Oh My God!
Scritto da Antogeta
[Questa
storia si ricollega a ‘Indovina chi viene a cena?’, anche se non ne è affatto
vincolata. Il periodo è appena antecedente, ma i protagonisti sono Ron e
Hermione]
Hermione guardava assonnata
il soffitto della sua camera.
Non avrebbe mai pensato di
essere così preoccupata per Ron. Non era certo la prima volta che si
avventurava in certe missioni, ovvio, e lei sapeva benissimo le procedure, ma
quella volta era diverso. Oltre al fatto della gran rottura di scatole che era
rimanere alla Base a compilare scartoffie mentre lui se la godeva dal vivo, la
missione, erano stati subito avvertiti del fatto che non si sarebbero potuti
sentire direttamente, neanche telepaticamente, per tutta la durata della
spedizione. Circa un mese.
Ancora si ricordava delle
parole di Ron alla partenza...
'Speriamo di non superare
il mese, altrimenti non mi farai più entrare in casa perché mi avrai già
dimenticato!' E poi, con un gesto intimo che davanti agli altri non le era mai
piaciuto, l'aveva baciata, promettendole persino un ricordino.
Scemo. Con tutto quello che
avevano da fare pensava ai ricordini, lui. Sospirò. Ma mai aveva sentito tanto
la sua mancanza.
Si rotolò un momento nel
grande letto vuoto mentre della musica dallo stereo riempiva il silenzio
accumulato dal troppo pensare.
Prima lei e Ron facevano
sempre coppia fissa. Erano indubbiamente tra i migliori Auror della Base e
questo non le dispiaceva affatto perché potevano stare insieme nello stesso
momento. I soliti due piccioni con una fava o, come si suol dire, unire l'utile
al dilettevole. Invece, ora...Maledetta burocrazia! Appena uno si sposa, il
tempo che può passare insieme all'altro diventa paradossalmente la metà! Come,
se quando erano fidanzati, non fosse stata la stessa cosa! 'Eh Capitano
Granger, la burocrazia, la burocrazia...' Questa era l'unica cosa che il suo
capo sapeva dirle. E con ciò chiudeva il discorso. Da quando erano sposati
andavano in missioni diverse e stavano a turni diversi ad occuparsi di
scartoffie e cartacce varie. Bello schifo. Ora si vedevano sempre di meno e
sempre più stressati. Hermione affondò la faccia nel cuscino respirando l'odore
di shampoo che emanavano i suoi boccoli sparsi. Ron li adorava, erano come una
droga. Assaporò a fondo la dolcezza del ricordo delle mani di suo marito che
giocavano tra i suoi capelli.
Suo marito...Erano sposati
già da un anno ma le faceva ancora strano chiamare Ron a quel modo. Era stato
così improvviso...Girò la testa verso il comodino dove troneggiavano diverse
foto del loro matrimonio. Prese in mano quella che adorava di più. Rimase
assorta nel vedere quelle due figure ballare in mezzo alla pista e alla
serenità dei loro sorrisi. Ron aveva imparato a ballare apposta per lei, anche
se era sicura che ora si era dimenticato tutto. Riposò la foto animata al suo
posto. Non che la situazione fosse cambiata di tanto dopo il matrimonio, anche
prima convivevano, ma il fatto di essersi sposata a vent'anni le faceva strano.
Lei, la razionale e libera Hermione Granger, si era legata ad un uomo come mai
avrebbe pensato di fare. Di fatto era stata sottomessa, anche se non da una
persona ma da una forza irrazionale, l'Amore. Soffocò una risata al pensiero
della dichiarazione di Ron, di quando le aveva chiesto di sposarla. Era stato
un disastro.
Credendo di farle piacere
aveva pensato ad una bella dichiarazione all'antica: ristorante caro e lussuoso
su una terrazza, sotto una notte romantica e piena di stelle, e poi, nel
momento del brindisi, le avrebbe fatto vedere il famigerato anello. Come nelle
più melense e scontate soap opera americane. Invece... Uno: al ristorante per
colpa di una missione era arrivato lui in ritardo e lei aveva aspettato come
una scema per quasi un'ora al tavolo, evitando così l'effetto sorpresa per il
suo bell'aspetto e cercando di non essere rimorchiata da qualche ricco bavoso
dei tavoli vicini. Due: certo, per essere fuori erano stati fuori, ma il bello
è che quasi subito si era messo a piovere, facendoli correre ai ripari. E
naturalmente con i tacchetti alti Hermione aveva rischiato una bella caduta.
Tre: al momento clou, dopo che Ron aveva cercato, assolutamente non facendolo
capire, l'anello, le era arrivata una telefonata di lavoro urgente per entrambi
e, presa alla sprovvista, li aveva fatti correre fuori alla svelta. E Ron stava
per perdere l'anello. Mancavano solo i mariachi messicani e sarebbe stato il
massimo. In parole povere, la sera seguente cenetta a casa perché al ristorante
si mangiava da schifo e dichiarazione semplice e spontanea, come Ron. E ore
passate a coccolarsi, che era la cosa più bella.
Hermione scostò i capelli
che le erano scesi sul viso per far spazio alla sua memoria visiva. Ricordava
tutto alla perfezione e di certo la seconda versione le era piaciuta molto, ma
molto di più. Sorrise rotolando sul letto per guardare l'ora. Era tardi e aveva
sonno. Buttò uno sguardo alla pila di carte che in teoria doveva compilare per
il giorno dopo ma questa volta, alla sola vista di tutto quel lavoro, le venne
male. Così, sbuffando qualche maledizione a destra e a manca, cercò di togliere
ogni pensiero dalla sua testa e, giratasi dalla parte opposta, spense la luce,
cercando di dormire.
A metà notte accese la
luce. Dire che stava malissimo era un eufemismo. Si mise a sedere percependo un
pessimo sapore in bocca. Aveva una nausea allucinante. Faceva respiri profondi,
come le avevano insegnato al corso preparatorio in caso di malori sorti in
situazioni d’emergenza, ma a niente. Allora decise di farsi un tè, un'acqua e
limone, una qualsiasi sciacquatura di budella, come avrebbe detto Ron, per
vomitare. Si avviò in cucina per confermare ancora una volta i rimedi della
nonna quando a metà strada le venne su un conato che dovette correre per non
vomitare per terra. E vomitò nel bagno anche l'anima. Nel frattempo non
riusciva a capire cosa diavolo le avesse fatto male. La sua dieta era molto
equilibrata e non mangiava schifezze da un secolo. Strano che qualcosa le fosse
rimasto sullo stomaco. Possibile che la lontananza di Ron facesse certi
effetti?! No, decisamente non era quello. Si chiese ancora un paio d’ipotesi
strampalate per poi essere sopraffatta dal sonno e addormentarsi appena messa
nel letto. Alla mattina la sveglia fu estremamente dura.
'Capitano Granger, e tutte
quelle pratiche?'
Il Sottufficiale Firth
indicava con sguardo traverso la carta riportata così com'era il giorno prima
dal suo superiore.
'Direi proprio che non è da
lei...'
Ora Sarah aveva uno sguardo
troppo indagatorio. Ad Hermione quella ragazza piaceva, era vivace e desiderosa
di fare, peccato per la vena civettuola che rovinava tutto, soprattutto il
rapporto con i colleghi maschi, essendo l'interessata anche molto carina.
'Effettivamente sono stata
poco bene ieri sera...Non sono mica una macchina...'
Hermione rigirò il suo caffè
ancora quel centinaio di volte.
'Eh, quando non c'è il
Capitano Weasley, lei è proprio da buttare...'
Felice di quella scusa,
Hermione le sorrise e con fare delicato se ne ritornò ai suoi compiti. Ore e
ore l'attendevano davanti a montagne di carte.
'Ehi...' Ginevra era
comparsa sulla porta. 'Cos'è, non vieni a mangiare oggi?'
Lo sguardo interrogatorio
che si era spostato dopo ore da quei documenti le fece intendere che il suo
capo non sapesse niente del funzionamento e dell'utilità dell'orologio.
'E' l'una, Hermione...'
'Oh già!' Hermione aveva
fatto un salto in piedi. 'Arrivo, arrivo..'
E, con molta non chalance,
fece cadere qualche carta in cima al cumulo prima di prendere la via del
refettorio con la sua amica e cognata.
'Firth mi ha detto che non
sei stata bene...'
Hermione sorseggiò un po'
d'acqua.
'E quando mai.'
La fissò da dietro gli
occhiali.
'Non ti preoccupare Gin,
sto bene, è solo un po' di nausea.'
E, neanche il tempo di
dirlo, un altro conato le venne su, ancora più forte del primo, rafforzato
sicuramente da quello che aveva appena mangiato. Con una mano alla bocca si
allontanò da Ginny, che la seguì a ruota, fino al bagno della mensa.
'Hermione, se sei nervosa
per qualcosa puoi anche dirmelo...'
Gin la fissava lavarsi i
denti e togliere il sapore schifoso che solo il vomito sa dare.
'No Ginny, davvero. Non so
proprio cosa mi prenda...'
Hermione si diresse verso
il suo ufficio sempre accompagnata dalla fedele compagna. La pausa stava per
scadere.
'Probabilmente sei stanca,
tutto qui. Magari domani stai a casa, anzi, perché non esci adesso? Se vuoi ti
accompagno.'
'Non so Gin, ho un sacco di
lavoro arretrato e...'
Ginny la prese bruscamente
sotto braccio e le scoccò un bacione enorme sulla guancia.
'Herm, basta con questa attaccatura
al lavoro, diamoci un taglio!'
Sorrisone a 32 denti
stampato in faccia.
'Sul serio, riposati, l'
hai detto anche tu che non sei una macchina!'
Detto questo la bruna si
lasciò convincere e con una veloce metropolvere si trascinò fino a casa. 'Poi
stasera ti chiamo!' Le aveva promesso Gin, ma nel frattempo Hermione si distese
sul letto fino a quando la fame non la svegliò nuovamente. La telefonata arrivò
puntuale, ma visto che non c'era niente di nuovo Hermione decise di tornare in
ufficio l'indomani. Per fortuna la rossa le strappò un altro giorno di ferie
con la promessa di aggiornarla personalmente nel pomeriggio, in realtà per fare
delle sane quattro chiacchiere come un tempo. E così la signora Weasley si
addormentò di botto alle nove.
'Niente di nuovo sotto al
sole, 'Mione. Solo ti hanno ridotto un po' la pila, ne avevi davvero troppo di
lavoro...'
Gin stava mescolando con
dello zucchero un po' del tè avanzato dai rimedi della nonna di Hermione. Con
la notte precedente e la mattina aveva vomitato due volte e a pranzo aveva
mangiato poco e niente. Ora però stava morendo di fame. Guardò distrattamente
quello che aveva in giro ma di cose salutari neanche l'ombra. Solo schifezze di
Ron o le sue prelibatezze biologiche, rigorosamente non nutrienti. Rassegnata
continuò ad esplorare il suo tè con tanto limone. Pensò seriamente di farsi
vedere al San Mungo.
'Herm, posso chiederti da
quando non ti arrivano?'
Ma Herm era distratta.
'Arrivano chi?'
'I treni, 'Mione!'
Ginny rise.
'Non ci sei proprio con la
testa in questo periodo, eh?!'
Sospirone.
'Le tue cose Herm, sai,
quelle che rompono il cosiddetto una volta al mese...'
E il tè non finiva mai.
'Mah, un mese fa, più o
meno...'
Decisamente troppo vago.
'Hai mai pensato di essere
incinta?'
'Ehhhh?!'
Hermione aveva sputato
fuori quel sorso di liquido caldo che aveva appena ingoiato rovesciandolo a
raggiera sul pavimento, il divano e Ginny, mentre lei stessa si stava
soffocando con quel poco che era entrato nel canale sbagliato.
'Beh, era solo un'ipotesi e
poi non è così che succede nelle soap americane? E' un classico...'
A Hermione sorse
immediatamente il dubbio che l'idea delle soap a Ron gliele avesse messe in
testa la sorella. Passò oltre. Ginny comunque ora le aveva messo il tarlo del dubbio
in testa. Era quasi certa che era l'ipotesi più improbabile, vista la sicurezza
dei suoi sistemi contraccettivi usati fin'ora, ma effettivamente nell'ultimo
periodo erano stati così indaffarati da non averci dato il minimo peso. Al suo
cuore mancò un battito.
'Dovresti comprarti un test
di gravidanza Herm, prima lo sai, meglio è.'
C'era della logica in
quelle parole, non riusciva a capire quale, ma l'intraveda netta. E così, dopo
un'altra ora di chiacchierata del più e del meno, Hermione rimase da sola con i
suoi dubbi. Continuava a guardarsi per casa senza pace, cercando qualcosa di
tranquillo e rilassante da fare che la distogliesse da quel chiodo fisso. E
invece ci ritornava sempre, come una falena con la luce. L'attesa l'angosciava,
doveva saperlo subito il verdetto! Ma poi, cosa avrebbe fatto? E se fosse
risultato positivo come gliel'avrebbe detto a Ron? Ma ormai era tardi per
andare in farmacia e quei problemi non facevano altro che farle venire un
giramento di testa ancora più forte di quello che aveva già in sordina. Si
rilassò sul letto ma il sonno la vinse giusto mentre guardava il sorriso
smagliante di Ron in una foto. E il giorno dopo doveva tornare in ufficio!
'Colazione:
niente. Spuntini: niente. Pranzo: neanche a parlarne. Di', ma sei a dieta?'
Passeggiare
per i corridoi era rilassante ma Ginny era perfino troppo felice in quel
periodo. Chiacchierava a ruota libera e sembrava sempre primavera. Chissà se
quella topolina rossa era riuscita a trovare un ragazzo degno della sua
attenzione? Sorrise alla tazza di caffè, unica sua fonte di sostentamento. Era
vero, non aveva fame ma le forze le stavano venendo meno più velocemente del
previsto. Il pensiero del San Mungo ritornò all'istante. E pensare che
all'arrivo presunto di Ron mancava ancora una settimana, che in pratica era
sempre il doppio.
'Ehi, mi
ascolti?!'
Gin le
sventolava la mano davanti al naso.
'Alla
fine l' hai fatto quel test?'
I suoi
occhi furbetti le chiarirono subito di quale test si trattasse. Fissò il caffè.
'Vado in
farmacia appena esco.'
Hermione
lo disse con tutto il controllo di cui era capace ma non poté evitare il
formarsi del groppo in gola. Era inevitabile.
'Posso
venire con te? Potrei esserti d'aiuto...'
La bruna
non seppe mai se quelle parole erano sincere o se c'era una curiosità
intrinseca, ma non c'erano dubbi che quella era una cosa che doveva fare da
sola. Anche svenire, se necessario.
'Ma tu
non hai qualche missione da fare?!'
La più
grande diede un pizzicotto all'amica che intanto le stava facendo un sacco di
boccacce. Con Ginny era sempre così, anche al lavoro. La sapeva capire più di
chiunque altro, a volte più di se stessa e ora aveva intuito che era meglio
cambiare discorso.
'Lo sai
che se hai bisogno di me...'
Lo
sguardo della rossa era allegro ma serio. Hermione l'abbracciò stretta.
'Lo so,
non ti preoccupare, se ci sono problemi, sarai la prima a saperlo!'
Proprio
mentre le faceva l'occhiolino suonò la campanella che segnava la fine della
pausa e con un rapido gesto le due Auror se ne tornarono a rintanarsi nei
rispettivi uffici.
Non avrebbe mai pensato che
quella scatolina potesse costare così tanto. E soprattutto per un solo uso! Va
beh, che tanti usi non ci si possono fare, ma almeno un altro di
controllo...Prese l'altra scatola in mano. Decisamente era una ragazza
previdente. Una scatola era piccola e bianca, l’altra blu. Una era babbana,
l’altra no. Ginny le aveva spiegato che il sistema babbano era più rapido ma
non del tutto sicuro, o almeno non sicuro come quello magico, che invece aveva
bisogno di più tempo. Bah, la risposta era sempre una, no? Si fece un tè, tanto
per non sbagliare, e si sedette su una poltrona. Davanti, sul tavolino, c'erano
le due scatole che la fissavano. Il solo toccarle le aveva provocato un
brivido. Le fissò attentamente finché il fischio della teiera le restituì la
sua bevanda pronta. Guardò l'orologio in cucina. Male, molto male. Era passata
un'ora e non se n'era fatto ancora niente. Si sporse da dietro il muro per
accettarsi che le due scatole fossero ancora lì. E, purtroppo, c'erano.
Hermione si mise una mano sulla fronte.
'Calmati donna, non è poi
la fine del mondo!'
Guardò ancora le due
scatole di sottecchi.
'E poi, diamine, è solo
un'ipotesi...'
Si girò di scatto, come
disgustata da quella vista, e posò la tazza. Con un'altra serie di rimproveri a
sottovoce la bruna andò a risedersi sulla famosa poltrona. Si mise le mani in
grembo e aspettò. Se solo ci fosse stato Ron! Magari le avrebbe infuso un po'
di coraggio...O forse no. Conoscendolo, si sarebbe emozionato come un bambino
perdendo il controllo della situazione. E la sua eccitazione non avrebbe fatto
per niente bene alla sua tranquillità. Si girò sulla poltrona per vedere l'ora.
Era quasi ora di cena. Quasi, quasi...
'Mi raccomando signorina, a
stomaco vuoto!' Le parole dell’alchimista le risuonarono nella testa come un
allarme. Basta, era ora. Allungò una mano per prendere la scatola blu e l'aprì.
Un flaconcino per mettere la pipì e della polverina. Allo scadere del tempo
previsto se la pipì restava gialla non c’era da preoccuparsi, se invece
uscivano degli altri colori, ognuno a seconda del mese di gravidanza, qualche
problemino sarebbe sorto. Facile. Si alzò lentamente con il flaconcino e ne
tornò vincitrice. Ora il tocco finale. Accidenti, bisognava aspettare tutta la
notte. Lesse ancora un paio di volte le istruzioni e poi si accinse a mangiare
qualcosa. L'incertezza era peggio di in un'innegabile verità. Guardò della tv,
invano. Ogni sua attenzione era catalizzata da quel flaconcino ancora giallo.
'Oh Dio, ti prego, fai che
rimanga giallo...'
Hermione pregava con tutta
se stessa che il risultato fosse negativo, come una liceale alle prime
esperienze. In realtà non sapeva bene neanche lei perché lo sperava, ma sapeva
che sarebbe stata una novità troppo grossa adesso. Troppo grossa per lei. Già
si era sposata giovane, come non avrebbe mai pensato, in realtà anche con chi
non avrebbe mai pensato, ma quella era un'altra storia, e ora, questo! No, era
troppo per i suoi poveri nervi. Lei, Hermione Granger, una delle menti più
brillanti a Hogwarts, una degli Auror più esperti, non riusciva proprio a
vedersi alle prese con un bebè scalciante e petulante. Per carità, adorava i
bambini, ma all'idea di averne uno suo le veniva male. Una responsabilità enorme
e poi, con il suo lavoro, con il loro lavoro, sarebbe stato molto complicato. E
poi, diciamolo, lei voleva continuare a fare le sue missioni, le sue avventure,
non essere legata a niente, libera di fare quello che voleva, cosa che non
sarebbe stata più possibile con una risposta affermativa. Si crogiolò sul letto
in cui era sdraiata ancora per un po'. In fondo però sarebbe stato figlio suo e
di Ron, del suo Ron. Figlio di un amore profondo. Come fare a liberarsene?!
Inoltre c'era anche Ron da tenere in conto. Ma sapeva con la certezza che solo
una donna ha, che la decisione ultima sarebbe stata sua, tutta sua, semplice e
terrificante allo stesso tempo. Poteva un figlio essere così un peso? Di certo
leggero non era. A Hermione scoppiava la testa per tutto quel pensare, per
tutte le opinioni ascoltate in giro che le venivano in mente. Chi diceva meglio
tardi e godersi la giovinezza, chi sosteneva che un bambino non era di nessun
intralcio, chi che era un'enorme ma piacevole responsabilità. Ma, accidenti al
Fato, loro avevano solo 21 anni! Hermione sorrise al soffitto. See, il
Fato...Decisamente non era stato il Fato che l'aveva portata a quella
situazione. Prese in mano la foto di Ron. Nel suo sguardo si leggeva solo
l'incertezza. E pensare che non aveva ancora visto il responso! Inutile, non
era ancora ora. Abbracciò la foto di Ron e, con un ultimo sforzo, si lasciò
cullare dall'oblio.
Era stanco, assonnato e
dannatamente in anticipo! Ben una settimana prima. La missione era stata
indubbiamente un successo. Non vedeva l'ora di rivedere la sua amata 'Mione.
Non sentirla per tutto quel tempo era stato agghiacciante. Quasi un mese in un
muto silenzio. Si congedò dopo la solita procedura di routine e volò
letteralmente a casa. Erano le 10.30, non era poi così tardi per trovare sua
moglie ancora sveglia. Già, Hermione si svegliava con il sole come le galline e
come le galline andava a dormire prestissimo! Sorrise. Beh, le nottate però le
sopportava benissimo. Si lasciò cullare dal vento e come per magia sentì l'odore
inconfondibile di pesca dello shampoo di lei. Ovviamente non era possibile, sia
per il luogo che per l'ora, ma gli procurò un piacere insperato. L'idea di
Hermione che lo aspettava del tutto ignara a casa lo elettrizzava. Le voleva
fare una sorpresa, voleva scorgere la contentezza dentro i suoi occhi al
vederselo davanti. Voleva sentire sotto le mani la morbidezza della sua pelle
profumata, dei boccoli appena lavati, del suo corpo soffice e sinuoso. Gli era
mancato da morire il suo tocco delicato e attento, le sue labbra piene e
sorridenti, il desiderio nei sui grandi e teneri occhi di cioccolato che lo
facevano impazzire ogni volta. Quegli occhi che a volte sapevano essere decisi
e taglienti. Amava tutto di lei, la sua testardaggine, la sua caparbietà e il
suo coraggio, la sua tenerezza e dolcezza di quando si accoccolava tra le sue
braccia. Se non l’avesse sposato sarebbe indubbiamente impazzito, la sola idea
che lei era unicamente sua lo mandava in estasi. Certo che se gliel’avessero
detto qualche anno prima avrebbe riso fino a morirne. E invece lui era matto di
lei. Si avvicinò lentamente alla finestra e con un colpo rapido e deciso
l’aprì. La vide attorcigliarsi nelle lenzuola per l’aria primaverile che ne era
entrata. Ovviamente dormiva. Fece per posare la scopa nell’armadio quando la
sua attenzione fu catturata da un oggetto assai particolare: un insolito
flaconcino sul comò della camera da letto, pieno di uno strano liquido
verdastro. Prima di far danni posò la scopa per poi prendere il flaconcino in mano.
Non c’era scritto nulla sopra. Possibile che il reparto scientifica avesse dato
delle mansioni ad Hermione? Beh, non era il caso di preoccuparsi, gliel’avrebbe
chiesto dopo. Ora voleva solo abbracciarla e sentirla sua di nuovo, sentirsi
finalmente a casa. Si avvicinò lentamente al letto e con una leggerezza tipica
di un Auror si sdraiò vicino a lei. Quasi quasi le spiaceva svegliarla.
Incominciò a giocare con i suoi boccoli sparsi, le accarezzò una guancia e
tracciò con un dito il profilo del suo viso, sentì il suo battito, regolare
come il suo respiro. Notò la sua foto vicino al cuscino e non poté fare a meno
di sorridere. Sicuramente non l’avrebbe dato a vedere, come tutte le volte, ma
a quell’adorabile orgogliosa doveva essere mancato da morire. Come per lui.
Impaziente, le sfiorò le labbra. Erano fresche e sapevano di menta, il suo
burrocacao. La sentì muoversi.
‘Ma cosa…’
Aprì gli occhi due o tre
volte prima di rendersi pienamente conto di quello che stava accadendo.
‘Ron!!’
Era sconvolta, stupita,
felice, tutto, tutto le passava per quegli occhi ormai completamente svegli.
Gli si buttò tra le braccia, stringendolo stretto come per assicurarsi che non
fosse un altro dei suoi stupidi sogni. Ancora restando abbracciati si staccò
leggermente per guardarlo negli occhi. Non poteva crederci…Il suo Ron era lì,
per davvero, che la stava abbracciando e le sfoggiava uno dei suoi sorrisi più
belli. Gli accarezzò una guancia prima di perdersi sulle sue labbra. Le era
mancato da morire il suo tocco, la sua irruenza ma anche tenerezza, il bisogno
che aveva di lei che traspariva in ogni suo gesto. Ora più che mai.
‘Come mai sei già a casa?
E’ successo qualcosa…?’
Ma Ron non voleva parlare.
Le mise un dito sulle labbra e con un altro lungo bacio la zittì. Ad Hermione
parve bastare quella risposta perché non si oppose minimamente. Anzi, gli buttò
le braccia al collo e con foga lo trascinò sopra di sé. Il suo corpo aveva
bisogno del suo, non riusciva più a trattenersi, sentiva le sue mani forti e
sicure percorrerlo, esperte dei suoi punti più sensibili. Non aveva urgenza di
spiegazioni per ora, ma solo del suo amore cui si abbandonò con tutta se
stessa.
‘E poi dicono che sei
sempre tu quella che si sveglia prima dei due!’
Hermione si stiracchiò alla
luce del sole. Sentirlo girare di nuovo per casa le procurava una gioia
immensa. Sentì l’odore del caffè che si spandeva per l’aria ed era pronta a
scommettere che a breve le sarebbe stata portata la colazione a letto. Si girò
verso la porta in tempo per vederlo arrivare con due tazze di caffè fumante e
delle brioche, oltre al suo bicchiere di succo d’arancia.
‘Ma bravo Ambrogio, un
servizio sempre impeccabile.’
Lo vide sorridere e
precipitarsi affianco a lei. La prese tra le braccia e la baciò, prima
delicatamente, poi con più intimità. I suoi capelli ramati le solleticavano il
naso.
‘Suo marito non sarà felice
di sapere che sua moglie ha una relazione con il maggiordomo, Madame.’
Hermione lo baciò di nuovo.
‘Scemo.’
E con questo si misero a
far colazione.
‘Mi vuoi dire com’è andata,
adesso, o devo aspettare il rapporto da firmare?’
Hermione stava sorseggiando
il suo caffè mentre si avvicinava ad una delle due brioche.
‘Beh, non dirmi che ieri
sera avresti preferito parlare…’
Sentire quella leggera
malizia nella sua voce l’elettrizzava ogni volta. Continuò il gioco.
‘Se tu non fossi stato così
irruente…Se ben ricordi, ci avevo provato…’
Deliberatamente non lo
guardò negli occhi, soffermando il suo sguardo sul caffè, come se stessero
parlando di cavolfiori. Con la coda dell’occhio lo vide posare la tazza e
avvicinarsi con passo felino. Decise che era meglio posare anche la sua tazza.
Alzò gli occhi giusto per vederlo afferrarla per la vita e sdraiarla sotto di
lui.
‘E così sarei un irruente…’
Continuando a guardare le
sue labbra macchiate di caffè, Ron se ne impossessò senza aspettare una
risposta. Hermione adorava quel suo modo di fare impulsivo ed incredibilmente
deciso. Gli spettinò i capelli mentre con l’altra mano gli accarezzava il collo
e le spalle. Lo fissò di nuovo, perdendosi nei suoi occhi blu cobalto.
‘Decisamente…’
E, come se quella notte
fosse stata passata a giocare a carte, la stanza si riempì di nuovo dei loro
sospiri.
‘Non mi hai neanche fatto
finire il caffè.’
Hermione sorrise alla testa
di Ron appoggiata delicatamente sul suo petto. Lo vide girarsi e impossessarsi
delle sue labbra socchiuse.
‘Mi sei mancata troppo.’
Era la prima volta che
glielo diceva.
‘Anche tu.’
La bruna l’attirò a sé. Non
c’era bisogno di parole. Ogni loro gesto lo faceva intuire. Poi Ron le si mise
a sedere affianco e, senza nessun preavviso, le raccontò tutto quello che aveva
passato in missione. Gli piaceva parlare con lei perché lo sapeva ascoltare
senza interrompere. Beh, quasi sempre. La vide sorridere. Sapeva perfettamente
che le faceva piacere essere partecipe anche quando non c’era fisicamente.
Certo che quando andavano in missione insieme risparmiavano un sacco di tempo
piuttosto che parlare. Alla fine prese la tazza che aveva posato prima e bevve
il caffè che era rimasto. Freddo.
‘Che schifo, non c’è niente
di peggio del caffè freddo.’
Hermione sorrise.
‘A chi lo dici.’
Ron le strappò un altro
bacio prima di raccattare i pezzi della colazione e portarli in cucina, come
ogni bravo Ambrogio doveva fare. Mentre andava in cucina una cosa gli catturò
l’attenzione.
‘Dì, ma quelli della
scientifica ti hanno dato un surplus da fare?
Hermione non capiva. Staccò
gli occhi dal giornale e fissò la figura longilinea del ragazzo scomparire da
dietro la porta.
‘No, perché?’
La testa rossa spuntò da
dietro la porta della cucina.
‘Mah, ieri sera ho visto
quello strano contenitore verde sul comò e pensavo che fosse una nuova pozione
da sperimentare…’
Come solo un ignaro poteva
fare se ne tornò in cucina a sistemare il resto. Hermione sbarrò gli occhi.
Merda! Se n’era completamente dimenticata. Atterrita, spostò lentamente il suo
sguardo dalla porta al barattolino sul comò, come a prolungare in qualche modo
inutile l’attesa. Verde. Senza alcun dubbio verde. Cercò inutilmente di trovare
un collegamento col giallo originario della sua pipì ma non c’era niente da
fare. Quello non era giallo, era verde, verde brillante. Si alzò a fatica dal
letto senza mai spostare lo sguardo da quell’oggetto. Aprì tremante il cassetto
e prese il biglietto d’istruzioni. ‘Congratulazioni, lei è incinta di un mese.
Auguri.’ Ma che carini, prendevano anche per il culo. Come se chi faceva quel
cavolo di test era sempre felice del risultato positivo. Un mese…Poco prima che
Ron partisse. Consci del fatto di non potersi vedere per circa un mese, se non
di più, avevano, per così dire, recuperato del tempo perso. Incoscienti come
non lo erano mai stati, stramaledettamente incosciente come non lo era mai
stata! Cacchio. Che stupida. Sempre a pensare che tanto il rimanere incinta era
una remota possibilità, mica doveva capitare per forza a lei, no? Una ragazza
fertilissima di 21 anni! E ora? Lanciò uno sguardo disperato alla cucina ma il
fischiettare innocuo di Ron le dichiarò che era ancora lì. Accidenti, la seconda
scatola era rimasta in salotto. Doveva prenderla, doveva essere sicura al cento
per cento. Adottando il sistema ninja degli Auror per non farsi vedere, si
affrettò in salotto a prendere la benedetta scatola. Ron stava sciacquando le
tazze. Con l’atteggiamento più sicuro e indifferente che poté prese la scatola
e si avviò in bagno. Come se al posto di prendere il suo lasciapassare per la
disperazione, stesse prendendo un bicchiere di succo di frutta. Il cuore le
batteva a mille. Se Ron le avesse chiesto a cosa serviva quel barattolo sarebbe
stata la fine. Nel pathos in cui era caduta, non riusciva a prevedere una scusa
pronta. Con un sospiro di sollievo chiuse la porta del bagno dietro di sé e vi
ci si appoggiò. Accasciata dietro la porta lesse il contenuto dell’altra
scatola. Ancora più facile. Ripeté l’esperimento della sera prima e in un
minuto, et voilà. Positivo. Dannatamente positivo. Le veniva da piangere. Per
la frustrazione fece sparire la scatola e tutto il resto babbano. Bastava il
solo barattolino verde a farle naufragare ogni speranza. Ed ora arrivava il
peggio. Come avrebbe reagito Ron? Bene, maledettamente bene. Lo odiò per un
attimo. Tanto era lei che doveva portarselo per 9 mesi in grembo e allattarlo e
via dicendo! Dio, le faceva male la testa. Ma la cosa che la preoccupava di più
era la reazione di Ron a vedere la sua reazione di fronte a quella notizia. Non
era certo felice. Non era certo quello che si aspettava. E non l’aveva certo
voluto. Però se l’era ampiamente cercata. Qualcuno una volta le aveva detto che
se una donna rimaneva incinta la responsabilità non era a metà con il partner
bensì l’80% era della sola donna. Perché poi erano tutti cacchi suoi. Ed era
vero, terribilmente vero. Sentì i passi di Ron avvicinarsi. E girare in camera.
Dove non l’avrebbe trovata. Si posò istintivamente le mani in grembo. Lì dentro
c’era il suo bambino. Il solo pensarlo la fece sorridere di tenerezza. Anche la
peggiore delle donne è portata a essere mamma. E’ nella sua natura. Girò la
testa furiosamente. Non doveva pensare certe cose, non doveva! Lei quel bambino
non lo voleva…L’avrebbe voluto in seguito, certo, ma non adesso, non adesso.
Non adesso che aveva solo 21 anni, non adesso che non era ancora pronta! Non
così. Non con tutti quei dubbi e rimorsi. Le sembrò di sentire qualcosa. Pura
fantasia. Come se il bambino la pregasse di non buttarlo. Dio, che brutta
parola. Buttarlo. E poi era suo figlio, suo e di Ron! Come poteva pensare di
sbarazzarsene così facilmente?! Abbassò la testa e se la tenne tra le mani.
Alcune lacrime cominciarono a uscire silenziose. Aveva sempre sperato di non
trovarsi in quel tipo di situazioni. E invece eccola lì, con tutte le scarpe.
Ma come potevano pretendere di farle prendere una decisione? Le lacrime
continuavano a scendere. Decise che per il momento doveva per lo meno avvisare
Ron. Si sistemò un attimo, giusto per dare una parvenza di normale. Uscì dal
bagno con una specie di sorriso in faccia. Lo specchio le stava urlando che
anche lui si era accorto che era maledettamente finto. E forzato. Tentò
inutilmente di farsi mille discorsi, mille inizi che cominciavano bene e
finivano inesorabilmente male. Come dirgli che lei voleva aspettare, che lei in
fondo non voleva quel bambino, che per avere dei bambini c’era tempo. Come
fargli capire che lei aveva un disperato bisogno di aiuto e conforto, che non
sapeva bene neanche lei cosa fare. Entrò stancamente in camera. Lui stava
leggendo il giornale che lei aveva abbandonato poco prima. Il barattolo era
ancora lì, trionfante. Per poco la volontà di farlo cadere a terra e
rovesciarne l’infausto contenuto non la sopraffece. Tanto la situazione non
sarebbe certo cambiata. Si tuffò nel letto e non rispose allo sguardo
interrogativo che l’altro le aveva mandato. Si era accartocciata su se stessa e
ora si stringeva a lui. Ron spostò la sua attenzione su di lei e l’attirò a sé.
Strano come poteva sembrare così fragile a volte.
‘Cosa c’è?’
Accidenti a lui che la
conosceva così bene. Niente, cosa poteva esserci? A parte il fatto di essere
incinta…Non lo guardò ma lo strinse di più. Non stava certo andando bene come
inizio. Lui le alzò il mento. Non gli piaceva che le persone non lo guardassero
negli occhi. Negli occhi si possono scorgere più cose di quanto si possa
pensare. Il suo sguardo era confuso, ora. Quello di lei solo scuro.
Estremamente scuro. Hermione riuscì ad abbassare comunque lo sguardo.
‘Il barattolo. E’ verde.’
Come in una specie di
tranche, si girò a guardarlo.
‘Verde brillante.’
Era seduta a fissare quel
barattolo verde come una bambola che deve fissare per forza quello che ha
davanti a sé. Ron non capiva.
‘Allora?’
Lei si era alzata senza
guardarlo e aveva preso il foglietto delle istruzioni in mano. Era andata in
salotto ed era tornata con lo stesso foglio, ma una parte era più evidente. Era
evidenziata. Ora lo stava guardando. Ma quello sguardo era stranamente neutro,
vuoto. O troppo pieno di emozioni per farne trapelare qualcuna. Si avvicinò al
letto e gli mostrò il foglio. Ron sentiva il suo sguardo scuro nel proprio. Prese
il foglio.
‘Incinta. Di un mese.’
La voce di lei era spenta.
Aveva pianto. Lui alzò lo sguardo, incapace di nulla. Lei gli prese il foglio
di mano, sempre guardandolo fisso. Tattica del felino. Continua a fissare
l’avversario per non far trapelare le tue emozioni. Era una delle prime regole
del corso preparatorio.
‘Hai capito bene, sono
incinta di un mese.’
Si alzò dal letto e ripose
il foglio dov’era. Non riusciva a guardarlo adesso, non riusciva proprio.
Quello era fuggire Hermione, fuggire come dei vigliacchi. Si faceva schifo. Ma
non riusciva a fare altro. Ron non parlava. Un sorriso enorme gli spuntò sul
viso ma si rabbuiò presto. La reazione di Hermione non era come se l’aspettava.
Non c’erano dubbi, non lo voleva. Si costrinse a pensare che se non fosse
arrivato in tempo avrebbe deciso tutto da sola. E forse lui non ne avrebbe mai
saputo niente, se non in un lontano futuro in cui finalmente lei si sarebbe
decisa a tenere il suo bambino. Voleva urlare di gioia, di gioia per quella
notizia meravigliosa, ma lei, quel silenzio imbarazzante, glielo impedivano.
Tutto in quella casa glielo impediva. Lei si era girata. Aveva un sorriso
triste in volto, ma era pur sempre un sorriso. Era deluso, arrabbiato, non
sapeva neanche lui, ma le sorrise lo stesso.
‘Lo sapevo che ti avrebbe
fatto piacere…’
La sua voce era volutamente
neutra. La guardò. Solo amarezza in quei begli occhi marroni. Non sapevano cosa
dire. Lei si girò e se ne andò in salotto. Era solo adesso. Non sopportava quel
clima. Ma non era l’uomo che scappava di solito?! Comunque non riusciva a
starsene da solo e la seguì. Hermione si era fatta piccola piccola in una
poltrona e con le braccia che tenevano strette le gambe al petto ci aveva
appoggiato la testa sopra. Così non andava. Arrivò davanti alla poltrona ma lei
non si mosse. Eppure l’aveva senza dubbio sentito. Senza dire una parola la
prese in braccio e la trascinò sul divano dove incominciò a coccolarla. Era
amareggiato ma vederla così lo faceva sentire ancora peggio. Non vederla
reagire era peggio di una pugnalata nel fianco. La sentì stringersi a lui, in
un movimento quasi disperato.
‘Perdonami Ron, ti prego…’
Aveva la voce rotta dai
singhiozzi. Il suo silenzio le faceva male, troppo male. Ed era tutta colpa
sua. Del suo egoismo. Della sua fottuta libertà. Del suo orgoglio nel non
volergli chiedere aiuto. Però doveva almeno cercare di spiegargli le sue
ragioni.
‘Questa è una decisione che
va presa in due, Hermione, ma se tu non lo vuoi è inutile discuterne.’
Nel silenzio la sua voce
era dura e affilata come il rancore. Il rancore di non poter fare niente per
farle cambiare idea. Anche se le sue mani erano gentili, il corpo della ragazza
fremette.
‘Ma non hai pensato neanche
un attimo alle mie di ragioni? Tanto, cosa te ne frega, tu potrai comunque
continuare a fare quello che ti pare mentre io sarò chiusa in casa a badare al
bambino e ad essere preclusa dalla vita sociale! Dal mio lavoro, dalla mia
libertà! Il primo figlio a 21 anni, te ne rendi conto?!’
L’aveva guardato con le
lacrime agli occhi ma nel suo sguardo si leggeva tutta la sua famosa
testardaggine, decisione e fermezza. E anche un pizzico di orgoglio. Con la
voce tremante e piena di rabbia, gli aveva sputato in faccia i suoi dubbi, le
sue paure, tutto quello che l’aveva tormentata fino a quel momento. E a lui non
importava un bel niente. Non sembrava neanche accorgersi di come ci stava male
a quella sua reazione, pensava solo al loro bambino, lui, senza badare alle
conseguenze, come al solito.
‘E’ quello che pensi?’
La sua voce continuava a
restare calma e distaccata come se tutta quella situazione fosse ridicola. Le
vennero ancora più su i nervi. Si avvicinò minacciosa.
‘Tu non pensi mai alle
conseguenze, non l’ hai mai fatto, Ron Weasley, e non riesci neanche a capire
le ragioni più elementari! Per te è sempre tutto maledettamente facile!’
Si era alzata in piedi,
anche lui era scattato. Erano furiosi. Ognuno per il motivo sbagliato. Ognuno
per non saper comunicare le proprie emozioni all’altro.
‘Ma capisco questo,
maledizione!’
Aveva preso violentemente
una mano pallida di lei e se l’era portata al petto, all’altezza del cuore,
dove la stringeva con forza.
‘Capisco che ti amo
Hermione, e che un figlio nostro non può che essere una bella notizia! Un
figlio tuo non può che rendermi orgoglioso di diventare padre, a qualunque età
esso possa arrivare! E pensavo che fosse lo stesso per te, ma a quanto pare mi
sbagliavo.’
La sua voce si era calmata.
La rabbia aveva lasciato il posto all’amarezza.
‘E no, Hermione, non le
capisco le tue ragioni. A quanto pare non sono così intelligente come pensavi.’
Detto questo la lasciò
fissare il muro mentre il suo corpo si andava a chiudere in camera. Ma la sua
mente era fissa allo sguardo perduto di lei e in qualche modo ferito.
‘Bravo Weasley scappa,
scappa pure, tanto è la cosa che sai fare meglio…’
Poi non la sentì più
muoversi per tutto il pomeriggio. Doveva essersi di nuovo raggomitolata su
quella stupida poltrona. Ovviamente nessuno dei due aveva voglia di mangiare.
Il telefono aveva squillato a vuoto parecchie volte, poi non l’aveva sentito
più. Il tempo non sembrava passare. Ripensò alle sue parole. Non aveva mai
creduto che il pensiero di un bambino potesse essere così pesante. Nella sua
famiglia avere figli non era certo un problema. Possibile che un loro bambino
potesse essere così vincolante? Passi la gravidanza e l’allattamento, che lui
non poteva certo fare, ma per il resto l’avrebbe aiutata, diamine, cosa
pensava, che l’avrebbe abbandonata al suo destino?! L’amava troppo per farle
una cosa simile. Si rigirò sul letto parecchie volte cercando inutilmente di
liberare la testa. Ma ogni cosa sapeva di lei, dal suo profumo ai vestiti
sparsi sul letto, ogni cosa gli riportava alla mente quella splendida testarda.
Non ce la faceva più. Doveva vederla. Con indifferenza si avvicinò alla cucina,
in teoria per andare a prendere qualcosa da mangiare che non voleva, in pratica
per osservarla di nascosto. Vide il telefono staccato. Sorrise. Ottima idea. Si
sporse leggermente dalla porta. Vide il suo capo abbandonato su un lato, il
braccio penzoloni, una gamba spuntare fuori dalla stretta. Non poté far altro
che prenderla e portarla sul letto dove sarebbe stata indubbiamente più comoda.
Dopo vari giri si fece notte e la raggiunse. Era buio ma sentì che era sveglia.
Lo sguardo perso. Era girata su un fianco e gli voltava le spalle. Non gli
disse nulla, neanche quando lui entrò nel letto. I loro corpi non erano mai
stati tanto lontani. Ron avrebbe voluto dirle almeno una parola, ma alla fine,
maledicendo qualcosa a bassa voce, si girò dalla parte opposta e tentò di
dormire. Non seppe mai quanto aspettò prima che il respiro regolare di lei lo
cullasse nel sonno. Si addormentò che lei era ancora sveglia. E quello sguardo
indirettamente lo stava penetrando fino all’osso.
Era giorno. Ed era anche
presto a giudicare dal sole. Non aveva dormito granché. Si girò a fissare la
conca vuota vicino a lui. Tipico. Di certo non aveva sperato di passare così la
sua seconda notte a casa dopo un mese passato fuori. Lei era andata a lavorare.
Lui aveva ancora qualche giorno di permesso. Si alzò a fatica, giusto per non
restare inattivo. Se c’era una cosa che odiava era il cosiddetto ‘dolce far
niente’. O meglio, lo odiava da solo. Con Hermione gli piaceva stare ore a non
fare niente, accoccolati uno vicino all’altra. Gli mancava. Voleva far pace con
lei, voleva abbracciarla e dirle che andava tutto bene. Ma non era così. Mai
come quella volta Ron pensò al peggio. Si guardò allo specchio. Profonde
occhiaie violacee gli incorniciavano il bel viso e gli occhi azzurri. Guardò
l’ora. D’impulso decise di fare colazione e vestirsi: sarebbe andato a trovare
‘Mione.
‘Buongiorno’
Ginny era
insopportabilmente sempre con il sorriso stampato in faccia. Le ricordò
qualcuno di sua conoscenza. Le accennò quello che ci si aspettava fosse un
saluto.
‘Ok, nella pausa vengo nel
tuo ufficio e facciamo quattro chiacchiere, d’accordo? Non muoverti da lì.’
Senza neanche aspettare una
risposta la rossa se ne andò verso l’ala ovest del piano dove c’era il suo
reparto. Hermione sorrise. Se non fosse esistita, avrebbe dovuto inventarla.
‘Buongiorno Capitano
Granger, dormito bene?’
La voce maliziosa e
civettuola non poteva che essere del Sottufficiale Firth. Alzò gli occhi dal
suo fascicolo.
‘Buongiorno Firth. Sì,
grazie, se è la mia salute che le interessa.’
Sarah non si fece allarmare
da quel tono freddo ed incredibilmente distaccato.
‘Mangiato yogurt a
colazione?’
Le fece l’occhiolino.
‘Non si preoccupi, a tutto
c’è una soluzione. Si mangi una brioche da Martin’s qui di fronte e vedrà che
andrà tutto bene!’
Detto questo se ne andò
quasi saltellando ed Hermione la ringraziò mentalmente per quel piccolo
assaggio di quotidianità. Poi avrebbe dovuto scusarsi per il suo tono. Ma non
adesso, non ce la faceva proprio. Abbandonò i fascicoli sul ripiano della
scrivania e sorrise. Buttarsi qualche ora sul lavoro era un’ottima scusa per
non pensare a nient’altro.
‘Un mese, eh?’
Ginny rigirava il suo caffè
rigorosamente macchiato. Praticamente una brodaglia giallognola.
‘Mai una volta un caffè
decente…’
Hermione con il suo caffè
nero di seppia guardava fuori dalla finestra.
‘E’ per questo che non è
qui oggi?’
‘Lo sai che dopo le
missioni si hanno sempre due o tre giorni di permesso.’
Hermione e Ginny
scrollarono insieme la testa. Lui non li usava mai quei giorni di riposo.
‘Hai provato a spiegargli
le tue ragioni?’
Ginny aveva tolto la sua
attenzione dal caffè per posarla su di lei. Hermione si era girata di scatto.
La voce era diventata improvvisamente più acuta e stridula.
‘Ho tentato! Davvero Gin,
ho tentato! Ma lui niente, sordo.’
Ginny le aveva accarezzato
una spalla. Hermione si era seduta su una sedia.
‘Mi guardava dall’alto in
basso, superiore nella sua posizione per lui assolutamente nel giusto.
Completamente in disaccordo con me, non tentava nemmeno di capirmi. Di capire
il mio dolore, la mia confusione. Il bisogno di sentirlo vicino, di essere
rassicurata, di farmi dire che a tutto c’è una soluzione. Sentirmi protetta,
amata. E invece mi parlava come se io avessi solo torto, sicura nella mia
assurda decisione. E mi rifiutassi unicamente di vedere la verità.’
La bruna con uno slancio si
era protesa verso l’amica e ora l’abbracciava all’altezza del torace. Alcuni
singhiozzi cercavano di uscire soffocati dalla stoffa. Gin istintivamente si
era chinata per abbracciarla a sua volta.
‘Volevo solo che lui mi
dicesse che non sarebbe cambiato niente tra noi, che mi sarebbe stato sempre
accanto, che non sarei diventata solo la madre dei suoi figli. Che non avrebbe
mai smesso di amarmi anche se quello che ci capita intorno cambia
drasticamente.’
Gin si era risollevata.
‘A volte mi domando se sono
io quella che vede più film o tu.’
Le aveva abbozzato un
sorriso. Gin osservò quei grandi occhi pieni di lacrime. Dovevano trovare una
soluzione, dovevano. Si amavano troppo per finire in questo modo.
‘Secondo me era solo
confuso da quello che gli hai mostrato. Pensaci, Hermione: lui era così
contento di questo bambino e tu gli hai tolto la terra sotto i piedi. Gli hai
fatto capire che non volevi un figlio suo. Te l’ ha detto anche lui, no? Lui ti
ama, amica mia, e tutto quello che è tuo lo adora. Figuriamoci un bambino.’
Hermione rimaneva ancorata
a quel fragile corpo, come se l’ondata delle sue emozioni la stesse mandando
alla deriva.
‘Ma anch’io lo amo da
morire Gin, e tu lo sai, lui lo sa! Come fa a non capire che morirei senza di
lui? Ma questa è una decisione troppo difficile per me. Forse per la prima
volta nella mia vita non so davvero cosa fare.’
Gin l’aveva guardata abbassare
sconsolata lo sguardo. Non l’aveva mai vista così in preda ai suoi pensieri.
L’Hermione che conosceva sembrava persa per sempre. Come in tranche, si
dondolava sulla sedia, con le mani che le contenevano la testa abbassata. I
boccoli scendevano giù, quasi fino al pavimento. Le ricordava molto un salice
piangente.
‘Allora prendetela in due,
Herm. Fatti aiutare. Fatti consolare. Fatti dire che sei molto di più di un
semplice contenitore.’
Gin si era abbassata sulle
ginocchia, in modo da poterla guardare direttamente negli occhi, e le aveva
preso le mani.
‘Fatti dire cosa sei
realmente per lui Hermione. La cosa più importante che ha.’
Le aveva sorriso, il primo
vero sorriso della giornata. Nei suoi occhi Ginny poteva vedere la verità di
quelle parole fare effetto su quell’animo sconvolto.
‘Forse hai ragione Gin. E’
inutile rimandare un discorso inevitabile. Dobbiamo parlare, non c’è altra
soluzione. Ma non è facile. Molte volte ci siamo scontrati in passato. Ma mai
come questa volta ho paura di perderlo.’
Gin l’aveva guardata
riprendere pian piano sicurezza in se stessa, fiducia nelle sue convinzioni.
Vederla come una barca in preda alle onde era stato terribile. Gin l’aveva
abbracciata di nuovo.
’Niente è facile, lo sai.
Ma non ti preoccupare Herm, non lo perderai. Ti ama troppo per lasciarti
scappare via.’
Hermione si era lasciata
cullare da quell’abbraccio tenero e familiare.
‘Grazie per avermi
ascoltata.’
La rossa non rispose
neanche, l’abbracciò solo più stretta. Non c’era bisogno di parole, i gesti, gli
sguardi dicevano tutto. Ormai si conoscevano troppo bene per non capirsi al
volo. E così, con un rapido gesto di saluto, l’amica se ne andò via,
silenziosa, esattamente come era arrivata. La bruna continuò a fissare la
porta, come se da un momento all’altro la rossa si fosse rimaterializzata nel
punto in cui era scomparsa. Ma, sentendo la pausa concludersi, decise che era
meglio riavviarsi verso le sue carte.
Ora di chiusura. Bene. Ora
l’aspettava una rilassante cenetta nel più totale silenzio. Le vennero i
brividi. Le veniva male a pensare al clima che si era creato tra loro. Non si
erano neanche sentiti per tutto il giorno. Fantastico. Riguardò l’ora. Era
proprio ora di andare. E poi aveva finito tutto il suo lavoro. Ma soprattutto
doveva parlare con Ron, doveva dirgli quello che non era riuscita a fargli
capire il giorno prima, le sue paure, i suoi timori, le sue angosce, tutto
quello che quella novità aveva apportato al suo spirito. Voleva renderlo
partecipe delle sue emozioni, voleva sentirlo di nuovo suo. Voleva
semplicemente ritornare al clima di sempre, alla spensieratezza di sempre.
Sorrise nel vuoto. In qualunque modo sarebbero andate le cose, niente sarebbe
stato più come prima. Ma non necessariamente peggio. Poteva anche andare
meglio, no? E poi non voleva perderlo. Doveva parlargli, assolutamente. Non
c’era un minuto da perdere. Ne andava del loro futuro insieme. Stava uscendo
dal suo ufficio, finalmente decisa, quando vide che il Sottufficiale Firth non
era ancora andato via. E le venne in mente che non si era ancora scusata.
‘Sarah…’
Hermione aveva chiamato la
ragazza per nome. Un superiore ne aveva il diritto anche se non era sua
abitudine. La nominata alzò lo sguardo dal fascicolo che stava compilando.
Sorrise.
‘Ancora qui?’
La voce della bruna
sembrava stranamente debole e timido. Non era da lei.
‘Eh, il lavoro sembra non
finire mai! No, comunque questa è l’ultima pratica.’
Sarah sembrava sempre di
buonumore. Anche a fine giornata. Hermione le propose di aspettarla per uscire
insieme ma la ragazza rifiutò. Doveva ancora mettere in ordine e non voleva
farla attendere troppo. Hermione capì che era arrivato il momento di scusarsi.
In fondo era lì per quello.
‘Comunque per stamattina
io…’
Firth la guardò dapprima
stranita, poi, con un rapido e perentorio gesto, la fermò di botto. Come se si
fosse ricordata in quel momento di qualcosa di importante.
‘Tutti hanno i loro momenti
no. Non si preoccupi, è tutto a posto. E poi io non mi faccio mica abbattere
così facilmente!’
Hermione sorrise. Doveva aspettarselo.
Così, dopo un ultimo saluto, si incamminò rapida verso l’uscita. Doveva tornare
a casa. E in fretta. Ma quasi alla fine del corridoio sentì chiamare forte il
suo nome. Era la voce del Sottufficiale Firth, non c’erano dubbi. Si girò
giusto per vedere Sarah arrivare trafelata nella sua direzione. Sembrava che le
dovesse dire qualcosa di importante.
‘Alla fine il Capitano
Weasley l’ ha trovata?’
Hermione non aveva recepito
bene il messaggio. L’altra continuò imperterrita nonostante gli occhi incredibilmente
sbarrati dell’altra. Semplicemente faceva finta di non accorgersene.
‘Sa, stamattina è venuto a
cercarla ma gli ho detto che era occupata e di ripassare dopo. La porta era
chiusa a chiave e il telefono era staccato.’
Nella pausa con Gin. Non c’era
altra spiegazione. Le venne un tuffo al cuore e un sorriso larghissimo si
impossessò del suo viso. Dunque non tutto era perduto! Felice come non mai si
precipitò nell’ascensore, accorgendosi troppo tardi di non aver ringraziato il
Sottufficiale Firth. Allora, senza pensare, bloccò le porte con un piede e
affacciandosi con la testa urlò alla figura di spalle che si stava
allontanando.
‘Grazie Sarah!’
La ragazza ebbe giusto il
tempo di girarsi che i boccoli inconfondibili del suo superiore stavano scomparendo
nell’ascensore. Decisamente il comportamento del Capitano Granger era davvero
insolito quel giorno. Sorrise, e con una scrollata di spalle abbandonò quel
pensiero inutile per andare a finire il suo lavoro.
Hermione stava
letteralmente correndo fuori dall’edificio. Mai come in quel momento voleva
correre alla prima metropolvere e tornare a casa. Dove lui la stava aspettando.
Ne era sicura, la stava aspettando. Firth le aveva dato una notizia stupenda.
Senza dubbio quello non risolveva la situazione, ma almeno accendeva un barlume
di speranza. Se l’aveva cercata voleva dire che voleva parlare con lei. Chissà,
magari anche vederla. Ora la prospettiva di parlargli non era poi così
terribile. Sarebbe andato tutto bene, se lo sentiva. Pensando a come comportarsi
appena tornata a casa non si accorse di esserci arrivata in frettissima. A
quell’ora non c’era nessuno. Prese l’ascensore e in un batter d’occhio era lì.
Davanti alla porta. Titubante fece per prendere le chiavi e aprire. Non aveva
idea di cosa l’avrebbe aspettata. Ma non doveva certo farsi illusioni, il
peggio non era ancora passato. Non poteva certo aspettarsi di trovare tutto
uguale a prima, c’erano ancora troppi silenzi da abbattere. Con decisione
infilò le chiavi nella serratura ed entrò in casa. Sentì la televisione accesa.
Buon segno. Almeno quella casa non sembrava vuota. Appese il suo giaccone
all’ingresso e andò a cambiarsi. Lo vide di sfuggita seduto sul divano a
mangiare qualche porcheria davanti alla tv. Il solito. Non poté contenere un sorriso.
Tutto le sembrava improvvisamente più leggero. Ma si ricordò mentalmente che
non doveva illudersi solo perché l’aveva cercata. Col pensiero fisso che a
breve si sarebbe dovuta nuovamente scontrare con lui, andò a rilassarsi con una
doccia. Nonostante la fretta se la prese comoda. Era decisamente divisa tra la
fretta di chiarire e la paura di non riuscire a farlo. Buttò l’occhio oltre la
porta della loro camera al divano dove era seduto. Sospirò. Non poteva
rimandare oltre, era giunto il momento. Si avvicinò silenziosa alla sala dove
c’era lui. Quando si appoggiò allo stipite della porta lui si girò a guardarla.
Nessun sorriso, nessun segno di affetto. Stava lì e la guardava. Niente di più
logico.
‘Ciao.’
Almeno l’aveva salutata. Il
suo tiepido sorriso si riaccese. Così, incurante della sua apparente freddezza,
gli andò incontro e gli si sedette affianco. Lui continuava impassibile a
guardare interessato la tv. Non la guardava, non le mostrava il minimo
interesse. Hermione stava per perdere le speranze quando notò che mentre
mangiava, una buona metà finiva per terra. Non poté che scoppiare a ridere. Lui
la guardò stupito. Era entrata con una faccia così seria che quello non se
l’aspettava proprio. Lei lo guardò di rimando. Gli era mancato il suo sguardo
vivo e sereno.
‘Non sei mai stato capace
di fare l’indifferente Ron, mi spiace.’
Lui la guardò ancora e poi
scoppiò a ridere anche lui. Per scaricare la tensione. C’erano briciole sparse
ovunque. Quando il silenzio stava per rimpossessarsi della stanza, lui le prese
titubante una mano che lei gli aveva abbandonato vicino. Era calda e soffice
come sempre. Ron non aveva mai pensato di essere così intimorito nel toccarla
di nuovo. Hermione si girò a guardarlo. Era incredibilmente serena.
‘Ho saputo che mi hai
cercata oggi…’
Lui continuò a guardare
davanti a sé.
‘Sì, ma eri occupata.’
Delicatamente, Hermione gli
sfiorò una guancia con la mano. Quel tocco intimo lo fece sobbalzare un attimo.
Lei lo costrinse a guardarla. Gli strinse la mano che stava ancora tenendo la
sua e con l’altra spense la televisione.
‘Noi dobbiamo parlare.’
Vide il suo volto
irrigidirsi. Hermione non avrebbe voluto rompere quell’attimo di serenità che
si era faticosamente ricreata tra di loro, ma non si poteva certo ignorare la
questione. Lo vide annuire. Anche lui sembrava essere arrivato alla stessa
conclusione. Lei abbassò improvvisamente lo sguardo ma fu lui il primo a
parlare.
‘Scusami.’
Lei lo guardò di nuovo. La
stava fissando.
‘Non avrei dovuto scappare
così. Avevi ragione ‘Mione, tu hai sempre ragione. Stavo scappando. Non volevo
neanche sentire le tue ragioni. E’ solo che ero confuso, arrabbiato, e…’
Ron sentì il delicato tocco
delle labbra fresche di lei sulle sue. Era lievissimo ma abbastanza per farlo
fremere. Ogni suo tocco lo faceva impazzire.
‘Io non ho sempre ragione,
Ron. Sono io che devo scusarmi. Ti ho sputato addosso tutta la mia disperazione
come una belva ferita nell’orgoglio, senza realmente farti capire cosa volessi
davvero.’
Hermione lo guardò a fondo
prima di continuare. Era dura per lei fare quel passo, abituata sempre ad
aiutare, piuttosto che ad essere aiutata. A cavarsela da sola.
‘Ho bisogno del tuo aiuto,
amore mio. Non posso negare che questa notizia mi ha fatto crollare il mondo
addosso, ma non sono più sicura di niente. Né di quello che voglio, né di
quello che non voglio. E non sono neanche riuscita a dirtelo.’
Ron l’aveva attirata forte
a sé prima che lei finisse la sua frase. Era stato un idiota a non capirlo
subito, a non vedere sotto quella patina di orgoglio una ferita ancor più
grande, e profonda. Come poteva pensare che lei non lo volesse più? Che non lo
amasse più? E che quella era solo una prova di superbia? Era lui il superbo.
Fermo nella sua decisione non l’aveva neanche voluta ascoltare, sicuro di non
essere nel torto. E l’aveva fatta soffrire, eccome se l’aveva fatta soffrire.
Non era una scelta facile e lui l’aveva lasciata da sola. Come mai aveva
pensato di fare. Le coccolò piano la testa mentre con tenerezza prese a giocare
con i suoi capelli sciolti. Al suo tocco la sentì rilassarsi.
‘Hermione, io lo voglio
questo bambino. Vedrai, sarà bellissimo. Ci pensi? Un figlio mio e tuo che
corre per casa, che ci chiamerà per la prima volta mamma e papà.’
Le aveva preso il volto tra
le mani e la guardava attentamente.
‘Hai ragione tesoro, è una
grande responsabilità. E siamo giovani, molto giovani. Ma questo non vuol dire
niente! Mia madre è rimasta incinta prestissimo e se l’è cavata egregiamente.
Se abbiamo dei problemi, abbiamo un sacco di gente a cui chiedere aiuto. E per
i prossimi staremo più attenti. Questo è un errore, in fondo. E ricorda che
qualunque cosa accada io non ti abbandonerò mai, per nessun motivo. Non dovrai
mai pentirti di esserti fidata di me.’
Hermione l’aveva guardato
per tutto quel tempo, sorridente mentre le raccontava della vita futura,
incredibilmente serio quando le parlava di loro. Non sarebbe cambiato niente,
niente. Gli buttò le braccia al collo e lo strinse forte a sé. Anche lui la
strinse forte, persin troppo. Ma a lei non importava. Anche se nel profondo
sapeva che un giorno se ne sarebbe pentita, decise di fidarsi di lui. Lo guardò
sorridere a 32 denti, finalmente libero di esprimere la sua felicità. A vederlo
così anche lei sorrise pienamente. E poi la baciò, a lungo, per assaporare ogni
suo movimento, ogni sua carezza. Le era mancata da morire la loro intimità e a
quanto pareva, anche a lui. Lo lasciò vagare sul suo volto, il suo collo, che
riempiva con piccoli baci desiderati. Lo sentì accarezzare la sua pelle liscia
e profumata sotto la maglia e ad ogni suo tocco il suo petto si riempiva di
sospiri inconsapevoli. Ma anche le sue mani portavano effetti non voluti. I
loro corpi ora desideravano la pace dei sensi che le loro menti avevano già
assaporato. Lei aprì gli occhi un attimo giusto per vedere riflesso nello
sguardo di lui il suo stesso languore. Gli prese delicatamente il viso tra le
mani prima che lui si alzasse e la prendesse in braccio. La camera da letto era
rimasta fin troppo silenziosa in quelle ultime ore.
‘Ehi, non cominciamo!’
Ron aveva la testa
appoggiata sulla pancia di Hermione, cercando invano di sentire qualcosa. Ma
l’unico rumore era il respiro ancora affannato della donna. Hermione lo guardò
seria.
‘Lo sai che non voglio
essere considerata un contenitore.’
Lui si era alzato e se
l’era messa in braccio. L’aveva stretta a sé come per ricordarle tutta la sua
contentezza. Non l’avrebbe fatta soffrire, mai. E soprattutto non l’avrebbe
fatta in nessun modo pentire di quella decisione. Le aveva già dichiarato la
sua immensa gioia a proposito e veder finalmente sorridere anche lei lo faceva
entusiasmare ancora di più. Amava Hermione, non avrebbe mai sopportato di
vederla soffrire. Non a causa sua.
La baciò di nuovo.
‘Tu non sarai mai un
contenitore…’
Lei lo guardò felice. Sì,
aveva preso la decisione giusta.
Fine