signora Libertà, signorina Fantasia
L’unico
momento di libertà che le era concesso era il venerdì sera, quando poteva
finalmente togliersi le décollète e gettarle via, così come le era concesso sciogliersi
lo chignon e lasciare i capelli liberi di sferzare il vento.
Non
faceva altro che dormire, prendere il 77 delle 8, relegare i propri sogni
dentro il secondo cassetto della vecchia scrivania metallica pseudo-futurista e buttare la chiave. Almeno, questo fino
alle 20.30, quando poteva finalmente uscirsene da quel buco.
Poi un
tassì preso al volo, una doccia veloce e una pizza surgelata che lasciava
sempre a metà (gatto arancione ringrazia) e via, sotto le coperte.
Ma il
venerdì sera era diverso: il giorno
dopo non c’erano resoconti da stilare o caffè da portare al capo con un
cucchiaino e mezzo di zucchero e un goccetto di whisky spruzzato di nascosto, ché il medico s’incazza se lo viene a sapere,
no; il venerdì sera riprendeva in mano le redini della sua vita da ventiseienne
frustrata.
Ordinava
al tassista di andare fuori città e di fermarsi vicino alla vecchia fabbrica:
da lì si snodava un sentierino sterrato che lei percorreva trotterellando,
restando però sempre in chignon e décollète.
Era una
tipa piuttosto abitudinaria: glielo
rinfacciavano tutti, gliel’aveva rinfacciato lui, per primo.
Non
c’era mai niente che la scuotesse da quell’apatia che ormai era di routine, quella routine che aveva
indotto lui a lasciarla, perché si annoiava.
Ma
voleva che nessuno venisse a scoprire la sua metamorfosi.
Nessuno,
tranne il fiume.
Una
volta arrivata lì, gettava la borsa capiente per terra e si sfilava veloce le
scarpe, rimanendo intrappolata nei collant color carne.
Quanto
avrebbe voluto fare un bel bagno, ma era novembre e non era il caso, ma era lei e
non era il caso.
Così si
limitava a disfarsi l’acconciatura e accomodarsi sul ponticello bianco in
legno, lasciando le gambe libere di dondolare e beandosi di quella brezza
leggera che le accarezzava il viso, come ormai non faceva più nessuno da anni.
Scosse
le spalle e riprese ad annusare il vento, che profumava di libertà, quel profumo di cui avrebbe tanto voluto potersi
impossessare e che desiderava ardentemente di poter imbottigliare, fossero
state anche solo due misere gocce, per poterlo annusare ogni qualvolta lo
volesse.
Ed ogni
volta, alle 23, puntuale come un
orologio svizzero, legava i capelli, infilava i tacchi e via, si avviava per il
sentiero a passo rapido e deciso, arrivando alla fermata dopo circa otto minuti
e prendendo l’ultimo bus al volo, felice di quelle ore trascorse in compagnia
della libertà.
È vero,
avrebbe potuto benissimo fare ritorno al fiume anche la serata seguente, ma si
era convinta che il fiume fosse più bello
il venerdì, dopo cinque giornate sfiancanti: il sabato mattina stava a letto
fino a tardi e non si rendeva nemmeno bene conto di quello che le succedeva
intorno.
~•~
La
primavera era ormai arrivata da un pezzo, e i venerdì sera si susseguivano in
un allegro girotondo, fatto di rami di salice piangente e di ciottoli lasciati
rimbalzare a pelo d’acqua.
Era una
pausa pranzo come le altre, però proprio di un venerdì, e fu proprio questo a convincerla che forse, dopotutto, era un segno del destino.
Primo
errore.
Se ne
stava al bancone, gambe accavallate, girando il cucchiaino nella tazza di caffè
rigorosamente amaro e massaggiandosi la tempia sinistra, quando una voce la
fece trasalire.
-Roberta!-
-Danilo?-
Si
voltò tremante, il viso teso in un’espressione
di pura speranza e incredulità.
-Sì,
sono io! Avanti, che aspetti? Abbracciami!- le rispose, tendendole le braccia.
Non se
lo fece ripetere due volte.
Finì
tra le sue braccia, mentre lui tuffò il viso nelle poche ciocche di un bel
biondo miele che erano riuscite a scappare dalla stretta implacabile dello
chignon.
-Dio,
quanto mi sei mancata.-
Sussultò,
ma si affrettò a rispondere un: -Anche tu, Danilo. Anche tu.-
E così
in breve si ritrovarono a parlare del più e del meno, lui raccontandole dei
frequenti cambiamenti di lavoro che aveva e degli innumerevoli viaggi che aveva
compiuto, lei spiegandogli che non aveva ancora lasciato il suo di posto.
-Ma non
hai ancora capito che non ne vale proprio la pena sacrificare te stessa e la
tua felicità per quelli?- sputò
l’ultima parola con disprezzo.
-Quelli, come li chiami tu, mi danno il
pane per tirare avanti, Danilo.-
-Ma
Roberta, lo sai benissimo anche tu che meriti di più…-
-Può
darsi, ma nella vita ci si deve adattare,
altrimenti è finita.-
-E i progetti
che facevi, che facevamo, quando…-
-Non
dire cazzate. Non c’è nessun progetto.- s’impietrì, salvo poi balbettare
imbarazzata -Scusami, non so che mi sia preso…-
-No,
scusami tu se mi sono impicciato. Reazione più che comprensibile.-
La
ragazza gli sorrise grata, poi riprese a girare il cucchiaino nella tazza,
stavolta vuota.
-Senti,
stasera hai da fare?-
Scosse
la testa, non prestando nemmeno attenzione a quello che le aveva chiesto e non
prevedendo quello che stava per chiederle, cosa che sarebbe riuscita benissimo
a fare, in un’altra situazione.
-Vorresti
uscire con me?-
Quella
domanda le arrivò dritta nello stomaco.
Libertà.Libertà.Libertà.
Questo
era quello che le ronzava in testa in quel preciso istante, ma l’unica cosa che
riuscì a rispondere fu un -sì.- con un sottile filo
di voce.
Secondo
errore.
-Perfetto,
ci si vede qui fuori alle nove meno venti, ok? Ti porterò in un localino
veramente carino, vedrai. Ci si vede, ciao!- le baciò veloce la guancia,
scomparendo dal bar in un baleno.
-Aspetta,
io…- tese la mano verso la porta, ormai tintinnante di campanelle, ormai
chiusa.
Troppo tardi.
Erano
le nove meno dieci e Roberta, stretta nella sua giacchetta a quadri scozzesi,
attendeva pazientemente Danilo che, come al solito, era in ritardo.
Passarono
altri cinque minuti prima che arrivasse, ma un suo sorriso e un rapido
baciamano fecero sciamare in fretta la rabbia dal corpo della giovane.
Salirono
sulla Multipla verde smeraldo e Danilo accese la radio sulla prima stazione che
gli capitò a tiro.
-Non ci
credo, hai ancora la Multipla?-
-Ebbene
sì, a quanto pare…-
-Tempo
fa mi ripetevi sempre che prima o poi l’avresti cambiata…- gli sorrise
nostalgica.
-Sono
anni che continuo a dirlo ma non mi decido mai a farlo.-
La
ragazza carezzò malinconica un tratto del sedile, per poi appoggiare il gomito
sulla sporgenza al lato destro e guardare fuori dal finestrino.
L’unico
rumore che si sentiva era quello della radio, una vecchia canzone di Dylan,
forse.
Danilo
si accorse di essere stato un po’ troppo brusco e le poggiò una mano sulla
coscia, facendola avvampare.
Ignorò
totalmente quella reazione e, fissandola dritto negli occhi, si limitò a dirle:
-Scusami, non volevo fare lo stronzo, credimi.-, per poi riprendere a guardare
la strada.
Il
resto della serata lo trascorsero a ricordare i bei tempi del liceo ormai
andati e a scolare bicchierini di sakè in un sushi-bar semplice ma allo stesso
accogliente.
Sotto
le coperte ripensò alla bella serata appena trascorsa, ma la coscienza venne a
farle visita.
Libertà.Tradita.Stronza.
Roberta
cacciò la testa sotto il cuscino e se infischiò: il fiume poteva aspettare.
~•~
Il
venerdì successivo la scena si ripeté tale e quale: la mano girava il
cucchiaino nella tazza vuota in un automatismo da vero robot e lui, dopo averle
raccontato il suo soggiorno a Bali, le ripropose la fatidica domanda.
Stavolta,
però, la risposta fu un -no.- secco, forse anche troppo.
Terzo
errore.
-Perché,
hai impegni?-
Annuì
con un cenno leggero del capo, continuando a mescolare un caffè inesistente che
pareva non doversi mai raffreddare.
-…più
importanti di me?-
Rialzò
il capo rapidamente, come se qualcosa l’avesse punta e, fissandolo negli occhi
chiari, disse asciutta: -Sì, più importanti
di te.-
Quarto
errore.
Riabbassò
il capo e tornò alla sua tazza, rialzando la testa solo quando sentì tintinnare
la porta.
Era
vero che il fiume poteva aspettare, ma di
certo non per l’eternità.
Quella
sera il fiume sembrava scorrere più placido del solito, come se fosse assopito,
ma Roberta non vi fece molto caso.
Si
sfilò le scarpe e camminò a piedi nudi sulle assi bianche un po’ consumate, i
capelli biondi ondeggianti sulla schiena.
-So che
è tornato per me, e ne sono felice, credimi, ma…- si bloccò -…ma credo che non
abbia mai capito come sono veramente.-
-Dici
che debba farglielo capire? No, non mi… non mi va, ecco. Dovrebbe arrivarci da
solo, no?-
-Cosa?
Portarlo qui? No, assolutamente no, non se ne parla. Che senso avrebbe, scusa?-
gettò un sasso tra i flutti.
-Beh,
effettivamente portandolo qua forse capirebbe… Dopotutto non è un’idea così
malvagia…-
Quinto
errore.
Sfiorò
l’acqua con l’indice destro, reggendosi al parapetto con l’altra mano.
-Ok, lo
farò. Grazie, sei un amico.-
Se
qualcuno fosse passato di lì in quel preciso istante avrebbe sentito solo
quelle frasi, che parevano battute recitate da un copione, e gorgoglii
sommessi. Inutile dire che avrebbe creduto che Roberta fosse pazza.
E forse
lo era veramente.
O
forse, semplicemente, era sola.
Tornò a
casa soddisfatta della serata alquanto proficua, decisa a dare una svolta al
suo rapporto con Danilo.
Libertà.Riavuta.Perdonata.
Si
addormentò con il sorriso sulle labbra.
~•~
Un’altra
settimana se n’era andata e di Danilo nessuna traccia: in genere ogni giorno,
durante la pausa pranzo, si recava al bar per salutarla e scambiare quattro
chiacchiere veloci, ma quella volta doveva essersela presa per come si era
comportata con lui.
Ma lui
non capiva.
Il
fiume non poteva aspettare, non poteva
aspettarla.
In fondo
non era cambiato nulla, lui non riusciva ancora a capirla, lei non voleva farsi
capire.
Ripensò
ai consigli dell’amico fiume, e si rimangiò tutti i brutti pensieri che le
erano appena venuti in mente: se voleva un cambiamento, la prima a dover fare qualcosa
per ottenerlo doveva essere proprio lei.
Estrasse
il cellulare da un taschino della borsa e digitò in fretta quei numeri che per
tanto tempo aveva saputo a memoria e che ora si apprestava ad imparare
nuovamente.
-Pronto?-
-Pronto,
Danilo?-
-Roberta?!-
-Ehm,
sì, ecco… volevo scusarmi con te per come mi sono comportata lo scorso venerdì,
sono stata una vera cafona…-
-Tranquilla,
è tutto ok.-
-…e mi
volevo far perdonare. Stasera sei libero?-
Lo
sentì sorridere dall’altro capo della cornetta.
-Sì,
credo proprio di sì.-
-Ti
andrebbe di uscire con me? Voglio farti vedere un posto speciale, a cui tengo
veramente.-
-Con
molto piacere. Verso che ora?-
-Fuori
dal bar, solita ora. Ci si vede, bacio!-
-Ok, baci.-
Roberta
fissò il telefono e si lasciò sfuggire un sorriso: il fiume non sbagliava mai.
Sesto
errore.
Era
uscita dal lavoro con un’ora d’anticipo e così aveva comprato La Repubblica e Il Venerdì, che lesse per strada, dirigendosi verso il bar.
Infatti
l’edicola era dall’altra parte della cittadina e Roberta fu costretta a
camminare a passi svelti per arrivare puntuale all’appuntamento, cosa che non
successe.
Danilo
la vide arrivare a grandi falcate, come una bersagliera, e non poté fare a meno
di ridacchiare sotto i baffi, stando ben attento a non farsi scoprire.
Roberta
sapeva essere piuttosto permalosa, quando ci si metteva.
-Siamo
in ritardo, a quanto pare!- la canzonò scherzoso.
-Le
grandi star devono saper farsi attendere, e desiderare.-
ribatté lei, avvicinandosi e dandogli tre baci sulle guance.
-Da
quando in qua miss Orologio Svizzero
ha adottato questa nuova filosofia di vita?-
-Da
ora.-
-Per
me?- le si avvicinò, cingendole la vita e sfiorandole il collo con le labbra.
-Può
essere.- sgusciò via dalla sua presa, sorridendogli.
È un segno del cambiamento che sta per
esserci, ci metto una mano sul fuoco.
-Occhio
a non bruciarti.- le sussurrò il fiume, ma lei era troppo impegnata a ridere ad
una battuta scema di Danilo per starlo a sentire.
Settimo
errore.
Scesero
dalla Multipla parcheggiata sul ciglio della strada e Roberta incominciò a
trotterellare sul sentiero polveroso, che ora era circondato da sterpaglie
secche e violacciocche.
-Roberta, aspetta!- le urlò
dietro Danilo, ma lei parve non sentirlo.
Sentiva
già il profumo della libertà fare a
pugni con tutti gli altri odori per potersi impossessare dei suoi polmoni.
Danilo
l’afferrò per un braccio con dolcezza, costringendola a voltarsi e ad
incrociare i suoi occhi azzurri.
La
ragazza lo fissò con un’aria perplessa e anche contrariata, un’espressione sul
viso che sembrava volergli dire: -Beh, che c’è?-
Danilo
le porse una rosa gialla e una rossa, aggiungendo: -Per te.-
-Che
belle! Ma non dovevi… Grazie!- gli sorrise lei piacevolmente stupita,
schioccandogli un bacio sulla guancia.
-Puoi
tenermele un attimo?- si affrettò a chiedergli, dopo un minuto.
Il
ragazzo le prese i fiori dalle mani, e lei fece l’imprevedibile: si sciolse lo chignon e si sfilò le scarpe,
cominciando a correre contro vento lungo il sentiero.
Ottavo
errore.
-Roberta, ti farai male,
così!-
-Chi se
ne frega!- urlò lei -Fallo anche tu, avanti!-
Ma il
ragazzo si limitò a seguirla camminando a grandi falcate, le rose nella mano
destra.
Il
vento sferzava i lunghi capelli biondi e la gonna del tailleur grigio fumo di
Roberta, mentre lei procedeva quasi volando. D’improvviso si bloccò e tornò da
Danilo, prendendolo per mano.
Lui la
guardò: i capelli sciolti persi tra il vento, quella gonna fumosa veleggiare,
le scarpe e i giornali nella mano sinistra, nell’altra la sua mano, era bellissima.
Raggiunsero
il fiume dopo dieci minuti, e Roberta non esitò a lanciare le scarpe in giro e
correre verso le rive.
Danilo
arrivò lì e la trovò sul ponticello, in bocca il petalo di un iris che ogni
tanto succhiava, lasciando che quel sapore dolciastro le invadesse la bocca.
Accortasi
della sua presenza, con una mano batté di fianco a lei, facendogli cenno di sederglisi accanto.
-Guarda,
ha squame di ramarro e occhi d’oro colato…- sussurrò, il petalo ancora tra le
labbra, indicando il colore dell’acqua e i riflessi che provocava il Sole
baciando i ciottoli tra i flutti.
-È
davvero stupendo, Roberta. Come te.-
La
ragazza si voltò a guardarlo un po’ stupita, per poi scoppiare a ridere,
profondamente divertita.
Cominciò
poi a canticchiare allegra un motivetto che suo nonno le suonava con l’armonica
quand’era piccola, e sfiorò l’acqua con i piedi, per poi immergerveli del
tutto.
Oggi rischio: bagno ai piedi e, perché no?,
magari ci sta pure un tuffo!
Nono
errore.
Si alzò
in piedi di scatto e cominciò a saltellare sui massi tondi che stavano in riva,
cercando di mantenere l’equilibrio, mentre lui la seguì silenziosamente, senza
staccarle gli occhi di dosso, nemmeno un attimo, nemmeno un momento.
-Danilo, balliamo!- saltò
giù da un masso rischiando di rompersi l’osso del collo ma il ragazzo la prese
al volo, accontentando la sua richiesta.
-Tararirarà, un-due-tré,
tararararì, quattr-cinq-seì!-
continuava a cantare, volteggiando tra l’erba e i fiori.
E, non
si sa come, sull’erba ci finirono proprio: Danilo sopra a Roberta, e le labbra
di lui sempre più vicine a quelle di lei, sfiorandole e dandole un bacio tenero
e lei ci sta, e allora lui decide di approfondire il bacio ma lei si scosta e,
continuando a ridere, si rialza e fa per andare di nuovo al ponticello.
Ma la
voce di lui la bloccò.
-Sono
tornato per te, Roberta.-
La
ragazza si voltò per guardarlo negli occhi: aveva capito che stava per dirle
qualcosa di veramente importante.
-Ho
capito di aver fatto una stronzata colossale, lasciandoti. Per questo sono
tornato. Per stare con te sempre, per sempre. Io, io sono disposto a smetterla
con la mia vita da vagabondo e a trovarmi un posto fisso e a mettere la testa a
posto ma tu… Tu cosa sei disposta a fare, per me?-
La
ragazza socchiuse gli occhi, inspirando l’aria pura a pieni polmoni, poi si
decise ad espirare e disse seria: -Non lo so, Danilo. Veramente, non lo so.-
Si
diresse verso il ponticello e da lontano gli giunse una domanda, posta con il
tono di chi sa che le proprie speranze stanno per essere infrante.
-Ma tu
mi ami, vero?-
Il
silenzio che ricevette come risposta mentre lei si sedeva sul ponticello lo
angosciò.
-…Vero?-
gridò, la voce rotta.
Roberta
fissava il suo riflesso nell’acqua e lanciava sassolini distante, cercando di
colpire chissà quale bersaglio.
-Sì,
amico fiume, ho finalmente capito di non amarlo più. Mi ha fatto piacere
rivedere Danilo, ma per lui non provo più nulla, se non un’amicizia fraterna
che…-
I
pensieri della ragazza vennero interrotti da un fruscio vicino.
-Danilo…- cominciò, senza
distogliere lo sguardo dal torrente -So che per te forse sarà difficile, ma
credimi, lo è…-
-E così
non mi vuoi, e così hai scelto la libertà,
eh? Sei sempre stata così: non te n’è mai fregato niente di come stavano gli
altri, sempre in cerca della tua cazzo di libertà,
sempre…- scoppiò in singulti.
-Danilo, io…-
gli tese la mano per carezzarlo, ma il giovane si scostò.
-No
Roberta, Danilo un cazzo! Hai rovinato tutto, tutto!- iniziò a piangere e si
allontanò.
La
ragazza non lo seguì, convinta che lasciarlo sfogare fosse la soluzione
migliore.
Decimo
errore.
Restò
lì a rimirare il proprio riflesso, ma quando Danilo le ritornò accanto
silenzioso, per lo spavento il sasso le sfuggì di mano e andò ad increspare l’acqua
proprio dove c’era il volto del ragazzo.
-Danilo… Sei tornato…-
-Sì,
Roberta… Ti ho dato del tempo per pensare… Hai cambiato idea, vero?- la fissò
speranzoso.
Roberta
sorrise di nascosto: Danilo era sempre stato così… così bambino, ma era stato proprio quel suo lato insolito a farla
innamorare di lui, otto anni prima, e la loro era una storia che si era
protratta per cinque anni, fino a quando lui le aveva detto che stare con lei l’aveva stancato, per cui ti mollo.
Aveva
notato qualche suo atteggiamento strano durante quel periodo, ma non vi aveva
mai fatto molto caso.
Undicesimo
errore.
-Mi
dispiace, ma io sì ti voglio bene, però come amico. O come fratello, ma non so
se questo ti basti.-
Stavolta
fu lui a chiudersi nel più assoluto dei mutismi, e la ragazza rispettò la sua
decisione.
Se ne
andò di nuovo.
Un
altro fruscio le fece rialzare la testa.
-Senti
Danilo, io ti voglio bene, ma non è che tornando ogni mezz’ora la situazione
cambia, eh?-
-Rosa rossa, rosa gialla, la verità viene a
galla…-
La
ragazza aggrottò le sopracciglia ed esclamò, divertita: -Cos’è
che stai farfugliando, scusa?-
-Rosa gialla, rosa rossa, puoi pure scavarti
la fossa.-
Il
sangue le si gelò nelle vene: se la prima strofa l’aveva biascicata con un fil
di voce, la seconda invece l’aveva scandita per bene.
E
quella filastrocca non l’aveva mai sentita.
-Ehi,
non trovi che faccia freddo? Che ne dici di tornarcene a casa?- balzò in piedi,
cercando di non pensare ai brividi che la stavano attanagliando, che di certo
non erano causati dal freddo.
Non
ricevendo alcuna risposta lo guardò negli occhi, scoprendoli vitrei.
-Danilo? Che…?-
Lo
sguardo era abbastanza eloquente, così Roberta non ci pensò due volte a
raccogliere borsa e scarpe e darsela a gambe, ma aveva scordato qualcosa.
Capelli.Lunghi.Sciolti.
Acciuffarla
e trascinarla per la chioma fu uno scherzetto per Danilo, che non s’impietosì
nemmeno davanti ai singhiozzi e alle grida e alle lacrime di Roberta.
Le carezze
furono quelle di un animale, così come sembravano di una povera bestia le urla
strozzate che riecheggiavano da sponda a sponda, da sasso a sasso.
Nessuno
vide la Multipla verde smeraldo andarsene, e nessuno vide il giovane al volante
imbrattato di sangue. Non suo.
~•~
Dieci
errori erano concessi in un gioco, e Roberta ne aveva commesso ben uno in più,
infrangendo le regole.
La sua
pedina doveva ripartire dalla prima casella, volente o nolente.
“Ma il
fiume mi aveva detto…”
“Sono
anch’io una creatura di Dio, e posso sbagliare anch’io, suvvia.”
“Ma…”
“Consolati
con il fatto che ora hai finalmente trovato il
profumo della libertà, e non potrai più separartene, perché ora sei fatta di quello.”
Due
settimane dopo un addetto del Comune rinvenne un’ampia borsa vicino al fiume,
il cui manico era trattenuto da due dita mozzate, presumibilmente da donna.
Nessuno
sapeva dire a chi appartenessero.
~•~
Se
qualche volta vi capita di andare al fiume, ricordatevi di sciogliervi i capelli
e di togliervi le scarpe solamente quando sarete arrivate al ponticello bianco.
E
prestate bene attenzione alla brezza che scuote i rami del salice piangente:
tra l’ululare del vento potreste sentire una voce femminile sussurrare
qualcosa, come Libertà.Ottenuta.Eternità.
Liberamente ispirata da Se Ti Tagliassero a Pezzetti di Fabrizio
de André.
Se ancora non conoscete Se Ti
Tagliassero a Pezzetti di Fabrizio de André, andate qui
e prestate bene attenzione al testo.
Questa storia nasce un po’ dalle parole di Faber
e un po’ dal mio desiderio di raccontare una storia che, se non era vera,
perlomeno ci si poteva avvicinare abbastanza.
E l’occasione l’ho colta al volo, in questo periodo in cui ogni giorno
c’è sempre una ragazza dai capelli e dal nome sempre diversi, che ha però in
comune con tutte le altre ragazze la stessa, pietosa fine.
La violenza sulle donne è un reato su cui c’è troppa omertà e su cui non
sempre si fa totale chiarezza.
Il più delle volte i carnefici sono proprio i ragazzi che le hanno amate
fino a poco tempo prima.
Cosa scatta nella testa di questi ragazzi, cos’è scattato nella testa di
Danilo?
Per il personaggio di questo racconto ho voluto solo accennare a qualche suo comportamento strano, non
specificando meglio i suoi problemi.
Per tutti gli altri posso solamente dire che la gelosia è una brutta
bestia, in quanto è spesso lei la scintilla che fa scattare questi raptus di
follia.
Ho dato un nome a tutte quelle povere ragazze che hanno fatto questa
fine: Roberta è un po’ di tutte loro, a suo modo.
Ed è a loro che è dedicata questa storia: a loro, e a tutte le Roberta
che ci sono state e che, purtroppo, verranno ancora.
E che spero abbiano trovato finalmente un po’ di pace e la tanto
agognata libertà.
Dazed;