Girasoli ~
{ then perhaps I’ll
deserve you and be even worthy of you, if I only had a brain }
Lo Spaventapasseri
considerò questa cosa nuova che era lo stare seduto.
Non
aveva che tre giorni di vita, e in tutto quel tempo se n’era sempre stato
in piedi, appeso al palo nel campo di grano del contadino. Non che la cosa lo
stancasse. Lui non era fatto di carne e sangue come il contadino e la sua
famiglia e la sua gente; lui era
soltanto un guscio ripieno di paglia, perciò non c’era nulla che
potesse recargli stanchezza o dolore fisico – l’unico pericolo era
rappresentato dal fuoco, che fortunatamente non aveva ancora avuto modo di
trovarsi a fronteggiare.
Proprio
per questa sua diversità non aveva neanche alcun bisogno di sedersi. Durante
il giorno avevano camminato molto – beh, Dorothy e Totò avevano camminato; lui più che altro era
ruzzolato continuamente sui mattoni gialli, ma gli stava bene così –
e ad ogni sosta che il corpicino della sua piccola nuova amica richiedeva, lui
era rimasto sempre in piedi ad attendere pazientemente che lei e il suo buffo
compagno a quattro zampe si riposassero a sufficienza. Anzi, aveva spesso approfittato
di quei momenti per arrampicarsi su un qualche albero da frutto o intrufolarsi
in un qualche cespuglio di more, incurante di rovi e spine, per poter loro
procurare qualcosa d’altro da mangiare; perché Dorothy diceva che
il suo panierino di provviste non sarebbe bastato fino alla Città di
Smeraldo – e, anche se lui non aveva bisogno neppure di cibo, lo
Spaventapasseri non voleva che Dorothy arrivasse alla meta stanca ed affamata. Dopotutto
era stata Dorothy a farlo scendere dal palo. Meritava almeno qualcosa in
cambio.
E quindi
lo Spaventapasseri non si era mai seduto. Ma quel pomeriggio, mentre il sole
scendeva sempre più basso nel cielo e lo tingeva di rosso e d’arancio,
si erano ritrovati a passare davanti a quel campo di girasoli, e lo
Spaventapasseri aveva guardato l’espressione raggiante di Dorothy e si
era reso conto che questa volta la pausa sarebbe durata molto di più.
Pur
con qualche perplessità aveva raccolto il suo invito a sedersi ad aspettarla.
Mentre lei correva via insieme a Totò, ridendo allegra tra i fiori alti
e gialli rivolti verso il sole, aveva guardato per un attimo la bassa staccionata
che avevano scavalcato e si era infine deciso a sistemarsi lì – e
dopo un po’ si era abituato e aveva iniziato a muovere le gambe su e
giù, portandole alternativamente all’altezza dello sguardo,
divertito da quella novità che era il guardarsi i piedi impagliati
così da vicino. Gli erano sembrati lontani, sul palo, ed era quasi strano ritrovarseli invece attaccati al
corpo mediante la stessa paglia che lo teneva tutto unito.
Era
in qualche modo piacevole, starsene lì a non far nulla al di là
di dondolare le gambe e guardare Dorothy e Totò nel campo di girasoli.
Allo
Spaventapasseri, Dorothy piaceva molto. Gli piaceva il suo odore: era un odore
diverso da quello del contadino che lo aveva creato; lei non sapeva di orti e
di fatica, ma di fiori e di spazi aperti, un po’ come lui. Gli piaceva il
fatto che non si spazientisse mai quando lui cadeva lungo disteso perché
la sua men che scarsa intelligenza gli impediva di
saltare le buche tra i mattoni gialli – ma che anzi lo aiutasse ogni
volta a rialzarsi, disponibile e gentile; e gli piaceva il fatto che, quando lo
toccava, le sue mani erano consistenti,
non fragili come le sue, e calde e morbide – così diverse dai suoi
guanti di stoffa grezza. Soprattutto gli piaceva il suo sorriso, che lo
convinceva che forse anche lui piaceva un pochino a lei, anche se non era intelligente, anche se non aveva un cervello,
e anche se senza di lei non sarebbe mai stato in grado di scendere dal palo e
di mettersi in cammino per andare ad ovviare a quella mancanza chiedendo aiuto
al Mago di Oz.
Sì,
allo Spaventapasseri piaceva molto Dorothy e tutto ciò che faceva o
diceva. Era contento di averla incontrata.
Però
c’erano di lei anche delle cose che – stupido com’era –
non riusciva proprio a comprendere.
Proprio
come ciò che stava facendo adesso, in quel campo di girasoli, mentre
Totò saltellava entusiasta intorno alle sue scarpette d’argento.
Lo
Spaventapasseri le aveva lasciato parecchio tempo per comportarsi a suo
piacimento in quel modo così bizzarro, ma ora non riusciva più a
trattenere la curiosità.
«
Dorothy, perché strappi i fiori da terra? »
Al
suono della sua voce la ragazzina si fermò, china tra i lunghi steli e
le foglie verdi, e alzò su di lui uno sguardo innocente e un po’
sorpreso.
«
È una strana domanda, Spaventapasseri. »
Lui
smise di far dondolare le gambe e ricambiò il suo sguardo con
altrettanto stupore.
«
È piuttosto il tuo ad essere uno strano comportamento. I fiori muoiono
senza la terra; credo sia l’unica cosa che io sappia, pur senza avere un cervello come te. Dunque perché
vuoi uccidere quei fiori? »
Dorothy
sembrò quasi turbata – come se lui avesse detto qualcosa cui lei
non aveva pensato. Ma questo non era certo possibile; era lei ad avere il cervello, tra loro, no? Persino Totò doveva
sapere più cose del misero Spaventapasseri! Eppure Dorothy sembrava
veramente colpita. Dopo un lungo silenzio, abbassò lo sguardo sui
girasoli che stringeva tra le braccia, contro il vestitino azzurro, e
sembrò intristirsi.
«
Tu hai ragione » mormorò poi, « ma questi fiori sono
così belli che mi è venuta una gran voglia di portarli con me… »
Lo
Spaventapasseri la guardò ancora, sempre più confuso. Anche Dorothy
era bella; quindi forse lui avrebbe dovuto portarla in braccio lungo la strada
di mattoni gialli? Oh, se solo avesse
avuto un cervello – avrebbe certo capito queste cose, e lei non avrebbe
avuto bisogno di dargli spiegazioni di nulla.
Dorothy
alzò lo sguardo e gli sorrise, come per scusarsi. « Non so come
sia qui nel regno di Oz, ma nel mio mondo siamo un po’
egoisti con la natura, Spaventapasseri. Fiori come questi – ma anche
rose, margherite, tulipani, gigli – noi li utilizziamo spesso per
abbellire le nostre case. Oppure, quando una persona si ammala, è con un
fiore che noi portiamo loro un augurio di pronta guarigione. E solitamente
è con dei fiori che un giovane uomo esprime a una fanciulla il proprio affetto… »
Lo
Spaventapasseri saltò giù dallo steccato su cui senza alcuna
necessità si era seduto, guardando la ragazza con costernazione.
«
Perdonami, Dorothy; come sono ignorante. Non avevo idea che i fiori potessero
rivestire tanti significati per le persone! »
Dorothy
rise. « È perché non hai il cervello » gli
ricordò, come faceva spesso, anche se poi lei non sembrava credere tanto
a ciò che gli diceva.
Lo
Spaventapasseri sorrise, felice di rivederla felice. La vide chinarsi di nuovo
accanto a Totò e continuare a cogliere girasoli, che si teneva avvolti
nel grembiulino come un tesoro prezioso; senza indugi si avvicinò per
aiutarla. Forse quei fiori sarebbero morti senza la terra, ma se servivano a far
sorridere Dorothy, allora non gli dispiaceva così tanto ucciderli. Di campi
di girasoli ce ne sarebbero stati tanti. Di Dorothy, lui ne aveva una sola.
Ne avevano
raccolti molti quando Dorothy rise di nuovo la sua risata allegra e disse che
così poteva bastare. Si rialzò in piedi, chiamò
Totò e si incamminò di nuovo verso la strada da cui si erano
allontanati, e che ora la luce del crepuscolo rendeva di un colore più
scuro e caldo, di un oro che era quasi ambra.
Lo Spaventapasseri
seguì docilmente l’amica e si accorse che un fiore più
piccolo degli altri le era scivolato via dalle braccia. Si chinò, lo
raccolse e in due passi le si pose davanti, porgendoglielo con un sorriso.
Non
gli erano sfuggite quelle parole: nel mondo di Dorothy, gli uomini esprimevano
il loro affetto alle fanciulle donando loro dei fiori.
Era
sicuro che lei avrebbe capito. In fondo, tra loro, era Dorothy ad avere il
cervello.
E Dorothy
lo guardò e sembrò capire davvero. Le sue guance si accesero
stranamente di rosso mentre sorrideva e gli prendeva con delicatezza il
girasole dalle dita, ed il « Grazie » che gli sussurrò
sembrò allo Spaventapasseri il suono più dolce del mondo,
più dei canti degli usignoli, più del vento tra le spighe di
grano.
E
lo Spaventapasseri non sapeva, davvero non sapeva cosa significasse quel suo
rossore o quel leggerissimo contatto delle sue labbra morbide sulla propria
guancia ruvida – ma ugualmente, quando seguì di nuovo Dorothy e
Totò sulla strada di mattoni gialli, si sentì felice.
Perché
era libero. Perché stava imparando tante cose – a camminare ed anche a stare seduto. Perché stava
andando a procurarsi un cervello. Ma soprattutto perché era con Dorothy.
Spazio dell’autrice
Festeggio
la creazione di una categoria con la pubblicazione di una nuova fic! ^-^
Ma quanto
amo questo pairing? Troppo, immagino. Ormai sono
ossessionata da Dorothy e dallo Spaventapasseri. Lo ero anche durante l’infanzia,
a dirla tutta, ma ora che ho preso il via a scrivere di loro non riesco
più a fermarmi – per vostra grande sfortuna. xD
L’idea
per questa shot mi è venuta grazie a due fonti
d’ispirazione: la prima è stata questa
fanart puccerrima su DeviantART *-* La seconda è stata l’aver
scoperto che, nel film, la canzone If I only had a brain cantata
dallo Spaventapasseri (Ray Bolger) subito dopo il suo
primo incontro con Dorothy (Judy Garland) è
stata mutilata di un epilogo che, a
mio avviso, sarebbe stato a dir poco perfetto, perché esprimeva
benissimo ciò che lo Spaventapasseri avrebbe sentito da allora in poi
nei confronti di Dorothy – e questo suo stato d’animo è
evidente soprattutto nel romanzo, come mostrato dal brano all’inizio del
capitolo XVI:
L’indomani mattina lo Spaventapasseri
disse ai suoi amici:
«Rallegratevi con me: vado dal Grande
Oz a farmi dare finalmente il cervello. Quando sarò
di ritorno, sarò uguale a tutti gli altri uomini.»
«Io ti ho sempre voluto bene così
come sei,» gli dichiarò la piccola Dorothy con semplicità.
«È molto gentile da parte tua
voler bene a uno Spaventapasseri,» egli rispose. «Ma sono certo che
ti farai di me un’opinione migliore quando sentirai i formidabili ragionamenti
che il mio nuovo cervello saprà formulare.»
[…]
I versi
che nella canzone sono stati tagliati, e che ho utilizzato all’inizio
della shot – “allora forse io ti meriterei, sarei persino degno di te, se solo avessi
un cervello”: andiamo, potete ancora
dire che questi due insieme non costituiscono un pairing?!
*-* – uniti alle suddette parole
di Lyman Frank Baum sono
stati dunque la mia seconda fonte d’ispirazione per scrivere questa nuova
storia.
Che spero
vi sia piaciuta. :)
Ringrazio
vivamente in anticipo chiunque deciderà di leggerla ed eventualmente
commentarla. May God bless you all. <3
Nota: se ho usato un
linguaggio di tipo un po’ arcaico non è perché sono
impazzita – almeno voglio sperarlo .__. – ma perché Il meraviglioso mago di Oz
è stato pubblicato esattamente nel 1900, e per una volta avevo voglia di
mantenere uno stile conforme a quello di Baum. Tutto
qui; giuro che non ho inalato sostanze strane, e che nella vita di tutti i
giorni parlo molto più come una camionista che non come scrivo. xD