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Autore: Lady Snape    25/08/2010    1 recensioni
Preston A. Lodge III, il banchiere, il direttore dell'albergo di Colorado Springs, ricco, bello, raffinato... eppure qualcosa non quadra a dovere. Dopo la bancarotta del 1873, bisogna riprendere in mano la situazione, far ripartire gli affari e, possibilmente, liberarsi dai debiti. Ma come? A voi la possibilità di scoprirlo leggendo questa Fanfiction!
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve a tutti! Posto dopo molto questo secondo capitolo a causa di imprevisti lavorativi: ogni tanto capita di lavorare, per cui bisogna mettere da parte il resto in quest’Italia del precariato.

Sono molto contenta del successo di visite per essere ancora al primo capitolo. Spero di aggiornare più spesso e di concluderla: al momento ho 6 capitoli completi, il resto è in abbozzo.

Ringrazio ISI per la recensione: sì, lo so, il Trio della Misericordia fa ridere, ogni volta che comparivano nel telefilm partiva la musichetta ridicola e io mi aspettavo scemenze a profusione. Ovviamente sono meravigliosi! Per tornare alla Fanfiction, spero che i due protagonisti ti piacciano.

 

Buona lettura!

 

 

                2 Capitolo – UNA GABBIA D’ORO E POLVERE

 

 

Non riusciva a capacitarsene. Perché, nonostante avesse deciso di firmare quel contratto, stava viaggiando per raggiungere la parte opposta del continente americano?

Eva aveva chiesto a Mr. Lodge del tempo per riflettere su quella assurda proposta. Secondo il banchiere il matrimonio si sarebbe dovuto celebrare il più presto possibile, per procura e solo successivamente avrebbe potuto raggiungere suo marito in un luogo sperduto. Va bene, non così sperduto, ma che con l’East Coast non aveva davvero niente a che fare. Nel mezzo degli Stati Uniti, dove le città erano davvero poche e terribilmente distanziate tra loro, non sapeva che genere di vita avrebbe potuto condurre.

Per giorni si era arrovellata su un’alternativa possibile per non sottostare a quello che sapeva essere un ricatto. Aveva urlato con James, l’aveva offeso, scagliato oggetti contro, ma tutto quello che aveva ottenuto erano state lacrime sommesse e la minaccia dell’autodenuncia alla polizia. Aveva provato a consultarsi con sua zia, era andata a trovare le sorelle e si era accorta che quelle due non avevano la minima possibilità di risollevarsi, se un macigno tanto pesante le avesse travolte. Erano due splendide stupide senza speranza, tanto che avrebbe preferito mandarle in collegio, invece di concedere loro una vita mollemente agiata. Pareva che tutti i geni bacati avessero deciso di dividersi equamente fra quei tre impiastri che aveva per fratelli e, probabilmente, la sua intelligenza, intraprendenza e capacità pratiche erano tutte retaggio materno. Grazie al cielo.

Dopo qualche notte insonne era giunta alla soluzione che forse valeva la pena dar loro un’ultima possibilità e come Ifigenia si immolò per questa causa.

                La cerimonia delle firme per preparare i documenti al matrimonio per procura erano stati molto veloci. Eva immaginò che si trattasse di una possibilità che avesse solo Mr. Lodge, dato che conosceva tutta la Boston alto borghese e quindi anche i funzionari che si occupavano di queste pratiche.

Glissando sullo sguardo vittorioso di quell’uomo, che in questo modo, tramite il figlio divenuto comproprietario di Victor Hill, pensava già al modo migliore per plagiare la mente della sua novella nuora per mettere le mani sui giacimenti carboniferi, Eva ricevette quel giorno in dono un anello con un diamante, simbolo del matrimonio, e una fotografia un po’ datata di Preston A. Lodge III. Beh, non credeva che suo marito portasse il nome di quella iena antropomorfa. Il mattino seguente fu accompagnata in stazione e, occupato anche il vano merci del treno per Denver, era stata inviata a conoscere l’uomo con cui avrebbe passato parte della vita.

                Il vecchio banchiere era convinto di aver fatto uno degli affari migliori della sua esistenza. In un colpo solo era riuscito a mettere le mani per via traversa su quel terreno tanto agognato, a procurare una moglie a quell’inetto di suo figlio che, ormai sulla soglia dei trentacinque anni, era parecchio indietro sulla tabella di marcia rispetto ai suoi fratelli e a togliersi dai piedi Eva Simmons che, sapeva bene, era un potenziale problema. Ma, quello che gli premeva di più, era riuscire ad arginare i problemi finanziari che Preston si era trovato ad affrontare a causa del fallimento della banca di New York. Il giovane banchiere aveva perso più di quanto il vecchio leone avesse creduto inizialmente. Aveva scoperto che lo Springs Chateau era stato messo in vendita per coprire i debiti della banca. Mr. Lodge aveva subito telegrafato a suo figlio intimandogli di ritirare il vendesi e di fidarsi di lui per quanto riguardava il risanamento delle finanze.

Il giorno stesso in cui Eva aveva accettato di sposare Preston, Mr. Lodge aveva inviato un telegramma in Colorado per mettere al corrente suo figlio della bella notizia. Non fu prolisso e il povero Preston ricevette giusto due righe sull’arrivo di una donna di nome Eva Simmons e una sollecitazione a preparare una cerimonia di nozze e un nido felice. Mr. Lodge inviò poi una lettera con il resoconto della vicenda, sulla proprietà che ora il figliolo si trovava a gestire e sul caratterino della mogliettina, intimando di imparare a dominarlo il prima possibile.

                Ciò che è certo è che entrambi i protagonisti erano particolarmente increduli dell’esito della vicenda. Eva guardava fuori dal finestrino dello scompartimento e si chiedeva chi le avesse spento il cervello o chi le aveva inculcato questo folle masochismo a favore di gente che non aveva mai considerato una famiglia. Ogni tanto tirava fuori il ritratto dell’uomo che aveva sposato. Ammetteva a se stessa che si trattava di un bell’uomo, le avevano detto anche alto e che comunque dal modo in cui aveva sentito parlare di lui dai suoi fratelli prometteva bene, ma non sapeva se si sarebbero presi a pugni appena conosciuti. Qualche sospetto le era balenato nella mente. Temeva che da qualche parte ci fosse la fregatura, qualcosa che suonasse in modo discordante, una macchia sulla tovaglia bianca. Per quanto cercasse di non pensarci, era sicura che stesse per iniziare un capitolo totalmente diverso della sua vita e a ricordarglielo era anche il paesaggio che si era fatto sempre più selvaggio, più esteso e meno confortante.

                L’arrivo a Colorado Springs non fu così brutto. Già l’idea che vi fosse la ferrovia era qualcosa di consolante: se le cose si sarebbero messe male, prendere un treno per andarsene non sarebbe stato difficile. La stazione era piccola, ma pareva ben fornita. Si avvicinò alla scaletta del vagone, ancora avvolta dai vapori del treno, e una mano con un anello all’anulare l’aiutò a scendere. Quando fu giù e l’aria tornò ad essere limpida, scorse il volto di Preston. Era effettivamente un bell’uomo, molto elegante con occhi limpidi, fortunatamente di un colore molto caldo rispetto agli aghi freddi del padre. Le porse un fascio di fiori di campo.

< Sono Preston A. Lodge III. > una presentazione solenne, con tanto di baciamano, la diceva lunga sul tipo di educazione che aveva ricevuto. Un sorriso sereno gli illuminò il volto, ma gli occhi parevano pensosi. Eva non si meravigliò più di tanto: chi non sarebbe stato preoccupato nel trovarsi in una situazione del genere, sposare una sconosciuta per far contento il paparino?

I bauli di Eva furono caricati su un calesse che lo stesso Preston guidò verso lo Springs Chateau.

< Ha fatto buon viaggio? > chiese l’uomo evidentemente per cortesia.

Eva aveva un difetto terribile: odiava che si girasse attorno ai problemi, preferiva affrontarli in modo deciso, ma per questa ragione non era abile con la diplomazia. Questo caso non fu diverso da molti altri che lo avevano preceduto.

                Dopo essere arrivati al resort, che per la donna era grazioso, caratteristico e aveva un certo fascino, Preston aveva mostrato il suo appartamento che si trovava nell’ala ovest. Non era molto grande, ma era ben illuminato, con grandi finestre e tende in mussola leggera. L’arredamento era elegante, qualche dipinto di paesaggio alle pareti coperte di carta da parati damascata, un grande tappeto nella sala da pranzo che, sembrava, non venisse molto utilizzata. A destra una porta conduceva nello studio dell’uomo, con una bella scrivania in legno scuro, due scaffali alti alle sue spalle e un piccolo archivio. Infondo al corridoio c’era una camera più grande, con un grande letto matrimoniale contro la parete, un grande armadio dipinto di bianco, uno scrittoio molto ben fornito anch’esso bianco e due sedie imbottite. In un angolo c’era un piccolo divanetto. Un paravento con motivi giapponesi era in un angolo a coprire il bacile e la brocca d’acqua e un mobile per la toletta, con uno specchio modanato. Alcuni facchini che lavoravano al resort avevano trasportato i bauli da viaggio di Eva in quella stanza.

< Spero vi piaccia. > disse Preston, mani dietro la schiena < Sono mobili fatti arrivare da Denver. E’ una sistemazione provvisoria, prima di rendere ufficiale il contratto. > non volle pronunciare la parola “matrimonio” forse per scaramanzia o forse perché non riteneva che quello che stava per essere ufficializzato potesse chiamarsi matrimonio.

Eva non aveva proferito parola da quando erano scesi dal calesse. Fissò con i suoi occhi neri l’uomo che aveva di fronte e sentì dentro di sé una sorta di compassione verso di lui. Non sapeva spiegare bene la ragione, ma quello che le venne in mente era che provava pietà per lui a causa di quella mancanza di ribellione che lo caratterizzava; sembrava che avesse accettato di sposarla senza fiatare, senza il minimo dissenso. Una parte di lei leggeva in quello sguardo, senza un briciolo di felicità, una sofferenza profonda, ma non sapeva darne un nome.

< E’ un bel posto e la stanza è molto bella. > disse, rispondendo con sincerità < Il problema è che davvero non riesco a capire come faccia a restare impassibile di fronte a questa situazione. > lasciò cadere il suo scialle sul letto e con esso ogni minima capacità diplomatica. Si avvicinò a lui < Non ha nessuna domanda da farmi? Non ha curiosità riguardo le ragioni per cui io sono qui ed entro poche settimane dovremmo necessariamente sposarci? > il tono che aveva usato, credeva, aveva qualcosa di isterico, ma l’isteria era un naturale sentimento che quell’uomo, di una mitezza assurda, le provocava.

Il volto di Preston si incupì. Quel velo che copriva solo gli occhi si estese a tutto il suo viso.

< Non conosco i dettagli > rispose < ma mio padre mi ha informato sulle ragioni dell’accordo che avete preso. >

< Non ha niente da obiettare? > chiese ancora Eva, con un sarcasmo che le fece guadagnare un’occhiataccia dall’uomo.

< Se lei ha accettato, perché non dovrei farlo io? > rispose semplicemente.

Non faceva una grinza. In fin dei conti se un’estranea aveva firmato un contratto con suo padre, chi era lui per rifiutarlo? Era suo figlio e quindi maggiormente soggetto ai suoi voleri. Almeno secondo un ragionamento veramente contorto.

< Mi sta dicendo che non ha una  sua volontà? > evidentemente c’era un qualcosa di insoluto nel rapporto tra i due Lodge. Lei si era incastrata in una situazione particolarmente complicata e questo lo doveva a quella strana congettura che vedeva lei di un masochismo spinto e la sua famiglia zeppa di decerebrati. Il tutto era stato messo insieme dallo sciacallaggio del banchiere di Boston.

< Lei perché ha accettato? > chiese Preston questa volta.

< E’ stato un ricatto, se vuole saperlo. > era offesa dall’insinuazione velata dell’uomo: pensava che non avesse una propria volontà?

< Avrebbe potuto rifiutare. E in ogni caso non ha senso iniziare le cose in questo modo. Non pretendo di piacerle, ma… >

< Ma lei obbedisce a degli ordini? > chiese con sarcasmo, citando una frase che starebbe stata bene sulla bocca di un ufficiale dell’esercito.

Preston stava perdendo la pazienza. All’inizio era stato ingannato dal viso d’angelo di quella donna, dai suoi lineamenti delicati, dalle sue labbra rosse e dal contrasto della pelle candida e degli occhi e dei capelli neri. Tradiva origini di una terra calda, forse i suoi avi erano di un Paese affacciato sul Mediterraneo o forse addirittura mediorientale, ma adesso lo stava trattando da stupido e non lo era affatto. Comprendere lo strano rapporto che aveva con suo padre era difficile, lo ammetteva, ma non era il caso di mettersi a risolvere i suoi problemi con una perfetta sconosciuta. In più era in una condizione tale da non poter nemmeno sognare di ribellarsi al volere del genitore: non aveva alcuna voce in capitolo, dato che non era riuscito a risollevarsi con le sue forze dal crollo delle azioni. La banca era fallita, il resort era l’unica proprietà che gli era rimasta e l’aveva messa in vendita per risanare i suoi debiti, ma suo padre era intervenuto, purtroppo.

< Mi dispiace che abbia deciso di iniziare con il piede sbagliato la nostra conoscenza. Lei ha firmato un contratto, io non vedo perché dovrei disattenderlo: da quanto mi è stato comunicato ci sono vantaggi per entrambi. Se lei non vuole più soddisfarlo, può tornarsene a Boston, ma se decide di restare, preferirei che non mi offenda più in questo modo. > si era fatto serio e fermo < Ora devo tornare in città per questioni di lavoro. Lei è libera di fare quello che vuole. >

Detto questo salutò Eva con un cenno del capo ed uscì dalla stanza.

 

   
 
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