La pioggia
bagnava le strade, i ponti, gli edifici, i volti afflitti degli esseri
umani.
Correvano, in ogni direzione: avevano appuntamenti importanti,
correvano dalle
proprie famiglie, a lavoro; non avevano una metà o uno scopo
preciso dunque. Camminava,
invece, lentamente, quasi strascicandosi, lungo il marciapiede. Le
macchine
correvano, anche se vi era traffico; rischiavano di investirla, la
bagnavano.
Soffriva l’umidità a causa dei pantaloncini corti,
quando era uscita, alle 6
del mattino, la luna splendeva nel cielo, nessuna nuvola. La felpa,
nera, le
copriva solo la parte superiore del corpo, e la cosa la turbava
alquanto. Gli
sguardi dei passanti, erano come una spada, che le trafiggevano il
petto, il
cuore. Lo dividevano a metà, proprio come l’amore
a cui aveva rinunciato da una
vita. Il piacere di poter abbracciare qualcuno non vi era
più nei suoi occhi.
Neri, come i corvi. Il ciuffo, anch’esso nero, ricopriva
completamente la sua
fronte, ma lasciava scoperti i suoi due specchi dell’anima.
Aveva comprato un
paio di giorni prima delle scarpe nuove, bellissime. Erano autunnali, e
anche
se soffriva nel camminarci, le indossava sempre e comunque. Odiava
aspettare,
aspettare che il destino la potesse rendere, almeno per una volta,
felice. Non
ce la faceva. Eccola, finalmente, casa sua. Non era eccitata
all’idea di
distendersi sul divano e stare venti ore davanti la tv. Aveva paura di
prendere
l’ascensore, perciò scelse le scale. sesto piano.
Inserì la chiave,
arrugginita, nella toppa della porta e la girò. Bagnata,
com’era, decise di
fare il bagno nella vasca, proprio come quando era piccola.
L’acqua calda
scendeva sulle pastiglie di ginseng, che profumarono l’aria e
colorarono
l’acqua. Nel forno mise le lasagne surgelate:”
quaranta minuti per questa
schifezza, apocalittico scenario di assurda mentalità
umana” pensò. Si spogliò
goffamente, anche questo le pesava molto. L’acqua, le dava
sollievo, e
desiderava che finisse tutto in quel momento. La schiena le prudeva
immensamente, e, a causa dei graffi, i segni lasciati dalle sue unghie
iniziavano
a sanguinare. Rimase immersa nell’acqua per molto tempo,
quando si ricordò che
aveva del cibo che poteva bruciarsi. Si alzò frettolosamente
dalla vasca e
scivolò, cadendo in avanti e tagliandosi, lievemente, il
labbro inferiore.
Sentiva il sapore del sangue nella sua bocca, eppure, non le dava
fastidio. Si
asciugò velocemente il corpo e i capelli con un asciugamano,
per poi buttarlo
nella sacca dello sporco. S’infilò i suoi fusi
neri, e sopra una gonna bianca,
non voleva assomigliare ad una ragazza di basso rango.
Indossò la sua camicetta
preferita, che adorava, impregnata dell’odore di una nuvola.
Mangiò ciò che,
teoricamente, aveva cucinato lei. Aveva immaginato che facesse vomitare
in
maniera indecente, ma doveva pur ingurgitare qualcosa. Le gocce
d’acqua smisero
di cader dal cielo, tuttavia le nuvole non volevano andarsene. La tv le sfracellava nella
mente le solite
idiozie di seconda mano. Spense quelle cavolate e sistemò la
cucina, per quanto
potesse averla sporcata. Iniziò a sentirsi osservata. Si
girò, lentamente,
proprio come succedeva nei film commerciali italiani. Appollaiato, sul
bordo
del suo terrazzo, c’era Lui. Dalle sue mani cadde il panno
bagnato che stava
usando, e gli occhi iniziarono a luccicarle. Lo vide, che sorrise, e
che stese
le sue braccia verso di lei. Automaticamente, corse, e lo
abbracciò; lo strinse
a sè. Era una vita che lo aspettava, ed ora lo aveva
ritrovato. Poggiò la sua
fronte a quella di lui e lo guardò fisso negli occhi.
Sentì il cuore, che si
scaldò, chiuso nella morsa della felicità.
Lentamente sentì le labbra di lui
sulle sue, poggiate delicatamente. Le nuvole velocemente scomparvero,
ed un
fascio di luce gli illuminò. Era un fascio dorato, pieno di
tanti
“brillantini”. Sentì che sulla sua
schiena qualcosa nasceva, come una pianta in
un vaso. Crescevano, maestose, fra le sue scapole. Erano le ali di una
speranza
che sembrava morta. La cenere le aveva ricoperte, la morte le aveva
distrutte;
ma ora l’amore le aveva fatte rinascere, proprio come una
fenice. Per quanto
fossero scure, sembravano brillare di luce propria. La luce che emanava
era
troppo intensa, evidentemente, c’era un altro paio di ali
nelle vicinanze. Era
vicine a lei. Nell’abbraccio le aveva toccate, e poi,
riuscì a vederle. Candide
come la neve, maestose, quasi il doppio delle sue. Sentì,
dentro di sè, di
volare. Non sapeva dove, e non sapeva il perchè, ma tutto
ciò che desiderava
era volare con Lui verso il paradiso tanto agognato fin dalla nascita.
Come gli
angeli, si librarono in cielo, sopra le nuvole, al di là dei
sogni, al di là
del cuore.
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è
questo il destino di chi sa sognare
di
chi crede in un sogno
di chi vive
per poterlo realizzare. >>