Autore: Meli_mao
Titolo: Egoisti
Fandom scelto: One Piece
Frase scelta:
“Finalmente
pazza, finalmente non
più sola. Finalmente pazza, finalmente libera. Finalmente
tranquilla.
Finalmente amata. Finalmente una luce interiore”.
Personaggi: Nami, Monkey D. Rufy,
Boa Hancock, Silvers Rayleigh.
Rating: Verde
Genere: Sentimentale, introspettivo,
malinconico.
Avvertimenti: One-shot,
What… if?,
forse vagamente OOC.
Introduzione: “Ma quello sguardo
cambiò. Si addolcì, si riempì di
sorpresa. Inaspettatamente divenne esigente.
Lui voleva
accertasi non fosse una
visione, voleva assicurarsi che fosse davvero lei.
Poco importava il luogo o la
situazione.
La persona che aveva di fronte era
la sua compagna, la sua amica, la sua navigatrice.
Era Nami. E lui non poteva restare
indifferente a quello”.
Una
One-shot come ai vecchi tempi, in onore della mia coppia preferita.
Una buona
lettura a chi avrà da dedicargli qualche minuto.
Note
dell'Autore: Il
titolo non è a caso. Entrambi, in questa storia, hanno una
parte di egocentrismo
notevole: Nami perché vuole rivederlo, essenzialmente per
farsi forza (che
tradotto sta per “Sé stessa”), E Rufy
perché vuole essere più forte.
Il
problema resta che nessuno dei due può essere migliore senza
l’altro. Quindi
spero che questo sia evidente.
Per la
frase scelta, è stata di profondo spunto!
C’è il
sola, c’è il libera, c’è la
tranquillità di un equilibrio precario ed infine
c’è il ricambiarsi a vicenda che li rende
veramente amati, liberi e che li riscalda.
È una
cosa un po’ a tappe.
Ci tengo
comunque a dire che questa storia nasce in un periodo in cui la mia
ispirazione
vacilla e scrivo incipit senza un seguito che rimangono nel computer a
riempire
la memoria. Quindi, per me, averla conclusa, è
già un grande risultato.
Inoltre è
da molto molto tempo che voglio una Runami nuova, non scontata, un
po’ diversa
e che non scada nell’OCC più totale. Spero di
esserci riuscita.
Ho
comunque messo OCC tra le note perché il nuovo Rufy mi
appare ancora
sfuggevole, e non sono sicura del suo attuale temperamento. Nami
invece, si,
credo che piangere e fingersi forte per nascondere una forte
fragilità sia da
lei. Oddio… la pensi come me vero? Se no è
tragica.
Volevo
spiegare una cosa su Boa Hancock e poi concludo. L’ho
inserita per un motivo:
non la sopporto! Quindi farla assistere alla scena in modo che
finalmente possa
comprendere come lei, in confronto a Nami, non sarà mai
abbastanza, mi pareva
il minimo.
Per
questo mi scuso!
In
conclusione ti auguro un Buona Lettura, che sia per lo meno piacevole e
che non
ti faccia schifo.
Ciao
ciao.
Egoisti
Finalmente
pazza,
finalmente non più sola.
Finalmente pazza, finalmente
libera.
Finalmente tranquilla.
Finalmente amata.
Finalmente una luce
interiore.
Fu una
cosa rapida. Scese lesta dalla scaletta di corda, appoggiò i
piedi avvolti
dagli stivali alti sul traballante molo in legno e si voltò
agilmente.
Con un
sospiro tranquillizzò il suo umore e ritrovò
quell’equilibrio emotivo di cui sentiva
il bisogno. Di certo però l’ondeggiante attracco
su cui stava ferma in piedi
non era d’aiuto a
questo fine.
Così,
procedendo un passo dopo l’altro, raggiunse la terra ferma,
senza sentire il
bisogno di voltarsi a dare un’occhiata al vecchio
accompagnatore che si era
portata dietro.
Non era
la solita isola. Era piccola, silenzioso, calma.
Non c’era
segno di vita o di movimento in nessun punto lei posasse lo sguardo. Ma
sapeva
che era quella giusta.
Lei lo
sapeva, da sempre.
La gonna
corta ondeggiò al vento caldo inebriandole i sensi con un
profumo di erba tagliata
di fresco. Era uno dei suoi preferiti, quell’odore.
Si sentì
libera, aperta, infinita.
Con uno
scatto portò la mano fin ai capelli, sciogliendo la coda
alta che si era fatta.
Lasciò che i fili color mandarino ciondolassero sopra le
spalle e si sparpagliassero
sulla sua fronte seguendo la corrente della brezza estiva.
Libera,
esatto. Per la prima volta dopo così tanto tempo, non
riusciva a fare a meno di
sentirsi così.
Non
indugiò oltre.
Gli
stiletti picchiettarono contro il sentiero stretto e ripido,
inoltrandosi in
una piccola foresta dall’aria insolita.
Gli
alberi nascondevano al viandante la via in diversi punti, ma una
navigatrice
del suo calibro non aveva di certo problemi con questi particolari.
Procedette
a passo più spedito, facendosi compagnia solo con i suoi
pensieri e con
quell’ansia crescente che raramente aveva conosciuto.
E poi
eccolo, un portone rossastro dall’aria antica, a sbarrarle la
strada.
Osservò
insicura gli intagli neri vicino alla serratura e lesse senza capire
un’iscrizione più piccola a margine.
Spingerlo
era fuori questione. Quel legno non si sarebbe spostato di certo
nemmeno con
tutta la sua buona volontà. Studiò attentamente
l’altezza e la posizione di alcuni
alberi cresciuti li accanto, scrutando anche le mura che si
disperdevano nella
fitta vegetazione dai due lati dell’entrata.
Un’idea
balenò nella sua mente e da lì a metterla in atto
il passaggio fu semplice.
Afferrò
un ramo dopo l’altro, si sospinse con le ginocchia e
cercò ogni più piccolo
appiglio sicuro disponibile. Si sbucciò le ginocchia e si
strappò anche la
camicetta nuova. Si maledisse per non aver raccolto di nuovo i capelli,
che ora
le offuscavano la visuale, ma infine ce la fece. Raggiunse
l’altezza giusta,
osservò inspirando profondamente il muro di fronte a lei,
senza intravederne la
fine, e prese la decisione migliore: saltare.
Si morse
un labbro, balbettò parole poco gentili,
bofonchiò maledizioni, ed infine
spinse con tutta se stessa il suo corpo verso il vuoto.
Fu un
salto incerto, ma andò a buon fine.
Con le
braccia si attaccò alla parete ripida di mattoni, issandosi
con tutte le forze
rimastole.
Quando fu
a cavalcioni, sorrise soddisfatta.
Si
godette per un attimo il riposo dovuto, si risistemò i
capelli e, con maggior
determinazione, si lasciò scivolare dall’altro
lato.
Nami non
era mai stata una donna coraggiosa oltre ogni limite.
Sapeva battersi, vinceva, era furba, e
proprio per questo era in grado di capire benissimo quando il tempo per
apparire era meno propizio. Così, quando senti un urlo
insolito riecheggiare
nell’aria, la sua sicurezza vacillò non poco.
Quella
voce era familiare certo, ma stranamente non riuscì ad
esserne sicura.
Per un
attimo si osservò le mani sporche di terra e il polso su cui
ancora troneggiava
il log-pose e si diede della sciocca.
Se quello
era davvero Rufy aveva ben poca importanza il modo in cui lei si fosse
presentata. L’importante sarebbe stato rivederlo, magari
tirargli un pugno e
poi abbracciarlo per trasmettergli il calore di cui, era sicura, lui
aveva
bisogno.
Ma, nonostante
fosse pienamente convinta di ciò, la vista del suo fisico
così provato e
sfinito la immobilizzò sul posto.
Cosa
avrebbe detto il suo capitano rivedendola?
Era stata
precipitosa. Lui aveva chiaramente lanciato loro il messaggio di
attendere, che
i tempi non erano ancora venuti per il loro ritrovo. Ma lei, cocciuta,
non
aveva voluto accettarlo.
Egoista,
così lo aveva definito. Un perfetto egocentrico.
Ma
nonostante la stizza di quel pensiero, le lacrime che le bagnarono il
viso
erano più che sincere.
Aveva
molto da imparare dopotutto.
Non
voleva essere una compagna mediocre, destinata ad appoggiarsi sempre e
solo
sugli altri.
Non
voleva e non poteva farlo. Lo doveva a lui, prima di tutto, che stava
combattendo contro un dolore così grande da sembrare
insormontabile. Lei lo
conosceva bene.
E poi lo
doveva agli altri, anche loro dispersi chissà dove a farsi
forza per affrontare
una situazione apparentemente senza fine.
Però – e
lei sentì che non poteva fare a meno di pensarlo –
rivederlo per qualche secondo
le avrebbe fatto solo che bene.
Non
chiedeva tanto. Un’occhiata, una constatazione. Voleva solo
essere certa che
stesse bene, che ce la stesse mettendo tutta anche lui.
Solo
quello, almeno per una volta. Poi avrebbe atteso.
I suoi
passi successivi furono spontanei.
Più
sicuri e più silenziosi. Ora aveva un obbiettivo: non farsi
notare.
Il
terreno lasciò spazio a un vialetto in ciottoli e ben presto
si trovò
acquattata dietro ad una pietra affacciata su quella che un tempo era
stata
un’arena.
Percorse con
lo sguardo l’intera struttura. Era enorme…
Una donna
dall’aria elegante e solenne, con un sorriso tenero sulle
labbra, sedeva non
troppo lontano da lei, avvolta da uno strano serpente.
Nami ne
fu gelosa.
Una di
quelle gelosie infantili, senza senso, essenzialmente legate al fatto
che
“quella poteva vederlo liberamente”, mentre
“lei si doveva
nascondere nella
fanghiglia”.
Ma il suo
cuore si calmò alla vista del vecchio Rayleigh.
Stava al
centro della struttura, fermo e concentrato. Non capiva quello che diceva, ma dallo sguardo
che Rufy aveva,
intuì fossero parole importanti.
E certo,
Rufy era lì, di fronte a lui, la fronte fasciata e la
braccia lungo i fianchi.
Lo vide
socchiudere gli occhi e prendere un respiro profondo.
Lo vide
stringere i pugni con rabbia, e poi rilassarsi appena.
Il suo
cappello di paglia era terribilmente messo male.
Nami
provò l’improvviso desiderio di afferrarlo e fare
ciò che lui le chiedeva
sempre: rimetterlo apposto.
Questa
volta lo avrebbe fatto senza bisogno che glielo chiedesse. Sapeva che
quello
era il minimo, che non era niente. E sentiva che se ciò
fosse bastato a
strappagli un sorriso, non sarebbe riuscita a non farlo.
Fu forse
quel sentimento a tradirla.
Il suo
piede scivolò appena, obbligandola a far pressione con una
mano sul terreno per
non cadere.
Quella
donna non se ne accorse, ma Rufy, così concentrato, lo
notò subito.
Fu uno
sguardo rapido, selvaggio, a penetrarla tanto da metterle paura.
Si chiese
davvero se quello fosse ancora il suo capitano, perché non
aveva mai provato
una paura simile si fronte a lui. Mai.
Ma quello
sguardo cambiò. Si addolcì, si riempì
di sorpresa. Inaspettatamente divenne esigente.
Lui
voleva accertarsi non fosse una visione, voleva assicurarsi che fosse
davvero
lei.
Poco
importava il luogo o la situazione.
La
persona che aveva di fronte era la sua compagna, la sua amica, la sua
navigatrice.
Era Nami.
E lui non poteva restare indifferente a quello.
Ray aveva
captato la presenza di un intruso con la stessa facilità con
cui si sente la
pioggia sulla propria pelle.
Però non
aveva voluto interferire. Si era seduto incrociando le gambe, ben
cosciente di
dover solo attendere, e si stampò in faccia un sorrisetto
tranquillo.
Chissà
perché, era sicuro che l’apparizione di quella
ragazza avrebbe
solo giovato al loro allenamento.
Aveva compreso subito che l’incapacità di Rufy di
concentrarsi era dovuta alla
sua turbolente anima, traviata dal dolore, e aveva sperato –
nonché quasi
pregato – che qualcuno o qualcosa riuscisse a dargli pace.
Forse
esisteva davvero un Dio da qualche parte che ascoltava le sue preghiere.
Fu così
che Nami uscì allo scoperto.
Il cuore
batteva, gli occhi piangevano, le parole non uscivano.
Si portò
una mano sulle labbra, nel vano tentativo di trattenere un singhiozzo.
Le sue
gambe stanche ressero a malapena il suo peso, quando si decise ad
alzarsi per
mostrasi completamente.
Si sentì
rigenerata solo quando scorse quel sorriso infantile aleggiare sul
volto di
lui. Non apparve completamente, semplicemente affiorò e poi
scomparve, ma ciò
bastò per farle comprendere come il Rufy bambino esisteva
ancora.
Due occhi
la fissarono con veniale curiosità. Quella donna si era
alzata, indispettita da
quella apparizione non gradita.
Ma non
aveva saputo far altro che fissare la scena senza capire.
Fu il
nome “Nami”, pronunciato con un’enfasi
incredibile dalla voce del moro, a
immobilizzarla.
Aveva già
sentito quella parola.
“Nami!”
ripeté tra sé e sé.
E i suoi
occhi si accesero di amara gelosia.
Non osò
aprir bocca, quando la vide avanzare piangendo verso il centro
dell’arena.
E non
seppe cosa fare o semplicemente come respirare, quando loro due furono
a pochi
passi l’uno dall’altra.
Fu
stupore puro di fronte al primo gesto che quella
“Nami” fece.
Aveva
preso il cappello di paglia sfilandolo dalla testa di Rufy. Con
delicatezza
aveva slacciato l’elastico sotto il suo collo.
L’aveva stretto fra le mani con
un amore impalpabile.
E poi,
senza trattenere un versetto stridulo legato al pianto, aveva detto
solo una
piccola frase.
“Sei così
egoista da non interessarti nemmeno al tuo tesoro?”
Ed era
stato un colpo di fulmine. Un sorriso triste si era risvegliato sulle
labbra di
lui. Un sorriso al quale lei aveva risposto con un abbraccio improvviso.
“Idiota”
balbettava.
Lui,
semplicemente, non l’aveva fermata.
Ed
inaspettatamente Rufy cappello di paglia aveva afferrato il suo
“Tesoro” dalle
mani della rossa, lo aveva appoggiato con sicurezza sulla testa color
mandarino
di lei, e si era aggrappato ad entrambi.
Non una
parola, non un cambio d’espressione.
I suoi
due tesori, ora insieme, gli avrebbero dato la forza.
E Boa
Hancock comprese di non avere speranza.
Un grazie alla giudice,
Hotaru., e al suo giudizio.
E soprattutto un ringraziamento speciale a chi mi farà
sapere cosa ne pensa!
3° CLASSIFICATA
"Egoisti" di meli_mao
Grammatica e lessico: 18
Stile: 19
Trattazione della frase: 20
Originalità: 18
Opinione personale del giudice: 4,5
Totale: 79,5
Sei fortunata. La penso esattamente come te. Ovviamente, come da bando,
non ci
sarebbe stato alcun giudizio sui pairing scelti, ma devo ammettere che
mi ha
fatto piacere leggere qualcosa su quello che in effetti è il
pairing che
preferisco in "One Piece". ^^
Ho tolto due punti alla grammatica solo per gli errori di battitura e
qualche
virgola di troppo all'inizio. Potrà sembrarti un giudizio
severo, ma
trattandosi di tre sole pagine sarebbe bastato poco per individuarli:
in
particolari ti segnalo "rimastele" e "constatazione". Sono
comunque sicura che una semplice rilettura prima della pubblicazione la
renderà
perfetta.
Sono del parere che non ci fosse frase, in tutta la lista che vi ho
dato, più
adatta a Nami: la tua scelta è più che azzeccata,
e la one-shot ha uno stile
fluido che descrive un momento semplice ma molto intenso. Soprattutto
il ruolo
del "tesoro" è molto simbolico.
Sostieni di essere scivolata un po' nell'OOC- può darsi- ma
come dicevo non lo
giudico, e di certo non mi ha fatto apprezzare di meno questa piccola
perla fra
i due. Spero ne scriverai altre. ^^