Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Gaia Luthien    21/10/2005    5 recensioni
ATTENZIONE: SPOILER 6° LIBRO.
... Quello che gli altri vogliono da me è che io sia una spalla su cui liberarsi dal dolore. Questo sono. Che non mi si venga ad accusare che non ho pianto la morte del mio migliore amico. Il lutto non si dimostra solo con le lacrime, c'è bisogno che qualcuno prenda le redini della situazione e che dica agli altri di continuare, di andare avanti. Questo sono io, Remus Lupin.
La mia prima One-Shot, scritta per il personaggio che amo di più.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Remus Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Tutto quello che ho davanti agli occhi



Vi è mai capitato di osservare un quadro così tante volte da sapere con precisione in che punto dell'immagine sosta uno dei personaggi e da che parte del cielo l'azzurro si confonde con il giallo dorato del disco solare?
Vi siete mai avvicinati alla tela per carpire in lontananza l'odore caldo e aspro della tempera ad olio e, soffermandosi sulle pennellate larghe, per avvertire sotto i polpastrelli gli spigoli e le punte dei residui della vernice lasciati dal pennello sulla tela?
Tutto è fermo, immutabile, sospeso.
Poi, improvvisamente, il vostro occhio è colpito da un particolare, una piccola, insignificante porzione di tela, che fino a quel momento era sfuggita alla vostra vista, e, in un attimo, vi chiedete come avete fatto ad apprezzare quel quadro senza essersi mai accorti prima di allora di quel particolare, e capite in un lampo che senza quel particolare, l'intero quadro non avrebbe senso e non sarebbe quella sintesi di armonia artistica che avevate apprezzato fino ad allora.

“Nymphadora ...”

Biascico, incespico; quando pronuncio il suo nome lo faccio senza guardarla negli occhi.

“Quante volte ti avrò detto di non chiamarmi così, io sono Tonks, va bene?”

Non voglio darle importanza, non devo, non posso.

La mia vita è sempre stata un non-potere-fare-qualcosa-perchè...
Lupo mannaro, povero, disoccupato, denutrito e stressato.
Remus Lupin, hai quasi 40 anni e ragioni come un vecchio al quale la morte, con la falce e un sorriso gentile sul volto scheletrico e bianco come una tomba, sta bussando alla porta per accompagnarti nell'ultimo viaggio.
Magro, pallido, mi fisso riflesso sullo specchio del bagno, appena appannato dal vapore della doccia.
Il mio corpo segnato dalle cicatrici pare una pianura arida solcata da mille rigagnoli.
Ogni cicatrice una storia, una notte, una luna piena, me le ricordo tutte.
Quella ruga accanto all'occhio destro una volta non c'era, neanche quella piega in mezzo alla fronte, una volta i capelli erano folti e lucidi, gli occhi brillavano malinconici ma sempre attenti e guardinghi.
Gioco con la mia immagine riflessa, constatando di aver raggiunto il livello critico di decadenza fisica e psichica.
Quando passi un po' di tempo a consolare le persone ed ad ascoltarle piangere e singhiozzare una morte ingiusta ed inaspettata ti passa la voglia di versare lacrime, di disperarti, di chiedere il perchè.
E alla fine, non reagisci nenache quando ti guardano con quegli occhi che chiedono il perchè tu sia così distaccato e incline a non farti coinvolgere sentimentalmente.
Perchè non piangi, Remus?” sembrano quasi chiedermi quegli occhi arrossati.
Perchè non ti disperi?”
Piangiamo insieme, Remus.”
“No, grazie.”
Sirius era il tuo migliore amico, perchè non piangi?”
“No, grazie, le lacrime l'ho finite 16 anni fa quando nel giro di una giornata mi portarono via quasi tutti gli amici che avevo.”
Piangi, Remus, ti farà sentire meglio, liberati dal masso che porti sul cuore.”
“No, Sirius non lo vorrebbe.”
Il vapore ha annebbiato lo specchio, la mia immagine diventa qualcosa di indefinito, i contorni morbidi e soffusi, le rughe se ne vanno e io divento una massa informe bianca illuminata da una luce fioca.
La mia immagine, trasparente e labile, pare parlarmi, sospesa nelle particelle minuscole di acqua che carezzano il vetro dello specchio.
Piangi, per Sirius.”
“Sirius non mi chiederebbe di essere diverso da quello che sono, per piangere la sua morte.”
Quello che gli altri vogliono da me è che io sia una spalla su cui liberarsi dal dolore.
Questo sono.
Che non mi si venga ad accusare che non ho pianto la morte del mio migliore amico.
Il lutto non si dimostra solo con le lacrime, c'è bisogno che qualcuno prenda le redini della situazione e che dica agli altri di continuare, di andare avanti.
Questo sono io, Remus Lupin.

Non ricordo come sia iniziata la storia, rammento solo che stavo pranzando e mi ritrovai a fissare il suo profilo e il modo in cui sorrideva.
I suoi lineamenti morbidi e asimmetrici, i suoi occhi grandi e brillanti come gemme, il suo sguardo infantile e ingenuo, i suoi capelli fuxia.
Mi ritrovai a fisarla e a pensare che era una bella ragazza, e sperai che nulla potesse mai toglierle dal viso quel sorriso solare e che nulla privasse il suo spirito della voglia di vivere.
Nymphadora era come una piccola luce, fragile, ballerina e scostante, ma era l'unica cosa visibile in mezzo alle tenebre.
Mi chiesi perchè non me ne ero accorto prima; a volte le cose, le persone, le situazioni importanti accadono per caso sotto i nostri occhi e neanche ce ne accorgiamo.
Molly si accorse subito che mi ero, come si suol dire, imbambolato.
“Remus sei stanco, dovrai prenderti una giornata di riposo prima o poi ...”
“Sì, hai ragione ...”

Molly ha ragione, Molly ha sempre ragione, datele una buona minestra calda e un po' di stufato e rimetterà in sesto qualsiasi persona capace ancora di respirare.
Ma a Molly, e agli altri, chi glielo spiega che se mi fermo un attimo e trovo un secondo libero per pensare a me stesso, tutto quello che ho davanti agli occhi è Sirius che attraversa il velo e non fa più ritorno?

Devi pensare Remus, devi razionalizzare.
Non dare retta al lupo, Remus, la bestia ti chiama, tu non ascoltarla.
Non farti attirare dall'odore della foresta, dal muschio, dall'erba appena tagliata bagnata dalla pioggia.
Le senti le fronde degli alberi frusciare?
Non cantano per te, non oggi.
Lascia dormire la bestia, risveglia l'uomo.

Il vapore della doccia si sta disperdendo, la condensa sullo specchio di fronte a me sta colando sulla superficie e riga la mia immagine riflessa come se fossero lacrime.
Il mio Io proiettato di fronte è una maschera distorta che mi mostra quello che non voglio essere.
Mi sussurra parole dolci che s'insinuano nei mie pensieri come balsamo per le ferite.
Liberati, sovverti, distruggi, disperati, vendicati!
Non voglio ascoltarle, quello che parla non sono io.
E' un altro.
Un altro fuori da me.
E' un amico che mi conosce bene, che sa cosa mi spaventa, cosa mi tormenta, cosa avrei bisogno per trovare la pace.
Vendetta, sangue, denti, carne lacerata e contusa.
E' la bestia.
Foresta, foglie, umido, radici, nebbia.
Ulula dolcemente dentro la mia testa, accondiscente e caritatevole.
Il lupo mi chiama.
La Natura, sua Madre, mi accoglierà nel suo grembo gravido e mi farà rinascere.
Ogni luna io muoio e poi rinasco.
Come gli piante, i fiori, gli alberi caduchi fanno ogni inverno.
Gli abeti che non perdono mai le foglie e rimangono immobili si perdono tutta la magia.
Non sanno quello che vuol dire rinascere dalle gemme, crescere e poi morire in un tripudio di colore dorato e nebbiolina brillante degli ultimi raggi di sole autunnale.
Non sanno cosa significhi staccarsi dal ramo e cadere su di un soffice tappeto fatto di sorelle foglie e spengersi nelle mani della Madre.
Senti la terra, il suo cuore che batte, sotto i tuoi piedi.
Ascolta, annusa, assapora.
Lascia dormire l'uomo, risveglia la bestia.

“Remus Lupin, tu sei un uomo.”

La voce si spezza in gola, esce solo un sussurro.
La mia mano scaccia via dal vetro gli ultimi residui di condensa.
Tutto quello che ho davanti agli occhi, riflesso su di uno specchio, è quello che sono.
Nessuna mano sarà mai abbastanza grande per coprire le cicatrici, i tagli, i graffi, i morsi che ho sul corpo.

Il mio Io lupo gode di quelle ferite come trofei.
Il mio corpo di uomo si piega e incassa i colpi.
Il mio Io lupo dice che finchè non ho provato il dolore non posso sapere di essere mai stato vivo.
Il mio corpo di uomo si piega e incassa i colpi, uno dopo l'altro, da quando ho memoria.
Basta, grido nella mia testa.
Finiscila, imploro, stretti i pugni, le nocche bianche e tirate.

“Remus Lupin, tu sei un uomo.”

Lei mi guarda con i suoi grandi occhi ingenui, appena velati da malcelata tristezza.
In fondo, è ancora innocente, adulta in modo inconsapevole.
Chissà se questa guerra la cambierà, chissà se una volta finito tutto lei rimarrà la stessa di un tempo, io voglio ricordarla così, con il suo sorriso, le labbra dischiuse, il bianco dei denti appena visibile, il naso arricciato, gli occhi curiosi.
Arrossisce, alza gli occhi al soffitto e fa una smorfia.
Si passa una mano nei capelli corti e sprofonda nella poltrona.
Non mi ha mai parlato di Sirius dopo la notte al Ministero, però ogni tanto, capisco quello che prova dai suoi sguardi, dai suoi sorrisi malinconici.

Mi sono chiesto quando era accaduto che avevo smesso di pensare a lei come una strega pasticciona e l'avevo considerata una donna, quando mi ero accorto per la prima volta che si era cambiata d'abito per sentirsi più carina, quando iniziai a riconoscere il suo profumo delicato e dolce in mezzo agli altri, quando iniziai a notare che prima di parlare all'ordine, si mordeva il labbro inferiore e si grattava dietro le orecchie e la nuca per scaricare la tensione.
A volte le persone iniziano a far parte della nostra esistenza in modo inaspettato, senza avvertimenti, accade che quando ce ne rendiamo conto è troppo tardi: arriva subito la consapevolezza che queste persone non abbandoneranno facilmente il nostro cuore.

Ho iniziato a pensare a Nymphadora per caso.
Quando il dolore per Sirius si fa troppo grande e riaffiora nella mia testa la voce della bestia, inizio a pensare a lei, al suo modo di mangiare, con la bocca piena di cibo come se fosse un castoro, al suo modo di combinare piccoli disastri.
Le parlo pochissimo, spesso mi metto a fissarla con insistenza per cogliere più particolari possibili del suo modo d'essere in modo da ricordarmeli quando ne ho bisogno.
Ho inziato a capire di provare per lei qualcosa quando ho inziato a pensare di averla tra le braccia prima di andare a dormire, quando i pensieri della giornata si fanno più insistenti e pressanti, e non riesco a dormire a luce spenta.

Le donne sono un mistero di incomprensibile bellezza.
Nymphadora è per me un amore silenzioso, lei non sa nulla, lei non immagina neppure quanto io pensi a lei, ma non voglio dirle nulla, non voglio turbarla, non voglio rovinare tutto.
Non sono mai stato un grande corteggiatore, ho sempre vissuto solo, ho imparato ad esserlo.
Ma da quando è morto Sirius la solitudine è diventata insostenibile.
Sento il bisogno fisico di avere qualcuno accanto, per scacciare la bestia che mi cova dentro.
Se riuscirò a provare amore, allora riuscirò a superare la tristezza, il rimpianto e la rassegnazione.
Se fallirò la bestia prenderà il sopravvento, e con essa, la disperazione, il nichilismo, l'autodistruzione e l'annientamento.

Chissà se Nymphadora capisce che mi basta un suo sorriso per rendere un solo giorno vivibile.

“Remus, sei strano ...”

Ingollo saliva e mi tiro su a sedere, dopo uno sguardo perplesso diretto a lei risprofondo subito nella lettura.
Perchè rovinare tutto con le parole, Nymphadora?
Lasciati guardare, non voglio toccarti, non voglio turbarti.
Un pensiero mi attraversa la mente, e desidero immensamente vederla dormire nel suo letto.
Oppure la mattina, quando si sveglia, con addosso il pigiama, che sbadiglia con i capelli arruffati e gli occhi socchiusi.

“Remus, mi ascolti?”

Accenno una tossetta stizzosa e mi ritiro in cucina, con la scusa di avere la gola secca.
Se dessi retta alla bestia mi darei dell'idiota pavido e senza personalità.
Non l'ascolto, la ricaccio sotto strati e strati di pensieri.

Durante la luna piena la pozione inibisce fisicamente la bestia, ma mi rende schizofrenico.
Una volta riuscivo a controllare i miei pensieri, razionalizzavo, archiviavo sentimenti con precisione maniacale.
Ora sono stanco, i miei pensieri sono filamenti infiniti senza capo ne coda, ingarbugliati come matasse di lana, di spessore e colori differenti.
I miei pensieri, i miei ricordi, dalla morte di Sirius, se ne vanno al giro per la mia testa nel caos più totale.
Questo è letale per una mente, che, come la mia, è abituata alla trasparenza, all'ordine, al raziocinio.
Il caos dei pensieri travolge il mio schedario di emozioni e rovescia nella mia testa tutto l'archivio, tutto insieme, e, nella confusione più totale, arriva la bestia.
Tabula rasa, Remus Lupin, meglio bruciare tutto che rimettere apposto.”
Ogni volta devo combattere contro un nemico invisibile che, per ogni sentimento che rimetto apposto, ne ingarbuglia altri dieci.

Ecco che però arriva lei.
Sedativo per le mie angosce.
Morfina per il mio caos interiore.
La droga buona, Nymphadora.

Stasera mi sta guardando.
Lo sento, è uno strano formicolio alla base della nuca che mi dice che sono osservato.
Torno immerso nella lettura, nell'ultimo mese ho letto mezza bibioteca di Casa Black con questa scusa.

“Perchè stasera non mi guardi?”

Fuori, il temporale disegna lunghe righe grige sul vetro della finestra.
La pioggia scroscia e concilia il sonno.
Sembra una cascata.
Loro non lo sentono, ma io avverto le fronde degli alberi piegarsi con rispetto sotto l'acqua, e l'erba giorire della frescura, sento la Natura ringraziare le nubi di salvarla dall'aridità.
Alzo gli occhi dal libro, e, dopo tanti giorni, per la prima volta sorrido.
Se n'è accorta.

“Ti piace che io ti osservi?”
“Sì, anche se è strano.”
“Ti imbarazza? Ti turba?”
“Sì, in parte, ma non smettere di farlo, finchè siamo soli.”
“Non smetterei per nulla al mondo.”

Arrossisce a tal punto che le sue guance assumono il colore dei capelli.
Guarda di lato, sorride, poi mi rivolge uno sguardo furtivo e si scioglie in una quieta risata.

“Cos'è? Una dichiarazione d'amore?”
“Quello che vuoi tu.”
“Cosa succederà ora?”

Sorride beffarda, con la fronte alta e il sorriso che le illumina il volto.
C'è una nota di provocazione nella sua voce.
Sorrido ancora, leggo la frase in fondo alla pagina del libro.
Let the rain falls down, Let the solitude surround.”

“Lascia che la pioggia cada, lascia che la solitudine ci circondi.”


Note: Mi piace immaginare che sia stato un inizio incerto, ma felice, dettato dalla necessità di avere qualcuno accanto in un momento difficile, infine, mi piace poter pensare che i problemi che culmineranno nella scena nell'Infermieria della Scuola, li avranno in seguito e che siano stati conseguenti alla missione di Lupin, alla lontananza, al carattere introverso e tormentato dell'uomo, al suo sentirsi inadeguato nei confronti di lei, alle sue paure di non poterla amare degnamente.
La One-Shot è stata frutto di un mio personale delirio interiore causato dalla lettura di “Fight Club” di Chuck Palahniuk unita alla visione de “La 25a Ora” di Spike Lee.
La frase finale è tratta da “We Disintegrate” dall'album “Dead Heart In A Dead World”, dei Nevermore.

  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Gaia Luthien