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Autore: Antogeta    18/10/2005    6 recensioni
Hermione ama Ron alla follia ma questa volta quello che le ha lasciato non le piace per niente. Riuscirà Ron a convincere la testarda Hermione a tenerlo?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ginny Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oh My God!

Oh My God!

 

Scritto da Antogeta

 

[Questa storia si ricollega a ‘Indovina chi viene a cena?’, anche se non ne è affatto vincolata. Il periodo è appena antecedente, ma i protagonisti sono Ron e Hermione]

 

 

 

Hermione guardava assonnata il soffitto della sua camera.

Non avrebbe mai pensato di essere così preoccupata per Ron. Non era certo la prima volta che si avventurava in certe missioni, ovvio, e lei sapeva benissimo le procedure, ma quella volta era diverso. Oltre al fatto della gran rottura di scatole che era rimanere alla Base a compilare scartoffie mentre lui se la godeva dal vivo, la missione, erano stati subito avvertiti del fatto che non si sarebbero potuti sentire direttamente, neanche telepaticamente, per tutta la durata della spedizione. Circa un mese.

Ancora si ricordava delle parole di Ron alla partenza...

'Speriamo di non superare il mese, altrimenti non mi farai più entrare in casa perché mi avrai già dimenticato!' E poi, con un gesto intimo che davanti agli altri non le era mai piaciuto, l'aveva baciata, promettendole persino un ricordino.

Scemo. Con tutto quello che avevano da fare pensava ai ricordini, lui. Sospirò. Ma mai aveva sentito tanto la sua mancanza.

Si rotolò un momento nel grande letto vuoto mentre della musica dallo stereo riempiva il silenzio accumulato dal troppo pensare.

Prima lei e Ron facevano sempre coppia fissa. Erano indubbiamente tra i migliori Auror della Base e questo non le dispiaceva affatto perché potevano stare insieme nello stesso momento. I soliti due piccioni con una fava o, come si suol dire, unire l'utile al dilettevole. Invece, ora...Maledetta burocrazia! Appena uno si sposa, il tempo che può passare insieme all'altro diventa paradossalmente la metà! Come, se quando erano fidanzati, non fosse stata la stessa cosa! 'Eh Capitano Granger, la burocrazia, la burocrazia...' Questa era l'unica cosa che il suo capo sapeva dirle. E con ciò chiudeva il discorso. Da quando erano sposati andavano in missioni diverse e stavano a turni diversi ad occuparsi di scartoffie e cartacce varie. Bello schifo. Ora si vedevano sempre di meno e sempre più stressati. Hermione affondò la faccia nel cuscino respirando l'odore di shampoo che emanavano i suoi boccoli sparsi. Ron li adorava, erano come una droga. Assaporò a fondo la dolcezza del ricordo delle mani di suo marito che giocavano tra i suoi capelli.

Suo marito...Erano sposati già da un anno ma le faceva ancora strano chiamare Ron a quel modo. Era stato così improvviso...Girò la testa verso il comodino dove troneggiavano diverse foto del loro matrimonio. Prese in mano quella che adorava di più. Rimase assorta nel vedere quelle due figure ballare in mezzo alla pista e alla serenità dei loro sorrisi. Ron aveva imparato a ballare apposta per lei, anche se era sicura che ora si era dimenticato tutto. Riposò la foto animata al suo posto. Non che la situazione fosse cambiata di tanto dopo il matrimonio, anche prima convivevano, ma il fatto di essersi sposata a vent'anni le faceva strano. Lei, la razionale e libera Hermione Granger, si era legata ad un uomo come mai avrebbe pensato di fare. Di fatto era stata sottomessa, anche se non da una persona ma da una forza irrazionale, l'Amore. Soffocò una risata al pensiero della dichiarazione di Ron, di quando le aveva chiesto di sposarla. Era stato un disastro.

Credendo di farle piacere aveva pensato ad una bella dichiarazione all'antica: ristorante caro e lussuoso su una terrazza, sotto una notte romantica e piena di stelle, e poi, nel momento del brindisi, le avrebbe fatto vedere il famigerato anello. Come nelle più melense e scontate soap opera americane. Invece... Uno: al ristorante per colpa di una missione era arrivato lui in ritardo e lei aveva aspettato come una scema per quasi un'ora al tavolo, evitando così l'effetto sorpresa per il suo bell'aspetto e cercando di non essere rimorchiata da qualche ricco bavoso dei tavoli vicini. Due: certo, per essere fuori erano stati fuori, ma il bello è che quasi subito si era messo a piovere, facendoli correre ai ripari. E naturalmente con i tacchetti alti Hermione aveva rischiato una bella caduta. Tre: al momento clou, dopo che Ron aveva cercato, assolutamente non facendolo capire, l'anello, le era arrivata una telefonata di lavoro urgente per entrambi e, presa alla sprovvista, li aveva fatti correre fuori alla svelta. E Ron stava per perdere l'anello. Mancavano solo i mariachi messicani e sarebbe stato il massimo. In parole povere, la sera seguente cenetta a casa perché al ristorante si mangiava da schifo e dichiarazione semplice e spontanea, come Ron. E ore passate a coccolarsi, che era la cosa più bella.

Hermione scostò i capelli che le erano scesi sul viso per far spazio alla sua memoria visiva. Ricordava tutto alla perfezione e di certo la seconda versione le era piaciuta molto, ma molto di più. Sorrise rotolando sul letto per guardare l'ora. Era tardi e aveva sonno. Buttò uno sguardo alla pila di carte che in teoria doveva compilare per il giorno dopo ma questa volta, alla sola vista di tutto quel lavoro, le venne male. Così, sbuffando qualche maledizione a destra e a manca, cercò di togliere ogni pensiero dalla sua testa e, giratasi dalla parte opposta, spense la luce, cercando di dormire.

 

 

A metà notte accese la luce. Dire che stava malissimo era un eufemismo. Si mise a sedere percependo un pessimo sapore in bocca. Aveva una nausea allucinante. Faceva respiri profondi, come le avevano insegnato al corso preparatorio in caso di malori sorti in situazioni d’emergenza, ma a niente. Allora decise di farsi un tè, un'acqua e limone, una qualsiasi sciacquatura di budella, come avrebbe detto Ron, per vomitare. Si avviò in cucina per confermare ancora una volta i rimedi della nonna quando a metà strada le venne su un conato che dovette correre per non vomitare per terra. E vomitò nel bagno anche l'anima. Nel frattempo non riusciva a capire cosa diavolo le avesse fatto male. La sua dieta era molto equilibrata e non mangiava schifezze da un secolo. Strano che qualcosa le fosse rimasto sullo stomaco. Possibile che la lontananza di Ron facesse certi effetti?! No, decisamente non era quello. Si chiese ancora un paio d’ipotesi strampalate per poi essere sopraffatta dal sonno e addormentarsi appena messa nel letto. Alla mattina la sveglia fu estremamente dura.

 

 

'Capitano Granger, e tutte quelle pratiche?'

Il Sottufficiale Firth indicava con sguardo traverso la carta riportata così com'era il giorno prima dal suo superiore.

'Direi proprio che non è da lei...'

Ora Sarah aveva uno sguardo troppo indagatorio. Ad Hermione quella ragazza piaceva, era vivace e desiderosa di fare, peccato per la vena civettuola che rovinava tutto, soprattutto il rapporto con i colleghi maschi, essendo l'interessata anche molto carina.

'Effettivamente sono stata poco bene ieri sera...Non sono mica una macchina...'

Hermione rigirò il suo caffè ancora quel centinaio di volte.

'Eh, quando non c'è il Capitano Weasley, lei è proprio da buttare...'

Felice di quella scusa, Hermione le sorrise e con fare delicato se ne ritornò ai suoi compiti. Ore e ore l'attendevano davanti a montagne di carte.

'Ehi...' Ginevra era comparsa sulla porta. 'Cos'è, non vieni a mangiare oggi?'

Lo sguardo interrogatorio che si era spostato dopo ore da quei documenti le fece intendere che il suo capo non sapesse niente del funzionamento e dell'utilità dell'orologio.

'E' l'una, Hermione...'

'Oh già!' Hermione aveva fatto un salto in piedi. 'Arrivo, arrivo..'

E, con molta non chalance, fece cadere qualche carta in cima al cumulo prima di prendere la via del refettorio con la sua amica e cognata.

 

 

'Firth mi ha detto che non sei stata bene...'

Hermione sorseggiò un po' d'acqua.

'E quando mai.'

La fissò da dietro gli occhiali.

'Non ti preoccupare Gin, sto bene, è solo un po' di nausea.'

E, neanche il tempo di dirlo, un altro conato le venne su, ancora più forte del primo, rafforzato sicuramente da quello che aveva appena mangiato. Con una mano alla bocca si allontanò da Ginny, che la seguì a ruota, fino al bagno della mensa.

'Hermione, se sei nervosa per qualcosa puoi anche dirmelo...'

Gin la fissava lavarsi i denti e togliere il sapore schifoso che solo il vomito sa dare.

'No Ginny, davvero. Non so proprio cosa mi prenda...'

Hermione si diresse verso il suo ufficio sempre accompagnata dalla fedele compagna. La pausa stava per scadere.

'Probabilmente sei stanca, tutto qui. Magari domani stai a casa, anzi, perché non esci adesso? Se vuoi ti accompagno.'

'Non so Gin, ho un sacco di lavoro arretrato e...'

Ginny la prese bruscamente sotto braccio e le scoccò un bacione enorme sulla guancia.

'Herm, basta con questa attaccatura al lavoro, diamoci un taglio!'

Sorrisone a 32 denti stampato in faccia.

'Sul serio, riposati, l' hai detto anche tu che non sei una macchina!'

Detto questo la bruna si lasciò convincere e con una veloce metropolvere si trascinò fino a casa. 'Poi stasera ti chiamo!' Le aveva promesso Gin, ma nel frattempo Hermione si distese sul letto fino a quando la fame non la svegliò nuovamente. La telefonata arrivò puntuale, ma visto che non c'era niente di nuovo Hermione decise di tornare in ufficio l'indomani. Per fortuna la rossa le strappò un altro giorno di ferie con la promessa di aggiornarla personalmente nel pomeriggio, in realtà per fare delle sane quattro chiacchiere come un tempo. E così la signora Weasley si addormentò di botto alle nove.

 

 

'Niente di nuovo sotto al sole, 'Mione. Solo ti hanno ridotto un po' la pila, ne avevi davvero troppo di lavoro...'

Gin stava mescolando con dello zucchero un po' del tè avanzato dai rimedi della nonna di Hermione. Con la notte precedente e la mattina aveva vomitato due volte e a pranzo aveva mangiato poco e niente. Ora però stava morendo di fame. Guardò distrattamente quello che aveva in giro ma di cose salutari neanche l'ombra. Solo schifezze di Ron o le sue prelibatezze biologiche, rigorosamente non nutrienti. Rassegnata continuò ad esplorare il suo tè con tanto limone. Pensò seriamente di farsi vedere al San Mungo.

'Herm, posso chiederti da quando non ti arrivano?'

Ma Herm era distratta.

'Arrivano chi?'

'I treni, 'Mione!'

Ginny rise.

'Non ci sei proprio con la testa in questo periodo, eh?!'

Sospirone.

'Le tue cose Herm, sai, quelle che rompono il cosiddetto una volta al mese...'

E il tè non finiva mai.

'Mah, un mese fa, più o meno...'

Decisamente troppo vago.

'Hai mai pensato di essere incinta?'

'Ehhhh?!'

Hermione aveva sputato fuori quel sorso di liquido caldo che aveva appena ingoiato rovesciandolo a raggiera sul pavimento, il divano e Ginny, mentre lei stessa si stava soffocando con quel poco che era entrato nel canale sbagliato.

'Beh, era solo un'ipotesi e poi non è così che succede nelle soap americane? E' un classico...'

A Hermione sorse immediatamente il dubbio che l'idea delle soap a Ron gliele avesse messe in testa la sorella. Passò oltre. Ginny comunque ora le aveva messo il tarlo del dubbio in testa. Era quasi certa che era l'ipotesi più improbabile, vista la sicurezza dei suoi sistemi contraccettivi usati fin'ora, ma effettivamente nell'ultimo periodo erano stati così indaffarati da non averci dato il minimo peso. Al suo cuore mancò un battito.

'Dovresti comprarti un test di gravidanza Herm, prima lo sai, meglio è.'

C'era della logica in quelle parole, non riusciva a capire quale, ma l'intraveda netta. E così, dopo un'altra ora di chiacchierata del più e del meno, Hermione rimase da sola con i suoi dubbi. Continuava a guardarsi per casa senza pace, cercando qualcosa di tranquillo e rilassante da fare che la distogliesse da quel chiodo fisso. E invece ci ritornava sempre, come una falena con la luce. L'attesa l'angosciava, doveva saperlo subito il verdetto! Ma poi, cosa avrebbe fatto? E se fosse risultato positivo come gliel'avrebbe detto a Ron? Ma ormai era tardi per andare in farmacia e quei problemi non facevano altro che farle venire un giramento di testa ancora più forte di quello che aveva già in sordina. Si rilassò sul letto ma il sonno la vinse giusto mentre guardava il sorriso smagliante di Ron in una foto. E il giorno dopo doveva tornare in ufficio!

 

 

'Colazione: niente. Spuntini: niente. Pranzo: neanche a parlarne. Di', ma sei a dieta?'

Passeggiare per i corridoi era rilassante ma Ginny era perfino troppo felice in quel periodo. Chiacchierava a ruota libera e sembrava sempre primavera. Chissà se quella topolina rossa era riuscita a trovare un ragazzo degno della sua attenzione? Sorrise alla tazza di caffè, unica sua fonte di sostentamento. Era vero, non aveva fame ma le forze le stavano venendo meno più velocemente del previsto. Il pensiero del San Mungo ritornò all'istante. E pensare che all'arrivo presunto di Ron mancava ancora una settimana, che in pratica era sempre il doppio.

'Ehi, mi ascolti?!'

Gin le sventolava la mano davanti al naso.

'Alla fine l' hai fatto quel test?'

I suoi occhi furbetti le chiarirono subito di quale test si trattasse. Fissò il caffè.

'Vado in farmacia appena esco.'

Hermione lo disse con tutto il controllo di cui era capace ma non poté evitare il formarsi del groppo in gola. Era inevitabile.

'Posso venire con te? Potrei esserti d'aiuto...'

La bruna non seppe mai se quelle parole erano sincere o se c'era una curiosità intrinseca, ma non c'erano dubbi che quella era una cosa che doveva fare da sola. Anche svenire, se necessario.

'Ma tu non hai qualche missione da fare?!'

La più grande diede un pizzicotto all'amica che intanto le stava facendo un sacco di boccacce. Con Ginny era sempre così, anche al lavoro. La sapeva capire più di chiunque altro, a volte più di se stessa e ora aveva intuito che era meglio cambiare discorso.

'Lo sai che se hai bisogno di me...'

Lo sguardo della rossa era allegro ma serio. Hermione l'abbracciò stretta.

'Lo so, non ti preoccupare, se ci sono problemi, sarai la prima a saperlo!'

Proprio mentre le faceva l'occhiolino suonò la campanella che segnava la fine della pausa e con un rapido gesto le due Auror se ne tornarono a rintanarsi nei rispettivi uffici.

 

 

Non avrebbe mai pensato che quella scatolina potesse costare così tanto. E soprattutto per un solo uso! Va beh, che tanti usi non ci si possono fare, ma almeno un altro di controllo...Prese l'altra scatola in mano. Decisamente era una ragazza previdente. Una scatola era piccola e bianca, l’altra blu. Una era babbana, l’altra no. Ginny le aveva spiegato che il sistema babbano era più rapido ma non del tutto sicuro, o almeno non sicuro come quello magico, che invece aveva bisogno di più tempo. Bah, la risposta era sempre una, no? Si fece un tè, tanto per non sbagliare, e si sedette su una poltrona. Davanti, sul tavolino, c'erano le due scatole che la fissavano. Il solo toccarle le aveva provocato un brivido. Le fissò attentamente finché il fischio della teiera le restituì la sua bevanda pronta. Guardò l'orologio in cucina. Male, molto male. Era passata un'ora e non se n'era fatto ancora niente. Si sporse da dietro il muro per accettarsi che le due scatole fossero ancora lì. E, purtroppo, c'erano. Hermione si mise una mano sulla fronte.

'Calmati donna, non è poi la fine del mondo!'

Guardò ancora le due scatole di sottecchi.

'E poi, diamine, è solo un'ipotesi...'

Si girò di scatto, come disgustata da quella vista, e posò la tazza. Con un'altra serie di rimproveri a sottovoce la bruna andò a risedersi sulla famosa poltrona. Si mise le mani in grembo e aspettò. Se solo ci fosse stato Ron! Magari le avrebbe infuso un po' di coraggio...O forse no. Conoscendolo, si sarebbe emozionato come un bambino perdendo il controllo della situazione. E la sua eccitazione non avrebbe fatto per niente bene alla sua tranquillità. Si girò sulla poltrona per vedere l'ora. Era quasi ora di cena. Quasi, quasi...

'Mi raccomando signorina, a stomaco vuoto!' Le parole dell’alchimista le risuonarono nella testa come un allarme. Basta, era ora. Allungò una mano per prendere la scatola blu e l'aprì. Un flaconcino per mettere la pipì e della polverina. Allo scadere del tempo previsto se la pipì restava gialla non c’era da preoccuparsi, se invece uscivano degli altri colori, ognuno a seconda del mese di gravidanza, qualche problemino sarebbe sorto. Facile. Si alzò lentamente con il flaconcino e ne tornò vincitrice. Ora il tocco finale. Accidenti, bisognava aspettare tutta la notte. Lesse ancora un paio di volte le istruzioni e poi si accinse a mangiare qualcosa. L'incertezza era peggio di in un'innegabile verità. Guardò della tv, invano. Ogni sua attenzione era catalizzata da quel flaconcino ancora giallo.

'Oh Dio, ti prego, fai che rimanga giallo...'

Hermione pregava con tutta se stessa che il risultato fosse negativo, come una liceale alle prime esperienze. In realtà non sapeva bene neanche lei perché lo sperava, ma sapeva che sarebbe stata una novità troppo grossa adesso. Troppo grossa per lei. Già si era sposata giovane, come non avrebbe mai pensato, in realtà anche con chi non avrebbe mai pensato, ma quella era un'altra storia, e ora, questo! No, era troppo per i suoi poveri nervi. Lei, Hermione Granger, una delle menti più brillanti a Hogwarts, una degli Auror più esperti, non riusciva proprio a vedersi alle prese con un bebè scalciante e petulante. Per carità, adorava i bambini, ma all'idea di averne uno suo le veniva male. Una responsabilità enorme e poi, con il suo lavoro, con il loro lavoro, sarebbe stato molto complicato. E poi, diciamolo, lei voleva continuare a fare le sue missioni, le sue avventure, non essere legata a niente, libera di fare quello che voleva, cosa che non sarebbe stata più possibile con una risposta affermativa. Si crogiolò sul letto in cui era sdraiata ancora per un po'. In fondo però sarebbe stato figlio suo e di Ron, del suo Ron. Figlio di un amore profondo. Come fare a liberarsene?! Inoltre c'era anche Ron da tenere in conto. Ma sapeva con la certezza che solo una donna ha, che la decisione ultima sarebbe stata sua, tutta sua, semplice e terrificante allo stesso tempo. Poteva un figlio essere così un peso? Di certo leggero non era. A Hermione scoppiava la testa per tutto quel pensare, per tutte le opinioni ascoltate in giro che le venivano in mente. Chi diceva meglio tardi e godersi la giovinezza, chi sosteneva che un bambino non era di nessun intralcio, chi che era un'enorme ma piacevole responsabilità. Ma, accidenti al Fato, loro avevano solo 21 anni! Hermione sorrise al soffitto. See, il Fato...Decisamente non era stato il Fato che l'aveva portata a quella situazione. Prese in mano la foto di Ron. Nel suo sguardo si leggeva solo l'incertezza. E pensare che non aveva ancora visto il responso! Inutile, non era ancora ora. Abbracciò la foto di Ron e, con un ultimo sforzo, si lasciò cullare dall'oblio.

 

 

Era stanco, assonnato e dannatamente in anticipo! Ben una settimana prima. La missione era stata indubbiamente un successo. Non vedeva l'ora di rivedere la sua amata 'Mione. Non sentirla per tutto quel tempo era stato agghiacciante. Quasi un mese in un muto silenzio. Si congedò dopo la solita procedura di routine e volò letteralmente a casa. Erano le 10.30, non era poi così tardi per trovare sua moglie ancora sveglia. Già, Hermione si svegliava con il sole come le galline e come le galline andava a dormire prestissimo! Sorrise. Beh, le nottate però le sopportava benissimo. Si lasciò cullare dal vento e come per magia sentì l'odore inconfondibile di pesca dello shampoo di lei. Ovviamente non era possibile, sia per il luogo che per l'ora, ma gli procurò un piacere insperato. L'idea di Hermione che lo aspettava del tutto ignara a casa lo elettrizzava. Le voleva fare una sorpresa, voleva scorgere la contentezza dentro i suoi occhi al vederselo davanti. Voleva sentire sotto le mani la morbidezza della sua pelle profumata, dei boccoli appena lavati, del suo corpo soffice e sinuoso. Gli era mancato da morire il suo tocco delicato e attento, le sue labbra piene e sorridenti, il desiderio nei sui grandi e teneri occhi di cioccolato che lo facevano impazzire ogni volta. Quegli occhi che a volte sapevano essere decisi e taglienti. Amava tutto di lei, la sua testardaggine, la sua caparbietà e il suo coraggio, la sua tenerezza e dolcezza di quando si accoccolava tra le sue braccia. Se non l’avesse sposato sarebbe indubbiamente impazzito, la sola idea che lei era unicamente sua lo mandava in estasi. Certo che se gliel’avessero detto qualche anno prima avrebbe riso fino a morirne. E invece lui era matto di lei. Si avvicinò lentamente alla finestra e con un colpo rapido e deciso l’aprì. La vide attorcigliarsi nelle lenzuola per l’aria primaverile che ne era entrata. Ovviamente dormiva. Fece per posare la scopa nell’armadio quando la sua attenzione fu catturata da un oggetto assai particolare: un insolito flaconcino sul comò della camera da letto, pieno di uno strano liquido verdastro. Prima di far danni posò la scopa per poi prendere il flaconcino in mano. Non c’era scritto nulla sopra. Possibile che il reparto scientifica avesse dato delle mansioni ad Hermione? Beh, non era il caso di preoccuparsi, gliel’avrebbe chiesto dopo. Ora voleva solo abbracciarla e sentirla sua di nuovo, sentirsi finalmente a casa. Si avvicinò lentamente al letto e con una leggerezza tipica di un Auror si sdraiò vicino a lei. Quasi quasi le spiaceva svegliarla. Incominciò a giocare con i suoi boccoli sparsi, le accarezzò una guancia e tracciò con un dito il profilo del suo viso, sentì il suo battito, regolare come il suo respiro. Notò la sua foto vicino al cuscino e non poté fare a meno di sorridere. Sicuramente non l’avrebbe dato a vedere, come tutte le volte, ma a quell’adorabile orgogliosa doveva essere mancato da morire. Come per lui. Impaziente, le sfiorò le labbra. Erano fresche e sapevano di menta, il suo burrocacao. La sentì muoversi.

‘Ma cosa…’

Aprì gli occhi due o tre volte prima di rendersi pienamente conto di quello che stava accadendo.

‘Ron!!’

Era sconvolta, stupita, felice, tutto, tutto le passava per quegli occhi ormai completamente svegli. Gli si buttò tra le braccia, stringendolo stretto come per assicurarsi che non fosse un altro dei suoi stupidi sogni. Ancora restando abbracciati si staccò leggermente per guardarlo negli occhi. Non poteva crederci…Il suo Ron era lì, per davvero, che la stava abbracciando e le sfoggiava uno dei suoi sorrisi più belli. Gli accarezzò una guancia prima di perdersi sulle sue labbra. Le era mancato da morire il suo tocco, la sua irruenza ma anche tenerezza, il bisogno che aveva di lei che traspariva in ogni suo gesto. Ora più che mai.

‘Come mai sei già a casa? E’ successo qualcosa…?’

Ma Ron non voleva parlare. Le mise un dito sulle labbra e con un altro lungo bacio la zittì. Ad Hermione parve bastare quella risposta perché non si oppose minimamente. Anzi, gli buttò le braccia al collo e con foga lo trascinò sopra di sé. Il suo corpo aveva bisogno del suo, non riusciva più a trattenersi, sentiva le sue mani forti e sicure percorrerlo, esperte dei suoi punti più sensibili. Non aveva urgenza di spiegazioni per ora, ma solo del suo amore cui si abbandonò con tutta se stessa.

 

 

‘E poi dicono che sei sempre tu quella che si sveglia prima dei due!’

Hermione si stiracchiò alla luce del sole. Sentirlo girare di nuovo per casa le procurava una gioia immensa. Sentì l’odore del caffè che si spandeva per l’aria ed era pronta a scommettere che a breve le sarebbe stata portata la colazione a letto. Si girò verso la porta in tempo per vederlo arrivare con due tazze di caffè fumante e delle brioche, oltre al suo bicchiere di succo d’arancia.

‘Ma bravo Ambrogio, un servizio sempre impeccabile.’

Lo vide sorridere e precipitarsi affianco a lei. La prese tra le braccia e la baciò, prima delicatamente, poi con più intimità. I suoi capelli ramati le solleticavano il naso.

‘Suo marito non sarà felice di sapere che sua moglie ha una relazione con il maggiordomo, Madame.’

Hermione lo baciò di nuovo.

‘Scemo.’

E con questo si misero a far colazione.

‘Mi vuoi dire com’è andata, adesso, o devo aspettare il rapporto da firmare?’

Hermione stava sorseggiando il suo caffè mentre si avvicinava ad una delle due brioche.

‘Beh, non dirmi che ieri sera avresti preferito parlare…’

Sentire quella leggera malizia nella sua voce l’elettrizzava ogni volta. Continuò il gioco.

‘Se tu non fossi stato così irruente…Se ben ricordi, ci avevo provato…’

Deliberatamente non lo guardò negli occhi, soffermando il suo sguardo sul caffè, come se stessero parlando di cavolfiori. Con la coda dell’occhio lo vide posare la tazza e avvicinarsi con passo felino. Decise che era meglio posare anche la sua tazza. Alzò gli occhi giusto per vederlo afferrarla per la vita e sdraiarla sotto di lui.

‘E così sarei un irruente…’

Continuando a guardare le sue labbra macchiate di caffè, Ron se ne impossessò senza aspettare una risposta. Hermione adorava quel suo modo di fare impulsivo ed incredibilmente deciso. Gli spettinò i capelli mentre con l’altra mano gli accarezzava il collo e le spalle. Lo fissò di nuovo, perdendosi nei suoi occhi blu cobalto.

‘Decisamente…’

E, come se quella notte fosse stata passata a giocare a carte, la stanza si riempì di nuovo dei loro sospiri.

 

 

‘Non mi hai neanche fatto finire il caffè.’

Hermione sorrise alla testa di Ron appoggiata delicatamente sul suo petto. Lo vide girarsi e impossessarsi delle sue labbra socchiuse.

‘Mi sei mancata troppo.’

Era la prima volta che glielo diceva.

‘Anche tu.’

La bruna l’attirò a sé. Non c’era bisogno di parole. Ogni loro gesto lo faceva intuire. Poi Ron le si mise a sedere affianco e, senza nessun preavviso, le raccontò tutto quello che aveva passato in missione. Gli piaceva parlare con lei perché lo sapeva ascoltare senza interrompere. Beh, quasi sempre. La vide sorridere. Sapeva perfettamente che le faceva piacere essere partecipe anche quando non c’era fisicamente. Certo che quando andavano in missione insieme risparmiavano un sacco di tempo piuttosto che parlare. Alla fine prese la tazza che aveva posato prima e bevve il caffè che era rimasto. Freddo.

‘Che schifo, non c’è niente di peggio del caffè freddo.’

Hermione sorrise.

‘A chi lo dici.’

Ron le strappò un altro bacio prima di raccattare i pezzi della colazione e portarli in cucina, come ogni bravo Ambrogio doveva fare. Mentre andava in cucina una cosa gli catturò l’attenzione.

‘Dì, ma quelli della scientifica ti hanno dato un surplus da fare?

Hermione non capiva. Staccò gli occhi dal giornale e fissò la figura longilinea del ragazzo scomparire da dietro la porta.

‘No, perché?’

La testa rossa spuntò da dietro la porta della cucina.

‘Mah, ieri sera ho visto quello strano contenitore verde sul comò e pensavo che fosse una nuova pozione da sperimentare…’

Come solo un ignaro poteva fare se ne tornò in cucina a sistemare il resto. Hermione sbarrò gli occhi. Merda! Se n’era completamente dimenticata. Atterrita, spostò lentamente il suo sguardo dalla porta al barattolino sul comò, come a prolungare in qualche modo inutile l’attesa. Verde. Senza alcun dubbio verde. Cercò inutilmente di trovare un collegamento col giallo originario della sua pipì ma non c’era niente da fare. Quello non era giallo, era verde, verde brillante. Si alzò a fatica dal letto senza mai spostare lo sguardo da quell’oggetto. Aprì tremante il cassetto e prese il biglietto d’istruzioni. ‘Congratulazioni, lei è incinta di un mese. Auguri.’ Ma che carini, prendevano anche per il culo. Come se chi faceva quel cavolo di test era sempre felice del risultato positivo. Un mese…Poco prima che Ron partisse. Consci del fatto di non potersi vedere per circa un mese, se non di più, avevano, per così dire, recuperato del tempo perso. Incoscienti come non lo erano mai stati, stramaledettamente incosciente come non lo era mai stata! Cacchio. Che stupida. Sempre a pensare che tanto il rimanere incinta era una remota possibilità, mica doveva capitare per forza a lei, no? Una ragazza fertilissima di 21 anni! E ora? Lanciò uno sguardo disperato alla cucina ma il fischiettare innocuo di Ron le dichiarò che era ancora lì. Accidenti, la seconda scatola era rimasta in salotto. Doveva prenderla, doveva essere sicura al cento per cento. Adottando il sistema ninja degli Auror per non farsi vedere, si affrettò in salotto a prendere la benedetta scatola. Ron stava sciacquando le tazze. Con l’atteggiamento più sicuro e indifferente che poté prese la scatola e si avviò in bagno. Come se al posto di prendere il suo lasciapassare per la disperazione, stesse prendendo un bicchiere di succo di frutta. Il cuore le batteva a mille. Se Ron le avesse chiesto a cosa serviva quel barattolo sarebbe stata la fine. Nel pathos in cui era caduta, non riusciva a prevedere una scusa pronta. Con un sospiro di sollievo chiuse la porta del bagno dietro di sé e vi ci si appoggiò. Accasciata dietro la porta lesse il contenuto dell’altra scatola. Ancora più facile. Ripeté l’esperimento della sera prima e in un minuto, et voilà. Positivo. Dannatamente positivo. Le veniva da piangere. Per la frustrazione fece sparire la scatola e tutto il resto babbano. Bastava il solo barattolino verde a farle naufragare ogni speranza. Ed ora arrivava il peggio. Come avrebbe reagito Ron? Bene, maledettamente bene. Lo odiò per un attimo. Tanto era lei che doveva portarselo per 9 mesi in grembo e allattarlo e via dicendo! Dio, le faceva male la testa. Ma la cosa che la preoccupava di più era la reazione di Ron a vedere la sua reazione di fronte a quella notizia. Non era certo felice. Non era certo quello che si aspettava. E non l’aveva certo voluto. Però se l’era ampiamente cercata. Qualcuno una volta le aveva detto che se una donna rimaneva incinta la responsabilità non era a metà con il partner bensì l’80% era della sola donna. Perché poi erano tutti cacchi suoi. Ed era vero, terribilmente vero. Sentì i passi di Ron avvicinarsi. E girare in camera. Dove non l’avrebbe trovata. Si posò istintivamente le mani in grembo. Lì dentro c’era il suo bambino. Il solo pensarlo la fece sorridere di tenerezza. Anche la peggiore delle donne è portata a essere mamma. E’ nella sua natura. Girò la testa furiosamente. Non doveva pensare certe cose, non doveva! Lei quel bambino non lo voleva…L’avrebbe voluto in seguito, certo, ma non adesso, non adesso. Non adesso che aveva solo 21 anni, non adesso che non era ancora pronta! Non così. Non con tutti quei dubbi e rimorsi. Le sembrò di sentire qualcosa. Pura fantasia. Come se il bambino la pregasse di non buttarlo. Dio, che brutta parola. Buttarlo. E poi era suo figlio, suo e di Ron! Come poteva pensare di sbarazzarsene così facilmente?! Abbassò la testa e se la tenne tra le mani. Alcune lacrime cominciarono a uscire silenziose. Aveva sempre sperato di non trovarsi in quel tipo di situazioni. E invece eccola lì, con tutte le scarpe. Ma come potevano pretendere di farle prendere una decisione? Le lacrime continuavano a scendere. Decise che per il momento doveva per lo meno avvisare Ron. Si sistemò un attimo, giusto per dare una parvenza di normale. Uscì dal bagno con una specie di sorriso in faccia. Lo specchio le stava urlando che anche lui si era accorto che era maledettamente finto. E forzato. Tentò inutilmente di farsi mille discorsi, mille inizi che cominciavano bene e finivano inesorabilmente male. Come dirgli che lei voleva aspettare, che lei in fondo non voleva quel bambino, che per avere dei bambini c’era tempo. Come fargli capire che lei aveva un disperato bisogno di aiuto e conforto, che non sapeva bene neanche lei cosa fare. Entrò stancamente in camera. Lui stava leggendo il giornale che lei aveva abbandonato poco prima. Il barattolo era ancora lì, trionfante. Per poco la volontà di farlo cadere a terra e rovesciarne l’infausto contenuto non la sopraffece. Tanto la situazione non sarebbe certo cambiata. Si tuffò nel letto e non rispose allo sguardo interrogativo che l’altro le aveva mandato. Si era accartocciata su se stessa e ora si stringeva a lui. Ron spostò la sua attenzione su di lei e l’attirò a sé. Strano come poteva sembrare così fragile a volte.

‘Cosa c’è?’

Accidenti a lui che la conosceva così bene. Niente, cosa poteva esserci? A parte il fatto di essere incinta…Non lo guardò ma lo strinse di più. Non stava certo andando bene come inizio. Lui le alzò il mento. Non gli piaceva che le persone non lo guardassero negli occhi. Negli occhi si possono scorgere più cose di quanto si possa pensare. Il suo sguardo era confuso, ora. Quello di lei solo scuro. Estremamente scuro. Hermione riuscì ad abbassare comunque lo sguardo.

‘Il barattolo. E’ verde.’

Come in una specie di tranche, si girò a guardarlo.

‘Verde brillante.’

Era seduta a fissare quel barattolo verde come una bambola che deve fissare per forza quello che ha davanti a sé. Ron non capiva.

‘Allora?’

Lei si era alzata senza guardarlo e aveva preso il foglietto delle istruzioni in mano. Era andata in salotto ed era tornata con lo stesso foglio, ma una parte era più evidente. Era evidenziata. Ora lo stava guardando. Ma quello sguardo era stranamente neutro, vuoto. O troppo pieno di emozioni per farne trapelare qualcuna. Si avvicinò al letto e gli mostrò il foglio. Ron sentiva il suo sguardo scuro nel proprio. Prese il foglio.

‘Incinta. Di un mese.’

La voce di lei era spenta. Aveva pianto. Lui alzò lo sguardo, incapace di nulla. Lei gli prese il foglio di mano, sempre guardandolo fisso. Tattica del felino. Continua a fissare l’avversario per non far trapelare le tue emozioni. Era una delle prime regole del corso preparatorio.

‘Hai capito bene, sono incinta di un mese.’

Si alzò dal letto e ripose il foglio dov’era. Non riusciva a guardarlo adesso, non riusciva proprio. Quello era fuggire Hermione, fuggire come dei vigliacchi. Si faceva schifo. Ma non riusciva a fare altro. Ron non parlava. Un sorriso enorme gli spuntò sul viso ma si rabbuiò presto. La reazione di Hermione non era come se l’aspettava. Non c’erano dubbi, non lo voleva. Si costrinse a pensare che se non fosse arrivato in tempo avrebbe deciso tutto da sola. E forse lui non ne avrebbe mai saputo niente, se non in un lontano futuro in cui finalmente lei si sarebbe decisa a tenere il suo bambino. Voleva urlare di gioia, di gioia per quella notizia meravigliosa, ma lei, quel silenzio imbarazzante, glielo impedivano. Tutto in quella casa glielo impediva. Lei si era girata. Aveva un sorriso triste in volto, ma era pur sempre un sorriso. Era deluso, arrabbiato, non sapeva neanche lui, ma le sorrise lo stesso.

‘Lo sapevo che ti avrebbe fatto piacere…’

La sua voce era volutamente neutra. La guardò. Solo amarezza in quei begli occhi marroni. Non sapevano cosa dire. Lei si girò e se ne andò in salotto. Era solo adesso. Non sopportava quel clima. Ma non era l’uomo che scappava di solito?! Comunque non riusciva a starsene da solo e la seguì. Hermione si era fatta piccola piccola in una poltrona e con le braccia che tenevano strette le gambe al petto ci aveva appoggiato la testa sopra. Così non andava. Arrivò davanti alla poltrona ma lei non si mosse. Eppure l’aveva senza dubbio sentito. Senza dire una parola la prese in braccio e la trascinò sul divano dove incominciò a coccolarla. Era amareggiato ma vederla così lo faceva sentire ancora peggio. Non vederla reagire era peggio di una pugnalata nel fianco. La sentì stringersi a lui, in un movimento quasi disperato.

‘Perdonami Ron, ti prego…’

Aveva la voce rotta dai singhiozzi. Il suo silenzio le faceva male, troppo male. Ed era tutta colpa sua. Del suo egoismo. Della sua fottuta libertà. Del suo orgoglio nel non volergli chiedere aiuto. Però doveva almeno cercare di spiegargli le sue ragioni.

‘Questa è una decisione che va presa in due, Hermione, ma se tu non lo vuoi è inutile discuterne.’

Nel silenzio la sua voce era dura e affilata come il rancore. Il rancore di non poter fare niente per farle cambiare idea. Anche se le sue mani erano gentili, il corpo della ragazza fremette.

‘Ma non hai pensato neanche un attimo alle mie di ragioni? Tanto, cosa te ne frega, tu potrai comunque continuare a fare quello che ti pare mentre io sarò chiusa in casa a badare al bambino e ad essere preclusa dalla vita sociale! Dal mio lavoro, dalla mia libertà! Il primo figlio a 21 anni, te ne rendi conto?!’

L’aveva guardato con le lacrime agli occhi ma nel suo sguardo si leggeva tutta la sua famosa testardaggine, decisione e fermezza. E anche un pizzico di orgoglio. Con la voce tremante e piena di rabbia, gli aveva sputato in faccia i suoi dubbi, le sue paure, tutto quello che l’aveva tormentata fino a quel momento. E a lui non importava un bel niente. Non sembrava neanche accorgersi di come ci stava male a quella sua reazione, pensava solo al loro bambino, lui, senza badare alle conseguenze, come al solito.

‘E’ quello che pensi?’

La sua voce continuava a restare calma e distaccata come se tutta quella situazione fosse ridicola. Le vennero ancora più su i nervi. Si avvicinò minacciosa.

‘Tu non pensi mai alle conseguenze, non l’ hai mai fatto, Ron Weasley, e non riesci neanche a capire le ragioni più elementari! Per te è sempre tutto maledettamente facile!’

Si era alzata in piedi, anche lui era scattato. Erano furiosi. Ognuno per il motivo sbagliato. Ognuno per non saper comunicare le proprie emozioni all’altro.

‘Ma capisco questo, maledizione!’

Aveva preso violentemente una mano pallida di lei e se l’era portata al petto, all’altezza del cuore, dove la stringeva con forza.

‘Capisco che ti amo Hermione, e che un figlio nostro non può che essere una bella notizia! Un figlio tuo non può che rendermi orgoglioso di diventare padre, a qualunque età esso possa arrivare! E pensavo che fosse lo stesso per te, ma a quanto pare mi sbagliavo.’

La sua voce si era calmata. La rabbia aveva lasciato il posto all’amarezza.

‘E no, Hermione, non le capisco le tue ragioni. A quanto pare non sono così intelligente come pensavi.’

Detto questo la lasciò fissare il muro mentre il suo corpo si andava a chiudere in camera. Ma la sua mente era fissa allo sguardo perduto di lei e in qualche modo ferito.

‘Bravo Weasley scappa, scappa pure, tanto è la cosa che sai fare meglio…’

Poi non la sentì più muoversi per tutto il pomeriggio. Doveva essersi di nuovo raggomitolata su quella stupida poltrona. Ovviamente nessuno dei due aveva voglia di mangiare. Il telefono aveva squillato a vuoto parecchie volte, poi non l’aveva sentito più. Il tempo non sembrava passare. Ripensò alle sue parole. Non aveva mai creduto che il pensiero di un bambino potesse essere così pesante. Nella sua famiglia avere figli non era certo un problema. Possibile che un loro bambino potesse essere così vincolante? Passi la gravidanza e l’allattamento, che lui non poteva certo fare, ma per il resto l’avrebbe aiutata, diamine, cosa pensava, che l’avrebbe abbandonata al suo destino?! L’amava troppo per farle una cosa simile. Si rigirò sul letto parecchie volte cercando inutilmente di liberare la testa. Ma ogni cosa sapeva di lei, dal suo profumo ai vestiti sparsi sul letto, ogni cosa gli riportava alla mente quella splendida testarda. Non ce la faceva più. Doveva vederla. Con indifferenza si avvicinò alla cucina, in teoria per andare a prendere qualcosa da mangiare che non voleva, in pratica per osservarla di nascosto. Vide il telefono staccato. Sorrise. Ottima idea. Si sporse leggermente dalla porta. Vide il suo capo abbandonato su un lato, il braccio penzoloni, una gamba spuntare fuori dalla stretta. Non poté far altro che prenderla e portarla sul letto dove sarebbe stata indubbiamente più comoda. Dopo vari giri si fece notte e la raggiunse. Era buio ma sentì che era sveglia. Lo sguardo perso. Era girata su un fianco e gli voltava le spalle. Non gli disse nulla, neanche quando lui entrò nel letto. I loro corpi non erano mai stati tanto lontani. Ron avrebbe voluto dirle almeno una parola, ma alla fine, maledicendo qualcosa a bassa voce, si girò dalla parte opposta e tentò di dormire. Non seppe mai quanto aspettò prima che il respiro regolare di lei lo cullasse nel sonno. Si addormentò che lei era ancora sveglia. E quello sguardo indirettamente lo stava penetrando fino all’osso.

 

 

Era giorno. Ed era anche presto a giudicare dal sole. Non aveva dormito granché. Si girò a fissare la conca vuota vicino a lui. Tipico. Di certo non aveva sperato di passare così la sua seconda notte a casa dopo un mese passato fuori. Lei era andata a lavorare. Lui aveva ancora qualche giorno di permesso. Si alzò a fatica, giusto per non restare inattivo. Se c’era una cosa che odiava era il cosiddetto ‘dolce far niente’. O meglio, lo odiava da solo. Con Hermione gli piaceva stare ore a non fare niente, accoccolati uno vicino all’altra. Gli mancava. Voleva far pace con lei, voleva abbracciarla e dirle che andava tutto bene. Ma non era così. Mai come quella volta Ron pensò al peggio. Si guardò allo specchio. Profonde occhiaie violacee gli incorniciavano il bel viso e gli occhi azzurri. Guardò l’ora. D’impulso decise di fare colazione e vestirsi: sarebbe andato a trovare ‘Mione.

 

 

‘Buongiorno’

Ginny era insopportabilmente sempre con il sorriso stampato in faccia. Le ricordò qualcuno di sua conoscenza. Le accennò quello che ci si aspettava fosse un saluto.

‘Ok, nella pausa vengo nel tuo ufficio e facciamo quattro chiacchiere, d’accordo? Non muoverti da lì.’

Senza neanche aspettare una risposta la rossa se ne andò verso l’ala ovest del piano dove c’era il suo reparto. Hermione sorrise. Se non fosse esistita, avrebbe dovuto inventarla.

‘Buongiorno Capitano Granger, dormito bene?’

La voce maliziosa e civettuola non poteva che essere del Sottufficiale Firth. Alzò gli occhi dal suo fascicolo.

‘Buongiorno Firth. Sì, grazie, se è la mia salute che le interessa.’

Sarah non si fece allarmare da quel tono freddo ed incredibilmente distaccato.

‘Mangiato yogurt a colazione?’

Le fece l’occhiolino.

‘Non si preoccupi, a tutto c’è una soluzione. Si mangi una brioche da Martin’s qui di fronte e vedrà che andrà tutto bene!’

Detto questo se ne andò quasi saltellando ed Hermione la ringraziò mentalmente per quel piccolo assaggio di quotidianità. Poi avrebbe dovuto scusarsi per il suo tono. Ma non adesso, non ce la faceva proprio. Abbandonò i fascicoli sul ripiano della scrivania e sorrise. Buttarsi qualche ora sul lavoro era un’ottima scusa per non pensare a nient’altro.

 

 

‘Un mese, eh?’

Ginny rigirava il suo caffè rigorosamente macchiato. Praticamente una brodaglia giallognola.

‘Mai una volta un caffè decente…’

Hermione con il suo caffè nero di seppia guardava fuori dalla finestra.

‘E’ per questo che non è qui oggi?’

‘Lo sai che dopo le missioni si hanno sempre due o tre giorni di permesso.’

Hermione e Ginny scrollarono insieme la testa. Lui non li usava mai quei giorni di riposo.

‘Hai provato a spiegargli le tue ragioni?’

Ginny aveva tolto la sua attenzione dal caffè per posarla su di lei. Hermione si era girata di scatto. La voce era diventata improvvisamente più acuta e stridula.

‘Ho tentato! Davvero Gin, ho tentato! Ma lui niente, sordo.’

Ginny le aveva accarezzato una spalla. Hermione si era seduta su una sedia.

‘Mi guardava dall’alto in basso, superiore nella sua posizione per lui assolutamente nel giusto. Completamente in disaccordo con me, non tentava nemmeno di capirmi. Di capire il mio dolore, la mia confusione. Il bisogno di sentirlo vicino, di essere rassicurata, di farmi dire che a tutto c’è una soluzione. Sentirmi protetta, amata. E invece mi parlava come se io avessi solo torto, sicura nella mia assurda decisione. E mi rifiutassi unicamente di vedere la verità.’

La bruna con uno slancio si era protesa verso l’amica e ora l’abbracciava all’altezza del torace. Alcuni singhiozzi cercavano di uscire soffocati dalla stoffa. Gin istintivamente si era chinata per abbracciarla a sua volta.

‘Volevo solo che lui mi dicesse che non sarebbe cambiato niente tra noi, che mi sarebbe stato sempre accanto, che non sarei diventata solo la madre dei suoi figli. Che non avrebbe mai smesso di amarmi anche se quello che ci capita intorno cambia drasticamente.’

Gin si era risollevata.

‘A volte mi domando se sono io quella che vede più film o tu.’

Le aveva abbozzato un sorriso. Gin osservò quei grandi occhi pieni di lacrime. Dovevano trovare una soluzione, dovevano. Si amavano troppo per finire in questo modo.

‘Secondo me era solo confuso da quello che gli hai mostrato. Pensaci, Hermione: lui era così contento di questo bambino e tu gli hai tolto la terra sotto i piedi. Gli hai fatto capire che non volevi un figlio suo. Te l’ ha detto anche lui, no? Lui ti ama, amica mia, e tutto quello che è tuo lo adora. Figuriamoci un bambino.’

Hermione rimaneva ancorata a quel fragile corpo, come se l’ondata delle sue emozioni la stesse mandando alla deriva.

‘Ma anch’io lo amo da morire Gin, e tu lo sai, lui lo sa! Come fa a non capire che morirei senza di lui? Ma questa è una decisione troppo difficile per me. Forse per la prima volta nella mia vita non so davvero cosa fare.’

Gin l’aveva guardata abbassare sconsolata lo sguardo. Non l’aveva mai vista così in preda ai suoi pensieri. L’Hermione che conosceva sembrava persa per sempre. Come in tranche, si dondolava sulla sedia, con le mani che le contenevano la testa abbassata. I boccoli scendevano giù, quasi fino al pavimento. Le ricordava molto un salice piangente.

‘Allora prendetela in due, Herm. Fatti aiutare. Fatti consolare. Fatti dire che sei molto di più di un semplice contenitore.’

Gin si era abbassata sulle ginocchia, in modo da poterla guardare direttamente negli occhi, e le aveva preso le mani.

‘Fatti dire cosa sei realmente per lui Hermione. La cosa più importante che ha.’

Le aveva sorriso, il primo vero sorriso della giornata. Nei suoi occhi Ginny poteva vedere la verità di quelle parole fare effetto su quell’animo sconvolto.

‘Forse hai ragione Gin. E’ inutile rimandare un discorso inevitabile. Dobbiamo parlare, non c’è altra soluzione. Ma non è facile. Molte volte ci siamo scontrati in passato. Ma mai come questa volta ho paura di perderlo.’

Gin l’aveva guardata riprendere pian piano sicurezza in se stessa, fiducia nelle sue convinzioni. Vederla come una barca in preda alle onde era stato terribile. Gin l’aveva abbracciata di nuovo.

’Niente è facile, lo sai. Ma non ti preoccupare Herm, non lo perderai. Ti ama troppo per lasciarti scappare via.’

Hermione si era lasciata cullare da quell’abbraccio tenero e familiare.

‘Grazie per avermi ascoltata.’

La rossa non rispose neanche, l’abbracciò solo più stretta. Non c’era bisogno di parole, i gesti, gli sguardi dicevano tutto. Ormai si conoscevano troppo bene per non capirsi al volo. E così, con un rapido gesto di saluto, l’amica se ne andò via, silenziosa, esattamente come era arrivata. La bruna continuò a fissare la porta, come se da un momento all’altro la rossa si fosse rimaterializzata nel punto in cui era scomparsa. Ma, sentendo la pausa concludersi, decise che era meglio riavviarsi verso le sue carte.

 

 

Ora di chiusura. Bene. Ora l’aspettava una rilassante cenetta nel più totale silenzio. Le vennero i brividi. Le veniva male a pensare al clima che si era creato tra loro. Non si erano neanche sentiti per tutto il giorno. Fantastico. Riguardò l’ora. Era proprio ora di andare. E poi aveva finito tutto il suo lavoro. Ma soprattutto doveva parlare con Ron, doveva dirgli quello che non era riuscita a fargli capire il giorno prima, le sue paure, i suoi timori, le sue angosce, tutto quello che quella novità aveva apportato al suo spirito. Voleva renderlo partecipe delle sue emozioni, voleva sentirlo di nuovo suo. Voleva semplicemente ritornare al clima di sempre, alla spensieratezza di sempre. Sorrise nel vuoto. In qualunque modo sarebbero andate le cose, niente sarebbe stato più come prima. Ma non necessariamente peggio. Poteva anche andare meglio, no? E poi non voleva perderlo. Doveva parlargli, assolutamente. Non c’era un minuto da perdere. Ne andava del loro futuro insieme. Stava uscendo dal suo ufficio, finalmente decisa, quando vide che il Sottufficiale Firth non era ancora andato via. E le venne in mente che non si era ancora scusata.

‘Sarah…’

Hermione aveva chiamato la ragazza per nome. Un superiore ne aveva il diritto anche se non era sua abitudine. La nominata alzò lo sguardo dal fascicolo che stava compilando. Sorrise.

‘Ancora qui?’

La voce della bruna sembrava stranamente debole e timido. Non era da lei.

‘Eh, il lavoro sembra non finire mai! No, comunque questa è l’ultima pratica.’

Sarah sembrava sempre di buonumore. Anche a fine giornata. Hermione le propose di aspettarla per uscire insieme ma la ragazza rifiutò. Doveva ancora mettere in ordine e non voleva farla attendere troppo. Hermione capì che era arrivato il momento di scusarsi. In fondo era lì per quello.

‘Comunque per stamattina io…’

Firth la guardò dapprima stranita, poi, con un rapido e perentorio gesto, la fermò di botto. Come se si fosse ricordata in quel momento di qualcosa di importante.

‘Tutti hanno i loro momenti no. Non si preoccupi, è tutto a posto. E poi io non mi faccio mica abbattere così facilmente!’

Hermione sorrise. Doveva aspettarselo. Così, dopo un ultimo saluto, si incamminò rapida verso l’uscita. Doveva tornare a casa. E in fretta. Ma quasi alla fine del corridoio sentì chiamare forte il suo nome. Era la voce del Sottufficiale Firth, non c’erano dubbi. Si girò giusto per vedere Sarah arrivare trafelata nella sua direzione. Sembrava che le dovesse dire qualcosa di importante.

‘Alla fine il Capitano Weasley l’ ha trovata?’

Hermione non aveva recepito bene il messaggio. L’altra continuò imperterrita nonostante gli occhi incredibilmente sbarrati dell’altra. Semplicemente faceva finta di non accorgersene.

‘Sa, stamattina è venuto a cercarla ma gli ho detto che era occupata e di ripassare dopo. La porta era chiusa a chiave e il telefono era staccato.’

Nella pausa con Gin. Non c’era altra spiegazione. Le venne un tuffo al cuore e un sorriso larghissimo si impossessò del suo viso. Dunque non tutto era perduto! Felice come non mai si precipitò nell’ascensore, accorgendosi troppo tardi di non aver ringraziato il Sottufficiale Firth. Allora, senza pensare, bloccò le porte con un piede e affacciandosi con la testa urlò alla figura di spalle che si stava allontanando.

‘Grazie Sarah!’

La ragazza ebbe giusto il tempo di girarsi che i boccoli inconfondibili del suo superiore stavano scomparendo nell’ascensore. Decisamente il comportamento del Capitano Granger era davvero insolito quel giorno. Sorrise, e con una scrollata di spalle abbandonò quel pensiero inutile per andare a finire il suo lavoro.

 

 

Hermione stava letteralmente correndo fuori dall’edificio. Mai come in quel momento voleva correre alla prima metropolvere e tornare a casa. Dove lui la stava aspettando. Ne era sicura, la stava aspettando. Firth le aveva dato una notizia stupenda. Senza dubbio quello non risolveva la situazione, ma almeno accendeva un barlume di speranza. Se l’aveva cercata voleva dire che voleva parlare con lei. Chissà, magari anche vederla. Ora la prospettiva di parlargli non era poi così terribile. Sarebbe andato tutto bene, se lo sentiva. Pensando a come comportarsi appena tornata a casa non si accorse di esserci arrivata in frettissima. A quell’ora non c’era nessuno. Prese l’ascensore e in un batter d’occhio era lì. Davanti alla porta. Titubante fece per prendere le chiavi e aprire. Non aveva idea di cosa l’avrebbe aspettata. Ma non doveva certo farsi illusioni, il peggio non era ancora passato. Non poteva certo aspettarsi di trovare tutto uguale a prima, c’erano ancora troppi silenzi da abbattere. Con decisione infilò le chiavi nella serratura ed entrò in casa. Sentì la televisione accesa. Buon segno. Almeno quella casa non sembrava vuota. Appese il suo giaccone all’ingresso e andò a cambiarsi. Lo vide di sfuggita seduto sul divano a mangiare qualche porcheria davanti alla tv. Il solito. Non poté contenere un sorriso. Tutto le sembrava improvvisamente più leggero. Ma si ricordò mentalmente che non doveva illudersi solo perché l’aveva cercata. Col pensiero fisso che a breve si sarebbe dovuta nuovamente scontrare con lui, andò a rilassarsi con una doccia. Nonostante la fretta se la prese comoda. Era decisamente divisa tra la fretta di chiarire e la paura di non riuscire a farlo. Buttò l’occhio oltre la porta della loro camera al divano dove era seduto. Sospirò. Non poteva rimandare oltre, era giunto il momento. Si avvicinò silenziosa alla sala dove c’era lui. Quando si appoggiò allo stipite della porta lui si girò a guardarla. Nessun sorriso, nessun segno di affetto. Stava lì e la guardava. Niente di più logico.

‘Ciao.’

Almeno l’aveva salutata. Il suo tiepido sorriso si riaccese. Così, incurante della sua apparente freddezza, gli andò incontro e gli si sedette affianco. Lui continuava impassibile a guardare interessato la tv. Non la guardava, non le mostrava il minimo interesse. Hermione stava per perdere le speranze quando notò che mentre mangiava, una buona metà finiva per terra. Non poté che scoppiare a ridere. Lui la guardò stupito. Era entrata con una faccia così seria che quello non se l’aspettava proprio. Lei lo guardò di rimando. Gli era mancato il suo sguardo vivo e sereno.

‘Non sei mai stato capace di fare l’indifferente Ron, mi spiace.’

Lui la guardò ancora e poi scoppiò a ridere anche lui. Per scaricare la tensione. C’erano briciole sparse ovunque. Quando il silenzio stava per rimpossessarsi della stanza, lui le prese titubante una mano che lei gli aveva abbandonato vicino. Era calda e soffice come sempre. Ron non aveva mai pensato di essere così intimorito nel toccarla di nuovo. Hermione si girò a guardarlo. Era incredibilmente serena.

‘Ho saputo che mi hai cercata oggi…’

Lui continuò a guardare davanti a sé.

‘Sì, ma eri occupata.’

Delicatamente, Hermione gli sfiorò una guancia con la mano. Quel tocco intimo lo fece sobbalzare un attimo. Lei lo costrinse a guardarla. Gli strinse la mano che stava ancora tenendo la sua e con l’altra spense la televisione.

‘Noi dobbiamo parlare.’

Vide il suo volto irrigidirsi. Hermione non avrebbe voluto rompere quell’attimo di serenità che si era faticosamente ricreata tra di loro, ma non si poteva certo ignorare la questione. Lo vide annuire. Anche lui sembrava essere arrivato alla stessa conclusione. Lei abbassò improvvisamente lo sguardo ma fu lui il primo a parlare.

‘Scusami.’

Lei lo guardò di nuovo. La stava fissando.

‘Non avrei dovuto scappare così. Avevi ragione ‘Mione, tu hai sempre ragione. Stavo scappando. Non volevo neanche sentire le tue ragioni. E’ solo che ero confuso, arrabbiato, e…’

Ron sentì il delicato tocco delle labbra fresche di lei sulle sue. Era lievissimo ma abbastanza per farlo fremere. Ogni suo tocco lo faceva impazzire.

‘Io non ho sempre ragione, Ron. Sono io che devo scusarmi. Ti ho sputato addosso tutta la mia disperazione come una belva ferita nell’orgoglio, senza realmente farti capire cosa volessi davvero.’

Hermione lo guardò a fondo prima di continuare. Era dura per lei fare quel passo, abituata sempre ad aiutare, piuttosto che ad essere aiutata. A cavarsela da sola.

‘Ho bisogno del tuo aiuto, amore mio. Non posso negare che questa notizia mi ha fatto crollare il mondo addosso, ma non sono più sicura di niente. Né di quello che voglio, né di quello che non voglio. E non sono neanche riuscita a dirtelo.’

Ron l’aveva attirata forte a sé prima che lei finisse la sua frase. Era stato un idiota a non capirlo subito, a non vedere sotto quella patina di orgoglio una ferita ancor più grande, e profonda. Come poteva pensare che lei non lo volesse più? Che non lo amasse più? E che quella era solo una prova di superbia? Era lui il superbo. Fermo nella sua decisione non l’aveva neanche voluta ascoltare, sicuro di non essere nel torto. E l’aveva fatta soffrire, eccome se l’aveva fatta soffrire. Non era una scelta facile e lui l’aveva lasciata da sola. Come mai aveva pensato di fare. Le coccolò piano la testa mentre con tenerezza prese a giocare con i suoi capelli sciolti. Al suo tocco la sentì rilassarsi.

‘Hermione, io lo voglio questo bambino. Vedrai, sarà bellissimo. Ci pensi? Un figlio mio e tuo che corre per casa, che ci chiamerà per la prima volta mamma e papà.’

Le aveva preso il volto tra le mani e la guardava attentamente.

‘Hai ragione tesoro, è una grande responsabilità. E siamo giovani, molto giovani. Ma questo non vuol dire niente! Mia madre è rimasta incinta prestissimo e se l’è cavata egregiamente. Se abbiamo dei problemi, abbiamo un sacco di gente a cui chiedere aiuto. E per i prossimi staremo più attenti. Questo è un errore, in fondo. E ricorda che qualunque cosa accada io non ti abbandonerò mai, per nessun motivo. Non dovrai mai pentirti di esserti fidata di me.’

Hermione l’aveva guardato per tutto quel tempo, sorridente mentre le raccontava della vita futura, incredibilmente serio quando le parlava di loro. Non sarebbe cambiato niente, niente. Gli buttò le braccia al collo e lo strinse forte a sé. Anche lui la strinse forte, persin troppo. Ma a lei non importava. Anche se nel profondo sapeva che un giorno se ne sarebbe pentita, decise di fidarsi di lui. Lo guardò sorridere a 32 denti, finalmente libero di esprimere la sua felicità. A vederlo così anche lei sorrise pienamente. E poi la baciò, a lungo, per assaporare ogni suo movimento, ogni sua carezza. Le era mancata da morire la loro intimità e a quanto pareva, anche a lui. Lo lasciò vagare sul suo volto, il suo collo, che riempiva con piccoli baci desiderati. Lo sentì accarezzare la sua pelle liscia e profumata sotto la maglia e ad ogni suo tocco il suo petto si riempiva di sospiri inconsapevoli. Ma anche le sue mani portavano effetti non voluti. I loro corpi ora desideravano la pace dei sensi che le loro menti avevano già assaporato. Lei aprì gli occhi un attimo giusto per vedere riflesso nello sguardo di lui il suo stesso languore. Gli prese delicatamente il viso tra le mani prima che lui si alzasse e la prendesse in braccio. La camera da letto era rimasta fin troppo silenziosa in quelle ultime ore.

 

  

‘Ehi, non cominciamo!’

Ron aveva la testa appoggiata sulla pancia di Hermione, cercando invano di sentire qualcosa. Ma l’unico rumore era il respiro ancora affannato della donna. Hermione lo guardò seria.

‘Lo sai che non voglio essere considerata un contenitore.’

Lui si era alzato e se l’era messa in braccio. L’aveva stretta a sé come per ricordarle tutta la sua contentezza. Non l’avrebbe fatta soffrire, mai. E soprattutto non l’avrebbe fatta in nessun modo pentire di quella decisione. Le aveva già dichiarato la sua immensa gioia a proposito e veder finalmente sorridere anche lei lo faceva entusiasmare ancora di più. Amava Hermione, non avrebbe mai sopportato di vederla soffrire. Non a causa sua.

La baciò di nuovo.

‘Tu non sarai mai un contenitore…’

Lei lo guardò felice. Sì, aveva preso la decisione giusta.

 

 

 

 

 

Fine

  
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