Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Atris    01/09/2010    1 recensioni
L'inizio del piu' recente dei miei lavori incompiuti. L'idea risale al 2006. Ho in progetto di riprendere questa storia per quanto mi sembri un po' infantile ed a tratti banale, chissa' magari... evolve.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Preludio

Capitolo 0:

"Preludio"

Aveva fatto a botte, di nuovo. Quegli schifosi volevano vendicarsi di chissá quale torto, lo avevano assalito all'improvviso dopo la scuola: mentre tornava a casa passava sempre per una serie di vicoletti che sbucavano su di un ampia piazza, piazza dei caduti, non gli era mai piaciuta, - che schifo di nome, alla maggior parte di quei caduti non gliene frega niente della patria, dei valori di libertá e giustizia che la guerra si porta sempre dietro come un cane al guinzaglio, sono morti maledicendo tutto quello che li aveva condotti lì a soffrire e a cercare di sopravvivere nell'odio del nemico e nella paura della morte… giá la morte, morire in una battaglia che non si sente propria, chi se ne va cosí non ha senso che abbia vissuto.

Sanguinava - fottuti bastardi, erano in quattro – pensó, poi sorrise beffardo, tre li aveva lasciati lì, svenuti, tumefatti e sanguinanti, stesi a terra. L'altro arrancava con una gamba rotta piangendo e chiamando la madre, come un pupo in fasce: non c'era nulla di piú divertente di questa immagine.

Grondava di sudore, aveva il labbro inferiore rotto ma usciva piú sangue da una ferita da coltello sul petto: nulla di grave, quanto basta per macchiare i vestiti neri oramai strappati e rovinati – cazzo l'avevo appena comprata. I suoi jeans militari erano rimasti miracolosamente intatti ed i neri anfibi avevano sangue non suo sulla punta in ferro luccicante al sole del meriggio.

Anche oggi aveva sfogato la sua rabbia, con tutto se stesso, sul corpo di giovani ansiosi di scolpirsi una fama sulla sua carne, come solo un pazzo violento poteva fare. Sorrise a questo pensiero - meglio loro che me -.

I suoi capelli erano evasi dalla stretta coda e quindi si apprestó a rifarla. Si tolse i tre elastici e se li mise a mo’ di bracciale sul polso, si levó la fascia nera e lasció per un po’ i suoi capelli al vento. Per molti i suoi capelli angelici erano bellissimi, del colore dell'oro e lisci come la seta, lunghi fino al fondoschiena; a lui peró non piacevano, erano vistosi, delicati, dolci e splendenti, caratteristiche che erano per lui sintomo di debolezza.

Si fece il primo nodo, stretto alla nuca, poi il secondo, alla fine della lunga coda con molti giri di elastico, e poi il terzo in mezzo ai primi due, non tanto stretto, e infine mise la larga fascia nera, per coprire il candore dei capelli.

Si pulí le mani sui vestiti, e con la manica si asciugó il sangue dalle labbra, poi avanzò per entrare nella piazza. All’uscita del vicolo un forte raggio di sole lo colpí: non gli piaceva il sole. Aggrottó la fronte e l'azzurro ghiaccio dei suoi occhi venne celato dalle palpebre.

Aveva un po’ di lividi qua e là e camminava lento e dolorante per arrivare a casa, ma non aveva fretta. Viveva solo, nessuno lo aspettava.

Non aveva amici, solo una banda di teppisti esaltati della zona, solita a partecipare a tornei di combattimento clandestino. Lui poteva sfogarsi e la gente lo acclamava per questo, poi si andava a festeggiare in un bar, e a volte scoppiava una rissa, spesso per le scommesse perse.

Fu in una di queste risse che gli diedero il suo soprannome. Lui finì fuori dalla finestra del locale e mentre la rissa si consumava all'interno, dieci membri del clan rivale lo assalirono, armati di coltelli-le altre armi erano considrate disonorevoli tra bande. In quello scontro si ruppe il braccio in due punti, la sua milza si perforó e due coppie di costole andarono a farsi fottere, ma gli aggressori furono ridotti molto peggio, e così il numero dieci divenne il modo con cui la gente lo chiamava: Ten. In realtà si chiamava Marcus, ma Ten gli andava bene: nel suo ambiente la fama era tutto.

Erano passati 3 anni dalla rissa in quel bar, Angel's Way. Aveva raggiunto la maggior etá da pochi mesi, e ancora una volta si ritrovava ad arrancare per tornare a casa: nulla era cambiato.

Ora era fermo ad un semaforo. Dall'altra parte della strada c'era una madre con la sua piccola: quest'ultima era tutta intenta ad inseguire una farfalla che girava intorno alla mamma. Sembravano felici.

Come mai a lui non era stata concessa tale felicitá, cosí semplice da esaudire, cosí brutalmente vietata?

Sua madre morí quando aveva due anni, stuprata e gettata in un cassonetto dell'immondizia, sgozzata come un animale troppo vecchio per essere mangiato e troppo giovane per essere lasciato morire dignitosamente.

Suo padre impazzí per la morte di sua madre, si gettó dal tetto della casa di cura in cui lo avevano internato. Lui era andato a fargli visita, lo vide cadere come un sacco di patate al suolo, inerte, senza un urlo o un gemito, lo raccolse che ancora respirava.

Perché quel piccolo angolo di mondo in cui viveva doveva essere cosí marcio da contaminare e corrodere completamente ogni sua speranza, ogni sua emozione?

Negli occhi di quella bambina felice c'era tutto quello che aveva perso e che non avrebbe mai piú riavuto.

Mentre la madre rispondeva al cellulare, la farfalla continuava a volteggiare e la bambina non vedeva altro che quella splendida creatura. Marcus controlló il semaforo, era ancora rosso, ma era stanco di aspettare. La farfalla andó verso la strada e la bambina la seguí mentre la madre era girata a parlare al telefono. Marcus guardó se c'erano o meno macchine, cosí da poter attraversare: c'era una macchina di lusso che stava arrivando, le altre erano troppo lontane. Il tizio alla guida era uno in giacca e cravatta, era distratto, stava cercando qualcosa nel bauletto, forse. Marcus giró la testa, la bambina era in mezzo alla strada... e in quel momento fece qualcosa che non avrebbe mai fatto in vita sua. I suoi muscoli si mossero da soli: una strana forza dava moto al suo corpo.

Il tempo sembró dilatarsi: la macchina era vicina, la bambina era lì in piedi e lo guardava negli occhi mentre lui correva più velocemente possibile nella sua direzione. Ogni passo era lungo come una vita terrena. Quegli occhi verdi smeraldo continuavano a fissarlo, quella macchina non arrestava il suo corso, veloce ed inesorabile, si avvicinava… Protese le mani, la macchina era a pochi metri ormai. Marcus la spinse con quanta forza aveva in corpo, sentì l'urlo della madre e poi il freddo metallo sul suo fianco, gli occhi verdi della bambina si allontanavano da lui, la sua spalla contro il vetro, poi tanti spilli sul suo corpo, un volteggio confuso e fugace e poi lo schianto sull'asfalto.

Non sentiva nulla, la sua vista era offuscata. Qualcuno lo mise supino: era un signore distinto con una folta barba, urlava qualcosa ma lui non sentiva nulla, poi si giró e vide la farfalla, poggiata affianco a lui sull'asfalto, sbatteva le ali e muoveva le antenne calma ed aggraziata. Non aveva mai visto una farfalla cosí, aveva lo stesso colore dei suoi capelli: una piccola farfalla d'oro.

Le palpebre erano pesanti, ora non sentiva piú fatica nè dolore. Era forse guarito da ogni affanno? Forse ora era davvero finita per Marcus l'inarrestabile.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Atris