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Autore: Ashre    08/12/2003    2 recensioni
Sotto l'influenza della musica mi sembra di sentire ciò che non sento realmente, di capire ciò che non capisco, di poter fare ciò che non posso fare - Lev Tolstoj
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: questa non è una fic; è il mio ultimo compito di italiano

Note: questa non è una fic; è il mio ultimo compito di italiano. Perché lo posto? Perché per me non si trattava di un semplice compito in classe. E credo capirete anche voi il motivo.

 

Disclaimer: i personaggi citati non appartengono a me; il titolo Poesia Pagana è tratto dall’omonima canzone di Bjork.

 

 

Poesia Pagana

 

La vita è frenetica. Il mondo è un motore costantemente in funzione; spesso una rotella si allenta, qualche cavo si brucia, e ci si ritrova fermi, appiedati, mentre il resto non è che un turbinoso vortice di colori, suoni, sensazioni. Il continuo rombo diventa assordante, insopportabile; vuoi farlo smettere, non sai come. C’è chi spegne il mondo barricandosi in se stesso, chi salendo su tutt’altra giostra, chi semplicemente socchiudendo gli occhi, ovattando le orecchie e dipingendosi un’espressione sul volto.

Oppure c’è chi apre la sua anima, la lascia nuda, esposta, e crea bellezza, armonia, una piccola creatura fragile che racchiude in sé tutto l’universo, e la dona con entrambe le mani a chi è pronto ad accoglierla spogliandosi anch’egli, esponendosi anch’egli.

Questa è arte, l’arte che tocca nel più profondo, scuote, sconvolge, e a poco a poco si insinua dentro e non abbandona tanto facilmente. Invasori parole, invasori disegni, invasori musiche. Non c’è differenza. “Ad ognuno il suo”, ma la bellezza è universale.

La vita senza arte sarebbe un errore. E “la vita senza musica sarebbe un errore”, disse lo stesso Nietzsche.

Tutto è musica. Il prima segnale di vita di un neonato è il pianto: anche questo è musica, musica per la madre che ha appena partorito, per il padre che ha appena accolto tra le braccia suo figlio. L’ultimo barlume è la voce dei propri cari mentre tutto diventa più opaco, sfocato. Anche questo è musica. Musica non intesa solo come registrazione del prodotto di una unione di note del pentagramma; musica intesa come riflesso della realtà, elemento inscindibile dell’essere uomini e donne con una propria, peculiare sensibilità, la sensibilità, la capacità di incantarsi ai gorgheggi, ai cinguettii del mondo circostante. L’armonia del mondo, dissero i pitagorici, la rappresenta la musica.

La musica aiuta. E molto. Spesso inconsciamente. A volte anche semplicemente, quando, dopo una dura, interminabile giornata, a casa delle canzoni cullano e rilassano, massaggiano le tempie indolenzite e offrono riposo ad un corpo spossato.

A volte guarisce dolori brucianti, ricuce delle ferite troppo profonde per cicatrizzarsi da sole. Perché sei solo, per terra, con le lacrime che ti ostini a non lasciar casere che ti bruciano gli occhi, ti appesantiscono il petto, e non vedi, non riesci a vedere una via d’uscita e sai di non voler chiedere aiuto, e ascolti qualcuno che sussurra, singhiozza, grida il tuo stesso dolore, la tua stessa sofferenza, senti parole che parlano di te, e allora non resisti più, non ti trattieni più, e queste parole preziose ti lavano, ti lasciano sanguinare, infrangono il tuo muro di vetro, il tuo controllo su te stesso. Ti distruggono, ti ricostruiscono, ti ridanno te stesso. E non te ne accorgi, perché come possono delle semplici lettere e delle semplici note fuse assieme avere una qualche influenza su di te? Ma poi, a poco a poco, te ne rendi conto, e quando questo succede, è troppo tardi. Ormai ne hai bisogno, hai bisogno della tua musica, hai bisogno del tuo cantante, un bisogno che, a volte, sfocia nell’ossessione.

Riesci a ricavare delle risposte, a porti delle domande. La musica ha spesso aperto gli occhi; musicisti immortali come John Lennon, Bob Dylan, Fabrizio DeAndrè, i cosiddetti cantautori impegnati hanno rappresentato la voce della protesta giovanile alle ingiustizie e ai soprusi del mondo, spesso vissuti in prima persona, come il rapimento di DeAndré a causa delle sue idee politiche, o anche l’arresto del marito di Joan Baez che si era rifiutato di andare a combattere in Vietnam. Musicisti che hanno dato un’immagine alle inquietudini delle loro generazioni, e che sono diventati dei modelli per quelle future. Non dobbiamo però neanche andare così lontano nei decenni: gli Anni Ottanta e Novanta, l’attuale Duemila, la più alta espressione ormai del consumismo e della diffusa mancanza di valori, hanno sfornato, forse più che in passato, accanto ai prodotti di fabbrica fatti di plastica e si sorriseti chirurgici da milioni di dollari, dei simboli di protesta e della cosiddetta lotta contro il sistema, proprio a causa di questa di questa dilagante corruzione degli animi che ha fomentato l’innata ribellione dei giovani idealisti e rinnovatori. Basti pensare a fenomeni come i Rage Against the Machine (il cui nome, rabbia contro la macchina, è un piccolo marchio di garanzia), i napoletani 99 Posse, Manu Chao, solo per citarne alcuni, o anche altri non così politicamente impegnati ma che nelle loro composizioni esprimono la collera, il desiderio di lottare, la confusione e la disperazione degli uomini moderni e della loro crisi interiore.

Tutto questo è musica. Tutto è musica. E per me la musica è tutto. Come il panteismo eracliteo. Non mi piace ascoltare musica, mi piace viverla, conversarci, giocarci insieme; ci raccontiamo storie a vicenda, a volte facciamo anche delle lunghe passeggiate l’una in compagnia dell’altra. Lei consola me, io le faccio i complimenti. Riesce a sollevarmi quando cado in un baratro, a farmi sorridere quando non me ne sento capace, o non mi va. A volte in questo è molto seccante. Mi fa piangere quando voglio piangere ma sono troppo orgogliosa per farlo, di solito arriviamo a un compromesso: mi libera le lacrime quando sono sola e il mio orgoglio non viene così ferito. Le piace prendermi in giro, ma poi non riesco mai a non perdonarla.

La mia musica non ha un nome, non ha un volto, ha solo una voce, che sono mille e mille voci che solo io so distinguere o capire. La mia musica è solo mia, di nessun altro. Possono provare a togliermela, ma non riusciranno mai a portarmi via la più oscura, intima e lontana parte di me stessa.

La musica è vita.

 

 

 

 

Fine

 

 

 

 

Note: forse è un po’ troppo farcita, ma dovevo far contenta la prof no? Voi che ne pensate?

E un biscottino a chi scopre dove ho nascosto Tori Amos!

  
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