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Autore: Dark Magic    25/08/2010    3 recensioni
Isabella è una fisioterapista che incontra l'amore della sua vita in un pub... almeno così crede. Una tragedia la colpirà e le farà capire che era tutta un'illusione. Riuscirà a riprendersi? PS: tutti umani.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward, Bella/Jacob
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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rinascita

Rinascita


10 ottobre 2003

Fu il giorno in cui dichiarai davanti a Dio di volermi legare all’uomo che amavo.

Amavo, perché quel sentimento chiamato amore non poteva esistere per me. Io non ero degna di amare, la mia vita era stata bellissima e ricca di emozioni, finché non avvenne quell’incidente.

Tutti i miei amici mi dicevano che lui non era adatto a me, che meritavo di meglio, ma non li ascoltai. Com’è che dice quel detto? L’apparenza inganna.

Già, inganna. Io ero stata ingannata ed umiliata. 

Nonostante questo, non smettevo di amarlo. Lui era bellissimo, aveva carisma, fascino. Aveva l’aspetto e l’atteggiamento di un leader. Gli piaceva comandare e gli piaceva godersi la vita. Anch’io come lui volevo godermela, ma questo mi fu negato. La mia vita cambiò dal nostro viaggio di nozze.

Io non lo avrei definito il mio “romantico” viaggio di nozze, ma piuttosto il mio “disastroso” viaggio di nozze. 

Il giorno in cui l’incontrai, credetti di aver visto un modello, tale era la sua bellezza. Ero in un pub con miei amici e nel momento in cui i nostri occhi s’incontrarono, rimasi folgorata.

La sua pelle era simile al colore della ruggine, i suoi occhi erano di un nero penetrante, quasi selvaggio, ed il suo corpo era quello di un atleta: muscoli da far invidia a qualsiasi altro ragazzo presente lì dentro. 

Ad un certo punto, si avvicinò al nostro tavolo, camminando a passo lento e sicuro, come qualcuno che sapeva di aver già vinto la partita. Non avevo idea di quanto avevo ragione.

«Ciao, mi chiamo Jacob. Non ho potuto fare a meno di notarti, sei bellissima» disse con voce seducente e roca. 

Sorrisi a quel complimento: non era la prima volta che me lo dicevano, perciò non sarei caduta facilmente nella sua trappola. Sapevo come comportarmi.

«Ciao, io sono Isabella, Bella per gli amici, ma queste avance da film porno di serie B, puoi evitarle? Non sono nata ieri» detto questo, afferrai il mio drink e ne bevvi un altro sorso. 

«Scusa, ti sarò sembrato uno stupido con la classica frase per rimorchiare…» disse, sedendosi nel divanetto in cui ero seduta io. I miei amici si erano allontanati per ballare, ma non mi perdevano d’occhio, soprattutto Alice. Lei era bravissima a capire le persone, come se prevedesse le loro mosse. A volte la chiamavo “veggente” per questa sua capacità innata e molto utile, mi fidavo del suo giudizio. Ma, anche adesso, mi incolpavo di non averla ascoltata quel giorno, quando mi disse che non era quello che sembrava. 

Che stupida… 

«In effetti, potevi trovare una frase nuova. Forse avrebbe fatto più effetto. Ma ciò non cambia che ho capito le tue intenzioni. Perciò, che ne dici di conoscerci? Forse se mi raccontassi qualcosa di te, potresti fare veramente colpo» gli confidai con un sorriso di chi la sapeva lunga. Prima di rifiutarlo apertamente, potevo sforzarmi di conoscerlo. Che male mi avrebbe fatto? Tanto, perché poi mi innamorai perdutamente di lui.

«Hai ragione, il mio nome te l’ho detto. Ho ventiquattro anni e faccio il bodyguard nella discoteca in fondo alla strada, tu invece?» e così faceva il bodyguard? Non mi stupiva, dato il suo fisico possente e statuario. 

«Io ho ventidue anni e faccio la fisioterapista» gli rivelai con una punta d’orgoglio nella voce. Io ero felice e soddisfatta del mio lavoro, felice di poter aiutare le persone che subivano incidenti. Era difficile ricominciare a sperare di poter tornare a condurre la vita di prima. Spettava a me infondergli quella fiducia.

Avrei voluto che questa fiducia fosse bastata anche a me per poter continuare a sperare. 

«Da come si sono illuminati i tuoi occhi, direi che questo lavoro ti appaga…» constatò con un certo interesse.

«Si, è così. Mi piace aiutare le persone e non fargli perdere la speranza. Forse non torneranno quelli di prima, ma saranno persone migliori, non credi?» gli feci notare sorridendo. Quel ragazzo si stava veramente interessando a me e a quello che mi piaceva. Forse si poteva sperare in un secondo incontro. 

«Io sono nato a La Push, vicino Forks, forse la conosci quella riserva, visto che sei qui a Seattle…» già La Push. Spesso ci andavo per buttarmi dalla scogliera insieme agli altri, era divertente e ti procurava una certa dose di adrenalina che era difficile da trovare a Forks, cittadina con poca popolazione e cielo perennemente nuvoloso.

«Si, da adolescente andavo a tuffarmi dalla scogliera. Sai, mi piacciono gli sport estremi…» confermai con una certa ilarità. Gli si illuminarono gli occhi. 

«Davvero? Anche a me piacciono! Mi piace soprattutto correre con le moto, sono anche un meccanico provetto» disse sorridendo. A quanto sembrava, avevamo una passione comune.

«Anch’io ho una certa passione per le moto. Ne possiedi una, immagino» certa della mia supposizione. 

«Si, è di grossa cilindrata e ci sto lavorando per renderla più veloce» il suo sorriso era stupendo, i suoi denti risplendevano come una luce nell’oscurità a confronto con la pelle scura.

«Qualche volta potresti portarmi a fare un giro, sarebbe un buon inizio per continuare a frequentarci» sarebbe stato bellissimo come inizio. Così credevo. 

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Da quel giorno passarono sei mesi e mi resi conto che era diventato il mio tutto, il mio universo.

Mi disse che oggi era un giorno speciale perché erano passati sei mesi esatti: era il nostro sesto mesiversario, un giorno comune per un uomo, ma non per una donna innamorata come non mai.

Mi portò in un ristorante lussuoso, perché diceva di voler il meglio per me. 

Come in una scena di un film famoso, trovai nel bicchiere pieno di champagne un anello, un solitario, e mentre lo osservavo estasiata, lui prese dalle mani il mio calice, lo svuotò e me lo mise davanti. Si alzò dal suo posto e si inginocchiò di fronte a me, e mi preparai a sentire quelle parole che il quel momento mi avrebbero reso felice.  

Ora non lo pensavo più.

«Isabella Marié Swan, so che ci conosciamo da poco, che è troppo presto. Probabilmente avrei dovuto aspettare qualche anno, ma perché aspettare se sono certo del mio amore per te? Ti amo e ti amerò per sempre. Vuoi diventare mia moglie?» era di sicuro il giorno più bello della mia vita e avrei avuto l’uomo dei miei sogni accanto. Quante parole false… 

«Si, voglio diventare tua moglie. Ti amo tanto, Jacob» la mia voce si spezzò per l’emozione e gli gettai le braccia al collo, baciandolo con amore.

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Il giorno del matrimonio, Alice mi parlò, ma io avevo preso già la mia decisione. 

«Bella, non lo sposare. Non è un uomo affidabile, puoi trovare un uomo migliore di Jacob; è un irresponsabile, non è un uomo maturo. Prima o poi ti lascerà» non poteva essere vero. Perché per una volta non poteva darmi fiducia?

«So quello che faccio, Alice. Jacob è l’uomo dei miei sogni e soprattutto mi ama. Non mi lascerà mai! Perché non vuoi appoggiarmi nel giorno più bello della mia vita?» gli chiesi con occhi lucidi. Non potevo piangere, o avrei rovinato il trucco. Persino i miei genitori erano entusiasti di Jacob; dicevano che non potevo trovare di meglio. Ma i miei quattro amici non la pensavano come me, soprattutto la mia migliore amica Alice, che era come una sorella, ma quel giorno si rifiutò di fare la mia damigella d’onore. 

«Non posso assecondarti mentre tu stai per commettere il peggior errore della tua vita. Ho capito che tipo è, non starà per sempre con te. Ti sta usando per il denaro» questo era troppo. Non poteva offendere così Jacob.

«Vattene. Ti sei rifiutata di farmi da damigella, perciò non abbiamo più nulla da dirci. Esci dalla mia vita!» il suo volto, ad ogni parola, si faceva più sconvolto. Non si aspettava simili parole da parte mia, ma lei non mi lasciava scelta. Ancora oggi mi pentivo di quelle parole, dette ad una persona che aveva saputo vedere lontano, perché non aveva la mente offuscata da un amore così viscerale come il mio. 

«Come vuoi, Isabella. Non ci vedremo mai più. Ricordati delle mie parole, perché un giorno te ne pentirai» disse con voce fredda e glaciale, e se ne andò.

Finalmente arrivò il momento della promessa da parte sua. 

«Io, Jacob Black, giuro di amarti, onorarti e rimanerti fedele, tutti i giorni della mia vita, in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà, finché morte non ci separi» e mi mise il cerchietto d’oro sull’anulare sinistro. Poi ripetei la sua stessa promessa e il prete ci dichiarò marito e moglie.

Quella promessa non fu mai rispettata, come era giusto che fosse. Quel matrimonio, tutto rose e fiori, durò fino al viaggio di nozze; era previsto che saremmo partiti il giorno dopo. E così fu. 

Destinazione: Cuba.

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Durante quel viaggio capii cosa significava vivere, assaporare davvero la vita. Una vita che per un po’ d’anni vissi nello sconforto e nella disperazione. Una sera ci eravamo ritrovati in una discoteca a ballare; credevo che niente avrebbe potuto rovinare questo sogno ad occhi aperti. Ed invece…

Era notte quando decidemmo di ritornare in albergo, e il vento era un po’ forte, ma non pericoloso per noi che eravamo in moto. Niente di più errato se un’auto ti viene nel senso opposto e tuo marito cerca di fare l’arrogante in una situazione già disperata.

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Quella notte, in quella terra a me sconosciuta, persi il diritto di camminare.

Persi l’utilizzo delle gambe ed ero stata costretta a stare seduta su una sedia a rotelle. Quella notte mio marito, per quanto ferito, non riportò lesioni gravi, perché la sua moto era caduta su di me.

Il mio comportamento cambiò da quando seppi di non poter più essere indipendente, di non poter uscire e camminare tra la gente; mi era sempre piaciuto camminare, correre in mezzo ai boschi di Forks. Una vita che mi fu negata.

Ma non ero così triste, perché sapevo che il mio Jacob non mi avrebbe mai abbandonato, anche se ero costretta a stare su una sedia. Mi avrebbe amato comunque, come aveva promesso di fronte a Dio; anche nella malattia. 

Quando Alice seppe del mio incidente, corse da me, insieme a suo fratello Emmett, ed ai loro rispettivi compagni Jasper e Rosalie, i gemelli Hale. Aveva le lacrime agli occhi, come gli altri, e maledicevano il giorno in cui incontrai Jacob.

«Come osate giudicarlo! Anche se sono su una sedia a rotelle, lui resterà al mio fianco, l’ha promesso! In quella chiesa, davanti a tante persone!» urlai con voce alterata. Perché non gli detti retta molto tempo fa’? Perché avevo paura di non trovare un uomo che mi amasse come Jacob. 

«Credi davvero che resterà al tuo fianco? Non lo farà mai, ora dovresti credermi più di prima!» disse Rosalie gridando di rimando. Lei non era il tipo da esternare i propri sentimenti, ma eravamo diventate come sorelle insieme ad Alice. Ma avevo posto Jacob su un piedistallo, che si trovava molto al di sopra del posto in cui avevo messo loro.

«Lui non mi lascerà, voi non lo conoscete come lo conosco io» ero io a sbagliare.

«Sicuramente ti daranno i soldi dell’assicurazione, no? Sicura che non resterà il tempo necessario a portartene via un po’? E’ una bella somma, aspetta e vedrai» e se ne andarono delusi ed arrabbiati.

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Mio marito, se così si poteva chiamare l’uomo che entrava ed usciva dalla mia casa, comprata e ristrutturata in modo che fosse perfetta per una disabile, era diventato un estraneo. Era freddo e glaciale. Dormiva poco a casa, a volte per interi mesi non si faceva vivo, e tornava solo quando aveva bisogno di soldi. La mia vita era distrutta. Non facevo che piangere ogni giorno, per circa quattro anni, finché una sera lui tornò ubriaco e quella notte di cui lui si ricordava appena, facemmo l’amore.

Qualche mese dopo scoprii di essere incinta. Una vita che cresceva dentro di me. La mia mente era incentrata solo su quel pensiero. Avrei avuto un figlio di cui occuparmi, che avrebbe colorato le mie giornate, un motivo per tornare nel mondo dei vivi, ma non avrei permesso a quell’uomo che era ancora mio marito sulla carta, di comportarsi così. Il mio amore per lui si era dissolto come neve al sole. Probabilmente non ero neanche innamorata, ma solo infatuata di lui e del suo bell’aspetto.

Chiamai Jasper, sperando che avesse perdonato il mio sfogo di tanti anni fa’. Già non ci vedevamo da quando li cacciai dall’ospedale, e sperai anche che non mi abbandonassero proprio adesso, perché non sapevo a chi altri rivolgermi. Lui era un avvocato penale, non divorzista, mi avrebbe consigliato qualche suo amico. 

Saputa la notizia della mia gravidanza e delle mie intenzioni di voler divorziare, si precipitarono da me tutti e quattro. Si congratularono con me della nuova vita che mi cresceva dentro, e che mi aveva dato la forza per rialzarmi. Avevo ritrovato degli amici fidati, i miei fratelli.

Quando Jacob seppe della mia gravidanza, non batté ciglio. Non gli importava di diventare padre, avrebbe ostacolato la sua vita all’insegna della spericolatezza, e sapendo che non gli avrei dato più il becco di un quattrino, decise di comune accordo di divorziare. Finalmente stavo prendendo di nuovo padronanza della mia vita.

Un anno dopo la nascita di mia figlia, accadde qualcosa di cui io non nutrivo più speranza: avevo ripreso per qualche secondo la sensibilità nelle gambe. Me ne accorsi mentre facevo il bagno ed Alice si occupava della bambina. Presa dalla frenesia e dalla felicità, la chiamai.

«Alice? Vieni presto!» la sentii correre come una pazza, sicuramente preoccupata che mi fosse successo qualcosa.

«Bella! Cosa è successo? Ti sei fatta male?» gridò in preda all’isteria.

«Ho sentito il calore dell’acqua…» dissi in un sussurro di incredulità.

«E allora?» chiese non capendo.

«Ho sentito il calore dell’acqua sulle mie gambe, Alice. Forse posso tornare a sperare…» la mia amica si mise a piangere dalla felicità, ed io con lei.

Il giorno dopo andai dal medico e gli riferii tutto quanto. Fece delle analisi e mi disse che i medici che mi operarono diversi anni fa’ avevano sbagliato. Io avevo qualche possibilità di tornare a camminare, ma occorreva la fisioterapia, proprio quella in cui ero specializzata diversi anni fa. Mi consigliò un ottimo terapista, che aveva cominciato a lavorare a Seattle da poco. Il suo nome era Edward Cullen.

Il giorno successivo avevo appuntamento con lui, così mi ritrovai nel mio vecchio studio, che adesso apparteneva a questo nuovo terapista.

La porta si aprì e vidi un angelo dai capelli bronzei ed occhi verdi sorridermi.

«Piacere, mi chiamo Edward Cullen. Lei è la signorina Isabella Swan?» dice con una voce melodiosa.

«Si, sono io, ma mi chiami Bella, lo preferisco» e gli strinsi la mano. In quel momento una forte scossa elettrica ci colpì entrambi, facendoci sussultare.

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Ora erano passati due anni da quel giorno e la mia vita era ricca e felice. Ero riuscita a camminare di nuovo, avevo una figlia che amavo tantissimo ed un altro bambino in arrivo.

Due braccia calde e forti mi strinsero da dietro, accarezzandomi il ventre leggermente gonfio, ed una bocca calda si posò sul mio collo, baciandomelo.

«Sei felice, signora Cullen?» chiese a bassa voce, mentre osservavo il volto di mia figlia, che dormiva beata. Aveva accettato me e mia figlia, perché diceva che si era innamorato di entrambe e non poteva più farne a meno, nonostante non fosse sua figlia, lui la considerava tale.

«Si, adesso lo sono, signor Cullen» mi girai e gli gettai le braccia al collo, baciandolo con dolcezza. Finalmente, la mia vita era piena d’amore.



   
 
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