costato essere così freddo! E quelle parole, solo pronunciarle
era stato come ingoiare chiodi. Aveva provato un dolore che non credeva
esistesse mentre gli faceva capire che in fondo quella storia non era
significata nulla per lui, mentre lo scherniva con un sorriso per quel dolore
tanto patetico.
Era
stato duro, era stato freddo, era stato… falso.
Aveva
recitato un ruolo. In quella scena a parlare non era stato Jude Law, ma uno dei suoi tanti alter-ego cinematografici.
Ora Jude è tornato
si disse mentre nuove lacrime scendevano; già, il Jude sentimentale, quello a
cui sembrava di non poter più vivere senza Rob, quello che tra poco non avrebbe
più trattenuto quelle dannate lacrime ora era di nuovo lì e si malediceva senza
riservo, gridando a se stesso quanto fosse stato stronzo a fare quello che
aveva fatto.
Si
sedette sul letto, le mani sulla faccia, il telefonino accanto a lui. Avrebbe
chiamato, lo sapeva. Non appena si fosse ricomposto, non appena fosse tornato
il Robert di sempre avrebbe chiamato per il secondo round.
Neanche
qualche minuto dopo, un’allegra suoneria ruppe il silenzio. L’inglese guardò il
dispay e lesse il suo nome. Attese – non voleva che
pensasse che stava aspettando la sua chiamata.
La
freddezza, il cinismo di cui era stato capace in precedenza furono richiamati
con grande sforzo per quella nuova scena in cui, grazie a Dio, non avrebbe
incontrato i suoi maledetti, bellissimi occhi scuri.
Probabilmente
Robert stava per staccare la chiamata quando Jude rispose. Per alcuni istanti
la comunicazione fu silenziosa: nessuno dei due prendeva parola.
«Ripetilo»
gli intimò ad un tratto l’americano.
«Addio,
Rob» disse con la stessa forza l’inglese.
«Non
questo»
«E
cosa…?»
Le
voci parevano rabbiose, era innaturalmente fredde, entrambe.
«Sai cosa»
«Non
ti amo, Robert» e Jude temette che a quel punto la voce avrebbe
irrimediabilmente capitolato, ma ebbe una forza che lui stesso non si aspettava.
Altri
minuti di silenzio. Indecisione che scendeva, sottile. Delusione che saliva
dallo stomaco alla gola. E rabbia. Rabbia cieca, folle, di chi no, non ci sta a
perdere. Non così.
Poi
Robert chiuse la chiamata e Jude fu sollevato che anche il secondo – forse
ultimo – atto di quella farsa si fosse concluso. Si lasciò scappare un sospiro:
non avrebbe più retto quel dolore, non sarebbe potuto andare più avanti neanche
di un respiro.
Maledizione!
Ma perché? Perché aveva fatto tutto questo?!
Per non soffrire,
si rispose.
Eppure
ora non stava soffrendo? Non stava maledicendo ogni propria azione, ogni
propria parola? Non si stava, forse, sentendo morire?
Ma dopo avrei sofferto di più…
si convinse.
E
forse aveva ragione – più sarebbe andata avanti la storia, più si sarebbero
legato e più avrebbero sofferto dopo. Perché se c’era una cosa di cui Jude era
sicuro era che quel “dopo” sarebbe arrivato molto presto e quanto meno se lo
aspettava e allora il dolore sarebbe stato troppo.
Quindi, meglio farla finita ora,
concluse; ora doveva solo convincersene.
Non
seppe per quanto tempo rimase steso sul letto, gli occhi che fissavano il
soffitto senza realmente vederlo. Si riscosse solo quando sentì qualcuno che
bussava con forza alla sua porta. Non si mosse – non aveva alcuna voglia di
vedere gente; rimase lì, immobile, mentre i colpi continuava a susseguirsi,
sempre più rapidi e più violenti. Alle sue orecchie, però, arrivavano solo come
interferenze lontane, trascurabili.
Un
suono sordo, più forte, lo fece sussultare: chiunque stesse bussando, ora aveva
smesso – aveva aperto a forza la porta.
«Esistono
i passe-partout!» si lamentò senza forza Jude, senza staccare gli occhi dal
soffitto.
Passi
veloci, pesanti gli si avvicinarono e in breve, senza ben capire come,
l’inglese si ritrovò sbattuto contro il muro, Robert che gli teneva furioso il
colletto della camicia.
«Ripetilo!»
gridò, in fondo agli occhi pieni di rabbia un dolore assurdo.
Ora
Jude non sembrava così freddo, così duro: l’improvvisata dell’americano lo
aveva spiazzato; tuttavia i suoi riflessi agirono senza che ci riflettesse.
«Non
ti amo» sussurrò.
«Ancora!»
gridò quello.
«Non
ti amo più, Robert»
«Tu
menti!»
«Ti
sbagli!»
«No!»
«Devi credermi» insistete Jude, mentre le
forze correvano via.
«È
una bugia!»
«Per favore…»
Robert
lo guardò negli occhi senza replicare. Lo stava pregando di credergli? Le mani scivolarono via dal suo collo e fece
un passo indietro scuotendo la testa. Lo pregava
di credere ad una cosa in cui neanche lui credeva?
«Perché?»
«È
meglio così, credimi»
«No!»
insistette Downey «Jude, non sei mai stato un
egoista»
«La
vedi come una mossa egoista?!» quasi gridò l’inglese «Su serio?! Cercare di non
soffrire, per te, è una cosa egoista?»
«Decidere
per entrambi, senza darmi la possibilità di replicare è una cosa egoista e poi…
non stai soffrendo comunque?»
E
se anche fosse rimasto qualcosa di quella maschera senza emozioni che Jude
portava, tutto crollò con quella semplice constatazione. Perché una cosa era
combattere con se stesso, tutt’altra con un testardo come Robert.
«Tu
non hai idea di quanto si possa soffrire» sussurrò Jude, sedendosi sul letto
«Svegliarsi ogni mattina con la paura che tutto questo possa finire… Robert, mi
sta uccidendo» confessò.
«Quindi
meglio che sia tu stesso a farla finita, giusto?»
Lo
sguardo che l’inglese rivolse all’americano gli fece bloccare in gola la
ripresa di quello sfogo di rabbia. Gli si sedette accanto e allora Jude, senza
più pensare a nulla, mandando a puttane tutte le decisioni prese gli si getto
al collo in lacrime. Robert lo strinse a sé accorgendosi che stava tremando.
«Non
lasciarmi…» lo pregò Jude, al limite dell’assurdo, considerata la situazione.
Robert
sorrise: aveva avuto ragione a non crederlo: quello che gli aveva detto di non
amarlo non era il suo Judsie.
Lo
fece stendere sul letto, con la testa sul proprio petto. L’inglese si strinse
quanto più vicino a lui, quasi temesse realmente di perderlo.
«Non
lo farò» gli sussurrò «Ora calmati…»
«Mi
dispiace…» si scusò Jude, ancora con voce incrinata.
«Sshh…
non importa» lo rassicurò l’altro «Jude, io non so come andrà a finire, non
posso prometterti che non soffriremo, né che andrà sempre per il meglio. Ma io
ci credo, Jude. Mi hai capito? Ci credo»
«Anch’io
ci credo… ci ho sempre creduto»
«Lo
so»
Poi
il silenzio invase di nuovo la stanza; stavolta, però, portava con sé calma e
amore. Il respiro di Jude si era calmato guidato dal ritmo del cuore di Rob che
– ne era certo – non ricordava più la rabbia. Sorrise, chiudendo gli occhi e
semplicemente lo baciò.
Valeva
la pena, in fondo, avere tutti quei dubbi per poter vivere anche solo un
momento come quello.
Salve a tutti ^^
^/////////^ Questa è
la prima volta che scrivo su questa coppia (in realtà è la prima volta che
scrivo una slash!), quindi siate clementi se vi risulterà patetica o se i
personaggi saranno OOC… Beh. Non credevo che avrei scritto una storia simile,
ma, sapete, tutte le stupende storie che ci sono qui su Robert e Jude mi hanno
conquistata!!
Beh, che dire?? Ormai
sono pazza di questi due e quindi… mille grazie a tutti gli autori di questo pairing!
Fatemi sapere che ne
pensare, ok? Ringrazio in anticipo lettori, recensori, chi preferirà o
ricorderà ^^
Un bacio… alla
prossima.
Alchimista ♥