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Autore: APPLETREE    02/09/2010    4 recensioni
Harry ha paura di una porta, e se il suo capo lo sapesse probabilmente lo rinchiuderebbe nell’ufficio amministrativo in mezzo alle scartoffie o forse lo spedirebbe al S. Mungo per una visita approfondita. -Per il compleanno di Ernil- E'una Snarry, ovviamente.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Potter, Severus Piton
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Note del capitolo:

Per il compleanno di Ernil! Auguroni :D

Ultimamente quello che scrivo mi sembra sempre banale e poco interessante, quindi finisco per cancellare o mollare tutto... Stavolta ho resistito perchè volevo fosse una cosa decente per il compleanno di Ernil, ma i timori di banalità restano.In attesa di una ispirazione migliore pubblico questa shot.

Il fluff regna, vi avviso... e come sempre: viva le Snarryste!

Totalmente AU e assolutamente non canon compliant con il settimo libro. (settimo libro????)

nota: Dialoghi al passato messi in corsivo.


Dietro la porta

 

 

C’è qualcosa che Harry non riesce ad affrontare, nemmeno ora che il tempo è passato e che i suoi studi si sono completati con successo, permettendogli di esercitare la professione di Auror ufficialmente.

Ha vent’anni, amici fidati e affezionati e un piccolo appartamento che tiene ordinato e dove passa ben poco tempo.

C’è una porta alla quale non riesce a bussare, che non riesce ad attraversare nemmeno ora che ha l’età adatta per essere considerato un uomo ufficialmente.

Nonostante la preside McGonagall lo inviti spesso a prendere un tè nella sua vecchia amata scuola, lui ci si reca di rado, ed evita accuratamente di passare davanti a quella porta.

Ci sono discorsi che non riesce a intavolare, non perché gli manchino gli argomenti, o perché i suoi pensieri non siano chiari, ma solo perché teme le conseguenze.

Eppure quando corre dietro ai maghi oscuri o quando da la caccia alle creature malvagie che minano la sicurezza della loro comunità, non ha paura. Non trema davanti a licantropi o vampiri, troll aggressivi o draghi sputa fuoco. Quando lavora è determinato e implacabile, ha un buon rapporto con i colleghi e il suo capo sorride sempre indulgente, anche quando fa un errore o mette a rischio la missione per il troppo entusiasmo di lanciarsi nel pericolo.

Harry ha paura di una porta, e se il suo capo lo sapesse probabilmente lo rinchiuderebbe nell’ufficio amministrativo in mezzo alle scartoffie o più probabilmente lo spedirebbe al S. Mungo per una visita approfondita.

 

Aveva diciassette anni l’ultima volta che aveva varcato quella porta, e da allora era come se fosse stata maledetta, come se lui non potesse più entrare in quella stanza senza uscirne mutato.

Harry odiava i confronti fatali, quelli che ti restano dentro per anni prima che possano svolgersi realmente, quelli su cui rimugini nel silenzio della notte mentre non riesci a dormire, e ripercorri mentalmente ogni frase che vorresti dire, ogni possibile risposta alle obiezioni.

Odiava quel genere di conversazione che normalmente la gente tiene quando ha un grosso groppo in gola da dover mandare giù, perché Harry sa che dopo quel genere di scontri, nulla resta uguale. Aveva avuto un confronto fatale con Voldemort il giorno in cui finalmente lo aveva ucciso.

Ricordava esattamente quel momento, mentre Voldemort scopriva il tradimento di Severus Snape, spia dell’ordine e uomo di Dumbledore, e lo immobilizzava a terra con una serie di cruciatus talmente crudeli che avrebbero potuto uccidere un elefante, giocando con lui come il ragno con la sua preda e beandosi del suo dolore prima di mangiarsela.

Harry in quel momento stava combattendo contro Dolov e Martins a pochi passi dall’entrata dei sotterranei, quando sentì chiaramente le urla di dolore di Snape. In seguito ricordava a mala pena di come avesse atterrato i due Deatheaters e fosse corso verso la fonte delle grida.

Hogwarts era un caleidoscopio di colori che scaturivano da decine e decine di bacchette. Incantesimi di ogni genere volavano sulla sua testa, rischiando di colpirlo ad ogni passo.

Quando trovò Voldemort e Snape, pensò di essere arrivato troppo tardi. Strinse forte la bacchetta e si bloccò sull’entrata di quello che un tempo era stato lo studio del suo professore. La porta era stata scardinata e giaceva rotta contro la parete opposta, e la stanza era solo un cumulo di macerie.

 Il professore era riverso a terra, i capelli neri scomposti sul viso bianchissimo, e il sangue che colava dalla bocca aveva formato una piccola pozza sul pavimento. Voldemort non sembrava ancora soddisfatto però. Scoprire di essere stato preso per i fondelli per anni da colui che reputava il suo servo più fedele, lo aveva incattivito più di quanto Harry avesse potuto credere.  Harry aveva pochi secondi per fare qualcosa, qualunque cosa che potesse salvare la vita (perché era ancora vivo, doveva esserlo) del professore. Voldemort non si era nemmeno accorto del giovane che guardava la scena, era troppo impegnato a riprendere fiato per colpire il traditore con l’ultima cruciatus, quella che probabilmente lo avrebbe ucciso definitivamente.

Harry aveva gridato, questo lo ricordava bene. Si era frapposto appena in tempo tra il ragno e la sua preda, e aveva urlato no con tutte le sue forze.

“Non lo toccare! Non lo toccherai mai più.”

 Accadde tutto molto in fretta. La sua magia innata produsse un’onda di energia così forte da sbalzare Il Signore Oscuro contro la parete di fronte. Uno scudo protettivo copriva sia lui che il professore, un protego eseguito senza parole, ma incredibilmente potente.

Voldemort si era rialzato immediatamente, gli occhi rossi presagivano una vendetta ancora più crudele ora che Harry era entrato in gioco. Il ragno non amava che qualcuno lo disturbasse durante i pasti.

“Cosa credi di poter fare, Potter? La tua magia è ridicola, non otterrai altro che ritardare di qualche istante la vostra morte. “

Lo scudo di Harry vacillò, la sua potenza difensiva stava calando. Era stremato, stava combattendo da ore forse, e non sapeva quante forze gli restassero prima di soccombere. Anche Voldemort era stanco però, e non vi erano altri Horcrux che si frapponessero tra lui e la morte.

“Non ucciderai mai più le persone che amo, non farai più del male a nessuno, mai più.”

Voldemort aveva riso, rauco e debole come un ragno troppo magro, ma pericoloso. Harry spalancò gli occhi, la comprensione che si faceva strada in lui, come un raggio di sole tra le nuvole fitte. Di tutte le grida di dolore e lotta che si potevano sentire per tutto il castello, lui era accorso come un pazzo nel riconoscere la voce del suo professore. Perché?

“Le persone che ami? Interessante.” Ghignò malevolo guardando verso Severus. Harry rabbrividì. Possibile che fino ad allora non si fosse reso conto di quello che pensava realmente del suo professore e che dovesse capirlo proprio in quel momento tra tutti i momenti possibili?

“I sentimenti nobili non possono uccidermi, Potter. Al massimo possono farmi ridere. Così sciocco, così innocente, pronto a usare il cuore come uno scudo. Sei pronto a morire?”

Quello che ne era seguito era stato lo scontro più epocale della storia del mondo magico, ed era durato appena pochi istanti. Le loro bacchette si fronteggiarono alla pari, due raggi di luce accecante uniti perfettamente, il verde che spingeva contro il rosso.

“Mai più, lo giuro.”  E quelle furono le ultime parole che Voldemort sentì prima di perdere il controllo del suo incantesimo, che gli venne rimandato indietro con l’ultimo sprazzo di energia magica presente nel corpo di Harry. Voldemort colpito a tradimento dalla sua stessa malvagità, cadde a terra definitivamente morto.

Harry crollò sulle ginocchia accanto a Snape, e prima di perdere i sensi poté percepire chiaramente il suo respiro debole e frantumato contro il dorso della mano.

 

In seguito seppe che erano finiti tutti e due al S. Mungo insieme a coloro che erano sopravvissuti all’attacco. Ma al suo risveglio gli comunicarono che il professore era stato già dimesso.

Fu solo un mese dopo che Harry trovò la forza di entrare di nuovo in quello studio, ricostruito così fedelmente a com’era stato prima della battaglia che pareva non fosse mai accaduto nulla.

Snape sapeva che era stato Harry a salvarlo, glielo aveva detto Minerva, anzi, volendo essere precisi non aveva fatto altro che ripeterglielo. La preside non parlava quasi d’altro. Cercava di convincerlo in tutti i modi a incontrare il ragazzo, almeno per dirgli grazie, e lui puntualmente rimandava quell’incontro.

Harry non era stato da meno però, anche lui aveva atteso a lungo prima di trovare la forza per affrontare quella che sarebbe stata molto probabilmente un altro confronto fatale.

 

“Come si sente Professore?”

“Bene, forse un po’ sbattuto, ma ancora in piedi. Suppongo che dovrei ringraziarla per avermi salvato.”

“Non è necessario, si può dire che glielo dovevo.”

“Bene, allora consideriamolo fatto.”

Harry aveva sorriso, Snape era sembrato nervoso e infastidito.

“Forse potremo provare ad andare d’accordo, ora che tutto questo è finito, non crede anche lei?”

Severus lo aveva guardato come se fosse pazzo e aveva scosso le spalle, decisamente non era pronto ad andare a bere una burro birra al pub in sua compagnia.

“Il suo impegno come studente di questa scuola è terminato, non vedo perché cambiare proprio ora.”

Harry deglutì.

“Lei non ricorda nulla di quello che è accaduto quella notte?”

Aveva paura della risposta, qualunque essa fosse. Non sapeva se Snape fosse stato conscio del dialogo che aveva avuto con Voldemort in quella stessa stanza, ma se lo fosse stato, non avrebbe più avuto bisogno di nascondere quello che pensava su di lui, quei sentimenti di cui, per un assurdo caso del destino, solo Voldemort era stato testimone attivo. E aveva bisogno di sapere.

“No nulla dal momento in cui sono crollato. Anche se probabilmente sarà lo smacco più grande di tutta la mia vita non aver assistito alla fine del mago più temibile mai esistito nonostante fossi presente. Però Minerva ha cercato di colmare questo mio ‘vuoto culturale’ ripetendomi come si è svolta all’infinito. – Harry si irrigidì visibilmente e Snape se ne accorse - Non lo sa Potter? La preside ha visto tutto e poi è stata lei a farci trasportare all’ospedale, anche se dice che lo scudo di magia protettiva da lei creato impediva l’accesso alla stanza e che non ha sentito nulla di quello che veniva detto, fino a quando lei non è svenuto. Probabilmente nemmeno lei sentiva la preside che la chiamava, per la stessa ragione.”

“La preside ha visto tutto? E le ha raccontato ogni cosa?”

Severus alzò un sopracciglio, pareva sul punto di rimbrottarlo per il suo essere tardo, ma non cedette all’impulso di farlo.

“Esattamente. Molto da eroe, davvero, anche se non mi piace considerarmi come la dama da salvare, e in ogni caso non sono una dama.” Rispose secco.

“Forse… forse dovremmo parlarne allora… voglio dire, di quello che è successo.”

Harry lo guardò speranzoso. Snape non sembrava molto in vena di conversare però, e ora il suo nervosismo era palpabile.

“Potter, credo che sarebbe molto meglio se lei ora pensasse a ciò che vuole fare della sua vita. Non dovrebbe rimuginare troppo sul passato, non è salutare. La guerra è finita, vada avanti. Io proverò a fare lo stesso. E’ meglio che vada ora.”

Harry stava per replicare, ma si bloccò.

Forse quello che gli aveva appena detto non era la conferma che non poteva nemmeno sperare in un qualcosa di diverso per loro? Non gli aveva forse detto che non avrebbe avuto senso cambiare le abitudini di una vita? Ormai non era più uno studente della scuola, non si sarebbero più visti.

Harry sospirò afflitto. Snape era un muro che difficilmente avrebbe potuto scavalcare agilmente.

Sono contento che stia bene e le auguro di riprendersi del tutto.  - Poi più titubante -  Magari potrei venirla a trovare qualche volta.”

Severus rise piano, guardandolo incredulo.

“Cos’è, la sindrome dell’eroe che si fa sentire? Non ne vedo la ragione, Potter. Ringraziando Merlino ora siamo entrambi liberi di vivere come meglio crediamo, non sprechi il suo tempo andando  a trovare vecchi professori burberi.”

Ne era uscito sconfitto, non era stato in grado di affrontarlo realmente, forse non lo sarebbe mai stato.

 

Da allora quella porta era chiusa per lui.

Aveva salvato Snape, non aveva perso un’altra persona a cui teneva, e di questo ne era infinitamente grato.

Si ripeteva che non era importante che l’altro provasse le stesse cose per lui, che gli bastava saperlo al sicuro. La notte si addormentava cullato da fantasie di Snape che lavorava alle sue pozioni, o a lezione, con i nuovi primini terrorizzati dalla sua figura, mentre ripeteva quanto fosse importante saper padroneggiare la sottile arte delle pozioni. Oppure con le classi più grandi, intento a togliere punti alle nuove versioni Longbottomiane e Potteriane a disposizione. Beh, magari dentro di sé Harry sperava che non ci fosse realmente una versione Potteriana che lo sostituisse nella mente del professore. Per quanto il loro rapporto fosse stato leggermente burrascoso, non poteva essere qualcosa di sostituibile.

 

Le fantasie gli bastarono per andare avanti per tutto il primo anno da Auror, ma iniziavano a sbiadirsi intorno al secondo, e un sentimento di impazienza cominciava a renderlo irritabile anche sul posto di lavoro.

Man mano che l’impazienza cresceva, le sue visite a Hogwarts divennero più frequenti, anche se non riusciva a bussare a quella dannata porta. Ogni volta che si recava a trovare la Preside, Snape sembrava volatilizzarsi e non c’era verso per Harry di incontrarlo casualmente nei corridoi o da qualunque altra parte.

Harry sapeva che lui stava nel suo studio per tutta la durata delle sue visite, e Snape sapeva che Harry non sarebbe andato da lui.

La frustrazione raggiunse livelli inaccettabili poco dopo il suo ventesimo compleanno.

Sognare quella porta chiusa quasi tutte le notti, e svegliarsi poco prima di riuscire ad aprirla era quasi peggio dei vecchi incubi su Voldemort, e estremamente più sfiancante.

Era stanco di pensarci, era stanco di non agire, di aver paura,  di aspettare qualcosa. Se non era in grado di affrontare le proprie paure, non sarebbe mai stato felice, non avrebbe mai potuto essere davvero un buon Auror, e soprattutto non voleva passare la sua vita a chiedersi che cosa sarebbe successo se lui avesse trovato il coraggio di parlare chiaro con Snape.

Prese la decisione più difficile della sua vita una sabato mattina, e si preparò a partire prima di poterci ragione troppo sopra e rischiare di cambiare idea.

 

Non avvisò la preside del suo arrivo, e quando entrò nella scuola non fece giri larghi, ma si recò direttamente nei sotterranei, davanti a quella porta.

Restò in silenzio a contemplare il legno e le intarsiature per quelle che gli parvero ore, senza fare nulla. Appoggiò stancamente la testa sulla superficie liscia, con gli occhi chiusi e l’aria più miserabile che avesse mai avuto. Dietro la porta c’era la fonte dei suoi sogni tormentati. Dietro quella porta c’era l’unica persona che era in grado di farlo sentire vivo e di atterrarlo con una sola parola. Il coraggio gli venne meno.

“Non sono cambiato.” Disse tremante, sbattendo il pugno sul legno.

“Lo vedo, sembra sempre più instabile a dire il vero.”

Harry sobbalzò. Alle sue spalle, non dietro la porta, c’era il suo tormento personale. Si voltò lentamente, trovandosi faccia a faccia con uno Snape accigliato che teneva diversi libri sotto braccio.

Si riprese dallo shock giusto il tanto per poter replicare: “Nemmeno lei.”

Snape era sempre uguale, non pareva invecchiato nemmeno di un giorno dal suo primo giorno di scuola a dir il vero, e da quello che aveva sentito dire, i maghi vivono più a lungo dei babbani, quindi probabilmente anche l’invecchiamento era più lento.

Si squadrarono per molti istanti, prima che Snape gli facesse segno di spostarsi dalla porta.

“I libri pesano.”

Come l’uscio fu aperto e il professore entrò rapido per andare a sistemare i tomi sulla sua scrivania, Harry si sentì gelare. Lo stomaco si chiuse e le mani presero a sudare. Era lì davvero, non era l’ennesimo sogno o fantasia.  Diverse emozioni lo travolsero riportandolo indietro. In quella stanza aveva creduto di perdere, in quella stanza aveva fatto un giuramento che aveva portato a compimento, aveva sofferto, aveva scontato punizioni, aveva avuto discussioni su suo padre, aveva subito umiliazioni, e ora?

“Ha intenzione di restare lì a fare da tappa-spifferi o preferisce accomodarsi? Cosa la porta quaggiù in ogni caso? Forse le indagini dei nostri prodi Auror si sono spinte fino all’interno della nostra scuola?”

Harry lo fulminò con lo sguardo e si chiuse la porta alle spalle. Era dentro, poteva farcela.

“Nessuna indagine, non proprio. Volevo vederla.”

Snape si sedette alla sua scrivania, facendo cenno a fin che prendesse posto sulla sedia davanti a lui, esattamente come quando veniva messo in punizione.

“Vuole una tazza di tè?”

“Mmh no grazie, magari se ha qualcosa di più forte...”

Snape non nascose lo stupore, ma divenne più guardingo nei suoi confronti.

“La prego, non c’è bisogno di stare sulla difensiva, non sono venuto qui con cattive intenzioni.”

Harry si beò della sua espressione sconcertata. A quanto pareva il suo sorriso malizioso aveva fatto effetto.

“Lei sa perché sono qui?” Gli disse, non senza sforzo. Snape versò due bicchieri di liquore e gliene passò uno.

“Signor Potter, il tempo non ha acuito le mie doti di veggente, quindi no, non ne ho idea.”

“Riguarda me, e lei. E quello che non le ho mai detto.”

Snape sorseggiò il whiskey incendiario con aria pensierosa. Gli lanciava qualche occhiata tra un sorso e l’altro, ma pareva stesse ostentando indifferenza solo per far perdere la pazienza ad Harry.

 

“Quel giorno, il giorno che ho sconfitto Voldemort ho capito una cosa, e credo sia ora di renderla partecipe.”

“La curiosità mi dilania. Arrivi al punto.” Harry lo guardò molto male.

“Non ha sentito la mia mancanza in tutto questo tempo che non ci siamo incontrati?” Il cambio di argomento repentino spiazzò Snape, che quasi si strozzò con il whiskey.

“E’ impazzito per caso? L’addestramento da Auror dev’essere più duro di quanto pensassi.” Lo schernì.

Harry buttò giù in un sorso unico il contenuto del bicchiere.

“Non sono impazzito, risponda sinceramente.” Harry lo fissò negli occhi, sperava in una risposta seria, e soprattutto sincera.

Snape sospirò.

“Forse.” Gli disse senza distogliere lo sguardo, senza tentennare neanche un po’. Ad Harry tremarono le gambe, e ringraziò il cielo di essere seduto. Spalancò gli occhi, ma ancora era presto per illudersi. Del resto doveva sincerarsi sul significato di quello che aveva appena sentito.

“Nel senso che le mancavo io come persona o le mancava una vittima da poter maltrattare?”

Ora fu il turno di Snape di guardarlo male.

“Non capisco a cosa serva tutto questo e dove voglia arrivare.”

“Quel giorno, come le dicevo prima, ho capito una cosa, ovvero, che il mio rapporto con lei non era basato solo sull’antipatia e sul bisogno reciproco di farsi del male. Ho capito che lei per me era importante, talmente importante da non poter permettere che morisse, talmente importante da darmi la forza di far fuori il bastardo. Non le dice niente questo?”

Snape lo stava guardando veramente ora. Non con scherno o rabbia, lo guardava come se lo vedesse per la prima volta, e lo stomaco di Harry andò giù in caduta libera.

“Quindi?” Disse Snape, facendo un gesto con la mano per farlo continuare. Harry sbuffò frustrato. Il professore non era ottuso, quindi o stava facendo apposta a non capire giusto per torturarlo, oppure davvero Harry non era in grado di spiegarsi chiaramente. Eppure quel discorso lo aveva visto e rivisto mille volte nella sua mente. Ma come accade spesso, non tutte le cose vanno come si vorrebbe.

“Quindi, - calcò sulla parola, sottolineando la sua imminente irritazione – penso di provare ben altro, oltre quelle cose. Intendo dire che provo interesse, emh… attrazione. Qualcosa insomma.”

Snape storse la bocca.

“Che razza di dichiarazione è mai questa? Fa abbastanza pena in queste cose, lo sa?”

Harry abbassò la testa. Sentiva le guance andare a fuoco. Non era più un bambino, eppure perché si sentiva come se lo fosse?

“Potter, guardami.”

Harry alzò di nuovo gli occhi lentamente, la paura di scorgere della derisione era fortissima, quasi quanto la voglia di scavare un tunnel nel pavimento e scappare subito per evitare l’umiliazione. Quando infine guardò Snape, vide che stava sorridendo, semplicemente.

“Credo di ricordare una dichiarazione molto migliore. Forse un tempo era in grado di esprimersi meglio di ora, chissà.”

Harry scosse il capo, senza capire.

“Non ero propriamente svenuto, quel giorno.” Disse Snape, senza distogliere lo sguardo da lui, fissandolo con quegli occhi scuri e ora caldi, come Harry non gli aveva mai visti prima.

Improvvisamente comprese, e divenne ancora più scarlatto, se era possibile.

“Ma lei mi aveva dett – ”

“Qualunque cosa le abbia detto, probabilmente ho mentito.”

Harry si arrabbiò.

“Per quale ragione mi ha mentito? Se non le interessava –”

Snape alzò una mano per interromperlo. Si alzò dalla scrivania e fece il giro raggiungendolo. Lo tirò su per un braccio, Harry sempre più basso rispetto a lui, sollevò il capo per guardarlo in volto.

“Non ero sicuro che fosse il caso di parlarne allora, pensavo che fosse solo la mia mente confusa dalle cruciatus a farmi immaginare quelle parole. Non ero sicuro fossero vere, e se devo dire la verità, non potevo nemmeno crederci.” Snape appoggiò le mani sulle sue spalle, ora molto vicino.

“Non era frutto della sua mente.” Rispose Harry rapidamente, con la bocca improvvisamente asciutta.

“Lo so.”

Harry appoggiò la fronte sulla sua spalla, in cerca di conferme e del suo calore. Si sentì avvolgere strettamente dalle braccia dell’altro, e ricambiò la stretta, spasmodicamente.

Restarono così per molti attimi, la maggior parte inframmezzati da sussurri, parole confortevoli, carezze leggere, come a voler rimandare un momento che entrambi aspettavano sin da troppo tempo, fino a che l’elettricità che scorreva tra di loro non fu tale da fargli congiungere le bocche, che si mossero una sull’altra in modo incredibilmente lento.

 

Severus era un uomo fatto di muri e di porte, la porta era la metafora degli ostacoli che c’erano tra di loro. Harry non avrebbe più permesso a una stupida porta di mettersi tra lui e la persona che amava. Sarebbe stata una bella lotta, ma l’avrebbe vinta. Non avrebbe mai più avuto paura di una porta, e qualunque muro si fosse frapposto tra di loro, lo avrebbe buttato giù a martellate, giurò.

Quando si staccarono, Harry lo guardò come se avesse trovato l’acqua nel deserto, e forse quel bagliore negli occhi neri e quel mezzo sorriso significavano che il sentimento era reciproco.

“Eh, Potter, non sono la dama. Spero che sia chiaro.”

Harry rise forte, di cuore.

“Senza dubbio.” Disse.

  
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