Per il compleanno di Ernil! Auguroni :D
Ultimamente quello che scrivo mi sembra sempre banale e poco interessante, quindi finisco per cancellare o mollare tutto... Stavolta ho resistito perchè volevo fosse una cosa decente per il compleanno di Ernil, ma i timori di banalità restano.In attesa di una ispirazione migliore pubblico questa shot.
Il fluff regna, vi avviso... e come sempre: viva le Snarryste!
Totalmente AU e assolutamente non canon compliant con il settimo libro. (settimo libro????)
nota: Dialoghi al passato messi in corsivo.
Dietro la porta
C’è qualcosa che Harry
non riesce ad affrontare, nemmeno ora che il tempo è passato
e che i suoi studi
si sono completati con successo, permettendogli di esercitare la
professione di
Auror ufficialmente.
Ha vent’anni, amici
fidati e affezionati e un piccolo appartamento che tiene ordinato e
dove passa
ben poco tempo.
C’è una porta alla quale
non riesce a bussare, che non riesce ad attraversare nemmeno ora che ha
l’età
adatta per essere considerato un uomo ufficialmente.
Nonostante la preside
McGonagall lo inviti spesso a prendere un tè nella sua
vecchia amata scuola,
lui ci si reca di rado, ed evita accuratamente di passare davanti a quella porta.
Ci sono discorsi che non
riesce a intavolare, non perché gli manchino gli argomenti,
o perché i suoi
pensieri non siano chiari, ma solo perché teme le
conseguenze.
Eppure quando corre
dietro ai maghi oscuri o quando da la caccia alle creature malvagie che
minano
la sicurezza della loro comunità, non ha paura. Non trema
davanti a licantropi
o vampiri, troll aggressivi o draghi sputa fuoco. Quando lavora
è determinato e
implacabile, ha un buon rapporto con i colleghi e il suo capo sorride
sempre
indulgente, anche quando fa un errore o mette a rischio la missione per
il
troppo entusiasmo di lanciarsi nel pericolo.
Harry ha paura di una
porta, e se il suo capo lo sapesse probabilmente lo rinchiuderebbe
nell’ufficio
amministrativo in mezzo alle scartoffie o più probabilmente
lo spedirebbe al S.
Mungo per una visita approfondita.
Aveva diciassette anni l’ultima
volta che aveva varcato quella porta, e da allora era come se fosse
stata
maledetta, come se lui non potesse più entrare in quella
stanza senza uscirne
mutato.
Harry odiava i confronti
fatali, quelli che ti restano dentro per anni prima che possano
svolgersi
realmente, quelli su cui rimugini nel silenzio della notte mentre non
riesci a
dormire, e ripercorri mentalmente ogni frase che vorresti dire, ogni
possibile
risposta alle obiezioni.
Odiava quel genere di
conversazione che normalmente la gente tiene quando ha un grosso groppo
in gola
da dover mandare giù, perché Harry sa che dopo
quel genere di scontri, nulla
resta uguale. Aveva avuto un confronto fatale con Voldemort il giorno
in cui
finalmente lo aveva ucciso.
Ricordava esattamente
quel momento, mentre Voldemort scopriva il tradimento di Severus Snape,
spia
dell’ordine e uomo di Dumbledore, e lo immobilizzava a terra
con una serie di cruciatus talmente
crudeli che avrebbero
potuto uccidere un elefante, giocando con lui come il ragno con la sua
preda e
beandosi del suo dolore prima di mangiarsela.
Harry in quel momento
stava combattendo contro Dolov e Martins a pochi passi
dall’entrata dei
sotterranei, quando sentì chiaramente le urla di dolore di
Snape. In seguito
ricordava a mala pena di come avesse atterrato i due Deatheaters e
fosse corso
verso la fonte delle grida.
Hogwarts era un
caleidoscopio di colori che scaturivano da decine e decine di
bacchette.
Incantesimi di ogni genere volavano sulla sua testa, rischiando di
colpirlo ad
ogni passo.
Quando trovò Voldemort e
Snape, pensò di essere arrivato troppo tardi. Strinse forte
la bacchetta e si
bloccò sull’entrata di quello che un tempo era
stato lo studio del suo
professore. La porta era stata scardinata e giaceva rotta contro la
parete
opposta, e la stanza era solo un cumulo di macerie.
Il
professore era riverso a terra, i capelli neri
scomposti sul viso bianchissimo, e il sangue che colava dalla bocca
aveva
formato una piccola pozza sul pavimento. Voldemort non sembrava ancora
soddisfatto però. Scoprire di essere stato preso per i
fondelli per anni da
colui che reputava il suo servo più fedele, lo aveva
incattivito più di quanto
Harry avesse potuto credere. Harry
aveva
pochi secondi per fare qualcosa, qualunque cosa che potesse salvare la
vita
(perché era ancora vivo, doveva esserlo) del professore.
Voldemort non si era
nemmeno accorto del giovane che guardava la scena, era troppo impegnato
a
riprendere fiato per colpire il traditore con l’ultima cruciatus, quella che probabilmente lo
avrebbe ucciso
definitivamente.
Harry aveva gridato,
questo lo ricordava bene. Si era frapposto appena in tempo tra il ragno
e la
sua preda, e aveva urlato no con
tutte le sue forze.
“Non lo
toccare! Non lo toccherai mai più.”
Accadde
tutto molto in fretta. La sua magia innata
produsse un’onda di energia così forte da sbalzare
Il Signore Oscuro contro la
parete di fronte. Uno scudo protettivo copriva sia lui che il
professore, un protego eseguito
senza parole, ma
incredibilmente potente.
Voldemort si era rialzato
immediatamente, gli occhi rossi presagivano una vendetta ancora
più crudele ora
che Harry era entrato in gioco. Il ragno non amava che qualcuno lo
disturbasse
durante i pasti.
“Cosa credi
di poter fare, Potter? La tua magia è
ridicola, non otterrai altro che ritardare di qualche istante la vostra
morte. “
Lo scudo di Harry
vacillò, la sua potenza difensiva stava calando. Era
stremato, stava
combattendo da ore forse, e non sapeva quante forze gli restassero
prima di
soccombere. Anche Voldemort era stanco però, e non vi erano
altri Horcrux che
si frapponessero tra lui e la morte.
“Non
ucciderai mai più le persone che amo, non
farai più del male a nessuno, mai più.”
Voldemort aveva riso,
rauco e debole come un ragno troppo magro, ma pericoloso. Harry
spalancò gli
occhi, la comprensione che si faceva strada in lui, come un raggio di
sole tra
le nuvole fitte. Di tutte le grida di dolore e lotta che si potevano
sentire
per tutto il castello, lui era accorso come un pazzo nel riconoscere la
voce
del suo professore. Perché?
“Le persone
che ami? Interessante.” Ghignò malevolo guardando verso Severus.
Harry
rabbrividì. Possibile che fino ad allora non si fosse reso
conto di quello che
pensava realmente del suo professore e che dovesse capirlo proprio in
quel
momento tra tutti i momenti possibili?
“I sentimenti
nobili non possono uccidermi,
Potter. Al massimo possono farmi ridere. Così sciocco,
così innocente, pronto a
usare il cuore come uno scudo. Sei pronto a morire?”
Quello che ne era seguito
era stato lo scontro più epocale della storia del mondo
magico, ed era durato
appena pochi istanti. Le loro bacchette si fronteggiarono alla pari,
due raggi di
luce accecante uniti perfettamente, il verde che spingeva contro il
rosso.
“Mai
più, lo giuro.” E
quelle
furono le ultime parole che Voldemort sentì prima di perdere
il controllo del
suo incantesimo, che gli venne rimandato indietro con
l’ultimo sprazzo di
energia magica presente nel corpo di Harry. Voldemort colpito a
tradimento
dalla sua stessa malvagità, cadde a terra definitivamente
morto.
Harry crollò sulle
ginocchia accanto a Snape, e prima di perdere i sensi poté
percepire
chiaramente il suo respiro debole e frantumato contro il dorso della
mano.
In seguito seppe che
erano finiti tutti e due al S. Mungo insieme a coloro che erano
sopravvissuti
all’attacco. Ma al suo risveglio gli comunicarono che il
professore era stato
già dimesso.
Fu solo un mese dopo che
Harry trovò la forza di entrare di nuovo in quello studio,
ricostruito così
fedelmente a com’era stato prima della battaglia che pareva
non fosse mai
accaduto nulla.
Snape sapeva che era
stato Harry a salvarlo, glielo aveva detto Minerva, anzi, volendo
essere
precisi non aveva fatto altro che ripeterglielo. La preside non parlava
quasi
d’altro. Cercava di convincerlo in tutti i modi a incontrare
il ragazzo, almeno
per dirgli grazie, e lui puntualmente rimandava
quell’incontro.
Harry non era stato da
meno però, anche lui aveva atteso a lungo prima di trovare
la forza per
affrontare quella che sarebbe stata molto probabilmente un altro
confronto
fatale.
“Come si
sente Professore?”
“Bene, forse
un po’ sbattuto, ma ancora in piedi.
Suppongo che dovrei ringraziarla per avermi salvato.”
“Non
è necessario, si può dire che glielo
dovevo.”
“Bene, allora
consideriamolo fatto.”
Harry aveva sorriso,
Snape era sembrato nervoso e infastidito.
“Forse
potremo provare ad andare d’accordo, ora
che tutto questo è finito, non crede anche lei?”
Severus lo aveva guardato
come se fosse pazzo e aveva scosso le spalle, decisamente non era
pronto ad
andare a bere una burro birra al pub in sua compagnia.
“Il suo
impegno come studente di questa scuola è
terminato, non vedo perché cambiare proprio ora.”
Harry deglutì.
“Lei non
ricorda nulla di quello che è accaduto
quella notte?”
Aveva paura della
risposta, qualunque essa fosse. Non sapeva se Snape fosse stato conscio
del
dialogo che aveva avuto con Voldemort in quella stessa stanza, ma se lo
fosse
stato, non avrebbe più avuto bisogno di nascondere quello
che pensava su di
lui, quei sentimenti di cui, per un assurdo caso del destino, solo
Voldemort
era stato testimone attivo. E aveva bisogno di sapere.
“No nulla dal
momento in cui sono crollato. Anche
se probabilmente sarà lo smacco più grande di
tutta la mia vita non aver
assistito alla fine del mago più temibile mai esistito
nonostante fossi
presente. Però Minerva ha cercato di colmare questo mio
‘vuoto culturale’
ripetendomi come si è svolta all’infinito.
– Harry
si irrigidì visibilmente e Snape se ne accorse
- Non lo sa Potter? La preside ha visto tutto e poi è stata
lei a
farci trasportare all’ospedale, anche se dice che lo scudo di
magia protettiva
da lei creato impediva l’accesso alla stanza e che non ha
sentito nulla di
quello che veniva detto, fino a quando lei non è svenuto.
Probabilmente nemmeno
lei sentiva la preside che la chiamava, per la stessa
ragione.”
“La preside
ha visto tutto? E le ha raccontato
ogni cosa?”
Severus alzò un
sopracciglio, pareva sul punto di rimbrottarlo per il suo essere tardo,
ma non
cedette all’impulso di farlo.
“Esattamente.
Molto da eroe, davvero, anche se non
mi piace considerarmi come la dama da salvare, e in ogni caso non sono
una dama.”
Rispose secco.
“Forse…
forse dovremmo parlarne allora… voglio
dire, di quello che è successo.”
Harry lo guardò
speranzoso. Snape non sembrava molto in vena di conversare
però, e ora il suo
nervosismo era palpabile.
“Potter,
credo che sarebbe molto meglio se lei ora
pensasse a ciò che vuole fare della sua vita. Non dovrebbe
rimuginare troppo
sul passato, non è salutare. La guerra è finita,
vada avanti. Io proverò a fare
lo stesso. E’ meglio che vada ora.”
Harry stava per
replicare, ma si bloccò.
Forse quello che gli
aveva appena detto non era la conferma che non poteva nemmeno sperare
in un
qualcosa di diverso per loro? Non gli aveva forse detto che non avrebbe
avuto
senso cambiare le abitudini di una vita? Ormai non era più
uno studente della
scuola, non si sarebbero più visti.
Harry sospirò afflitto.
Snape era un muro che difficilmente avrebbe potuto scavalcare agilmente.
“Sono contento
che stia bene e le auguro di riprendersi del tutto.
- Poi più titubante
- Magari potrei
venirla a
trovare qualche volta.”
Severus rise piano,
guardandolo incredulo.
“Cos’è,
la sindrome dell’eroe che si fa sentire? Non
ne vedo la ragione, Potter. Ringraziando Merlino ora siamo entrambi
liberi di
vivere come meglio crediamo, non sprechi il suo tempo andando a trovare vecchi professori
burberi.”
Ne era uscito sconfitto,
non era stato in grado di affrontarlo realmente, forse non lo sarebbe
mai
stato.
Da allora quella porta
era chiusa per lui.
Aveva salvato Snape, non
aveva perso un’altra persona a cui teneva, e di questo ne era
infinitamente
grato.
Si ripeteva che non era
importante che l’altro provasse le stesse cose per lui, che
gli bastava saperlo
al sicuro. La notte si addormentava cullato da fantasie di Snape che
lavorava alle
sue pozioni, o a lezione, con i nuovi primini terrorizzati dalla sua
figura,
mentre ripeteva quanto fosse importante saper padroneggiare la sottile
arte delle
pozioni. Oppure con le classi più grandi, intento a togliere
punti alle nuove
versioni Longbottomiane e Potteriane a disposizione. Beh, magari dentro
di sé
Harry sperava che non ci fosse realmente una versione Potteriana che lo
sostituisse nella mente del professore. Per quanto il loro rapporto
fosse stato
leggermente burrascoso, non poteva
essere qualcosa di sostituibile.
Le fantasie gli bastarono
per andare avanti per tutto il primo anno da Auror, ma iniziavano a
sbiadirsi
intorno al secondo, e un sentimento di impazienza cominciava a renderlo
irritabile anche sul posto di lavoro.
Man mano che l’impazienza
cresceva, le sue visite a Hogwarts divennero più frequenti,
anche se non
riusciva a bussare a quella dannata porta. Ogni volta che si recava a
trovare
la Preside, Snape sembrava volatilizzarsi e non c’era verso
per Harry di
incontrarlo casualmente nei corridoi o da qualunque altra parte.
Harry sapeva che lui
stava nel suo studio per tutta la durata delle sue visite, e Snape
sapeva che
Harry non sarebbe andato da lui.
La frustrazione raggiunse
livelli inaccettabili poco dopo il suo ventesimo compleanno.
Sognare quella porta
chiusa quasi tutte le notti, e svegliarsi poco prima di riuscire ad
aprirla era
quasi peggio dei vecchi incubi su Voldemort, e estremamente
più sfiancante.
Era stanco di pensarci,
era stanco di non agire, di aver paura,
di aspettare qualcosa.
Se non
era in grado di affrontare le proprie paure, non sarebbe mai stato
felice, non
avrebbe mai potuto essere davvero un buon Auror, e soprattutto non
voleva
passare la sua vita a chiedersi che cosa sarebbe successo se lui avesse
trovato
il coraggio di parlare chiaro con Snape.
Prese la decisione più
difficile della sua vita una sabato mattina, e si preparò a
partire prima di
poterci ragione troppo sopra e rischiare di cambiare idea.
Non avvisò la preside del
suo arrivo, e quando entrò nella scuola non fece giri
larghi, ma si recò
direttamente nei sotterranei, davanti a quella porta.
Restò in silenzio a
contemplare il legno e le intarsiature per quelle che gli parvero ore,
senza
fare nulla. Appoggiò stancamente la testa sulla superficie
liscia, con gli
occhi chiusi e l’aria più miserabile che avesse
mai avuto. Dietro la porta c’era
la fonte dei suoi sogni tormentati. Dietro quella porta c’era
l’unica persona
che era in grado di farlo sentire vivo e di atterrarlo con una sola
parola. Il
coraggio gli venne meno.
“Non sono cambiato.”
Disse tremante, sbattendo il pugno sul legno.
“Lo vedo, sembra sempre
più instabile a dire il vero.”
Harry sobbalzò. Alle sue
spalle, non dietro la porta, c’era il suo tormento personale.
Si voltò
lentamente, trovandosi faccia a faccia con uno Snape accigliato che
teneva
diversi libri sotto braccio.
Si riprese dallo shock
giusto il tanto per poter replicare: “Nemmeno lei.”
Snape era sempre uguale,
non pareva invecchiato nemmeno di un giorno dal suo primo giorno di
scuola a
dir il vero, e da quello che aveva sentito dire, i maghi vivono
più a lungo dei
babbani, quindi probabilmente anche l’invecchiamento era
più lento.
Si squadrarono per molti
istanti, prima che Snape gli facesse segno di spostarsi dalla porta.
“I libri pesano.”
Come l’uscio fu aperto e
il professore entrò rapido per andare a sistemare i tomi
sulla sua scrivania,
Harry si sentì gelare. Lo stomaco si chiuse e le mani
presero a sudare. Era lì
davvero, non era l’ennesimo sogno o fantasia.
Diverse emozioni lo travolsero riportandolo indietro. In
quella stanza
aveva creduto di perdere, in quella stanza aveva fatto un giuramento
che aveva
portato a compimento, aveva sofferto, aveva scontato punizioni, aveva
avuto
discussioni su suo padre, aveva subito umiliazioni, e ora?
“Ha intenzione di restare
lì a fare da tappa-spifferi o preferisce accomodarsi? Cosa
la porta quaggiù in
ogni caso? Forse le indagini dei nostri prodi Auror si sono spinte fino
all’interno della nostra scuola?”
Harry lo fulminò con lo
sguardo e si chiuse la porta alle spalle. Era dentro, poteva farcela.
“Nessuna indagine, non
proprio. Volevo vederla.”
Snape si sedette alla sua
scrivania, facendo cenno a fin che prendesse posto sulla sedia davanti
a lui,
esattamente come quando veniva messo in punizione.
“Vuole una tazza di
tè?”
“Mmh no grazie, magari se
ha qualcosa di più forte...”
Snape non nascose lo
stupore, ma divenne più guardingo nei suoi confronti.
“La prego, non c’è
bisogno
di stare sulla difensiva, non sono venuto qui con cattive
intenzioni.”
Harry si beò della sua espressione
sconcertata. A quanto pareva il suo sorriso malizioso aveva fatto
effetto.
“Lei sa perché sono
qui?”
Gli disse, non senza sforzo. Snape versò due bicchieri di
liquore e gliene
passò uno.
“Signor Potter, il tempo
non ha acuito le mie doti di veggente, quindi no, non ne ho
idea.”
“Riguarda me, e lei. E
quello che non le ho mai detto.”
Snape sorseggiò il
whiskey incendiario con aria pensierosa. Gli lanciava qualche occhiata
tra un
sorso e l’altro, ma pareva stesse ostentando indifferenza
solo per far perdere
la pazienza ad Harry.
“Quel giorno, il giorno
che ho sconfitto Voldemort ho capito una cosa, e credo sia ora di
renderla
partecipe.”
“La curiosità mi dilania.
Arrivi al punto.” Harry lo guardò molto male.
“Non ha sentito la mia
mancanza in tutto questo tempo che non ci siamo incontrati?”
Il cambio di
argomento repentino spiazzò Snape, che quasi si
strozzò con il whiskey.
“E’ impazzito per caso?
L’addestramento da Auror dev’essere più
duro di quanto pensassi.” Lo schernì.
Harry buttò giù in un
sorso unico il contenuto del bicchiere.
“Non sono impazzito,
risponda sinceramente.” Harry lo fissò negli
occhi, sperava in una risposta
seria, e soprattutto sincera.
Snape sospirò.
“Forse.” Gli disse senza
distogliere lo sguardo, senza tentennare neanche un po’. Ad
Harry tremarono le
gambe, e ringraziò il cielo di essere seduto.
Spalancò gli occhi, ma ancora era
presto per illudersi. Del resto doveva sincerarsi sul significato di
quello che
aveva appena sentito.
“Nel senso che le mancavo
io come persona o le mancava una vittima da poter
maltrattare?”
Ora fu il turno di Snape
di guardarlo male.
“Non capisco a cosa serva
tutto questo e dove voglia arrivare.”
“Quel giorno, come le
dicevo prima, ho capito una cosa, ovvero, che il mio rapporto con lei
non era
basato solo sull’antipatia e sul bisogno reciproco di farsi
del male. Ho capito
che lei per me era importante, talmente importante da non poter
permettere che
morisse, talmente importante da darmi la forza di far fuori il
bastardo. Non le
dice niente questo?”
Snape lo stava guardando
veramente ora. Non con scherno o rabbia, lo guardava come se lo vedesse
per la
prima volta, e lo stomaco di Harry andò giù in
caduta libera.
“Quindi?” Disse Snape,
facendo un gesto con la mano per farlo continuare. Harry
sbuffò frustrato. Il
professore non era ottuso, quindi o stava facendo apposta a non capire
giusto
per torturarlo, oppure davvero Harry non era in grado di spiegarsi
chiaramente.
Eppure quel discorso lo aveva visto e rivisto mille volte nella sua
mente. Ma
come accade spesso, non tutte le cose vanno come si vorrebbe.
“Quindi, - calcò sulla
parola, sottolineando la sua imminente irritazione – penso di
provare ben
altro, oltre quelle cose. Intendo dire che provo interesse,
emh… attrazione.
Qualcosa insomma.”
Snape storse la bocca.
“Che razza di
dichiarazione è mai questa? Fa abbastanza pena in queste
cose, lo sa?”
Harry abbassò la testa.
Sentiva le guance andare a fuoco. Non era più un bambino,
eppure perché si
sentiva come se lo fosse?
“Potter, guardami.”
Harry alzò di nuovo gli
occhi lentamente, la paura di scorgere della derisione era fortissima,
quasi
quanto la voglia di scavare un tunnel nel pavimento e scappare subito
per
evitare l’umiliazione. Quando infine guardò Snape,
vide che stava sorridendo, semplicemente.
“Credo di ricordare una
dichiarazione molto migliore. Forse un tempo era in grado di esprimersi
meglio
di ora, chissà.”
Harry scosse il capo,
senza capire.
“Non ero propriamente
svenuto, quel giorno.” Disse Snape, senza distogliere lo
sguardo da lui,
fissandolo con quegli occhi scuri e ora caldi, come Harry non gli aveva
mai
visti prima.
Improvvisamente comprese,
e divenne ancora più scarlatto, se era possibile.
“Ma lei mi aveva dett –
”
“Qualunque cosa le abbia
detto, probabilmente ho mentito.”
Harry si arrabbiò.
“Per quale ragione mi ha
mentito? Se non le interessava –”
Snape alzò una mano per
interromperlo. Si alzò dalla scrivania e fece il giro
raggiungendolo. Lo tirò
su per un braccio, Harry sempre più basso rispetto a lui,
sollevò il capo per
guardarlo in volto.
“Non ero sicuro che fosse
il caso di parlarne allora, pensavo che fosse solo la mia mente confusa
dalle cruciatus a farmi immaginare
quelle parole.
Non ero sicuro fossero vere, e se devo dire la verità, non
potevo nemmeno
crederci.” Snape appoggiò le mani sulle sue
spalle, ora molto vicino.
“Non era frutto della sua
mente.” Rispose Harry rapidamente, con la bocca
improvvisamente asciutta.
“Lo so.”
Harry appoggiò la fronte
sulla sua spalla, in cerca di conferme e del suo calore. Si
sentì avvolgere
strettamente dalle braccia dell’altro, e ricambiò
la stretta, spasmodicamente.
Restarono così per molti
attimi, la maggior parte inframmezzati da sussurri, parole
confortevoli,
carezze leggere, come a voler rimandare un momento che entrambi
aspettavano sin
da troppo tempo, fino a che l’elettricità che
scorreva tra di loro non fu tale
da fargli congiungere le bocche, che si mossero una
sull’altra in modo
incredibilmente lento.
Severus era un uomo fatto
di muri e di porte, la porta era la metafora degli ostacoli che
c’erano tra di
loro. Harry non avrebbe più permesso a una stupida porta di
mettersi tra lui e
la persona che amava. Sarebbe stata una bella lotta, ma
l’avrebbe vinta. Non avrebbe
mai più avuto paura di una porta, e qualunque muro si fosse
frapposto tra di
loro, lo avrebbe buttato giù a martellate, giurò.
Quando si staccarono,
Harry lo guardò come se avesse trovato l’acqua nel
deserto, e forse quel
bagliore negli occhi neri e quel mezzo sorriso significavano che il
sentimento
era reciproco.
“Eh, Potter, non
sono la dama. Spero che sia chiaro.”
Harry rise forte, di
cuore.
“Senza
dubbio.” Disse.