11 maggio, 1978.
Quel giorno Altea Von Wasser, allieva undicenne nella rinomata scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, era infelice.
Questo perchè Altea Von Wasser, studentessa brillante e Purosangue, non aveva niente di quello di cui le ragazze della sua età hanno bisogno per essere felici.
Le altre ragazze erano carine; le altre ragazze erano vivaci; le altre ragazze erano dolci. Lei non era carina; non era vivace. E non era dolce.
Seduta sull’erba nuova e tenera davanti al castello, la schiena appoggiata ad un albero, fissava - di nascosto e con dolorosa intensità - un giovane dai capelli scuri, seduto come lei sul prato fra le grosse radici di un faggio, le esili spalle contro l’imponente tronco ruvido. Non era la prima volta che sorvegliava con lo sguardo quello studente in particolare – era anzi un’attività che la teneva impegnata più spesso di quanto lei stessa non volesse ammettere. C’era qualcosa in lui – qualcosa nei lineamenti duri e nell’atteggiamento guardingo, nel modo in cui i suoi occhi neri sembravano guardarsi sempre alle spalle anche nelle rare volte in cui rideva – che le ricordava se stessa, e al tempo stesso le appariva sfuggente, enigmatico.
Altea reggeva un libro scolastico fra le mani, e lo teneva saldamente davanti al viso per nascondere la direzione del suo sguardo, l’insistenza con cui i suoi occhi pallidi seguivano la linea severa del naso di lui, la piega precocemente indurita delle sue labbra, le ciglia corte e dritte sui fermi occhi neri; la giovane studentessa cercava disperatamente di mantenere un’aria impassibile: non sopportava l’idea che qualcuno potesse accorgersi del suo interessamento: la sua timidezza patologica la induceva alla diffidenza, e temeva sopra ogni altra cosa che gli altri potessero intuire ciò che provava e prendersene gioco.
Non si rendeva conto che - ben lungi da quel che lei temeva - , agli occhi degli altri studenti appariva, col libro sempre davanti al naso e quell’espressione indifferente, una ragazzina acida e scostante, tutta presa dagli studi e incurante della giornata soleggiata, degli altri ragazzi che parlavano e ridevano sul prato, della bellezza maestosa del lago sotto la luce intensa del sole di maggio.
Si rendeva conto, invece, e molto bene – una certezza dolorosa e irritante come una puntura di vespa – che, esattamente come lei, nel suo stesso, identico modo furtivo, il giovane uomo che lei osservava stava fissando a sua volta, con una strana espressione avida e tormentata insieme, un gruppetto di ragazze ridenti, che si erano tolte calze e scarpe per rinfrescarsi i piedi nel lago. Sentendo un grido, Altea si girò verso il lago: tre o quattro studenti dell’ultimo anno, le cravatte annodate con studiata negligenza, senza scarpe e immersi fino alle ginocchia, schizzavano d’acqua le ragazze, provocando strilli acuti fra l’indignato e il divertito; mentre Altea guardava, un giovane scuro di capelli e attraente sollevò di peso una graziosa rossina e, ignorando le sue grida (“James, no, no! – cosa stai... – no no NO!”) e i pugni scherzosi che si abbattevano sulle sue spalle, la gettò in acqua inzuppandole la divisa.
Altea sentì la voce della giovane donna alzarsi in una sequela di minacce (“Stavolta me la paghi, sissignore – oh, se me la paghi...”), la vide afferrare il ragazzo per l’orlo della camicia che lui teneva fuori dai pantaloni, tirare e sbilanciarlo, così che anche lui finì a sedere nell’acqua, ridendo. Altea provò una subitanea, dolorosa fitta d’invidia per quei giochi affettuosi e distolse lo sguardo, fissandolo di nuovo sul suo studente dal viso precocemente sciupato, che aveva stretto le labbra in una smorfia.
Altea vide il giovane - che, come lei, stava osservando la scena - sussultare e distogliere lo sguardo, quando il ragazzo attraente si alzò a metà dall’acqua, scattò di lato e riuscì a stampare un rapido bacio a tradimento sulle labbra della rossa... prima che lei, ridendo e gridando in tono di comica esasperazione, lo rimandasse, con uno spintone, a mollo fino a metà torace.
Lo studente si alzò in piedi con un movimento stanco, da vecchio, appoggiò per una frazione di secondo la fronte contro il tronco dell’albero, in un modo sconsolato che Altea trovò curiosamente toccante, poi si allontanò.
Gli occhi verde chiaro di Altea si riempirono inaspettatamente di lacrime rabbiose, e lei si alzò di scatto dall’erba e si allontanò in fretta, rigidamente, stringendo al petto il libro gualcito e inutile che aveva fatto da schermo al suo viso innamorato.
Altea entrò nel castello, imboccò un paio di corridoi alla cieca e si rifugiò, infine, in un’aula deserta e semibuia che odorava d’inchiostro e di polvere.
Senza preoccuparsi di richiudere la porta dietro di sé - tanto, non c’era nessuno: erano tutti fuori a godersi il sole, e il fatto di essere giovani e vivi e senza pensieri al mondo - , appoggiò la schiena contro al muro fresco; la differenza fra la luce intensa e l’afa dell’esterno e l’umida oscurità delle aule di pietra le risultava stranamente confortante. Chiuse gli occhi, e si lasciò scivolare a terra con un singhiozzo amareggiato.
Lei non sarebbe mai stata – mai stata così: mai le sarebbe successo di ricevere baci di cui fingersi infastidita; nessuno le avrebbe rubato un bacio, perché la sua bocca pallida e seria non era fatta per queste cose.
Mai avrebbe riso e gridato mentre un ragazzo la gettava in acqua per scherzo, perchè nessun ragazzo avrebbe mai scherzato con lei; lei stessa era troppo schiva e selvatica per permetterglielo... Lei, con la treccia nero petrolio e il viso slavato; lei, con le gambe magre e il seno acerbo.
Persino il giovane uomo dal volto pallido e scarno che aveva riconosciuto come simile a lei – ombroso e taciturno, orgoglioso, solitario – , quel giovane uomo che Altea cercava con lo sguardo nei pomeriggi assolati, non l’avrebbe mai guardata come lei lo guardava: nei suoi occhi duri, sotto le ciocche di neri capelli lisci, sedeva ridendo la donna che lei non sarebbe mai stata - il viso inondato di sole, i capelli rossi mossi dal vento, pronta a qualsiasi scherzo o bacio o frase sussurrata il destino benevolo avesse in serbo per lei.