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Autore: Shu    19/10/2005    3 recensioni
Conoscere, da sempre, il giorno in cui tutto finirà. Oppure sapere, in ogni istante, che la felicità durerà solo cinque anni… Una notte d’insonnia, e un black out…. Una donna, un ragazzo, e il loro modo di affrontare il tempo.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Oluha, Ran
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“…effice ut ego mortem non fugiam, vita me non effugiat…”

“Fa’ che io non fugga la morte e intanto non mi sfugga dalle mani la vita…”

Seneca, Epistulae, 49

 

“Il tempo è un dono prezioso, datoci affinché in esso diventiamo migliori,

più saggi, più maturi, più perfetti.”

T. Mann

 

 

Qualcosa non va.

Black out.

Respirare.

Rompere lo specchio, la superficie dell’acqua.

Riemergere dal sonno, e respirare.

E’ solo un black out.

Posso sentire, nelle vene del muro, la corsa della corrente perdere sicurezza, slancio, sciogliersi e inaridirsi nel nulla. Posso vedere -non con gli occhi- nell’altra stanza, l’ultima luminescenza intorno allo schermo nero che si fa impercettibile, svanisce, fino a farti dubitare che ci sia mai stata, o se non fosse solo illusione ottica, o ricordo.

E la finestra è un immenso lago di buio.

Ci sono tante luci, ma nessuna è per me.

Forse, quando ero qui, davanti a questa stessa finestra, e ad una notte come questa, forse sarei stato contento di vedere tutte le luci spegnersi di scatto, tutte le case intrappolate nello scuro, chiuse in un’improvvisa solitudine, senza il potere di uscire dalla notte.

Così, almeno per qualche momento, quelle case avrebbero visto cosa volesse dire vivere in gabbia, vivere senza nessuna luce.

Ero solo un bambino. E anche senza l’aiuto delle cifre sullo schermo so bene quanto tempo è passato, da allora. E so bene quanto ne resta. Di giorno, di notte, lo so.

Non è il buio, che può fare dimenticare la morte. Non è più facile dimenticarsene nella luce, quando vedi, quando il sole dissipa le ombre dei fantasmi, quando tutto ti dice che sei vivo, e che tutto è vero?

Non è più facile dimenticarsene nel sole chiaro dei tuoi capelli, e dei tuoi occhi, nel colore liquido del miele la mattina nel nostro tè, non è più facile se posso vedere la linea della tua schiena addormentata accanto a me, senza doverla solo immaginare?

Eppure, non mi serve neanche la luce, per dimenticare.

Perché non mi serve dimenticare.

Che senso ha correre, scappare, cercare di annegare affannosamente in quella luce… tentare in ogni modo di dimenticare, senza accorgerci che così ci sfugge solo dalle dita la vita…

Chiudere gli occhi, e far finta di non vedere… e, in questo modo, non vedere davvero, perdere la vivida realtà di avere davanti agli occhi te…

Io voglio vedere, voglio vedere il tuo viso addormentato, la lucida pioggia dei capelli, l’arco trasparente delle tue ciglia bionde, ognuna che si assottiglia fino a terminare nel suo vertice sottile, compiuta e perfetta.

Come un cerchio, compiuto, perfetto in se stesso, come il cerchio già compiuto e già chiuso del mio tempo. Ogni tua perfezione, così completa e assoluta che non c’è nulla di più alto da desiderare, mi ricorda questo cerchio. E mi ricorda che, se è già delimitato, e serrato, adesso non resta che la parte più bella: attraversarlo, questo cerchio, in tutto lo splendore della sua finitezza.

E come in un cerchio inizio e fine sono fusi nello stesso percorso, così mi sembra ogni giorno di poter rinascere, di poter camminare nell’immortalità.

Perché io ho te, e d’improvviso non c’è niente da temere, non esiste pericolo, non esiste più tempo. E cinque anni di perfezione con te non sono forse più brevi, lo spazio di un mattino d’estate, e insieme infinitamente più lunghi di cento anni di solitudine?

Cinque anni sono tutto quello che ho.

E dunque…

Cinque anni sono la mia eternità.

E se questa eternità posso dividerla senza per questo perderne nemmeno un attimo, se la divido con te, che cos’altro potrei desiderare?

Ed è per questo che, nel buio come nella luce, posso sempre vedere il mio tempo, e non ho paura di contare i secondi, perché so che in ognuno di essi io mi innamoro di nuovo di te, ed è questo che li fa sempre, per sempre rinascere, e moltiplicare. E questo mi basta.

Se non c’è abbastanza luce per te, accendila con le tue mani.

Accarezzo il cavo che corre lungo il muro, lascio che un po’ di quella forza che batte la sua armonia nelle mie arterie scivoli, goccioli dentro ai fili. E poi, tutto riparte, lento, all’inizio, poi sempre più sicuro, più convinto. Il tempo si riaccende nel display –dentro di me, non si era spento mai.

E, per questa notte, la nostra è l’unica casa in cui abita la luce.

 

   
 
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