ABOVE THE WORLD
PROLOGO
Montai sulla mia auto: l’unico posto
in cui potevo riflettere, lontano dal caos che mi circondava.
Sbattei la portiera.
Accesi la radio. Dovevo soltanto sfogarmi, liberare la mente da tutto.
La porta della casa
che avevo di fronte si aprì, sull’uscio mia madre chiamava ripetutamente il mio
nome: Margaret. Odiavo quel nome, lo sentivo pronunciare completo solo quando
dovevo essere rimproverata. Accesi il motore della mia auto sperando che
soffocasse la voce di mia madre.
Non avrei mai
pensato che quella sera sarebbe stata diversa da tutte le altre, che avrebbe
cambiato in parte la mia vita.
Percorsi la strada
principale per circa duecento metri poi svoltai a destra in direzione del
bosco. L’aria all’interno dell’auto si stava facendo troppo pesante, decisi di
abbassare il finestrino e di godermi il vento d’agosto che mi scompigliava i
capelli.
I miei pensieri però
mi avevano raggiunto fin lì, nell’oscurità del bosco. Sola, con i finestrini
aperti e il volume della radio molto alto, non riuscivo a non pensare alla
discussione che avevo avuto con mia madre. Ultimamente litigavo molto spesso
con lei: i motivi erano sempre gli stessi, stupidi, ma che lei riteneva
importanti.
Ritornai con la
mente alla strada. Era buia e piena di curve. Sopra di me gli alberi erano così
folti che solo in pochi punti riuscivo a scorgere il cielo blu, senza stelle ma
con una bellissima luna piena.
Ritornai nuovamente
a guardare la strada. I fari della mia auto riuscivano a illuminare solo una
piccola parte della carreggiata.
Qualcosa in uno dei
cespugli attirò la mia attenzione. Aguzzai la vista. Due occhi gialli sbucavano
da dietro le foglie.
– Ti prego resta lì – mormorai. Qualsiasi
animale fosse non volevo scoprirlo.
La creatura però
sembrò intuire i miei pensieri e come per dispetto uscì dal suo nascondiglio e
con incredibile coraggio, attraversò la strada.
Tutto ciò che
avvenne dopo entrò e uscì dalla mia testa con una velocità tale che non lasciò alcuna
traccia apparente.
Mi svegliai la
mattina seguente. La testa mi faceva male e avvertivo una forte pressione sulle
tempie che mi costringeva a tenere gli occhi socchiusi. Alla mia sinistra
seduta su una poltrona dall’aria scomoda, dormiva Vivien, mia madre. I suoi
occhiali erano appoggiati sul mio letto. Era da parecchio tempo che non mi
fermavo a osservarla. Era molto bella, i suoi capelli castani le sfioravano il
viso ritagliandole gli zigomi. Intorno ai suoi occhi, c’era una sfumatura
bluastra, segno di una notte insonne. Sulla fronte i segni indelebili che
mostravano al mondo i suoi quarant’anni passati.
Come se mi avesse letto nel pensiero,
aprì lentamente gli occhi e si voltò verso di me. Accennai un sorriso che fu
ricambiato con una carezza sulla mano.
–
Come ti senti Meg? – mi chiese con aria preoccupata.
Volevo parlare ma ero troppo confusa,
prima esigevo delle risposte.
– Che cosa è
successo? – chiesi. Non ottenni parola.
Dopo qualche minuto
Vivien mi fissò e cominciò a spiegarmi ciò che avevano supposto i medici.
Ricordavo solo alcune cose: dal cespuglio era uscito un animale. In preda al
panico avevo fatto l’unica cosa razionale, avevo cercato di evitarlo ma così
facendo avevo perso il controllo dell’auto ed ero finita contro un grosso
abete. I ricordi si fecero più confusi, ricordai di essermi svegliata e
sentendo odore di bruciato mi ero agitata, poi un volto giovane, bellissimo di
un ragazzo. I suoi occhi e il suo sguardo, non sarei mai riuscita a
dimenticarlo. La sua bocca, non ne avevo mai viste di così perfette, era stata
talmente vicina alla mia che ero riuscita a sentire il calore del suo respiro.
E la sua voce, così calda e allo stesso tempo così distante, ricordavo
benissimo le parole che mi aveva sussurrato all’orecchio: – Stai tranquilla. Ci
sono io –. Come avrei potuto dimenticarmi di lui? L’avrei riconosciuto tra
mille.
Promisi a me stessa
di trovare quel ragazzo a tutti i costi.