assetate,
carne da mal digerire e risputare
sulla crosta di ferite chiuse,
poi riaperte dalla spinta di reni ansiosi.
Poche ore rubate per colmare distanze siderali
ma di rassicurante viltà,
tra picchi e cadute di voleri e disvoleri altalenanti.
Fu divorarsi la pelle su note di struggenti dolcezze,
tra le pieghe di veli scivolosi a celare debolezze da bere,
da possedere nell'interscambio di pupille tremule.
E fu sogno svanito al mattino di te, di noi,
ombre affamate nel ventre di notti insonni.
" Di che odorasse
quel frullar di mani
tu non l'hai detto e io non te l'ho chiesto,
che la sera ci spiava dalla luna
dietro ai fari della tua auto blu.
E non ho creduto al ticchettio bugiardo della pioggia
o a labbra fiorite di ghigni d'acciaio e creta.
Hai coltivato la mia assenza
e ci hai fatto l'amore con piacere salato a tratti.
E no, non credo dovremmo aggiunger grani
trasudandoli dagli occhi.
Che se il respiro trema è solo il freddo
e con le dita traccio il nome appannato,
come da bambina
quando non ti conoscevo quel neo sulla schiena ne la ruga sulla fronte.
E no, non credo dovremmo masticare emozioni
per poi sputacele dietro alle schiene scoperte.
Come quella volta delle unghie affondate nel petto
e io a conficcarle più giù.
E il chiaro scuro delle nostre pelli stanche,
forse più stanche del fil di ferro che ti rubavo dal respiro.
La luna ingrandita e la nostra canzone è il tuo asso nella manica.
Ma io no, non credo più dovremmo."
NB: scusate l'eventuale uso improprio dei termini informatici del titolo, sono andata molto a "suono", scegliendo tra quelli pciniani quello che piu mi andava a genio senza però , forse , reale attinenza, perche io, di computer e figurarsi suoi linguaggi, tanto per restate il tema non capisco un BIP
@Dragana: grazie moltissime per le tue parole come sempre. Ho cosi grande stima e considerazione per la tua scrittura che tutto ciò che dici è da me recepito con doppio piacere rispetto a parole normali :)))
tu non l'hai detto e io non te l'ho chiesto,
che la sera ci spiava dalla luna
dietro ai fari della tua auto blu.
E non ho creduto al ticchettio bugiardo della pioggia
o a labbra fiorite di ghigni d'acciaio e creta.
Hai coltivato la mia assenza
e ci hai fatto l'amore con piacere salato a tratti.
E no, non credo dovremmo aggiunger grani
trasudandoli dagli occhi.
Che se il respiro trema è solo il freddo
e con le dita traccio il nome appannato,
come da bambina
quando non ti conoscevo quel neo sulla schiena ne la ruga sulla fronte.
E no, non credo dovremmo masticare emozioni
per poi sputacele dietro alle schiene scoperte.
Come quella volta delle unghie affondate nel petto
e io a conficcarle più giù.
E il chiaro scuro delle nostre pelli stanche,
forse più stanche del fil di ferro che ti rubavo dal respiro.
La luna ingrandita e la nostra canzone è il tuo asso nella manica.
Ma io no, non credo più dovremmo."
NB: scusate l'eventuale uso improprio dei termini informatici del titolo, sono andata molto a "suono", scegliendo tra quelli pciniani quello che piu mi andava a genio senza però , forse , reale attinenza, perche io, di computer e figurarsi suoi linguaggi, tanto per restate il tema non capisco un BIP
@Dragana: grazie moltissime per le tue parole come sempre. Ho cosi grande stima e considerazione per la tua scrittura che tutto ciò che dici è da me recepito con doppio piacere rispetto a parole normali :)))