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Autore: Ely79    30/08/2010    3 recensioni
Dopo la guerra, Neville va in vacanza ed ha modo di riflettere in compagnia dello zio Alfie sull'amore, in una maniera un po' originale.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro, personaggio, Neville, Paciock
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Muscish'ka
Si lasciò cadere pesantemente nell’ombra tozza della torre.
Il vento che spirava dal mare lo fece rabbrividire.
Il passaggio dal caldo estivo al fresco quasi primaverile era stato troppo violento. Starnutì e decise che l’aria del Mediterraneo non faceva per lui. No. Decisamente, no. Andava bene per la nonna, come avevano detto i medimaghi al San Mungo, per lo zio Alfie che girava il mondo come una trottola impazzita. Lui, Neville Paciock, era nato, cresciuto e perfettamente adattato al clima del nord dell’Inghilterra.
Si appoggiò all’intonaco ruvido, domandandosi com’erano riusciti a convincerlo ad arrivare fin lì, sulle coste del Mar Adriatico, lontano miglia e miglia dai suoi prati verdeggianti, dalle sue amate serre e dal suo Mimbulus Mimbletonia.
«Tutto bene, figliolo?»
Abbozzò un sorriso, continuando a tenere gli occhi chiusi.
«Sì, zio. Sopravvivo a quest’inferno»
Lo sentì ridacchiare mentre gli sedeva accanto.
«Andiamo, non è tanto male. Devi solo entrare in sintonia col posto»
«Non so se ce la posso fare» ammise, cercando di concentrarsi sul canto dei marosi.
Forse poteva immaginare di essere sulla costa atlantica. Ma no, che gli saltava in mente? Le onde dell’oceano avevano un altro suono, un altro ritmo, calmo e solenne. Queste sembravano ballare la tarantella. Merlino, quanto odiava quel ballo dopo esser stato colpito dalla Tarantallegra al Ministero.
«Hai sconfitto un Mago Oscuro e non puoi combattere contro un paio di grandi in più sul termometro?» scherzò.
Venne da ridere ad entrambi. Aveva ragione, non poteva essere tanto drammatico. Doveva solo scontrarsi con il clima. Cosa c’era di difficile? Lui e suo padre era andati lì in vacanza per anni, seguendo suo nonno, appassionato delle vicende di Lord Edward Jenkinson, mago arruolato fra i Pirati turchi dell’Adriatico. Veva resistito su quelle coste che nei suoi diari aveva descritto come splendide, doveva riuscirci anche lui. Poteva immaginarsi il titolo della Gazzetta del Profeta: “Eroe di Hogwarts perisce per il troppo caldo”. Fantastico. Chissà la Skeeter come ci avrebbe ricamato sopra, descrivendo la sua terrificante agonia lungo le coste del Gargano.
«Pare che tu abbia fatto colpo» esclamò l’uomo, dandogli di gomito.
«Eh?»
Aprì gli occhi e si guardò intorno. Appoggiate allo steccato che divideva la terrazza di ghiaia da tumulto del mare e degli scogli, c’erano due ragazzine. Non facevano molto per nascondere gli sguardi intriganti che gli rivolgevano. Anzi. Se lo stavano letteralmente mangiando con gli occhi.
«Il turista qui è una preda ambita, specie se straniero» ridacchiò lo zio Alfie.
«Cosa vuoi dire?»
«Tieni gli occhi aperti quando scendi in acqua. Potresti trovarti circondato e… svestito» ammiccò.
«Stai scherzando, vero zio?»
Alfred fece una lunga pausa. In quei momenti la somiglianza con il padre di Neville era evidente. Certe volte il ragazzo immaginava che fosse lui a parlargli, attraverso i lineamenti dello zio.
«Solo in parte. Di sicuro tenterebbero di abbordarti, quanto al resto… chissà! Le ragazzine Babbane non sono proprio come le nostre brave streghette»
«Potrei citarti alcuni esempi di streghe non esattamente “brave”» replicò serio, facendo un timido saluto alle due spasimanti.
Le ragazzine scoppiarono a ridere di gusto, spingendosi a vicenda. Non erano arrossite, anzi, sembrava avessero appena vinto alla lotteria. Una gli fece un cenno che, quando era piccolo, aveva usato per dire che una cosa era buona: l’indice che scavava la guancia. Cioè? Se lo sarebbero davvero mangiato vivo?!?
«Mi è giunta voce che durante la detenzione ad Hogwarts, tu abbia cominciato ad impratichirti del vasto e impervio universo femminile»
Neville trasecolò. Chi poteva aver detto allo zio…?
«Nonna?» azzardò.
Temeva la risposta. Se fosse stata affermativa, sarebbe stato spacciato. La nonna aveva saputo certe notizie da una fonte primaria, non avrebbe avuto modo di nascondersi in alcun modo. Anche accampare pretese di privacy nei confronti della controparte, sarebbe servito a poco visto che era stata proprio lei a raccontare tutto. Lo zio doveva già sapere tutto fin nei dettagli.
«E chi sennò?»
Bene, era appena stato condannato.
«Zio, posso assicurarti che mi sono comportato…»
«Neville, hai diciotto anni. Se non avessi tentato un approccio con l’altro sesso entro i venti mi sarei fortemente preoccupato. Insomma, non hai mai dato ad intendere… certe cose. E comunque sono sicuro che tu ti sia comportato in maniera non meno che onorevole. Sei un bravo ragazzo»
«È quello che ha detto lei quando mi ha lasciato» sospirò abbattuto.
«Capita, alla vostra età»
«Non pensi che sia stato stupido? O che… abbia approfittato della situazione?» chiese, tornando a guardare le schiene nude e dorate delle due ragazzine.
Ora parlottavano fitto tra di loro e guardavano il mare dove si dondolavano i gabbiani.
«Perché? È quello che hai fatto?»
«No, ma… insomma… eravamo io e lei, soli, a vivere una convivenza forzata, praticamente sotto il tiro dei Carrow da mattina a sera. Forse non avrei dovuto farmi coinvolgere fino a quel punto. Avrei dovuto riflettere con più attenzione e…»
Aveva in testa quei dubbi da mesi, ma non aveva mai trovato il coraggio per esternarli, né qualcuno che volesse prestargli ascolto. Lui e tutti i suoi amici erano trascinati e sballottati ai quattro angoli dell’Inghilterra e dell’Europa dalla corrente della notorietà. Vedersi era praticamente impossibile.
«Figliolo, quel che stai dicendo non può che renderci orgogliosi tutti quanti. Abbiamo fatto un buon lavoro con la tua educazione. Lascia però che ti dica una cosa» e tacque nuovamente, osservando la curiosità farsi largo sul volto del nipote. «Chiunque altro, nella stessa situazione, avrebbe approfittato di quella fanciulla indifesa…»
«Credimi, era tutt’altro che indifesa. La vittima casomai ero io…» lo interruppe, pensando a quelle carezze che l’avevano svegliato nel cuore della notte e che si convertivano in baci appassionati nei momenti più improbabili.
«Comunque, un giovanotto qualsiasi non si sarebbe mai preoccupato di una signorina spaventata e bisognosa d’attenzioni. Probabilmente l’avrebbe portata sull’orlo di una crisi isterica, facendo in modo che quei delinquenti catturassero entrambi. Tu invece hai messo in primo piano la vostra salvezza e la possibilità di continuare a combattere con un’alleata che, tutto sommato, si è rivelata preziosa, per quanto ne so»
Aveva letto sulla Gazzetta di come i ragazzi dell’ES e gli altri fuggitivi erano riusciti a sopravvivere nella Stanza delle Necessità. Bisognava ammettere che l’organizzazione era stata eccellente.
«Vedi, trovo straordinario che in una situazione di allarme e terrore, tu sia riuscito a dar vita ad un sentimento d’amore, seppur di breve durata»
Neville sospirò, ripensando a come era nato tutto. Loro due seduti a terra, fianco contro fianco, digiuni, abbattuti, zitti. Fuori imperversava un temporale furioso. Poi lei gli si stringeva addosso, passandogli una mano sul petto. Preso dallo sconforto, aveva cercato a sua volta un contatto, mettendole un braccio sulle spalle, tenendola vicina. Ricordava il profumo di albicocca dei suoi capelli. Chissà se era stato il languorino provocato da quell’aroma, o semplicemente il tepore di quel corpo, a spingerlo ad affondare un poco il viso in quella chioma morbida. Aveva provato una specie di sollievo.
Lei se n’era accorta, ma non aveva detto nulla. L’aveva lasciato fare, tranquilla, raggomitolata contro di lui. Solo dopo parecchio tempo aveva sollevato il capo, fissandolo intensamente. Aveva le guance arrossate, gli occhi luminosi, le labbra socchiuse.
Non aveva mai baciato una ragazza, pur avendolo desiderato in più occasioni.
E ancora una volta, lei doveva averlo capito, perché si era sporta verso il suo viso, lentamente, quasi temesse di spaventarlo. Aveva sfiorato appena le sue labbra, lieve, invitandolo a fare altrettanto. Morgana benedetta, quanto era stato dolce! Persino più del miele di Gluconia Scarlatta. Qualsiasi fantasia svaniva al confronto. E che dire della sua lingua? Morbida e calda che giocava con la sua? Una deliziosa Cioccorana.
«Come si chiamava, la ragazza?» chiese lo zio, distogliendolo dai ricordi.
«Lavanda Brown»
«Ti dispiace che ti abbia lasciato?»
«No. Sì. Beh, credo un po’ tutte e due le cose»
Era stato bello sentirsi importanti per una ragazza, sapere che lei attendeva di vederlo ricomparire, sentirla vicina. Un po’ meno lo erano certe sue uscite, di una frivolezza che sfiorava il ridicolo, o la sua pretesa di lanciarsi in lunghi baci appassionati di fronte agli altri profughi.
«Posso immaginare. Anch’io la prima volta che ho perso la testa e sono stato piantato non capivo molto di quello che era successo»
«E… papà?» s’informò.
Non riusciva ad immaginare come suo padre avesse potuto affrontare una cosa del genere.
«Oh, Frank e Alice non hanno corso questi pericoli. Si sono messi insieme quando avevano dieci anni»
Neville sgranò gli occhi.
«Non sapevi che tua madre abitava vicino a noi? Siamo praticamente cresciuti insieme. Un’autentica fortuna per loro. Presi e mai mollati, fino ad oggi. Non hanno litigato una volta che fosse una e, credimi, ho provato a farli lasciare un sacco di volte»
«Cosa?!?»
«Calmati, figliolo. Avevo cercato di mettermi in mezzo, col solo risultato di trovarli più uniti di prima. Ero invidioso di tuo padre. Lui era felice, a me non ne andava dritta una. Ogni volta che credevo d’aver trovato quella giusta, mi dovevo rimangiare tutto. E come vedi ho mantenuto la linea fino all’arrivo di zia Enid, santa donna!!!» disse, indicando la sagoma allungata in lontananza accanto ad Augusta Paciock.
Alfie allungò la mano, frugando nello zaino che aveva portato con sé. Tirò fuori una busta di plastica sigillata. Conteneva una cosa scura e fibrosa, che ricordava la parete cardiaca del cuore di un drago.
«Cos’è?» domandò il giovane, guardando l’uomo strappare l’involucro e tirarne fuori una stringa.
«Muscish’ka» replicò, porgendogliela. «Carne bovina essiccata con aglio, chiodi di garofano, sale e peperoncino. Un specialità locale»
«Ma è orrenda!» esclamò, storcendo il naso alla vista di quella specie di serpente raggrinzito.
«Assaggiala prima dare un giudizio»
Titubante, il giovane addentò il bastoncino. Era stoppaccioso, con un consistenza strana -dapprima dura, poi quasi gommosa-, per staccarne un pezzetto dovette assestare un paio di morsi. Mentre masticava la sentiva infilarsi tra i denti in maniera fastidiosa, ma a mano a mano che la schiacciava poteva percepirne il sapore che si dispiegava sul palato, sugoso e denso. Neville ne prendeva piccoli bocconi, gustandola nel tentativo di capire come potessero coniugarsi un aspetto tanto bizzarro con una tale delizia. Alfred invece la succhiava come se si trattasse di un lungo spaghetto ruvido.
«Vedi, Neville. Io ho una teoria. L’amore è proprio come questa carne: all’inizio può apparirci disgustosa, inguardabile, qualcosa di cui possiamo fare tranquillamente a meno. Possiamo trovarla troppo piccante, troppo salata, troppo dolce, troppo dura o troppo fresca… in base alla mano di chi l’ha confezionata. Prima o poi però, a forza d’assaggiare, troviamo quella che corrisponde ai nostri gusti ed allora, ahimè, è impossibile farne a meno» concluse, addentando una seconda striscia.
Il ragazzo rimase in silenzio, assorto. Ripensò a Lavanda, a quel breve periodo in cui era stata la sua ragazza. Alla sbandata che aveva preso per Ginny, tempo addietro, mai concretizzata. All’ammirazione che provava per Hermione, anche quando faceva la saccente. Al piacere che provava in compagnia di Luna e delle sue bizzarre fantasie. Tanti pezzi di muscish’ka, tutti diversi. Tutti buoni a loro modo, nessuno per cui impazzire. No, non aveva ancora trovato quella che faceva per lui, quella capace di ingolosirlo fino a fargli perdere il senno.
«Quanta se ne deve assaggiare secondo te, per trovare quella che ci piace davvero?» chiese, facendo segno che voleva un altro pezzetto, prima che lui la finisse.
Lo zio alzò le spalle, porgendogli il sacchetto, ormai dimezzato.
«Non credo esista un limite. Forse solo un po’ di criterio nell’assaggio, per non buttarsi su una cosa che non risponde ai nostri gusti e trovarsi pentiti in seguito»
Rimasero lì seduti, mangiando fin quando il sale del condimento non gli mise sete, obbligandoli a tornare dalle donne. Mentre camminava sull’erba bruciata dal sole, Neville spiò le due ragazzine che ora facevano il bagno. Graziose, sfrenate, un po’ troppo bambine per lui. Meditò sulla teoria dello zio. Aver criterio nella scelta, capire dal primo assaggio se la muscish’ka che si ha davanti può essere quella di cui si era in cerca. Scoprire l’amore tra mille amicizie. Cercare tra tanti gusti quello capace di stregare l’anima. Chissà se sarebbe riuscito a mettere in pratica quell’insegnamento, senza diventar preda di una ricerca ossessiva. Criterio. Il segreto era quello. Avere criterio. Ed educazione. Mai scadere nel volgare, mai farsi trascinare nel gorgo della banalità, essere sempre una persona a modo, essere sé stesso. Il Neville di sempre. Non si sarebbe nascosto dietro una maschera, che gli avrebbe impedito di riconoscere il gusto di un sentimento sincero. Sì, gli piaceva. Prima o poi, avrebbe scoperto la sua muscish’ka.


Dedico questa fic alla mi abeta, Fri Rapace (per contraccambiare la sua!), e a tutti quelli che hanno seguito le mie fic durante l'estate! Per chi se lo fosse domandato, la muscish'ka esiste davvero, non ho inventato nulla, anche se in effetti assomiglia ad una parola magica... Spero solo di aver scritto il nome a dovere, perché il termine è dialettale e difficile da digitare correttamente -io stessa l'ho trovato scritto in diverse forme dai macellai del posto-!!!
   
 
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