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Autore: Alchimista    27/08/2010    4 recensioni
Grida. Grida disperate che si susseguono finché la gola non arde come le fiamme.
«No! Non lo porterai via! Sta lontano!» grida ancora.
Eppure è come se non esistesse, come se le sue parole non avessero nessun effetto. Di fronte a lui la scena si svolge senza cambiamenti.

Per quanto mi sembri un po' inutile dirlo, sono presenti spoiler della fine della seconda e terza serie.
Dedicata a TanyaCullen
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Terza stagione
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The nightmare that will be true

The nightmare that will be true.

 

Grida. Grida disperate che si susseguono finché la gola non arde come le fiamme.

«No! Non lo porterai via! Sta lontano!» grida ancora.

Eppure è come se non esistesse, come se le sue parole non avessero nessun effetto. Di fronte a lui la scena si svolge senza cambiamenti.

«Dean, corri! Scappa. Va via!» lo prega, ma suo fratello non gli dà ascolto, sta lì immobile di fronte a quel qualcosa che Sam non può vedere.

Poi tutto diventa buio, mentre nuove grida – stavolta del maggiore dei Winchester – riempiono l’aria. Sam si muove, corre in direzione di quel suono, senza più scorgere la figura del fratello. La paura lo investe, il respiro si fa pensate: no, Dean non è morto. Sam gli ha promesso che stavolta sarebbe stato lui a salvarlo. Non può fallire.

Eppure il corpo di Dean non è da nessuna parte. Anche il suo grido ormai si è spendo, dissolto nell’aria, ora terribilmente fredda. Sam sente le forze fuggire dalle membra: improvvisamente è così stanco… stanco della vita, di quell’interminabile caccia.

Capisce che ormai nulla ha più senso.

 

Sam sussultò, spalancando gli occhi nel buio della stanza di motel – l’ennesimo – in cui stavano alloggiando. Il sudore, che gli imperlava la fronte pallida, scese lento lungo la pelle, fino a bagnare i capelli ed il cuscino.

Era solo un incubo, solo un incubo tentò di rassicurarsi, mentre i respiri affannati diventavano più regolari.

Si mise seduto e rivolse lo sguardo verso il fratello che dormiva pochi centimetri più in là. Fortunatamente non lo aveva sentito – le grida c’erano state solo nella sua mente: non aveva alcuna voglia di parlare dell’accaduto con lui. Sapeva cosa gli avrebbe detto Dean: era solo un incubo, sarebbe morto solamente tra un anno e lui non doveva avere paura.

Certo, come no? Lui non doveva avere paura se suo fratello spariva negli Inferi per sempre. E non doveva avere paura neanche dei suoi incubi…

Sam si prese la testa fra le mani: ogni volta quelle immagini erano sempre più vivide, come se stessero succedendo per davvero. E si sarebbero svolte: di questo era certo. Forse tra un anno, forse prima, ma quella scena sarebbe accaduta, così come l’aveva vista e lui non avrebbe potuto fare nulla.

Avrebbe fallito e sarebbe rimasto da solo.

Un gelo improvviso lo fece rabbrividire. Prese le coperte e s’infilò sotto, rimanendo comunque seduto: anche quella notte sarebbe passata in bianco - ormai era un’abitudine.

 

***

 

La luce dell’alba illuminava la stanza di motel con un tepore benigno, piacevole se si consideravano i 15° gradi di quella mattina. Dean si svegliò tranquillamente, come poche altre volte gli era successo e sbadigliando aprì gli occhi: sentiva il corpo rilassato e riposato come non mai, mentre la lieve adrenalina di quando ormai era a pochi passi dal demone, gli scorreva nelle vene.  

Mettendosi pigramente a sedere, fece scorrere lo sguardo nella stanza alla ricerca del fratello: il letto era vuoto, ma non rifatto e il giubbotto ancora sulla sedia. Sam era in casa. Il rumore di un getto d’acqua che scorreva gli fece capire subito che il ragazzo era sotto la doccia. Guardò l’orologio: sette e qualche minuto. Ma a che diavolo di orario si era alzato quello svitato?

Sospirò. Certe volte non lo capiva proprio.

Lasciando perdere la questione, si alzò e dopo alcuni sbadigli, riuscì ad arrivare al frigorifero e a prendere uova e bacon. Ah, sarebbe stata una colazione con i fiocchi.

Dopo alcuni minuti era tutto pronto in tavola e la fame di Dean si era svegliata al solo sentire il buon profumo che giungeva dai piatti.

«Sammy! La colazione! Hai intenzione di uscire trasparente da lì dentro?» lo canzonò mettendosi a tavola.

Dal bagno, tuttavia, non giunse nessuna risposta. Dean sospirò di nuovo: quel ragazzo a volte era una vera seccatura.

«Sammy, maledizione! Muoio di fame! Se non esci subito di lì, non troverai più nulla da mangiare!» gridò tra il divertito e lo spazientito, eppure ancora una volta a rispondere era solo il silenzio.

Stavolta il maggiore cominciò a preoccuparsi. Il volto divenne serio e senza far rumore si alzò dalla sedia e scivolò verso il bagno, pistola alla mano: non era da Sam quel comportamento.

Abbassò la maniglia lentamente; poi con un colpo secco spalancò la porta rivelando la piccola stanza del bagno. All’interno nessuno se non l’incessante rumore dell’acqua che scorreva.

«Sammy?» chiamò, quasi sottovoce.

Poi – non che avesse ricevuto risposta – scorse una figura nera oltre la tendina della doccia. Sembrava seduta, rannicchiata…

Senza perdere tempo, scostò con movimento secco quel sottile strato di plastica per capire chi fosse e i suoi occhi si posarono, allibiti, sulla tremante figura del fratello che, rannicchiato con le ginocchia al petto e le braccia intorno ad esse, se ne stava, vestito, sotto il getto d’acqua che lo colpiva proprio sulla testa. Dean non riusciva a capire cosa stesse succedendo: gli schizzi che gli giungevano era gelati. Che Sam fosse improvvisamente impazzito?

«Sammy… che diavolo stai facendo sotto la doccia fredda e per giunta vestito?» chiese ancora titubante.

Il minore dei Winchester alzò la testa ed ora il getto d’acqua gli bagnava il viso pallido.

«La testa… era in fiamme…» balbettò.

Solo allora Dean parve rendersi conto che lì sotto il ragazzo stava congelando. Chiuse immediatamente la doccia e aiutò Sam ad alzarsi avvolgendogli la testa ed il busto in un grosso asciugamano.

«Vieni fuori: stai congelando» gli sussurrò protettivo per poi condurlo quasi di peso fino al suo letto e adagiarlo sotto le coperte, incurante del fatto che bagnasse qualunque cosa.

Quando Sam smise di tremare e parve riprendere un po’ di calore – a contrario del colorito che rimaneva cinereo – Dean gli pose fra le mani una tazza di latte caldo, con la speranza che servisse a riscaldarlo ulteriormente e soprattutto che gli sciogliesse un po’ la lingua: era almeno la quinta volta che gli chiedeva cosa gli fosse passato per la testa o cosa diavolo fosse successo senza ottenere risposta. Sam si limitava a tenere lo sguardo basso e fissare il vuoto. Anche ora se ne stava lì con la tazza in mano, senza realmente vederla.

«Sammy, insomma, che ti succede?» chiese per l’ennesima volta Dean, ormai spazientito, con un tono di voce più alto e serio.

L’altro alzò finalmente lo sguardo su di lui.

«Ti odio» sussurrò convinto.

Il maggiore lo guardo sorpreso. Che stava blaterando adesso?

«Cosa..?» chiese come se non avesse capito.

«TI ODIO, DEAN!» ripeté Sam, stavolta urlando e per poco non rovesciò la tazza di latte che poi posò, prudente, sul mobile alla sua destra.

«Sai» riprese «Io le ricordo ancora le tue parole: è come se fossero stampate nella mia mente senza possibilità di dimenticarle. Mi hai detto che non potevi vivere sapendolo, che il pensiero di papà agli Inferi al posto tuo…»

«È di questo che si tratta, allora…» lo interruppe Dean, capendo finalmente cosa affliggesse tanto suo fratello «Non ne avevamo già parlato?»

«Certo, come no? Perché a te basta parlarne una volta giusto? Ora, visto che ne abbiamo parlato, è tutto risolto, non è così?» e Sam non sapeva dire se c’era più rabbia o più disperazione in quelle parole.

Dean lo guardava confuso.

«Ti avevo scongiurato di non arrabbiarti per quello che avevo fatto, Sammy» gli ricordò.

«Credi che non ci abbia provato, eh Dean? Mi sono detto: l’ha fatto per me, dovrei esserne fiero. Arrabbiarmi non serve a nulla e poi… sarei un ingrato. Mi ha salvato la vita… Eppure ogni volta che chiudo gli occhi, ogni volta che mi addormento… rivedo la tua morte. E so che non ce la farò, che non ti salverò… Tu non hai idea di quello che sto passando, del dolore che sto provando. Non ne hai idea!»

Ormai le parole di Sam erano impastate dal pianto. Nuove lacrime scendevano sulle guance pallide, nuovo dolore che veniva sputato fuori. Dean lo guardava senza sapere cosa dire o cosa fare.

«Credi che io non soffra?» chiese in un sussurro «Che non abbia paura?»

«Eppure sembri fregartene! Fai come se la cosa non ti riguardasse: te ne stai lì, come se nulla fosse a cercare e uccidere un demone dopo l’altro, con quella tua maledetta aria da uomo invincibile ed intoccabile… Non lo sopporto!»

«Preferiresti che mi mettessi a frignare come stai facendo tu in questo momento? A cosa servirebbe?» chiese il maggiore, sperando tuttavia che non suonasse così tanto il disprezzo con cui aveva caricato, senza riflettere, quelle parole.

Sam lo guardò. No: avrebbe voluto solo che apparisse più umano.

«A quell’uomo che salvammo dal suo patto col diavolo dicesti che era stato mosso solo da egoismo, che l’aveva fatto per non restare solo e che avrebbe dovuto mettersi per qualche istante nei panni della moglie… Dimmi Dean… tu per che cosa l’hai fatto?»

Non sapeva perché lo avesse chiesto. Era quasi come se si fosse reso conto della domanda solo dopo averla pronunciata. Tuttavia sentiva il bisogno di conoscere quella risposta. E la rabbia, la rabbia che fin’ora aveva animato le sue parole, stavolta fece breccia nel cuore di Dean. Come poteva parlare in quel modo?

«Oh, no, Sam. No! Non puoi accusarmi di questo! NO! L’ho fatto perché da sempre il mio compito, l’unico, è quello di proteggerti. L’ho fatto perché non avrei potuto vivere un giorno di più con il rimorso di aver fallito. Sai che preferirei marcire all’Inferno piuttosto che vederti soffrire…»

A quelle parole, Sam incrociò di nuovo gli occhi del fratello che poche volte aveva visto umidi come in quel momento.

«Fallirò… e non ti avrò più con me… Non è giusto che tu vada via ed io non possa fare nulla per fermarti…»

«Non puoi saperlo, Sam» tentò di rassicurarlo il maggiore sedendosi accanto a lui «Non puoi sapere già da ora che fallirai…»

«L’ho visto!» e tanto bastava ad affermare una condanna per Sam «E non dirmi che è solo un brutto sogno, che è troppo presto perché io abbia una visione. So che è così. So come finirà»

«Risolveremo la questione in tempo, fidati di me: ce la farai. Non mi hai mai deluso, fratellino» lo rassicurò.

Poi si alzò, spostandosi verso la tavola: con tutte quelle chiacchiere non aveva ancora fatto colazione. Sam rimase lì, sul letto, senza toccare cibo: ancora una volta era stato Dean a consolarlo e non il contrario, ancora una volta era stato lui a proteggerlo, a salvarlo. E si odiava per questo: quella era una debolezza che non lo avrebbe abbandonato mai.

 

***

 

Il corpo giace per terra: ora può vederlo. Resta lì, immobile e per quanto lui speri che si rialzi e gli dica che va tutto bene, la scena non cambia mentre gli istanti passano, l’uno dopo l’altro, terribilmente veloci.

Perché sorprendersi? In fondo non lo sapeva dall’inizio? Non aveva capito sin da subito che non sarebbe riuscito a fermare nulla? Aveva provato in tutti i modi, aveva cercato ovunque una soluzione, ma la verità è che sin dal primo momento, sin da quando aveva fatto quella promessa a Dean, una parte di lui, interna e silenziosa, sapeva che avrebbe visto quella scena.

La carne dilaniata da quel mostro infernale perde ancora sangue. È uno spettacolo macabro a cui Sam non può sottrarsi, né lo vuole. È la sua punizione, ciò che merita per aver fallito.

Troverò il modo di portarti indietro grida il suo orgoglio ferito, i suoi sentimenti calpestati dal destino che ancora sperano in un minimo di bene per loro in questo mondo.

Eppure, rintanata nel suo profondo antro, quella piccola parte di lui che la prima volta aveva previsto il fallimento, anche ora sa già come andrà.

Sì, perché lui sarà sempre il piccolo, inutile Sammy, quello che tutti devono proteggere e confortare. Quello che il grande Dean deve sempre tenere con sé, come una palla al piede.

Il piccolo, ingrato Sammy che non sa fare altro che deludere il prossimo.

“Non mi hai mai deluso, fratellino”. Quelle parole ora gli rimbombano assordanti nella testa.

Ti sbagli Dean. L’ho appena fatto.

 

 

 

 

 

 

 

 

_______________________________

 

Va bene, prima che qualcuno di voi mi linci (ammettendo che qualcuno sia giunto alla fine di questa schifezza) vi voglio avvisare che questa pubblicazione è stata autorizzata da TanyaCullen quindi ogni responsabilità per malori derivata dalla suddetta lettura è da dividere con lei.

Ok. A parte gli scherzi, questa è la prima volta che mi cimento in una shot su Dean e Sam quindi vi chiedo perdono per tutti gli eventuali OOC o i temi, già troppo usati, presenti in questa shot. Più che altro è stato istintivo scriverla quando ho visto l’episodio “Patto col Diavolo”: le parole di Dean, pur per un verso così vere, sono così in contrasto con il sacrificio che compie a fine serie, che non ho potuto non scriverla.

A fine scrittura, per essere certa che non fosse così orribile, l’ho fatta leggere alla carissima TanyaCullen che mi ha dato l’ok per la pubblicazione, dicendo che il tema, seppur era stato trattato nella terza serie, non era mai stato approfondito fino a questo punto e che quindi dovevo pubblicarla.

Ci tengo solo a precisare che se il primo pezzo in corsivo è un incubo di Sam, l’ultimo, sempre in corsivo è un flash in avanti in quello che è il finale della terza serie ^^

Ringrazio coloro che leggeranno e in particolare chi recensirà, la inserirà fra le preferite o da ricordare (il che sarebbe un miracolo)

Alla prossima (ma chi ti vuole più vedere!!! Ntd lettori)

Un bacio…

 

Alchimista   ~  

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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