Titolo:
Hush Hush Hush – Here Comes
the Boogeyman
Fandom: D.Gray-man
Personaggi: Lavi
Rating: Giallo
Genere: Song-fic;
Suspance; Nonsense
Avvertimenti: Alternative Universe;
One-Shot
Note: Scritta nel giro di
un’ora, o forse di mezz’ora, tra le due e le tre di notte. Non
è un capolavoro –probabilmente non è neanche gradevole- ma
sinceramente pazienza, dato il periodo di magra che ho avuto in questo fandom,
un po’ me l’aspettavo. Il titolo della fanficion è preso da una
canzone, quella alla quale mi sono ispirata, e –giusto per rompere un
po’- vi consiglio di ascoltarla, un po’ perché è
fantastica e un po’ perché altrimenti metà della suspance va a puttane.
E ora,
farò qualcosa di estremamente imbarazzante ed estremamente nonsense.
Dedico
questa fanficion a Kicchina, non tanto per la trama in sé, ma perché ogni volta che
scrivo in questo fandom lei c’è e recensisce, e mi va sentire Dio
per quei cinque minuti, e considerando che essere un Dio è una gran cosa
e cinque minuti sono un sacco di secondi, non mi dispiace affatto.
Quindi. Grazie
<3
Hush Hush Hush
Here Comes the Boogeyman
Era
cominciata con un motivetto lento ed inquietante, di quelli fatti apposta per
farti deglutire silenziosamente e ridere con aria nervosa. Un po’
incalzante e un po’ lenta, piacevole all’udito ma fastidiosa al
cuore. Si era poi placata, con un piccolo colpo di piatti tonanti, e la voce
aveva preso a cantare.
Children have You ever met the Bogeyman before?
No, of course You haven't for
You're much too good, I'm sure;
Don't You be afraid of him if he should visit
You,
He's a great big coward, so I'll tell You what
to do:
Lavi inizialmente
si era corrucciato. Si era passato una mano sul viso, grattandosi la guancia
nella speranza di scacciare la stanchezza, e aveva lasciato ruotare la sedia
per dare le spalle alla scrivania.
«
Mh? » aveva detto, non troppo convinto. Si era
sfilato le cuffie, guardandosi attorno con aria attenta –il negozio
puzzava di vecchio e di umido, di legno scricchiolante e lampade ad olio
consumato- e non si era mosso. La musica continuava a risuonare, pacata a
imperterrita, tra le pagine ingiallite dei libri.
Quindi,
Lavi si era alzato.
Hush, hush, hush, here comes the Bogeyman,
Don't let him come too close to You,
he'll catch you if he can.
Just pretend that you're a crocodile
And you will find that Bogeyman will run away a mile.
Aveva riso
piano, seccato da quell’improvvisa distrazione, e con un breve sospiro
–inspira dal naso ed espirando dalla bocca- aveva preso a camminare.
Scostando
tendine di perline dai colori spenti e filami di ragnatele argentee, aveva
mosso il primo passo verso la musica. Il secondo lo aveva mosso un po’ in
obliquo, chinandosi per raccogliere la mazza da baseball poggiata sul vecchio
quadro che nessuno voleva mai comprare, finendo con il muovere il terzo e, dopo
un istante, fermarsi.
C’era
un altro rumore, di sottofondo.
Say "Shoo shoo" and stick him with a
pin
Bogeyman will very nearly jump out of his skin
Say "buzz buzz" just like the wasps
that sting
Bogeyman will think you are an elephant with wings
Lento,
fugace. Fastidioso, un ronzio seccante, quel tipo di suono che senti e
solitamente ignori, ma che se senti e basta non puoi far altro che odiarlo.
Lavi
chiuse gli occhi. Entrambi, nonostante ci vedesse da uno solo, e sospirò
nuovamente. Deglutì, più rumorosamente di poco
prima, e mosse un altro passo. Al quale ne seguirono altri, meno incerti
dei precedenti, fino a quando il secco rimbombare delle suole contro il
pavimento non si mescolò al miagolio di sottofondo che si era improvvisamente
aggiunto.
Hush, hush, hush, here comes the Bogeyman
Tell him you've got soldiers in your bed
For he will never guess that they are only made of lead
Lavi era
solo nel negozio di antiquariato, lo sapeva. Lo sapeva con una certezza
–così disarmante- che per un istante ne dubitò. Quindi
abbozzò una smorfia, tra il ringhio e il sorriso –tra la morte a
tradimento e il pugnale alle spalle che in fondo ci si aspetta sempre- e
serrò la presa sulla mazza.
Era di legno, solida, scheggiata nei punti più improbabili.
Lavi si mosse ancora.
Say "Hush hush", he'll think that
you're asleep
If you make a lovely snore away he'll softly creep
Sing this tune you children one and all
Bogeyman will run away, he'll think it's Henry Hall!
Non
ricordava se fuori fosse notte o giorno, si era svegliato con quel rumore nelle
orecchie e per un attimo non aveva saputo cosa dire. Dormiva, ne era certo, ma
si era ritrovato con lo sguardo fisso sullo schermo del computer completamente
seduto. Non ricordava cos’era successo prima di quello –prima delle musica e prima di svegliarsi, prima di sognare e prima
ancora di addormentarsi- tanto che gli sembrava di essere stato appena creato,
tanto che si chiese se non fosse nato proprio lì, proprio in quel
momento.
Di nuovo,
chiuse gli occhi. Continuò a camminare.
When the shadows of the evening creep across the sky
And your Mummy comes upstairs to sing a lullaby
Tell her that the bogeyman no longer frightens you
Uncle Henry's very kindly told you what to do
Aprì
piano la bocca, lasciando uscire il fiato dai denti, e cercò di capire
da dove provenisse la musica. La sentiva alla propria destra, ma quando si
girò ce l’aveva alle spalle.
C’erano
le ombre, le sentiva anche senza aprire gli occhi. C’era il peso della
luce sfocata che gli premeva sulle spalle, e c’era il sibilo del
giradischi che non smetteva di ansimare, dandogli l’impressione che la
punta di ferro scorresse direttamente sopra le sue ossa.
Percorse
il corridoio, tra scatole di cartone e pile di libri barcollanti, strizzando
gli occhi quando la luce della sala lo accecò.
Hush, hush, hush, here comes the Bogeyman
Don't let him come too close to you, He'll
catch you if he can.
Just pretend your teddy bear's a dog
Then shout out, "Fetch him, Teddy!" and he'll hop off like a
frog.
Che era
come tutte le altre, caotica e soffocante. Lucida, perché la polvere era
talmente tanta da sembrare inesistente, e sistematica. C’era un tavolo, e
uno specchio. Un mobile, delle librerie, una finestra sprangata da assi di
legno.
C’era
anche la musica, a galleggiare a mezz’aria, sopra il giradischi di nero e
lucido conforto.
«
Ah. » disse Lavi, ma la sua più che un’esclamazione
sembrò un verso, di tensione e irritazione.
Sopirò, scuotendo la testa, e sentì il cuore diventargli leggero.
Passò davanti allo specchio –che era uno di quelli lunghi e
stretti, verticale e inclinato all’indietro- e aggirò il tavolo.
Chinò collo mento e sguardo, con la mazza da baseball premuta contro il
fianco, mentre allungava un mano per impedire al suono
di violare così insistentemente i suoi pensieri.
Sollevò
lo sguardo.
Say "Meeeeoow", pretend that you're
a cat
He'll think you may scratch him that make him
fall down flat
Just pretend he isn't really there
You will find that Bogey man will vanish in thin air
Here's one way to catch him without fail
Just keep a little salt with you
and put it on his tail
« NO! »
L’urlo
gli gelò il sangue, così come lo gelò al bambino seduto
tra le ante del mobile, e fu come se tutta
l’aria fosse stata risucchiata via. La musica cessò, la luce si
spense all’improvviso.
Il bambino
sgusciò fuori, tese una mano verso Lavi mentre qualcosa lo afferrava per
spalle vita e nuca, serrando le dita attorno al suo collo. Lavi
indietreggiò, cadde all’indietro e sbatté contro il vetro.
C’erano
un gatto in una gabbia e uno sciame d’api in una boccia di vetro.
Il vetro
dello specchio si ruppe e gli si conficcò tra costole e sterno, il
sangue non sgorgò dal taglio profondo e le dita gli si serrarono contro
la gola.
Qualcuno
alle sue spalle rise, diede uno strattone e Lavi scivolò dentro lo
specchio.
Poi, ci fu
solo il silenzio.
Il bambino
singhiozzava silenzioso, ma non piangeva. Non era la prima volta, non sarebbe
stata l’ultima.
Sistemò
la gabbia del gatto, che soffiava spaventato, e serrò bene il vaso con
le api, per non lasciarle uscire. Tirò su con il naso, rimise
frettolosamente il giradischi al proprio posto e la musica prese a scorrere nel
giro di pochi istanti.
Si
girò, esitando, e fissò lo specchio.
Indietreggiò,
senza distogliere lo sguardo, e allungò a tentoni le mani per serrarle sulle ante del mobile. Inspirò, trattenne il respiro
ed esitò di nuovo.
Così
si chinò, piegando le ginocchia e tirando le
ante. Ci si chiuse dentro e questa volta non lasciò al mondo nessuno
spiraglio.
End.